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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini;...

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sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini; imp. Accossato Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 163/164-175/176 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188449 . Accessed: 25/06/2014 05:56 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.134 on Wed, 25 Jun 2014 05:56:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini; imp. Accossato

sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini; imp. AccossatoSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.163/164-175/176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188449 .

Accessed: 25/06/2014 05:56

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PARTE SECONDA

tuzionale (sent. n. 177 del 17 novembre 1971, Foro it., 1971,

I, 2918) sia perché, essendo consentito ad una sola delle parti

del processo, turbava l'equilibrio del contraddittorio (art. 3 e

24 Cost.), sia purché — ed il profilo della violazione dell'art. 112 Cost, è stato ritenuto assorbente — «il potere di impugna

zione ... è un'estrinsecazione ed un aspetto dell'azione penale, un atto conseguente — obbligatorio e non discrezionale — al

promovimento dell'azione penale» sicché il pubblico ministero

non può tenere un comportamento contraddittorio, lasciar sca

dere i termini dell'impugnazione ed esperire poi il gravame con

10 scopo pratico di contenere l'iniziativa dell'imputato. Il codice del 1988 ha riproposto questo discusso mezzo di

impugnazione, forse per accentuare il ruolo delle parti sulla re

gredicanda, ponendolo al riparo da censure di disparità di trat

tamento perché l'appello incidentale può essere esperito da tutte

le parti, mentre non può ritenersi violato il principio costituzio

nale dell'obbligatorietà dell'azione penale per il pubblico mini

stero che proponga appello incidentale e non principale. Infatti,

l'impianto del codice riserva ampio spazio alle transazioni pro cessuali delle parti, non solo nei riti abbreviati, ma anche in

appello, sicché l'esigenza di pervenire rapidamente ad una deci

sione definitiva è assunta tra i compiti di giustizia, è una com

ponente della giusta decisione che il pubblico ministero deve

perseguire: in questa nuova ottica il suo dovere di impugnazio ne ha l'indicato margine di apprezzamento.

Però deve riconoscersi che è uno strumento — in genere —

più utile all'accusa che alla difesa, sicché in pratica l'appello

incidentale è un deterrente unilaterale (come è stato con imme

diatezza rilevato da autorevole dottrina), del quale occorre defi

nire l'ambito, che il codice non ha definito (cfr. Relazione al

progetto preliminare, Le leggi, 1988, 2595).

Quando era in vita l'appello incidentale del codice del 1930

si discuteva se dovesse ritenersi limitato ai punti della decisione

investiti dai motivi d'appello, o potesse estendersi all'intero ca

po della sentenza, con prevalenza del secondo indirizzo (nel pri

mo senso, Cass. 29 settembre 1965, Sartore, Foro it., 1965, II,

289, in motivazione; sul secondo, Cass. 9 luglio 1969, Betti,

id., Rep. 1970, voce Appello penale, n. 52 bis), che poteva an

che essere giustificato dai particolari connotati dell'appello inci

dentale riservato al pubblico ministero, che rimaneva in vista

nonostante la successiva rinuncia dell'imputato. Al contrario, nella disciplina del codice del 1988 l'appello in

cidentale non solo compete a tutte le parti, ma soprattutto è

un mezzo di impugnazione dipendente dall'appello principale,

perché quando questo è inammissibile o vi è rinuncia ad esso,

perde efficacia. V'è quanto basta per poter affermare che l'ap

pello incidentale deve avere lo stesso ambito dell'appello princi

pale (contra: Cass., sez. II, 19 marzo 1992, Cersosimo), deve

essere cioè limitato ai punti della decisione investiti dai motivi

dell'appello principale, e non può estendersi all'intero capo del la sentenza. Cosi se, ad esempio, l'imputato si sarà doluto della

misura della pena è su tale punto che l'antagonista pubblico ministero potrà intervenire con l'appello incidentale, chiedendo

la condanna dell'imputato ad una pena più grave di quella in

flitta dal primo giudice, mentre non potrà chiedere la revoca

di circostanze attenuanti concesse, di benefici, ecc. Ritenere in

vece che il pubblico ministero possa con l'impugnazione inci

dentale devolvere al giudice d'appello l'intero capo della senten

za impugnata, senza il confine dei punti investiti dall'imputato con il suo appello principale, significa attribuire al pubblico mi nistero uno strumento di pressione volto ad indurre l'imputato alla rinuncia dell'impugnazione. E non sembra potersi dubitare

che una tale lettura dell'appello incidentale violi il principio di parità delle parti, il principio del diritto alla difesa ed anche 11 principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, che sia pure attenuato nelle impugnazioni per le ragioni già dette, è certa

mente violato se con l'appello incidentale il pubblico ministero, invece di contraddire semplicemente l'imputato, potesse investi

re in to to il capo impugnato, potesse cioè fare dopo quello che

era tenuto a fare prima con l'appello principale, potesse cioè

chiedere in modo autonomo la riforma di una decisione ingiu

sta, con una richiesta per di più rimessa al buon volere dell'im

putato che può a suo libito renderla inefficace.

L'esame dell'ambito dell'appello incidentale, qui considerato

nell'angolazione dell'istituto quale strumento reattivo del p.m.

Il Foro Italiano — 1994.

— dal momento che nella pratica è un deterrente unilaterale — rende evidente che tale ambito deve essere comune a tutte

le parti e, quindi, anche all'imputato. Ne consegue che il moti

vo di censura del ricorrente, con il quale sostiene che il proprio

appello incidentale doveva estendersi anche al capo della sen

tenza non impugnato con l'appello principale, è infondato.

È poi irrilevante la questione di legittimità proposta degli art.

593 (cosi di appello) e 595 (appello incidentale) c.p.p., in riferi mento agli art. 3 e 24, sotto il profilo che un appello incidentale

cosi interpretato indurrebbe sempre e comunque l'imputato ad

impugnare in toto la sentenza: infatti ciò concerne non l'istituto

qui in discorso, ma l'ambito devolutivo dell'appello in genere

di cui all'art. 597 c.p.p., non quindi le norme applicate nel pre

sente giudizio. (Omissis)

I

CORTE D'APPELLO TORINO; sentenza 23 marzo 1993; Pres.

Scapaticci, Est. Bartolini; imp. Accossato.

CORTE D'APPELLO TORINO;

Sanità pubblica — Rifiuti solidi urbani — Gestione di discarica comunale senza autorizzazione — Assenza di colpa — Ordi

nanza contingibile ed urgente — Legittimità — Fattispecie

(D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive

(Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smal timento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art. 10, 12, 25).

Attesa la limitatezza dei compiti del sindaco, cui spetta, relati

vamente agli obblighi facenti capo al comune come tale, prin

cipalmente un'attività di rappresentanza dell'ente e di iniziati

va nei confronti del consiglio comunale e della giunta, non

versa in colpa il sindaco che, avvalendosi del potere di ordi

nanza ex art. 12 d.p.r. 915/82, abbia proseguito nella gestio ne di una discarica di rifiuti urbani dopo che la provincia, constatata la mancata esecuzione delle opere prescritte, aveva

sospeso l'efficacia della autorizzazione provvisoriamente rila

sciata, se fece tutto ciò che era suo dovere e in suo potere

fare (nella specie, per ottemperare alle prescrizioni contenute

nell'autorizzazione provvisoria, il sindaco si era attivato af

finché gli organi deliberativi dell'ente affrontassero i singoli

problemi e ne decidessero le soluzioni); in questo caso, il ri

corso all'art. 12 è giustificato dalla situazione di indubbia ne

cessità cui dava luogo l'improvvisa interruzione del servizio

di raccolta dei rifiuti. (1)

(1-2) Le due sentenze risolvono in modo difforme un delicato pro blema e cioè a quali condizioni possa dirsi giustificato l'operato di un

sindaco che abbia gestito una discarica per rifiuti urbani senza autoriz

zazione (è incontestato il principio che l'autorizzazione occorra anche

per realizzare discariche comunali: v. Cass. 28 febbraio 1989, Porto, Foro it., 1989, II, 353).

In senso analogo alla sentenza sub I, v. Pret. Macerata 13 gennaio 1988, id., Rep. 1988, voce Sanità pubblica, n. 352; Pret. Pizzo 26 otto

bre 1988, id., Rep. 1990, voce Reato in genere, n. 36 (che, nell'assolve

re un sindaco che aveva gestito una discarica senza autorizzazione, met

te l'accento sull'inesigibilità di un'azione diversa). In senso conforme alla sentenza sub II, v. Cass. 6 luglio 1992, P.m.

in proc. Violante, Riv. pen., 1993, 444 (nella specie, la Cassazione ha annullato la sentenza che aveva assolto il sindaco dall'imputazione di avere gestito una discarica di rifiuti urbani non autorizzata nel presup posto che non avesse potuto fare altrimenti per l'insopprimibile necessi tà di provvedere allo smaltimento dei rifiuti); Pret. Taranto-Manduria 13 aprile 1993, ibid., 618 (il sindaco che gestisce una discarica senza autorizzazione regionale è responsabile del reato di cui all'art. 25 d.p.r.

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

PRETURA DI COSENZA, sezione distaccata di Acri; sentenza

28 maggio 1993; Giud. Roberti; imp. Sammarro.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi urbani — Gestione di discarica comunale senza autorizzazione — Esimente dello stato di ne

cessità — Esclusione (Cod. pen., art. 54; d.p.r. 10 settembre

1982 n. 915, art. 10, 12, 25).

Non può invocare la scriminante dello stato di necessità il sin

daco che abbia gestito senza autorizzazione una discarica di

rifiuti urbani ove non risulti che fece tutto il possibile per risolvere il problema, compreso l'inutile ricorso alle apposite

leggi finanziatrici e/o allo strumento contingibile ed urgente

di cui all'art. 12 d.p.r. n. 915 del 1982, cosi da dimostrare

che il sistema di smaltimento prescelto, tra quelli utilizzabili, fosse obiettivamente l'unico praticabile per scongiurare il pe

ricolo di un grave danno alla salute pubblica. (2)

915/82 a nulla rilevando che si sia attivato per creare una discarica

autorizzata rispondente ai criteri di legge, ma non abbia potuto realiz

zare l'obiettivo proposto per l'inerzia delle autorità regionali); Pret.

Caltagirone-Niscemi 15 gennaio 1993, Giust. pen., 1993, II, 415 (per la verità, la massima redazionale non riferisce che il pretore ha ritenuto

illegittima la gestione di una discarica a mezzo di ordinanza ex art.

12 difettante del requisito della contingibilità ed urgenza e comunque

priva di ogni riferimento ad una delimitazione dell'efficacia temporale del provvedimento, circostanza quest'ultima che determinava di fatto

un aggiramento della normativa vigente). A quest'ultimo riguardo, è importante sottolineare che anche la sen

tenza sub I, a proposito del fatto che il sindaco imputato della contrav

venzione di cui all'art. 25, per la prosecuzione della gestione della di

scarica, aveva emesso, mese per mese, ordinanze ex art. 12, stigmatizza che i provvedimenti in parola erano divenuti «ormai ripetitivi di se stes

si e si erano trasformati in una elusione dell'autorizzazione provinciale». Fin dai primi contributi dottrinari in materia di smaltimento dei ri

fiuti, non si è mancato di mettere a fuoco che la disposizione di cui

all'art. 12 «ha una funzione di emergenza e, ad un tempo, di chiusura

del sistema delineato nel decreto perché, prevedendo situazioni straordi

narie da fronteggiare con interventi eccezionali ed immediati — per tu

telare l'ambiente o la salute pubblica — introduce una possibile deroga alle procedure di smaltimento tipizzate, a seconda della categoria dei

rifiuti» (cosi F. e P. Giampietro, Lo smaltimento dei rifiuti. Commen

to al d.p.r. 915/82, Rimini, 1985, 299 ss.). In questo stesso ordine di idee, secondo Cattedra, La nuova disci

plina dei rifiuti e la tutela dell'ambiente, Firenze, 1987, 255, «il potere

d'ordinanza del presidente della giunta regionale e del sindaco può esse

re esercitato solamente se ricorrano congiuntamente gli estremi della

contingibilità, cioè del carattere inconsueto ed accidentale, e perciò stesso

improvviso ed imprevedibile, dell'evento; e dell'urgenza, nel senso che

sia comprovato un periculum in mora imminente per la salute della

collettività o per l'ambiente per la cui particolare gravità bisogna porvi rimedio senza indugio facendo uso di poteri extra ordinem».

È pacifico che la deroga al regime ordinario possa essere sia nel senso

di imporre una maggiore severità nell'effettuazione di determinate ope razioni di smaltimento sia nel senso di prevedere una disciplina meno

restrittiva di quella prevista dal decreto n. 915 (salvo però il limite inva

licabile dei precetti costituzionali e dei principi generali dell'ordinamen

to: in questo senso, Cattedra, La nuova disciplina dei rifiuti, cit.,

256) e pertanto l'ordinanza può riguardare l'imposizione di speciali cau

tele, non previste dall'autorizzazione regionale, per la gestione di un

impianto di smaltimento oppure lo svuotamento di una discarica in mo

do irrituale o comunque senza il rispetto di tutte le prescrizioni imposte dalla legge.

La dottrina ha avuto inoltre cura di sottolineare la particolare impor tanza del rispetto dei requisiti di legittimità del provvedimento da parte dell'autorità procedente. A questo proposito, F. e P. Giampietro, Lo

smaltimento dei rifiuti, cit., 301, osservano che il giudice penale è abili

tato a disapplicare l'atto emesso «dall'autorità incompetente e/o al di

fuori dei presupposti legittimanti citati (necessità eccezionali cioè impre vedibili e che impongano l'emanazione dell'ordinanza e urgenti vale a

dire non superabili con il ricorso a strumenti ordinari); ovvero quando

l'atto non sia legato alla tutela della salute e/o dell'ambiente da un

nesso di strumentalità funzionale ... ed allorché perda i requisiti della

temporaneità per la sua durata, incompatibile con la nozione di necessi

tà eccezionale. Ed infine quando l'ordinanza non abbia per oggetto

speciali forme di smaltimento dei rifiuti alternative a quelle codificate,

ma altri tipi di cautele che con le attività di cui all'art. 1 del decreto

non hanno nulla a che fare» (sul punto, in un caso in cui un sindaco,

a seguito di una situazione di imminente pericolo per l'igiene e la sanità

Il Foro Italiano — 1994.

I

Fatto e diritto. — Il comune di Valfenera, in consorzio con

un comune vicino, gestiva, all'entrata in vigore del d.p.r. 915/82,

una discarica per i rifiuti urbani. In adempimento dell'obbligo

imposto con la norma transitoria di cui all'art. 31 di detto prov

vedimento, il comune provvide a chiedere alla provincia di Asti

l'autorizzazione provvisoria a proseguire nella gestione della di

scarica; l'autorizzazione fu concessa, ma in essa si elencarono

alcune opere che l'ente avrebbe dovuto realizzare per rendere

il sito perfettamente idoneo a ricevere rifiuti senza dispersioni di percolato, senza diffusioni di biogas e senza pericolo di in

quinamento delle falde e dell'ambiente. Tali prescrizioni rima

sero inosservate nella sostanza e sin dal 1986 risultano inviate

dalla provincia di Asti al comune di Valfenera sollecitazioni e

richieste per l'esecuzione delle opere in questione. Nel frattem

po, l'autorizzazione provvisoria veniva prorogata, sempre pre

scrivendosi al nominato comune di adempiere alle prescrizioni

impostegli. Infine, a fronte di sopralluoghi che consentirono di

pubblica, aveva disposto, con provvedimento urgente, adottato ai sensi

non già dell'art. 12 d.p.r. 915/82, ma dell'omologo art. 153 t.u. 148/15,

l'apertura di una discarica in zona sottoposta a vincoli ambientali, Cass.

7 giugno 1989, Greco, Foro it., Rep. 1990, voce Comune, n. 250, ha

osservato che l'ordinanza è legittima quando sia di efficacia limitata

nel tempo in relazione alla necessità e all'urgenza, sia adeguatamente motivata, sia conforme ai principi dall'ordinamento giuridico, sia ra

gionevole sotto il profilo della ineluttabilità delle scelte di contenuto, non diversamente realizzabili ed ha perciò affermato che il tribunale, in sede di riesame del sequestro, doveva valutare se il sindaco non ave

va altra scelta, per la salvaguardia dell'igiene e sanità pubblica, che

la creazione della discarica temporanea proprio nella località soggetta ai vincoli ambientali, perché nell'ipotesi contraria, sarebbe stato ravvi

sabile eccesso di potere, sindacabile immediatamente dall'autorità giu diziaria con la conseguente ipotizzabilità dei reati di cui agli art. 1 1.

8 agosto 1985 n. 431, 2° comma, e 634 c.p. Da ultimo, Cass. 10 dicem

bre 1992, Orlandi, inedita, e Pret. Modena 28 febbraio 1992, Foro it.,

1993, II, 112, con nota di richiami, hanno ribadito che al giudice pena le è consentito disapplicare un'ordinanza illegittima emessa dal sindaco).

Con qualche riserva va invece vista la puntualizzazione di Cattedra, La nuova disciplina dei rifiuti, cit., 255, per il quale «i presupposti di che trattasi devono sussistere al momento in cui il provvedimento è stato adottato, anche nel caso che l'organo amministrativo che ha

emanato il provvedimento d'urgenza, se avesse agito con maggiore tem

pestività, avrebbe potuto seguire le vie rituali, salva, come è ovvio, la

responsabilità penale di questi per i reati posti in essere per gli atti

non intervenuti a suo tempo con l'esercizio dei normali poteri attribuiti

all'organo medesimo dall'ordinamento giuridico».

Questa opinione, infatti, oltre a non tenere nel debito conto che il

penetrante (e spesso determinante) controllo di legalità sull'esercizio dei

pubblici poteri da parte dell'autorità giudiziaria, attraverso il ricorso

alla fattispecie dell'omissione o del ritardo in atti di ufficio prevista nell'art. 328 c.p., è venuto praticamente meno a seguito della modifica

intervenuta con la 1. 26 aprile 1990 n. 86 — secondo la nuova formula

zione dell'art. 328 è punito soltanto il rifiuto indebito nel compimento di un atto di ufficio e non più il solo mancato compimento dell'azione

doverosa (in tema, Fiandaca - Musco, Diritto penale. Parte speciale,

appendice, Bologna, 1991, 37, osservano che «la condotta penalmente rilevante, in quanto si incentra sul solo rifiuto, presuppone in ogni caso

una previa» richiesta «di adempimento ... il rifiuto, infatti, consiste

in una positiva manifestazione di diniego, esternata in qualsiasi forma, del compimento di un atto» concludendo che «la scelta legislativa di

incriminare nel 1° comma soltanto il rifiuto desta forti perplessità») — da un lato potrebbe prestarsi a legittimare l'inerzia dell'autorità am

ministrativa e dall'altro lato a giustificare l'adozione di qualsiasi tipo di provvedimento d'emergenza, magari anche fortemente incompatibile con la normativa vigente. In proposito, occorre essere chiari: non si

nega cioè che l'amministrazione non debba comunque fronteggiare una

situazione di grave ed imminente periodo per la salute pubblica o per

l'ambiente; quel che si contesta è l'uso spregiudicato dei poteri cautelari

di emergenza laddove vi era la possibilità di ricorrere a tempo debito

e con lungimiranza ai rimedi ordinariamente apprestati dall'ordinamen

to giuridico. Con specifico riferimento alla gestione delle discariche comunali e

all'evenienza che queste non fossero state autorizzate alla scadenza del

periodo transitorio stabilito dal decreto n. 915 (e cioè alla data del

16 settembre 1983), Amendola, Smaltimento dei rifiuti e legge penale,

Napoli, 1985, 153, aveva già messo in guardia che «qualora il sindaco

ritenga che non vi sia altra possibilità di smaltimento e che la chiusura

della discarica, pur se non autorizzata, provocherebbe in concreto un

pericolo per la salute pubblica (ovvero, ovviamente, quanto meno un

pericolo più grave di quello eventualmente provocato dalla presenza

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PARTE SECONDA

accertare come a distanza di tempo ancora restassero per gran

parte da osservare tali prescrizioni, la provincia, con delibera

del 30 maggio 1990, sospese l'efficacia dell'autorizzazione prov visoria.

Il sindaco del comune di Valfenera, con ordinanza 9 giugno

1990, dispose, nella necessità di non interrompere il servizio di

raccolta dei rifiuti urbani, l'utilizzazione della discarica nono

stante la sospensione dell'autorizzazione provinciale. E questo riutilizzo è proseguito, mese per mese, in base a successive ordi

nanze, tutte motivate dalla impossibilità di provvedere altrimenti

al disbrigo del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti nell'abitato.

Il Pretore di Asti ha ritenuto il sindaco del comune di Valfe

nera colpevole dei reati di omessa osservanza delle prescrizioni

imposte con l'autorizzazione provvisoria e, a decorrere dal giu

gno 1990, di gestione di una discarica senza autorizzazione pro vinciale. Il giudice a quo ha disatteso le tesi difensive dell'impu tato, imperniate sostanzialmente sullo stato di necessità per cro

nica mancanza dei mezzi finanziari occorrenti al perfezionamento della discarica. E, nel pronunciare la condanna, ha subordinato

la sospensione condizionale della pena all'esecuzione delle ope re imposte con le prescrizioni elencate nel capo di addebito sub a).

dell'esercizio della discarica) egli può legittimamente, a nostro avviso, assumendosi ogni responsabilità sulla necessità di tale scelta, emettere un'ordinanza contingibile ed urgente ove in via eccezionale autorizza la prosecuzione dello smaltimento anche in assenza (ed in attesa) di autorizzazione . . . sollecitando ufficialmente la regione a far cessare

questa anomala situazione». Lo stesso autore successivamente (in Inquinamento e industria - Rac

colta delle principali sentenze emesse negli ultimi vent'anni, Milano, 1992, 156) ha visto con estremo favore quella giurisprudenza che ha ritenuto illegittimo il ricorso all'art. 12 per consentire l'esercizio di di scariche comunali non aventi i requisiti per essere autorizzate nor malmente.

E difatti, fin dalle prime pronunce in argomento (Cass. 22 settembre

1986, Bagna, Foro it., 1988, II, 8), la Cassazione è stata perentoria nell'asserire che la finalità e il presupposto per l'applicazione dell'art. 12 è di provvedere con urgenza ad un evento nuovo, imprevisto ed

imprevedibile e perciò esula dalla competenza del sindaco emanare sif fatte ordinanze per autorizzare la discarica o il deposito temporaneo di rifiuti tossici e nocivi. Conferma questo indirizzo, Cass. 1° settembre

1992, D'Ottavi, Riv. pen., 1993, 433 (nella specie, una discarica di ri fiuti era stata installata in zona sottoposta a vincolo paesaggistico).

A questo orientamento rigoroso aderisce sia la giurisprudenza di me rito (v. Pret. Legnago 12 novembre 1987, Foro it.. Rep. 1989, voce Sanità pubblica, n. 324, e Pret. Matera 26 maggio 1992, Riv. pen., 1993 , 474) che quella amministrativa. In tema, v. Tar Piemonte, sez.

II, 17 dicembre 1985, n. 530, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 264, secondo cui è illegittima l'ordinanza del presidente della giunta regiona le che imponga al gestore di una discarica di proseguire l'attività di

smaltimento, sospesa dal sindaco per motivi urbanistici; per Tar Sicilia, sez. II, 28 dicembre 1988, n. 904, id., Rep. 1989, voce cit., n. 365, non sussiste una situazione di oggettiva emergenza nel caso in cui il comune disponga la proroga di un provvedimento già adottato in via d'urgenza in base all'art. 12 in attesa dell'affidamento del nuovo appal to dei servizi di nettezza urbana; secondo Tar Lazio, sez. I, 30 marzo 1992, n. 431, id., Rep. 1992, voce cit., n. 327, è illegittimo l'esercizio del potere di ordinanza da parte del presidente della giunta regionale in presenza di una situazione di mera e relativa difficoltà ad operare secondo le previsioni della disciplina pianificatorìa vigente (di segno ana

logo è anche Tar Lazio, sez. Latina, 23 novembre 1990, n. 1064, inedi

ta, riportata per esteso in Amendola, Inquinamento e industria, cit., 157); infine, per Tar Lazio, sez. Latina, 13 aprile 1992, n. 258, Foro

it., Rep. 1992, voce cit., n. 329, l'atto con il quale è stato esercitato il potere extra ordinem ai sensi dell'art. 12 deve essere sorretto da una motivazione che, oltre ad illustrare la gravità della situazione, dimostri che sono state vagliate, sia pure per escluderne la praticabilità, tutte le possibili soluzioni alternative.

Sulla tematica generale dei provvedimenti a tutela dell'ambiente, cfr. Cavallo Perin, La tutela dell'ambiente: nuove norme attributive del

potere di ordinanza, in Foro it., 1988, I, 3538; P. Giampietro, Gli intementi igienico-sanitari ed ambientali degli enti locali. Rassegna di

giurisprudenza amministrativa e penale sulle industrie insalubri, abita bilità, ordinanze contingibili ed urgenti, misure antinquinamento idri co, acustico, da rifiuti, Rimini, 1990; Caravita, Diritto pubblico del l'ambiente, Bologna, 1990, 349 ss.; Grillo, Provvedimenti amministra tivi d'urgenza nelle emergenze ambientali «minori», in Riv. giur. ambiente, 1991, 51; Giustapane, La tutela globale dell'ambiente, Mila

no, 1991, 77 ss. Sullo smaltimento dei rifiuti, in generale, da ultimo, v. AA.VV., Di

sciplina giuridica dei rifiuti e prevenzione delle alterazioni ambientali, Napoli, 1992; in particolare, sul reato di realizzazione e gestione di di

II Foro Italiano — 1994.

Con tempestivo appello, l'imputato chiede la riforma della

sentenza osservando che, nella sua qualità di sindaco, egli non

poteva fare nulla più di quanto aveva tentato nella vicenda di

specie di ottenere. Non spetta, si afferma, al sindaco deliberare

ed effettuare spese per conto dell'ente; le prescrizioni erano so

stanzialmente inutili, posto che la discarica riposava su un con

siderevole strato di argilla impermeabile ed era idonea a riceve

re rifiuti al punto che la stessa provincia vi aveva avviato rifiuti

di altri comuni in momenti di emergenza; le medesime prescri zioni dovevano reputarsi richieste per ottenere l'autorizzazione

definitiva e non già per il rilascio e la proroga di quella provvi

soria; l'impossibilità di investire capitali nella discarica e l'im possibilità di recapitare in altro luogo i rifiuti urbani di Valfe nera avevano necessitato l'utilizzo della discarica cosi com'essa

era, peraltro senza pericolo alcuno per l'ambiente; a fronte del

l'improvvisa interruzione del servizio, cagionata dalla sospen sione dell'autorizzazione provvisoria ad opera della provincia, il sindaco non aveva potuto far altro che esercitare i poteri doveri di cui all'art. 12 d.p.r. 915/82 onde fronteggiare la con

seguente situazione di urgenza e di necessità.

Rileva la corte che il presente processo pone all'esame del

scarica abusiva, v. Paone, 1 reati in materia di inquinamento, Torino, 1993, 335 ss.

Tra le più recenti decisioni inedite, in materia di smaltimento dei

rifiuti, possono essere segnalate: Cass. 28 maggio 1993, Ravazzolo, che ribadisce l'uniforme orientamento per cui, in tema di trasporto di rifiu ti da una regione all'altra, l'autorizzazione rilasciata da una regione ha validità esclusivamente nell'ambito di quel territorio (nello stesso

senso, v. Cass. 21 gennaio 1992, Valsecchi, Foro it., 1993, II, 648, con nota di richiami); Cass. 3 marzo 1993, D'Auria, che si è occupata del rapporto tra d.p.r. 915/82 e 1. 319/76 (nel caso di specie, si è ritenu to che l'eliminazione di fanghi liquidi, derivati dalla trasformazione agri cola delle vinacce, sia assoggettata alla normativa del 1976 che discipli na l'intero settore dei residui acquosi, purché non tossici o nocivi, men tre il d.p.r. 915/82 regolamenta i rifiuti solidi nonché i liquami e fanghi tossici e nocivi; su questa problematica, cfr., da ultimo, Paone, I reati in materia di inquinamento, cit., 89 ss.); Cass. 19 marzo 1993, P.m. in proc. Pullè, che, con riferimento al d.leg. 27 gennaio 1992 n. 95, relativo alla eliminazione degli oli usati, ha posto il principio per cui la previsione dell'obbligo di presentazione di una nuova domanda di autorizzazione (art. 14) non ha determinato nella fase transitoria il ve nir meno della necessità di un precedente analogo provvedimento da rilasciarsi in base al d.p.r. 915/82 per la prosecuzione dell'attività di smaltimento degli oli usati né l'abrogazione delle sanzioni per coloro che la espletavano senza l'autorizzazione stessa poiché l'art. 14, 1° com

ma, statuisce che continuano ad applicarsi le disposizioni penali vigenti e, d'altro canto, l'art. 15 dichiara valida, fino al conseguimento di quella successiva, la pregressa autorizzazione.

Un capitolo a parte è rappresentato dalle sentenze che si sono occu

pate della nozione di rifiuto (da ultimo, v. Cass. 29 maggio 1992, n.

6522, Foro it., 1993, I, 3346, con nota di richiami, e Pret. Taranto Manduria 15 giugno 1993, Riv. pen., 1993, 1142, che ha escluso la natura di rifiuto nel sottoprodotto che può essere riutilizzato in un me desimo processo produttivo).

Dalla lettura delle sentenze più recenti (tutte ancora inedite: v. Cass. 11 dicembre 1992, Gannuscio; 18 febbraio 1993, Buzzi; 4 marzo 1993, P.m. in proc. Attolini; 2 luglio 1993, Cocchia) risulta consolidato l'o rientamento per il quale la definizione di rifiuto va data tenendo pre sente non soltanto il cirterio soggettivo della volontà di disfarsi della sostanza o dell'oggetto, ma anche del risvolto oggettivo e cioè della destinazione naturale all'abbandono, senza che l'eventuale riutilizzazio ne dell'oggetto abbia alcuna rilevanza.

Risulta inoltre confermato che una delle fasi dello smaltimento dei rifiuti è costituita dal trattamento il quale può consistere nello stesso riutilizzo della materia prima secondaria (sul punto, l'orientamento si rifà al concetto espresso da Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Viezzoli, Foro it., 1992, II, 419, con nota di richiami di Paone; per un approccio parzialmente critico a tale opinione, v. Paone, Il rifiuto e la materia

prima secondaria dopo la sentenza del 27 maggio 1992 delle sezioni unite della Cassazione, in Riv. giur. ambiente, 1992, 649 ss.).

La questione della disciplina dei rifiuti reimpiegabili in nuove attività

produttive (in argomento, da ultimo, v. Manuelli, Residui di attività

produttiva fra smaltimento e riutilizzo, id., 1993, 632 ss.) è tuttavia destinata ad una profonda rivisitazione in quanto il governo, dopo una

lunga attesa, dovuta anche ai contrasti manifestatisi all'interno dei vari ministeri interessati al problema, ha varato, con provvedimento d'ur

genza, la normativa specifica sui residui derivanti da cicli di produzione o di consumo riutilizzabili come materie prime o come fonti di ener

gia.

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GIURISPRUDENZA PENALE

giudicante numerosi e gravi problemi di ordine giuridico. Il pre tore ha ritenuto di affermare la colpevolezza dell'imputato nella

di lui qualità di sindaco, ritenendolo personalmente responsabi le della gestione irregolare della discarica, dapprima, e della ge stione senza autorizzazione della medesima in un secondo mo

mento. Devesi, tuttavia, verificare sino a che punto un sindaco

possa essere equiparato ad un soggetto privato sotto il profilo

degli obblighi che, come individuo, possono fargli capo relati vamente allo smaltimento dei rifiuti. Infatti, il privato è certa

mente destinatario di tutti i doveri imposti dalla legge in con

nessione con l'esercizio di una determinata attività quando essa, come quella che ha ad oggetto lo smaltimento dei rifiuti, è dalla

legge sottoposta a condizioni e prescrizioni cautelative. Il sinda

co ha, per legge, poteri precisi e determinati di rappresentanza dell'ente comunale ed assume responsabilità verso l'ordinamen

to soltanto entro i limiti cui si riferiscono questi poteri-doveri. Non può il sindaco essere equiparato all'imprenditore che orga nizza da sé il proprio esercizio di impresa e pertanto di esso

A questo proposito, si segnala che il primo d.l. reca la data del 9

novembre 1993 n. 443 (Le leggi, 1993, I, 2849; per un commento «cal

do», v. Paone, I reati in materia di inquinamento, cit., 389 ss.) e non

è stato convertito nei termini. Il secondo provvedimento è del 7 gennaio 1994, n. 12 (id., 1994, I, 72) e non sappiamo se verrà convertito o, se come è più probabile, verrà reiterato alla scadenza in attesa che il

nuovo parlamento lo prende in esame.

Riservandoci di tornare successivamente su questa innovazione legis lativa, ricordiamo brevemente che il d.l. 12/94 stabilisce (art. 4, 1° com

ma, e art. 5, 2° comma) che l'attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento e riutilizzo di residui riutilizzabili è subordinata non al rila

scio di un'autorizzazione, ma soltanto all'invio preventivo di una appo sita comunicazione, corredata da una relazione tecnica, al comitato na

zionale dell'albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento

dei rifiuti di cui all'art. 10 1. 29 ottobre 1987 n. 441 oppure alla sezione

regionale del medesimo albo nazionale ed alla regione territorialmente

competenti. La violazione delle citate disposizioni è punita dall'art. 12

con l'ammenda da lire tre milioni a lire dieci milioni.

Sulla tematica affrontata nella sentenza sub II, relativa all'invocata

presenza dello stato di necessità, la giurisprudenza si è già espressa, ma con esiti non del tutto omogenei.

Una delle prime decisioni in materia (Cass. 19 dicembre 1989, De

Tommasi, Foro it., Rep. 1992, voce Cause di non punibilità, n. 28), ha escluso che sia scriminato dallo stato di necessità il comportamento del presidente del comitato di gestione di un ente ospedaliero il quale aveva attivato un inceneritore di rifiuti speciali prima che la regione avesse dato l'autorizzazione (si segnala che secondo Cass. 6 ottobre

1992, Paulicelli, Riv. pen., 1993, 1162, spetta al direttore sanitario del

l'ospedale attivarsi per la realizzazione di un impianto di innocuizzazio

ne dei rifiuti speciali di un ospedale e di conseguenza su di lui ricade

la responsabilità per la mancata richiesta della prescritta autorizzazione).

Tuttavia, con la successiva sentenza 29 maggio 1990, Testa, Foro

it., Rep. 1990, voce cit., n. 23, la Cassazione ha cambiato opinione asserendo che va assolto per aver agito in stato di necessità il presidente di una Usi che provveda allo smaltimento dei rifiuti speciali di un ospe dale mediante un impianto inceneritore gestito in difetto di autorizza

zione regionale, ove, a causa dell'inerzia degli organi pubblici responsa

bili, tale misura sia l'unica possibile per evitare un pericoloso accumulo

dei rifiuti stessi o la chiusura della struttura ospedaliera. In tema di discarica comunale, Cass. 18 marzo 1991, Arcangeli, Im

presa, 1991, 1406 (citata anche dal Pretore di Cosenza) ha viceversa

ribadito che da parte del sindaco di un comune non può essere invocata

l'esimente dello stato di necessità per essere il pericolo di danno grave alle persone dei cittadini inevitabile con il ricorso all'opera di imprese autorizzate allo smaltimento dei rifiuti.

In termini più generali, v. Cass. 3 giugno 1991, Barnabei, Foro it.,

Rep. 1992, voce cit., n. 26 (non può invocare lo stato di necessità il

gestore di un pubblico impianto di depurazione, che non possa esser

chiuso senza pregiudicare gravemente la vita della collettività, ove l'ir

regolare funzionamento dell'impianto sia cagionato dalla negligenza del

l'imputato che non abbia adeguatamente provveduto per vari anni ad

approntare i mezzi necessari per il buon funzionamento dell'impianto). Da ultimo, Cass. 3 marzo 1993, D'Auria, cit., ha sostenuto che, an

che nel caso di inadempienza dell'autorità pubblica a provvedere in me

rito alla richiesta di autorizzazione allo scarico di reflui, il privato non

può proseguire tale attività né può addurre lo stato di necessità perché,

pur se sussistesse il pericolo di un danno grave alla persona, manche

rebbe comunque il requisito della «non volontaria causazione del peri colo stesso» essendo invece conseguenza diretta ed immediata della pro secuzione dell'attività; inoltre, mancherebbe il requisito della inevitabi

lità perché lo smaltimento può sempre avvenire mediante ditte

specializzate. [V. Paone]

Il Foro Italiano — 1994.

risponde appieno; all'organo esponenziale dell'ente comunale

non può rimproverarsi se non di aver trascurato i propri speci fici doveri o di aver male esercitato i propri poteri.

In questo contesto ritiene la corte di appello che vada ricerca

ta la colposità della condotta dell'odierno appellante, essendo

certa la materialità dei fatti in addebito e soltanto dovendosene

verificare la qualificazione giuridica e la punibilità, quanto me no a titolo di colpa.

Correttamente il primo giudice ha considerato che dopo la

sospensione dell'autorizzazione provvisoria ad opera della pro

vincia di Asti la gestione della discarica va ricondotta alla fatti

specie di reato di cui all'art. 25, 3° comma, d.p.r. 915/82; e

che le inosservanze delle prescrizioni imposte dalla medesima

provincia vanno ricondotte alla fattispecie di cui all'art. 27, 1°

comma, dello stesso decreto.

Sul primo punto, infatti, è evidente che, una volta non più

concessa la proroga dell'autorizzazione, l'esercizio della discari

ca restava privo della necessaria autorizzazione amministrativa.

Né le ordinanze emesse dal sindaco, mese per mese, per la pro

secuzione di tale esercizio possono configurare efficace strumento

di lecito utilizzo del sito per l'accumulo di rifiuti: basterà riflet

tere che l'art. 12 d.p.r. 915/82 consente tali ordinanze sempre

ché questi provvedimenti siano «contingibili e urgenti», trovino

giustificazione in ragioni di eccezionali ed urgenti necessità del

la salute pubblica o dell'ambiente e restino temporanei. Il co

mune di Volfenera ha continuato, ad oggi, a scaricare rifiuti

urbani nella discarica de qua in base a provvedimenti che sono

divenuti ormai ripetitivi di se stessi e che si sono trasformati

in una elusione dell'autorizzazione provinciale. Appare chiaro

che l'annoso ricorso ad uno strumento consentito per far fronte

ad esigenze temporanee di eccezionale urgenza diventa poi pras

si quotidiana e rischia pertanto di dar luogo ad appunti di ec

cesso di potere. Sul secondo punto, si osserva che dal testo delle autorizzazio

ni provvisorie si desume agevolmente come la provincia avesse

imposto l'esecuzione di alcune opere nella discarica e come tale

esecuzione avesse subordinato non soltanto il rilascio dell'auto

rizzazione definitiva ma anche lo stesso rinnovo delle proroghe

delle autorizzazioni provvisorie. Trascorso un certo tempo di

tolleranza, ripetutamente la provincia sollecitò l'adempimento

ed avvertì che le proroghe non sarebbero state rinnovate; sin

ché, a fronte di quello che riteneva essere un inadempimento

protratto da anni, rifiutò l'ennesimo rinnovo. Devesi dunque

reputare che la fattispecie vada qualificata ai sensi e per gli ef

fetti della norma di cui all'art. 27 d.p.r. 915/82, anche se ad

una prima lettura questa norma sembra riferibile esclusivamen

te alle autorizzazioni definitive ed essere estranea al regime tran

sitorio dettato dai successivi art. 31 ss. stesso d.p.r.

Nel quadro di questa premessa in fatto e in diritto devesi

esaminare se nella condotta tenuta dal sindaco del comune di

Valfenera possa ravvisarsi quell'elemento psicologico che è ele

mento costitutivo imprescindibile di ogni reato.

Rientra nei compiti del sindaco (si veda, oggi, l'art. 36 1. 8

giugno 1990 n. 142, una attività di rappresentanza dell'ente co

munale e di iniziativa nei confronti del consiglio comunale e

della giunta, le cui riunioni egli convoca e presidede; l'adempi

mento degli specifici compiti attribuiti dalle leggi e l'espleta

mento delle funzioni attribuitegli o delegategli dallo Stato e dal

la regione. In nessun modo il sindaco ha gestione di denaro,

potere decisionale in materia di scelte finanziarie, possibilità di

vincolare il comune ad una determinata spesa. Relativamente

agli obblighi facenti capo al comune come tale, il sindaco non

può far altro che attivarsi affinché gli organi deliberativi del

l'ente affrontino i singoli problemi e ne decidano le soluzioni.

Risulta in atti che le autorizzazioni provvisorie rilasciate dalla

provincia avevano per destinatario il comune e non, come è

ovvio, la persona fisica del sindaco; il servizio di raccolta e smal

timento dei rifiuti urbani compete obbligatoriamente al comune

e non già al sindaco in quanto tale. Pertanto, l'Accossato aveva

il dovere, quale capo dell'amministrazione, di portare la que

stione discarica all'attenzione degli organi decisionali del comu

ne, di stimolarli ad una soluzione, di ricordare ad essi l'esisten

za di questo grave problema e di assumere le iniziative compati

bili con la propria carica. Certamente, a differenza del privato

imprenditore, l'Accossato non era tenuto ad utilizzare fondi pro

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PARTE SECONDA

pri per far fronte alle spese né poteva affidare con propria deli

bera personale lavori a terzi in nome e per conto del comune.

Risulta, nel processo, che più volte si riunì il consiglio comu

nale per discutere della discarica (i verbali sono in atti); che

le iniziative da adottare erano bloccate dalla mancanza di mezzi

finanziari; che il sindaco ripetutamente chiese allo Stato finan

ziamenti a mutuo (250 milioni di lire) per provvedere all'esecu

zione delle prescrizioni della provincia; che in varie epoche fu

rono eseguiti lavori nella discarica, giudicati insufficienti o sba

gliati dalla esigente provincia; che, insomma, si tentò, a mezzo

di ruspe, tubi di cemento e attrezzature rivelatesi non troppo

adeguate di soddisfare alle richieste contenute nei provvedimen ti di autorizzazione. Allorché, poi, il servizio di raccolta dei

rifiuti urbani venne a cessare improvvisamente in conseguenza del mancato ennesimo rinnovo dell'autorizzazione, l'Accossato

si assunse le responsabilità della sua carica esercitando i poteri doveri di cui al ricordato art. 12 d.p.r. 915/82. Fu soltanto

in seguito (e ciò è fuori dalla contestazione) che le ordinanze

contingibili ed urgenti, trascorso il primo momento di indifferi

bile necessità, si sono di fatto sostituite all'autorizzazione della

provincia.

Conclude, dunque, la corte reputando che nella condotta te

nuta dal sindaco Accossato non possano essere ravvisati ele

menti di colpa. Per quanto concerne le inosservanze delle pre scrizioni dettate nelle autorizzazioni provvisorie, deve dirsi che

egli fece ciò che era suo dovere e in suo potere di fare, attesa

la limitatezza dei compiti inerenti alla sua veste di rappresen tante dell'ente. Per quanto concerne l'esercizio della discarica

senza autorizzazione, va affermato che esso fu giustificato dalla

situazione di indubbia necessità cui dava luogo l'improvvisa in

terruzione dell'obbligatorio servizio di raccolta dei rifiuti: alme

no entro e fino ai tempi ai quali si riferisce la contestazione

in addebito.

II

Fatto e diritto. — Dall'istruttoria dibattimentale è emerso con

certezza il fatto descritto al capo d'imputazione come addebita

to all'imputato. Dalle testimonianze e dalla documentazione acquisita appare

provata l'esistenza della discarica intesa per luogo di stabile ab

bandono di rifiuti solidi urbani. È altresì pacifico, si evince dal

la prova testimoniale e, peraltro, non viene contestato dall'im

putato, che la medesima era priva della autorizzazione regiona le prevista dall'art. 6 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915.

Palesemente è l'attuale imputato, all'epoca sindaco di Acri,

figura questa che impersona l'ente nei rapporti con l'esterno,

responsabile della stessa gestendola direttamente.

Dopo la nota sentenza delle sezioni unite penali della Cassa

zione (28 febbraio 1989, Porto, Foro it., 1989, II, 353) è conso

lidato indirizzo giurisprudenziale che l'attività di smaltimento

di rifiuti solidi urbani da parte dei comuni è soggetta a preven tiva autorizzazione regionale il cui relativo obbligo grava sul

sindaco.

Ne discende che, qualora egli intenda smaltire i rifiuti solidi

urbani adottando il metodo della discarica (che è soltanto uno

dei possibili sistemi di smaltimento utilizzabili), deve essere in

possesso della prescritta autorizzazione.

La gestione della discarica senza autorizzazione costituisce con

dotta penalmente rilevante, essendo sanzionata dall'art. 25 del

citato d.p.r. Si tratta di un obbligo di legge a cui non ci si può sottrarre

e, tenendo conto del carattere formale del reato, la consuma

zione del quale dipende dal semplice porre in essere un compor tamento in sé ritenuto motivo di pericolo dal legislatore.

Vero è che alcune pronunzie dei giudici di merito (per tutte

v. Pret. Pizzo 26 ottobre 1988, id., Rep. 1990, voce Reato in

genere, n. 36) hanno fatto riferimento al controverso concetto

di inesigibilità per escludere la responsabilità penale anche in

ipotesi non espressamente previste dalla legge, qualora l'agente abbia posto in essere tutto ciò che era dallo stesso «esigibile» nella specifica situazione in cui egli si trovava ad operare.

Ma non può non rilevarsi come tale categoria in tanto possa trovare applicazione nel diritto positivo in quanto essa sia ri

conducibile ad un preciso riferimento normativo che la introdu

II Foro Italiano — 1994.

ca nel sistema e ne legittimi, specificandola, la sua rilevanza

giuridica (in questo senso v. Cass. 17 aprile 1991, n. 4342, che

fa richiamo in proposito al principio di legalità). Non può, allora, ricollegarsi al tema dell'errore sul precetto,

ai sensi dell'art. 5 c.p. come inteso dalla sentenza della Corte

costituzionale 364/88 (id., 1988, I, 1385) poiché il p.u. avrebbe dovuto in ogni caso (anche prima della sentenza della Cassazio

ne, sez. un., 28 febbraio 1989, cit.), in presenza di contrasto

giurisprudenziale, attenersi alla condotta che lo avrebbe preser

vato dal violare la legge penale (Pret. Paola-Scalea 28 giugno

1991, Montesano+1). Tantomeno può ritenersi l'inesistenza del

l'elemento soggettivo del reato (come sostenuto da alcune sen

tenze della Corte d'appello di Catanzaro) atteso che la esistenza

0 meno di un comportamento esigibile, eventualmente non te

nuto dall'agente, attiene piuttosto alla sfera oggettiva del reato,

come sostenuto da parte della dottrina. E del pari non hanno

rilievo considerazioni sulla insussistenza del dolo nell'agente, trat

tandosi di contravvenzione punibile a solo titolo di colpa; tanto

è vero che si è sancita la punibilità anche di chi si è attenuto

a disposizioni delle autorità regionali (per tutte Cass. 18 marzo

1991, n. 4). Non rimane pertanto che ricollegarsi alla esimente

dello stato di necessità che tradizionalmente la dottrina ricon

duce al principio di inesigibilità (come peraltro ha statuito la

stessa Corte di cassazione).

Riguardo alla fattispecie di cui all'art. 54 c.p. va sottolineato

come la giurisprudenza abbia sempre configurato la stessa in

limiti ben ristretti alla luce dei requisiti normativamente previsti

(attualità del pericolo, inevitabilità di esso, sua in volontarietà,

pericolo di danno alla persona). In particolare essa ritiene che la situazione di pericolo di dan

no grave alla persona debba avere un tale carattere di indilazio

nabilità e cogenza da non lasciare all'agente altra alternativa

che violare la legge (per tutte v. Cass. 26 ottobre 1982, n. 9883). Anche a non volere accedere a quell'indirizzo (Cass. 16 gen

naio 1990, Pagni id., Rep. 1991, voce Sanità pubblica, n. 261) che evidenzia la volontarietà delle cariche elettive la quale con

sente di sfuggire alle corrispondenti responsabilità, va rilevato

che la necessità di evitare danni alla persona presuppone, nel

caso di specie, che la condotta dell'agente sia stata almeno ispi rata ad una rigorosa ed adeguata attenzione ai risvolti igienico sanitari della soluzione adottata, in caso contrario non sembra

credibile la necessità allegata, né che detta soluzione fosse vera

mente l'unica possibile e quindi legittimante la condotta.

Appare perlomeno esigibile che il bene ambiente-salubrità dei

luoghi, il diritto all'ambiente salubre affermato dalla giurispru

denza, sia offeso in termini il più possibile contenuti, che ci

sia una qualche proporzione tra la rilevanza del fatto illecito

ed i valori da salvaguardare, che il comportamento dell'agente si ponga sulla stessa linea della necessità invocata e teso verso

1 medesimi beni da tutelare. Orbene, dagli elementi probatori acquisiti emerge che la di

scarica de qua non teneva conto della normativa di cui alla deli

bera del comintato interministeriale 27 luglio 1984, contenente

le prescrizioni a cui si debbono attenere i gestori delle discariche

controllate.

A tal proposito si deve notare che la circolare dell'assessorato

regionale all'ambiente calabrese del 15 luglio 1986 (esibita in

atti dal prevenuto) aveva già sottolineato la necessità di elimi

nare le situazioni che costituivano un grave rischio per la salute

pubblica raccomandando «discariche controllate da realizzarsi

secondo i disposti di cui al d.p.r. 915/82 e della delibera del comitato interministeriale (. . .)».

Tornando alla discarica in argomento non può non rilevarsi

che essa, in contrasto con i requisiti minimali indicati dalla deli bera citata per le discariche di prima categoria, presentava tali

principali inconvenienti, non attinenti ai profili formali della

gestione dell'impianto:

a) era priva di adeguata recinzione in modo da impedire l'ac

cesso a persone non autorizzate ed agli animali; i lavori di ap

posizione di una recinzione erano appena iniziati, non vi era

un cancello sulla strada di accesso ma una catena che consenti

va a chiunque di entrare (cfr. test. Pietramala) tanto che dei

rifiuti si nutrivano cani randagi (cfr. foto n. 7 del fascicolo

dei carabinieri di Acri relativo al sopralluogo del 6 novembre

1990);

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Page 7: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini; imp. Accossato

GIURISPRUDENZA PENALE

b) i rifiuti venivano bruciati a più riprese (per come risulta dalle foto scattate in tempi diversi dai carabinieri e da quanto dichiarato da tutti i testimoni sul punto) con pericolose emissio

ni gassose in notevoli quantità (è notorio che per la loro stessa

composizione i rifiuti solidi urbani non sono soggetti ad auto combustione, mentre il bruciarli consente di ridurne il volume);

c) mancava di qualsiasi opera di drenaggio delle acque super ficiali e meteoriche, non sussistendo neppure delle canalette di

scolo;

d) mancava di qualsiasi opera di drenaggio e captazione del

percolato, consentendone la infiltrazione nel sottosuolo;

e) i rifiuti non erano sottoposti a colmate periodiche con

conseguente loro esposizione a cielo aperto (cfr. test. Masala

nonché la predetta documentazione fotografica). In pratica la discarica comunale di Acri non era provvista

di misure adeguate per la salvaguardia della salute pubblica, non tenendo conto della priorità dei rimedi cautelari indirizzati

a ridurre i pericoli di inquinamento dell'acquifero, dell'aria e del suolo.

Allorché la Corte di cassazione (cfr. sent. 29 maggio 1990,

Testa ed altro id., Rep. 1990, voce Cause di non punibilità,

n. 23) ha riconosciuto in subiecta materia la ricorrenza dello

stato di necessità ha esaminato fattispecie ben diverse.

Nella pronunzia cennata il presidente di una Usi aveva prov veduto al temporaneo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti da un ospedale pubblico, ed accumulatisi nei pressi della strut

tura sanitaria, attraverso un inceneritore già completato e man

cante solo della autorizzazione regionale non ancora rilasciata

(tuttavia un caso identico era stato precedentemente risolto dal

la corte in modo opposto; Cass. 19 dicembre 1989, De Tomma

si, id., Rep. 1992, voce cit., n. 28). Evidentemente, nel caso

suesposto la forma di smaltimento adottata assicurava ogni ga

ranzia di rispetto per la salute pubblica, la violazione formale

della legge non poteva incidere sui beni al controllo della cui

tutela è preposto l'istituto dell'autorizzazione; mentre la con

dotta servì in concreto ad evitare il grave pericolo di danno

alla salute dei pazienti ricoverati nel nosocomio, in mancanza

di altre alternative.

Pertanto, non appare invocabile lo stato di necessità nel mo

mento in cui non vennero approntati mezzi minimali finalizzati

alla tutela del diritto alla salute. Tale bene collettivo appare

di certo indivisibile; la violazione della norma penale non emer

ge come l'unica possibilità concessa all'agente, se poi in concre

to il fine proclamato non risulta effettivamente e con coerenza

perseguito. La documentazione esibita in atti non prova, in verità, che

l'imputato abbia fatto tutto il possibile per risolvere il proble

ma nell'ambito dei suoi poteri. In effetti, la copiosa attività deliberativa ebbe carattere pre

valentemente burocratico, in vista e nell'attesa della soluzione

globale della costruzione di una nuova discarica senza la con

creta attuazione delle misure adottande nell'immediato.

In particolare non vi è alcuna prova in atti che il comune

non potesse disporre di risorse finanziarie atte a consentire un

più proficuo intervento in tale campo, nessun riferimento a cri

teri di gestione delle stesse che consenta di ritenere la loro utiliz

zazione al meglio per impedire la perpetrazione di un illecito

penale o almeno contenerne le conseguenze dannose.

Per la costruzione di nuovi impianti di smaltimento di rifiuti

solidi urbani ed anche per l'adeguamento di quelli preesistenti

sono state emanate varie norme che permettevano alla pubblica

amministrazione di accedere a rilevanti canali di finanziamento

oltre quelli ordinari.

Basta fare riferimento al d.l. 31 agosto 1987 n. 361, converti

to nella 1. 29 ottobre 1987 n. 441, per cui ai fini processuali

appare necessario verificare come venne utilizzato tale strumen

to normativo nella vicenda in esame.

Sempre dalla documentazione allegata in atti risulta che alla

regione Calabria, in applicazione di tale legge, venne messo a

disposizione dallo Stato un contributo di 23.954 milioni da ero

garsi sotto forma di mutui da parte della cassa depositi e presti

ti; è notorio che tali finanziamenti vennero successivamente in

tegrati dal piano triennale per l'ambiente.

Con delibera 26 aprile 1988 la regione Calabria approvò, per potere usufruire di detti finanziamenti, un piano regionale (stral

li. Foro Italiano — 1994.

ciò) per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In virtù del piano predetto venne prevista e programmata la costruzione di

varie discariche consortili, tra cui quella relativa al bacino n.

22 a servizio dei comuni di S. Sofia d'Epiro, S. Demetrio Coro ne ed Acri.

Il comune capo-bacino, S. Sofia d'Epiro, predispose un pro

getto esecutivo per la realizzazione di questa discarica che ven

ne regolarmente presentato. Il progetto, per un ammontare di

lire 1.160.000.000, ebbe il parere favorevole del genio civile di Cosenza in data 20 marzo 1989 e già il giorno dopo, 21 marzo

1989, venne approvato dalla regione sia pure, come si spiegherà

appresso, in maniera irrituale.

In data 20 settembre 1989 il comune capo-bacino cambiò idea

e chiese alla regione lo scioglimento dell'ambito n. 22 perché, come si legge nella delibea del consiglio comunale «il problema della discarica questo comune intende risolverlo e gestirlo da

solo, e a seguito una massiccia richiesta da parte dei cittadini

chiederemo pertanto alla regione Calabria assessorato ll.pp. non

voler far parte dell'ambito 22». La motivazione, e non solo

per la forma, appare oscura, non dà sufficiente spiegazione di

un comportamento tanto singolare e certo non è ispirata ai prin

cipi di buona amministrazione. Sta di fatto che la giunta municipale di Acri, con delibera

26 marzo 1990, decise di affidare l'incarico per una propria discarica per rifiuti solidi urbani ad alcuni professionisti. Nel frattempo il Sammarro si adoperò in vario modo, soprattutto nel sollecitare incontro con l'assessorato regionale per risolvere

il problema.

Omise, però, l'attuale imputato di fare tutto ciò che era pos

sibile fare anche in tale specifica occasione.

Come è noto la 1. 29 ottobre 1987 n. 441 ha cercato con

vari meccanismi di rendere effettivo il suo fine di realizzare un

efficiente sistema di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in vista della concreta attuazione del d.p.r. 915/82, tenendo conto delle

prevedibili inadempienze degli enti locali. A tale scopo l'art.

4 della legge prevede che, qualora gli enti tenuti, in base al

piano regionale per i rifiuti solidi urbani, a provvedere alla rea

lizzazione degli impianti di smaltimento, non dispongano nei

termini stabiliti, la regione si sostituisca ad essi nell'esecuzione

delle opere. Per come si evince dal confronto di tale norma con la lettera

del 3° comma del medesimo articolo: «In caso di inadempienza

della regione il ministro dell'ambiente può provvedere in via

sostitutiva, nominando un commissario ad acta (. . .)», si tratta

di un chiaro obbligo della regione e non di una semplice facoltà.

Allora il comportamento esigibile dal Sammarro, in mancan

za del quale non si può ritenere che abbia fatto tutto quanto

in suo potere fare, era proprio quello di provocare l'attivazione

di tali poteri sostitutivi da parte della regione con i mezzi previ

sti dall'ordinamento giuridico (richieste, diffide ad adempiere, ecc.).

Il piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani non è una mera dichiarazione d'intenti, è un atto amministrati

vo vincolante per la pubblica amministrazione, di grande porta

ta, che non può essere disapplicato in modi cosi sommari.

A tale proposito va ricordato come la giurisprudenza ammi

nistrativa abbia più volte sottolineato il valore di detto stru

mento, ribadendo la necessità di adottare i mezzi «ordinari»

senza appellarsi continuamente a soluzioni extra ordinem che

spesso non trovano giustificazione alcuna in assunte «impreve

dibilità» o «oggettive impossibilità» di utilizzare i predetti mez

zi nel campo dello smaltimento dei rifiuti, atteso che la sempli

ce tempestiva attuazione dei piani sarebbe stata sufficiente a

fronteggiare le evenienze prospettate (v. Tar Lazio, sez. Latina,

11 dicembre 1990, n. 1064, id., Rep. 1992, voce Comune, n.

446, e sez. I 30 marzo 1992, n. 431, ibid., n. 442). Tornando alla condotta dell'imputato, dato che egli era ben

consapevole di gestire una discarica senza autorizzazione e che

il fatto lo esponeva ad un procedimento penale, secondo i crite

ri dell'ordinaria diligenza egli non avrebbe dovuto accettare il

fatto compiuto ma, piuttosto, attivarsi in tutti i modi possibili, primi fra tutti quelli previsti dalla normativa del settore, per

raggiungere il suo fine.

È chiaro che la scissione del bacino non poteva che portare

ad un ritardo ulteriore nella realizzazione del progetto di smal

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Page 8: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 marzo 1993; Pres. Scapaticci, Est. Bartolini; imp. Accossato

PARTE SECONDA

tire i rifiuti solidi urbani perseguito dal comune di Acri, indiriz zandolo sulla strada di costruire una discarica propria in luogo di quella il cui iter amministrativo era andato tanto avanti; il

tutto mentre lo smaltimento predetto avveniva in forma tanto

incongrua.

Sempre nella normativa del settore va indicato altro strumen

to per reagire alla situazione creatasi come la «defezione» del

comune di S. Sofia d'Epiro. Ci si riferisce all'art. 12 d.p.r. 915/82.

Il giudicante condivide pienamente l'indirizzo della Corte di

legittimità (Cass., sez. un., 28 febbraio 1989) secondo cui il ri corso all'art. 12 è giustificato solo se vi è un pericolo di grave danno non altrimenti evitabile, senza alcuna possibile alternati

va e per un periodo di tempo ben delimitato.

Da questo assunto si è dedotto che tale norma non può essere

utilizzata dal sindaco per autorizzare se stesso a gestire una pree sistente discarica abusiva, nel momento in cui la stessa era ope rante da più tempo; chiaramente, ogni ulteriore aggravamento delle condizioni igieniche della stessa era prevedibile e non può

parlarsi di evento nuovo, imprevisto ed imprevedibile. Nel caso di specie, qualora il prevenuto si fosse adoperato

nei modi sopra esposti, il ritiro dal progetto di discarica consor

tile del comune capo-bacino poteva anche apparire come un

fatto nuovo ed imprevisto e, assieme al concomitante deteriora

mento della situazione igienica generale, legittimare l'adozione

di provvedimenti ex art. 12.

Allora il problema dei rifiuti solidi urbani si sarebbe potuto affrontare con l'attivazione provvisoria di una nuova discarica, naturalmente nel rispetto dei requisiti minimali previsti a tutela

della salubrità dell'ambiente. Operazione non difficile in un ter

ritorio cosi vasto come quello del comune di Acri. Tanto più che era stato già identificato un sito idoneo per una discarica

in località Colle Lento di Gallice (v. missiva 26 novembre 1991

del sindaco di Acri alla amministrazione provinciale di Cosen

za). La delibera di giunta 215/90, di conferimento dell'incarico

per la costruzione di una nuova discarica, in tal contesto avreb

be avuto una valenza diversa, avrebbe assunto un carattere di

maggiore credibilità.

Per le argomentazioni esposte i vari documenti esibiti dal

l'imputato appaiono frutto più di un interessamento formale

alla problematica che non attuazione di una incisiva e pervicace volontà tesa allo scopo di far cessare la permanenza di un illecito.

Da notare che, sempre dalla documentazione in atti, emerge si che il sindaco di Acri fece ricorso all'art. 12 d.p.r. 915/82, ma in una occasione non congrua.

Ci si riferisce all'ordinanza del 21 novembre 1991 con cui

si autorizzava il prosieguo dello smaltimento dei rifiuti nella

località Manzi. Evidentemente, tale ordinanza non poteva sana

re una consolidata situazione di illegalità, né consentire il sacri

ficio dei beni salvaguardati dal d.p.r. 915/82; va ricordato che

si è ritenuto illegittimo il ricorso all'art. 12 per autorizzare una

discarica provvisoria di rifiuti solidi urbani in una località priva dei requisiti propri delle discariche, riguardo ai profili igienico sanitari ed ambientali (Tar Lazio, sez. II, 4 marzo 1987, n. 307). Il prowedimetno va, però, evidenziato perché i proprietari del

terreno adibito a discarica (probabilmente per inadempienze an

che contrattuali del comune) avevano sbarrato l'accesso alla stessa

e l'ordinanza venne emanata soprattutto per vincere la loro re

sistenza all'uso predetto. Per tutte le ragioni sopra esposte, non può ritenersi provato

che sussistesse una situazione di pericolo di danno grave alla

persona tale da non lasciare all'imputato altra alternativa che

quella di violare la legge penale, il medesimo va pertanto rico

nosciuto colpevole del reato a lui contestato. (Omissis)

Il Foro Italiano — 1994.

TRIBUNALE DI PALERMO; sentenza 16 marzo 1993; Pres.

Scaduti, Est. Fasciana; Rubino ed altro.

TRIBUNALE DI PALERMO;

Dibattimento penale — Nuove contestazioni — Contestazione

di reato concorrente — Condizioni — Fattispecie (Cod. proc.

pen., art. 517, 521).

L'art. 517 c.p.p. impone la contestazione all'imputato dei reati

concorrenti con quelli per cui si procede, dei quali non esista

menzione nel decreto che dispone il giudizio, sempre che la

sussistenza degli stessi emerga nel corso dell'istruttoria dibat

timentale, e non anche allorché essi fossero già noti, ma non

se ne fosse fatta menzione alcuna nella formulazione del capo di imputazione (nella specie, il tribunale, ritenuto che gli estremi

del reato concorrente fossero già emersi nella fase delle inda

gini preliminari, ha dichiarato l'irritualità della contestazione

effettuata ex art. 517 ed ha disposto, in ordine al medesimo

fatto, la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma

dell'art. 521, 3° comma, c.p.p.). (1)

(Omissis). Ed infine, si rileva che la contestazione in udienza

del reato connesso di minaccia per costringere a commettere

un reato è stata effettuata dal p.m. al di fuori delle ipotesi pre viste dall'art. 517 c.p.p.; pertanto, va disposta per esso la tra

smissione degli atti al procuratore della repubblica perché pro ceda separatamente ai sensi dell'art. 521, 3° comma, c.p.p.

Invero, la norma impone la contestazione all'imputato dei

reati concorrenti con quelli per cui si procede, dei quali non

esista menzione nel decreto che dispone il giudizio.

Essa, però, letteralmente limita la sua previsione all'ipotesi in cui la sussistenza del reato emerga nel corso dell'istruttoria

dibattimentale; e non anche allorché la sussistenza del reato con

corrente fosse già nota, ma omessa nella formulazione del capo di imputazione.

D'altra parte la disciplina delle nuove contestazioni è, nel si

stema del codice, razionalmente differenziata, dato che, ove si

tratti di fatto «nuovo», la sua contestazione nello stesso dibatti

mento è possibile solo se l'imputato vi consenta, comportando

questa una grave restrizione del campo difensivo.

Nell'ipotesi, invece, di reato concorrente — ma analoghe con

siderazioni valgono in quelle di modifica dell'imputazione (art.

516) e di circostanza aggravante — l'indifferenza del consenso

della parte è giustificata dal rilievo che la contestazione è in

tali casi evenienza, per un verso, non infrequente in un sistema

processuale imperniato sulla formazione della prova in dibatti

mento e, quindi, ben prevedibile, dato lo stretto rapporto inter

corrente tra l'imputazione originaria ed il reato connesso.

Tale ragione trova, però, un limite invalicabile nella tutela

delle garanzie e delle prerogative processuali difensive.

E proprio a marcare tale limite è posta la necessità che il

reato connesso, ovvero la circostanza aggravante, emerga per la prima volta dall'istruzione dibattimentale.

La possibilità di contestare un reato in udienza preclude, in

fatti, all'imputato la scelta di riti alternativi al dibattimento con

la conseguente esclusione di poter godere dei benefici ad essi

connessi.

Orbene, tale preclusione può essere ammessa nel caso di con

testazione di un reato concorrente, emergente nel corso del

(1) Non constano precedenti editi in termini. In tema di nuove conte

stazioni, Corte cost. 3 giugno 1992, n. 241 (Foro it., 1992, I, 2014, con nota di richiami) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.

519, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui consente all'imputato di chie dere l'ammissione di nuove prove solo «a norma dell'art. 507», nonché nella parte in cui esclude che nuove prove possano essere in tal caso chieste anche dalle altre parti private e dal pubblico ministero. In argo mento, cfr., tra gli altri, Rafaraci, Nuove contestazioni e diritto alla

prova dinanzi alla Corte costituzionale, id., 1993, I, 1777 ss. Corte cost. 28 dicembre 1990, n. 593 (Rassegna a cura di Civinini,

id., 1991, II, 330, n. 26) ha, invece, dichiarato infondata una questione di legittimità costituzionale degli art. 560, 1° comma, e 517 c.p.p., nella

parte in cui non consentono, in caso di contestazione suppletiva nel corso del dibattimento davanti al pretore, di rimettere in termini le par ti per la richiesta di giudizio abbreviato o comunque di un rito speciale. Sul tema, cfr. Cremonesi, Compatibilità tra le contestazioni suppletive dopo l'apertura del dibattimento e l'adozione dei riti speciali, in Arch, nuova proc. pen., 1993, 228 s.

Sulla problematica delle nuove contestazioni, cfr., inoltre, Pret. Pra to 8 febbraio 1991, Foro it., 1991, II, 729, con osservazioni di Di Chiara.

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