sentenza 23 novembre 1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. MilazzoSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.225/226-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188460 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Diritto. — Il ricorso è fondato e merita accoglimento. L'ordinanza impugnata ha rigettato il ricorso ritenendo che
il decreto di perquisizione e di sequestro, predisposto dal procu ratore della repubblica presso il Tribunale di Palmi, debba con
siderarsi formalmente e sostanzialmente corretto, essendo stato
disposto con idonea motivazione per rintracciare cose pertinenti a reato.
L'opinione espressa dal giudice del riesame non risulta sorret
ta da adeguata motivazione, essendosi risolta in un apodittico riconoscimento della legittimità del decreto emesso dal p.m., senza il minimo esame delle ampie e argomentate doglianze de
dotte a sostegno della richiesta di riesame.
Pronunciando su una fattispecie perfettamente analoga a quella in esame, questa corte ha recentemente ribadito che la perquisi
zione, che è mezzo di ricerca della prova, presuppone l'esisten
za di un fondato motivo che consenta di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino sulla persona di
un determinato soggetto o in un determinato luogo, sicché è
essenziale la previa individuazione del thema probandum ed è
necessaria l'esistenza di indizi di rilievo convergenti, in riferi
mento ad una concreta figura di reato, verso la probabilità di
rinvenimento della res oggetto della ricerca: è stato conseguen temente stabilito che qualora si proceda in base a semplici so
spetti o illazioni e in difetto di un concreto nesso strumentale
con una determinata attività criminosa, la perquisizione e il se
questro ad essa conseguente si trasformano da mezzo di ricerca
della prova in mezzo di acquisizione di una notitia criminis, come tale inammissibile perché lesivo della libertà individuale
lato sensu, che ha i suoi referenti negli art. 13 e 14 Cost. (Cass., sez. I, 22 aprile 1993, Zappoli Thirion). Identici principi erano
stati già enunciati dalla Suprema corte che, nell'affermare l'ille
gittimità di una perquisizione disposta in base a mere congettu re o sospetti, ha posto in luce che, nel nuovo codice di rito,
è indubbia la sussistenza di uno stretto rapporto funzionale tra
l'atto di ricerca della prova (perquisizione) e la sua materiale
apprensione (sequestro), ritenendo illegittimo il sequestro di do
cumenti operato in base ad un decreto di perquisizione assolu
tamente carente di motivazione (Cass., sez. V, 13 marzo 1992,
ric. Casini). Nell'ordinanza impugnata risultano completamente disattesi
i principi di diritto testé indicati, la cui applicazione avrebbe
impedito al Tribunale di Reggio Calabria di riconoscere la legit timità formale e sostanziale del decreto in data 5 aprile 1993
del procuratore della repubblica di Palmi e avrebbe condotto
a riconoscere la palese illegittimità della perquisizione e del se
questro presso la loggia massonica Risorgimento-Vili agosto di
Bologna e presso l'abitazione del maestro venerabile, Lenzi Ugo.
Invero, sulla base di una valutazione compiuta in una corretta
prospettiva, rispondente alle regole sopra indicate, il tribunale
non avrebbe potuto non rilevare immediatamente che il p.m. non aveva individuato ipotesi criminose concrete né elementi
fattuali specifici e precisi, essendosi limitato l'organo inquirente ad enunciare ipotesi di reato vaghe e non determinate attraver
so meri riferimenti normativi (art. 416 c.p. e art. 1 e 2 1. 25
gennaio 1982 n. 17) e l'indicazione di una «attività illecita di
natura massonica», che non apporta, di per sé, un qualsiasi
apprezzabile contributo all'esigenza di formulazione, sia pur som
maria, di una specifica fattispecie criminosa.
Il tribunale del riesame ha altresì omesso di rilevare che l'in
determinatezza dell'oggetto dell'accusa ha reso indeterminato
anche l'oggetto della perquisizione e del sequestro che, difatti,
sono stati disposti ai fini dell'acquisizione in originale o in co
pia di qualsivoglia documentazione riferibile direttamente o in
direttamente ai fatti per cui si procede, come corrispondenze,
liste, agende di qualsiasi tipo, computers, appunti, ecc.
Infine, deve porsi in risalto che, se fossero stati adottati esatti
criteri giuridici, il giudice del riesame avrebbe potuto agevol
mente constatare che la mancanza di dati precisi e concreti si
è tradotta inevitabilmente nell'assoluta carenza di indizi che pos
sano considerarsi in qualche modo convergenti in direzione di
una determinata ipotesi di reato, onde non avrebbe potuto di
13 marzo 1992, Casini, Cass, pen., 1993, 393. Sostanzialmente confor
me, con riferimento però solo al sequestro probatorio, Cass. 25 giugno
1990, Isola, Foro it., Rep. 1991, voce Sequestro penale, n. 17. Cfr.,
altresì, Cass. 12 novembre 1990, Galluzzo, ibid., n. 20, ove si afferma
che, affinché sia legittimo un sequestro preventivo o probatorio, è ne
cessario che vi siano indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla
sussistenza ed attribuibilità del reato.
Il Foro Italiano — 1994.
sconoscersi che a base del decreto del p.m. erano state addotte
semplici congetture e che, in definitiva, il provvedimento costi
tuiva più che un mezzo di acquisizione della prova, uno stru
mento di ricerca della notitia criminis.
A conclusione delle precedenti considerazioni, deve ricono
scersi che la totale mancanza di motivazione inficia non solo
l'ordinanza impugnata, ma anche il decreto del p.m., che, in
palese violazione degli art. 247 e 253 c.p.p. e, prima ancora
dell'art. 14 Cost., non può in alcun modo considerarsi come
un atto motivato idoneo a giustificare la perquisizione e il se
questro. Di conseguenza, questa corte deve pronunciare l'an
nullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti.
I
CORTE D'APPELLO DI CATANIA; sentenza 23 novembre
1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. Milazzo.
CORTE D'APPELLO DI CATANIA;
Concussione — Reato — Estremi — Fattispecie (Cod. pen., art. 317, 318, 319).
Sussiste il reato di concussione, anziché quello di corruzione, ove il pubblico ufficiale, abusando della sua qualità o dei
suoi poteri, ottenga con violenza psicologica od inganno una
prestazione indebita, ancorché il soggetto concusso lucri un
indebito vantaggio, in quanto l'eventuale utilità del privato non è, astrattamente e praticamente, incompatibile con la vio
lenza o l'inganno usati dal soggetto concussore (nella specie, è stata ritenuta colpevole di concussione una dipendente della
motorizzazione civile, incaricata di effettuare gli esami di pa
tente, che costringeva o comunque induceva alcuni candidati
a dare indebitamente danaro con la minaccia che, diversa
mente, essi non sarebbero stati promossi all'esame di guida
appena sostenuto). (1)
II
CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 8 ottobre 1993; Pres. ed est. Caccamo; imp. Armanini.
Concussione — Reato — Estremi — Fattispecie (Cod. pen., art. 317, 318, 319).
L'elemento che caratterizza precipuamente il delitto di concus
sione — e che rileva in maniera decisiva nel distinguerlo dal
delitto di corruzione — è lo stato di soggezione del privato, molto spesso un imprenditore, di fronte al titolare di una pub blica funzione; che poi dalla «elargizione» siano derivati al
l'imprenditore, oltre al vantaggio di una gestione normale del
rapporto contrattuale in atto, altri vantaggi maturati nella pro
(1-3) Le pronunce su riprodotte si segnalano all'attenzione perché af
frontano il controverso problema della distinzione tra i reati di concus sione e corruzione sia in un contesto di criminalità episodica individuale
(v. App. Catania sub 1), sia — ed è certamente l'aspetto più interessan
te — all'interno di quel sistema di illegalità diffusa che va ormai sotto
il nome di «Tangentopoli» (v. App. e Trib. Milano sub 2 e 3).
Soprattutto l'ampia e argomentata motivazione della sentenza del g.i.p. del tribunale milanese, che ha condannato con giudizio abbreviato Ma
rio Chiesa (e cioè quel celebre pubblico amministratore, col cui arresto
«è saltato quel 'tappo' che aveva compresso l'iniziativa dei magistrati fin dagli anni del centro-sinistra»: cfr. Ricolfi, L'ultimo parlamento. Sulla fine della prima repubblica, Roma, 1993, 37), assurge a documen
to storico di alcune tecniche operative tipicamente invalse nel sistema
di corruzione che ha visto come protagonisti imprenditori e politici del
l'era «craxiana» (per un approfondimento del fenomeno sul piano socio
politologico, cfr., oltre alla indagine di Ricolfi, cit., Sapelli, Clepto
crazia, Milano, 1994). I. - La tesi della compatibilità tra la concussione e l'ingiusto vantag
gio conseguito dal soggetto concusso, affermata da App. Catania nella
massima sub 1 e sia pure con limitazioni da App. Milano nella massima
sub 2, non è priva di precedenti nella stessa giurisprudenza di legittimi tà: cfr. Cass., sez. un., 27 novembre 1982, Dessi (cit. in motivazione
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PARTE SECONDA
pressione dei rapporti con la pubblica amministrazione non
sposta la qualificazione giuridica del fatto nell'alveo della cor
ruzione, sempre che gli ulteriori vantaggi non fossero stati
anche parzialmente la causa anche non determinante della elar
gizione stessa (fattispecie relativa all'assessore dello stato civi
le del comune di Milano Walter Armanini, responsabile di aver imposto «tangenti» ad alcuni imprenditori aggiudicatari di appalti per lavori da effettuarsi nei cimiteri e nell'obitorio
dell'istituto di medicina legale). (2)
III
TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 28 novembre 1992; Giud.
ind. prel. Ghitti; imp. Chiesa e altri.
Corruzione — Corruzione propria — Reato — Estremi — Fat
tispecie (Cod. pen., art. 317, 319).
Premesso che nell'ambito di un «sistema di illegalità diffusa» il rapporto tra il pubblico funzionario e il privato non si esau
risce in alcuni atti essenziali ma si articola in una pluralità di comportamenti teleologicamente coordinati al conseguimento di vantaggi ingiusti, si configura il reato di corruzione pro
pria, e non già quello di concussione, allorché con le dazioni di danaro al pubblico ufficiale i privati imprenditori perse guano un ingiusto vantaggio e cooperino, con attività che si
integrano reciprocamente nelle diverse fasi della procedura am
ministrativa per l'aggiudicazione di appalti, al raggiungimen to del precostituito risultato finale (fattispecie relativa a Ma
rio Chiesa, presidente dell'ospedale Pio Albergo Trivulzio di
Milano, responsabile di aver ricevuto «tangenti» quale corri
spettivo dell'assegnazione di appalti ad alcune imprese). (3)
I
(Omissis). La qualificazione giuridica. § 10. 10.1. - Siccome l'attività amministrativa deve rispondere ai requisiti della con
formità a legge, del buon andamento e dell'imparzialità (art. 97 Cost.), l'atto amministrativo — e tale è anche la valutazione
di un esame di guida — deve essere legittimo e lecito; un tralati
cio orientamento lo presume legittimo, fino a che non venga
di App. Catania), Giusi, pen., 1983, II, 257, e massimata in Foro it., Rep. 1983, voce Concussione, n. 14; 27 ottobre 1983, Burlando, id., Rep. 1984, voce cit., n. 10; 9 febbraio 1990, Squeo id., Rep. 1992, voce cit., n. 6 e Riv. pen. economia, 1992, 110, con nota di Palombi
(fattispecie in tema di tangenti pagate da imprenditori per ottenere l'ag giudicazione di appalti).
App. Catania, in particolare, si sforza di suffragare l'assunto soste nuto facendo leva su di un (discutibile) riferimento analogico alla disci
plina civilistica del contratto: sotto il profilo che — come si legge in motivazione — «nei casi di negozio viziato da violenza o da dolo (casi cui corrispondono, sul versante penalistico, i due tipi di concussione), la sanzione invalidante non è la nullità sibbene l'annullabilità, la cui concreta attivazione è rimessa al privato (senza potere essere rilevata d'ufficio dal giudice), proprio perché nulla esclude a priori che il priva to possa acquietarsi anche dinanzi a tale tipo di contratto viziato, se ne intraveda, per esempio, una qualche utilità complessiva».
II. - La problematica che più travaglia l'elaborazione dogmatica e la prassi applicativa della fattispecie di concussione, cioè quella della sua di stinzione dalla corruzione, diventa ancora più acuta nell'ambito di un si stema di illegalità diffusa, in quanto i contorni dei comportamenti e dei ruoli appaiono sfumati e confusi, con il passggio del privato dalla posi zione di concusso a quella di corruttore e viceversa. (È proprio per supe rare questa travagliata distinzione che lo «Schema di delega legislativa per l'emanazione di un nuovo codice penale», in Documenti giustizia, 1992, 305 ss., riprende la proposta di introdurre la fattispecie incriminatrice in termedia della cosiddetta «concussione ambientale», consistente nel fatto del pubblico agente che riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un ter zo, denaro o altra utilità patrimoniale, sfruttando l'altrui convinzione, de terminata da situazioni ambientali, reali o supposte, di non poter altri menti contare su un trattamento imparziale).
Non a caso, questa problematica è fatta oggetto di riconsiderazione da parte del g.i.p. del Tribunale di Milano nella ormai notissima vicen da di Mario Chiesa.
Con l'obiettivo di adeguare l'elaborazione tradizionale a un contesto caratterizzato da illegalismo sistematico, il giudice muove da questa pre messa metodologica: «Va (. . .) notato che rispetto all'ottica tradizio nale, non mutano i criteri di differenziazione fra le due fattispecie di concussione e di corruzione, si amplia semplicemente l'ambito degli ele menti oggettivi entro il quale ricercare i dati che qualificano penalmente
Il Foro Italiano — 1994.
utilmente impugnato nella sede competente. Esso può, comun
que, essere conforme o non alla legge; lo sia o non lo sia, può
poi arrecare un'utilità od un danno al privato che in qualche modo ne sia destinatario (utilità e danno identificati — si inten de — dal punto di vista del privato).
10.2. - Se l'amministrazione pubblica è regolata (anche) dalla norma costituzionale sopra ricordata e se essa costituisce fun
zione, è evidente che essa non può essere oggetto di atti disposi tivi: l'atto amministrativo è inalienabile ed incommerciabile; i trasgressori (privati o pubblici ufficiali che siano) commettono il reato di corruzione: tale il precetto che si ricava univocamen
te dalla disciplina dei reati di corruzione. In prima battuta si
potrebbe pensare che il privato «acquisti» l'atto amministrativo
allorché, se legittimamente emesso, gli sarebbe sfavorevole (nel senso sopra detto), e quindi proprio allo scopo di mutarlo in
suo vantaggio: la corruzione si comprende meglio se con essa
il privato intenda volgere (se pure con atti illegittimi) in suo favore l'attività amministrativa. Ma all'ordinamento interessa che non si barattino neppure gli atti legittimi, e cioè quelli do
vuti al privato; ecco perché viene punita non solo la corruzione
propria, ma anche quella impropria. In entrambi i casi (ma spe cialmente nell'alternativa propria), entrambi i soggetti del reato
ricavano una qualche utilità (sicché è stato facile affermare che
nella corruzione il privato certat de lucro captando), mentre è certo il danno della pubblica amministrazione. Il reato si com
mette con la ricezione di una retribuzione, ma esso sottende,
dunque, un libero accordo, che viene confermato ed eseguito dalla prestazione della retribuzione stessa.
10.3. - Nel diritto civile è noto che anche i contratti possono essere viziati e che lo sono principalmente quando viziato sia il volere dei paciscenti. Ma, guardando alla fisiologia contrat
tuale, si è parlato finora di alienazione e di baratto per rimarca
re che, nella corruzione, privato e pubblico ufficiale [In una
schematizzazione cosi scarnificata è tollerabile qualche semplifi cazione: in realtà, tanto della corruzione (art. 320 c.p.) quanto della corruzione (art. 317 c.p.) risponde anche l'incaricato di un pubblico servizio] stanno sul medesimo piano, e cioè su un
piano di assoluta parità, si da potersi pensare ad essi come a
due soggetti che (illecitamente si, ma) liberamente contrattino
e concordino: l'essere sceleris nulla toglie al pactum. Ben altra
situazione si verifica, invece, allorché il privato subisce l'anghe
il rapporto instauratosi fra il privato contraente ed il pubblico ufficiale». Fatta questa premessa metodologica, la distinzione tra le due figure
di reato viene operata alla stregua di quella prospettiva di fondo, che
corrisponde all'indirizzo oggi dominante: mentre la corruzione è carat terizzata da un libero accordo, per cui le parti agiscono su di un piano di parità, nella concussione il privato si trova invece in una condizione di soggezione e la sua volontà è viziata da timore o errore (cfr., tra le tante, Cass. 29 settembre 1972, Alù, cit. in motivazione, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 3 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1974, 729, con nota di Neppi Modona; sez. un. 27 novembre 1982, Dessi, cit.; 4 luglio 1983, Pacillo, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 12; 31 gennaio 1986, Ferrari, id., Rep. 1987, voce cit., n. 9; 10 giugno 1989, Teardo, id., Rep. 1990, voce cit., n. 6).
Quanto al problema di individuare quando nei diversi casi concreti sussista uno stato di soggezione o una condizione di parità, si respinge innanzitutto il parametro tradizionale dell'«iniziativa» proveniente dal pubblico agente o dal privato, considerato ormai obsoleto o inadeguato dalla stessa giurisprudenza prevalente: cfr. Cass. 2 dicembre 1987, Can none, id., Rep. 1988, voce cit., n. 7; 10 giugno 1989, Teardo, cit.; 9 febbraio 1990, Squeo, cit. Ma si reputa, altresì, da solo inadeguato l'altro criterio ravvisato nel «profitto ingiusto» perseguito dal privato: cosi invece, ad esempio, Cass. 15 aprile 1969, Di Fonzo, cit. in motiva zione, id., 1970, II, 161, con nota di Boschi.
Piuttosto, si ritiene che il criterio discretivo più idoneo a fungere da elemento diagnostico della corruzione, specie in un contesto di ille galità diffusa, sia costituito dalla partecipazione o collaborazione del privato alla complessa procedura che sfocia poi, soltanto come risultato finale, nell'atto del pubblico funzionario e nel compenso da parte del privato: per spunti in questo senso, v. già Cass. 10 novembre 1971, Tartaro, cit. in motivazione, id., 1973, II, 221.
Sul problema della distinzione tra concussione e corruzione, v., di recente, in dottrina, Palombi, in Riv. pen. economia, 1992, 110; Arcie ri, in Giur. merito, 1992, 1287; Segreto - De Luca, I delitti dei pub blici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1991, 378; Grosso, Corruzione, voce del Digesto pen., Torino, 1989, III, 166; Be nussi, in Indice pen., 1985 , 409.
Sulla diversa questione della idoneità delle prestazioni sessuali a inte grare il concetto di «altra utilità» ex art. 317 c.p., cfr., di recente, in senso affermativo, Cass., sez. un., 11 maggio 1993, Romano, Foro it., 1993, II, 552.
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GIURISPRUDENZA PENALE
ria o l'astuzia del pubblico ufficiale, il quale, abusando ovvia mente della sua autorità, rispettivamente costringe e induce il
civis a dare o promettere l'indebito. Qui il privato, lungi dal porsi su un piano di parità con il pubblico ufficiale, ne diventa
vittima [Il criterio che fa perno sulla provenienza della iniziati
va illecita (del p.u. nella concussione; del privato nella corru
zione), a lungo dominante nella nostra cultura giuridica, è stato
da tempo abbandonato. Dopo l'introduzione nell'art. 322 c.p. dei commi 3 e 4, criterio siffatto, d'altronde, non avrebbe nep pure il vantaggio della semplicità. Nella vicenda in esame l'ado
zione di criterio siffatto porterebbe a ravvisare il reato di con
cussione, essendo stati richiesti, il denaro e la promessa, dalla
Milazzo, per tramite dell'illustre]. Come nella corruzione, si può anche immaginare — si badi — un accordo tra pubblico uffi
ciale e privato confermato ed eseguito per mezzo della presta zione del privato; ma nell'ipotesi qui passata in rassegna (a dif
ferenza di quanto avviene nella corruzione) il volere del privato è comunque viziato, o dalla violenza del pubblico ufficiale (vio lenza che un tralaticio insegnamento qualifica metus publicae
potestatis) ovvero dal suo dolo [Se, infatti, il p.u. approfittasse dell'errore in cui versa il privato, non indotto da lui, si verse
rebbe nell'ipotesi di peculato prevista dall'art. 316 c.p.], sicché
non può affermarsi certamente che egli abbia voluto liberamen
te la prestazione a suo carico: alla prevaricazione del p.u. corri
sponde uno stato di ingiusta soggezione del privato. Da qui la
sottoposizione del p.u. ad una sanzione penale molto più grave di quella prevista per la corruzione: infatti, non viene leso sol
tanto l'interesse alla legittimità dell'attività amministrativa, ma
è offesa anche la libera determinazione dei privati (e proprio brandendo come arma di ricatto, ovvero piegando a strumento
di inganno, la funzione amministrativa) [Questa maggiore com
plessità in termini di beni giuridici tutelati, in ragione della qua le la concussione si può considerare in qualche modo come una
fattispecie che (essendo di raggio più ampio) ricomprende gli estremi della corruzione, traspare anche da taluni risvolti pro cessuali (v. infra sub)].
10.4. - L'apparente semplicità e schematicità di questa (fin
troppo) sommaria analisi differenziale tra corruzione (propria ed impropria) e concussione (cosi chiamasi nel nostro ordina
mento il descritto sopruso o inganno del pubblico ufficiale) —
è destinata ad appannarsi in alcune ipotesi niente affatto stati
sticamente marginali. In particolare, se con la sua prestazione
(reale od obbligatoria, ma comunque) indebita, il privato in fin dei conti lucra un vantaggio illegittimo (ottenendo quindi un
provvedimento illegittimo, ma per lui utile) tutto lascerebbe pen
sare, a prima vista, che si versi in tema di corruzione: è più facile — sembra — inferire che, dove vi sia vantaggio indebito
per il privato, questi abbia voluto liberamente accordarsi con
il p.u. e quindi non abbia affatto subito la di lui supremazia. In realtà, già in un'ottica civilistica, ma anche secondo il buon
senso, è (apparentemente) inconsueto che una parte usi violenza
o dolo per fare conseguire alla controparte una obiettiva utilità.
Per questo, non secondari esponenti della dottrina penalistica
espungono, addirittura, dalla vexata quaestio della distinzione
tra corruzione e concussione tutti i casi in cui alla prestazione del privato faccia riscontro un atto illegittimo, perché piegato al soddisfacimento di illegittime esigenze del privato; casi in cui, a loro avviso, non può parlarsi che di corruzione propria. Per
tal via, ad onta della dizione letterale della norma penale di
riferimento, si dovrebbe intendere introdotto un elemento nega tivo nella fattispecie penale in esame: ogni qual volta ricorra
l'utilità del privato resterebbe ipso facto esclusa la ricorrenza
della concussione, pur sussistendone tutti gli altri (espliciti) pre
supposti. Sicché, per venire al dunque e per giustificare il di
scorso fin qui svolto, se effettivamente i candidati, destinati al
la bocciatura, furono (illegittimamente) promossi soltanto a se
guito delle prestazioni indebite effettuate in favore della Milazzo
(che li ricevette per interposta persona: l'illustre), sulla scia del
predetto orientamento il fatto sarebbe punibile come corruzione
e non come concussione, anche se è correttamente descritto nel
capo di imputazione come concussione: operazione anche pro
cessualmente consentita, siccome compatibile con l'art. 521 c.p.p.
[Infatti, vietata la qualificazione in termini di concussione del l'accusa originariamente contestata di corruzione, è ammesso
pacificamente l'inverso: cfr., per tutte, Cass. 18 agosto 1982,
n. 1515]. § 11. - Come è emerso dalla discussione svoltasi in camera
di consiglio, se pure v'è molto di vero nella tesi sopra ricordata,
essa non è pienamente convincente sotto almeno due profili.
Il Foro Italiano — 1994.
11.1. - Sul piano teorico, innanzi tutto, non è affatto sicuro
che il vantaggio del privato sia, sempre e comunque, ontologi camente incompatibile con l'uso della violenza (psichica) e, so
prattutto, con l'induzione in errore posti in essere dal pubblico ufficiale. Al riguardo, non va dimenticato che il p.u. riceve,
comunque, una utilità pari alla prestazione indebitamente per
cepita dal privato. D'altra parte, a fronte di tale utilità del p.u., non è affatto escluso che egli sia disposto a «cedere», per cosi
dire, qualche vantaggio al privato, specialmente se tale vantag
gio possa servire a vincere con più facilità la sua resistenza:
e si sta parlando di utilità in cui nulla di suo spende realmente
il p.u., atteso che tutto avviene a discapito della legittimità del
l'attività amministrativa. Si consideri, inoltre, che, a volere uti
lizzare ancora una volta lo schema civilistico del contratto, an
che nei casi di negozio viziato da violenza o da dolo (casi cui
corrispondono, sul versante penalistico, i due tipi positivi di
concussione), la sanzione invalidante non è la nullità, sibbene
l'anullabilità, la cui concreta attivazione è rimessa al privato
(senza poter essere rilevata d'ufficio dal giudice), proprio per ché nulla esclude a priori che il privato possa acquietarsi anche
dinanzi a tale tipo di contratto viziato, se ne intraveda, per esem
pio, una qualche utilità finale complessiva; e, d'altra parte, il
beneficio che il privato possa avere ricavato da un negozio af
fetto dai vizi sopra enunciati non gli preclude certamente l'eser
cizio vittorioso dell'azione di annullamento: il che significa che
certamente nel diritto civile la violenza ed il dolo sono sanzio
nati (con l'annullabiltà) anche se ad essi corrisponda una qual che utilità per il contraente la cui libertà del volere sia stata
illecitamente influenzata [Nel diritto dei privati l'animus deci
piendi, per essere costitutivo del dolo e comportare quindi il
vittorioso esperimento dell'azione di annullamento, non presup
pone né il fine di arrecare danno alla controparte né la prova di un danno patrimoniale subito dalla stessa; il che comporta che l'azione di annullamento non è affatto esclusa neppure al
lorché il contraente vessato abbia ricevuto un qualche vantaggio dal contratto viziato. Né è difficile ipotizzare casi in cui ricorre
la fattispecie ipotizzata: se Tizio ottiene con inganno di acqui stare da Caio una foto cui annette un grande valore affettivo, anche l'esborso di un prezzo esoso (sicuramente superiore al
prezzo di mercato di quella foto) non preclude l'annullamento
del contratto; il cui esercizio rimane, tuttavia, lasciato alla libe
ra determinazione dell'acquirente ingannato (libero di trattene
re il prezzo qualora il prezzo lo soddisfi). Nel diritto civile quel che importa è, innanzi tutto, che la volontà dei paciscenti si
sia formata liberamente; il profilo del danno rileverà, se mai,
sotto altri profili (per esempio risarcitori), non necessariamente
coesistenti con l'annullabilità. La validità, ai fini di analizzare
la differenza tra concussione e corruzione, della prospettiva com
parativa con quanto avviene nel diritto contrattuale si incentra
sul rilievo che in entrambi i casi importa stabilire se la volontà
si sia liberamente determinata: in diritto penale, infatti, ogni
qual volta il volere del privato sia stato libero, e non illecita
mente deviato ad opera del p.u., ci si trova sul versante della
corruzione. E si sta cercando di dimostrare che l'utilità che pos sa essere ricavata dal privato non è a priori incompatibile con
il metus e con l'inganno puniti nell'ambito della concussione]. Dunque, rimane confermato che il beneficio del privato, neppu
re teoricamente, elimina, con carattere di necessità, la possibili tà di un'influenza prevaricatrice del p.u. [Né può tacersi che
anche l'autorevole dottrina che ha aderito con certezza alla tesi
per cui ricorrerebbe il reato di corruzione (propria) in ogn ciaso
in cui il privato abbia ritratto qualche vantaggio, non manca
di annotare che, se tuttavia «il pubblico ufficiale, oltre ad offri
re in vendita l'atto contrario ai doveri di ufficio, coarta la vo
lontà del privato abusando della sua qualità o della sua funzio
ne, si avrà un concorso di norme, nel quale ordinariamente la
concussione . . . assorbirà la corruzione passiva propria . . .»].
11.2. - Ma, poi, la tesi qui scrutinata corre il rischio di essere
astrattamente logica, ma non sempre appropriata rispetto al va
riegato, multiforme e non di rado contraddittorio atteggiarsi
delle condotte umane [Non a caso le sezioni unite della Supre
ma corte da tempo hanno rilevato che: «Invero, l'infinita mol
teplicità degli accadimenti e dei comportamenti umani, la serie
multiforme delle implicazioni psicologiche, degli impulsi, delle iniziative, delle attività dei soggetti non possono suggerire sche
mi tassativamente circoscritti, ma impongono indagini partico
lari e differenziate, dirette all'esame dei casi singoli, da cui trar
re elementi sicuri per la riconducibilità dei fatti alla tipologia
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PARTE SECONDA
ontologica precostituita e generalizzata dalla norma» (Cass., sez.
un., 27 novembre 1982, Dessi, Foro it., Rep. 1983, voce Con
cussione, n. 14). Proprio con tale decisione le sezioni unite, di
rimendo il contrasto insorto all'interno della corte, hanno stabi
lito che la conformità o contrarietà dell'atto del p.u. ai doveri
d'ufficio non è un elemento essenziale per discriminare la cor
ruzione dalla concussione, non potendosi sovrapporre alle fatti
specie descritte dalle corrispondenti norme penali, fermo restando
che esso può somministrare elementi di giudizio al fine della
diagnosi differenziale; con la duplice conseguenza che, mentre
è ben ipotizzabile che, anche in presenza di una qualche utilità
ricavata dal privato, sussista il reato di concussione «potendo benissimo verificarsi che la gravità del male minacciato o la
subdola pericolosità dell'azione fraudolenta mantengano inalte
rata la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico uffi
ciale sulla turbata ed intimorita volizione della vittima», per converso la consapevolezza dell'illegittimità dell'atto da parte del privato «può, secondo situazioni particolari, essere suffi
cientemente idonea a riequilibrare le parti in un rapporto di
parità, nel quale il pubblico ufficiale non appare più rivestito
di prestigio e di potere e, dall'altra parte, ì'extraneus non più
psicologicamente intimorito e coartato da imposizioni, ma vali
do ed efficiente compartecipe nel pactum sceleris»]; e proprio la fattispecie in esame, da questo punto di vista, può ritenersi
non solo un caso esemplare, ma anche un privilegiato osserva
torio. Ben vero, anche a volere sospettare [Infatti, proprio il
comportamento criminoso dell'imputata non consente ormai di
ricostruire quale dovesse essere l'esito ortodosso degli esami],
per pura comodità dialettica, che i tre candidati che sborsarono
somme di denaro per ottenere la promozione abbiano ricevuto
un'illegittima utilità, giacché altrimenti essi sarebbero andati in
contro ad una sicura bocciatura, non ritiene la corte che la Mi
lazzo debba essere condannata per il reato di corruzione, anzi
ché di concussione (espressamente contestatole); e ciò per varie
ragioni qui di seguito sinteticamente esposte. 11.2.1. - Innanzi tutto, ed il rilievo attiene ad un profilo ge
nerale scarsamente attenzionato nelle discussioni sulla differen
za ontologica tra corruzione e concussione, non può dimenti
carsi che, assai spesso e certamente nel caso qui vagliato, quale debba essere il provvedimento secundum legem, o meglio quale debba essere il contenuto del provvedimento amministrativo per essere conforme a legge (quindi non affetto da vizi di legittimità o di merito), è noto, o può essere noto, al p.u. che lo deve
emettere, ma non certo al privato interessato. Quest'ultimo, dun
que, normalmente si trova in una situazione di attesa, e perciò stesso di soggezione, di fronte al p.u. da cui dipende l'emissio
ne del provvedimento che lo riguarda. Nella fattispecie in esa
me, infatti, è veramente arduo immaginare che i candidati che
sborsarono o promisero denaro (all'illustre e per suo tramite) alla Milazzo, potessero ritenere, con assoluta certezza, di avere
meritato la bocciatura: questo può predicarsi soltanto della Cu
trufelli (v. deposizione testimoniale) che, non essendosi arresta
ta ad uno stop, capi subito che la gravità del suo errore non le avrebbe giammai consentito di essere promossa. È comune massima di esperienza che l'esaminato, anzi qualunque persona che si sottoponga al giudizio altrui, si accosti all'esame con an
sietà e paura e che tale situazione psicologica permane anche
dopo l'espletamento della prova, fino al verdetto finale. Ed in
ogni caso di sospensione del giudizio finale, nella specie voluto dalla Milazzo, è evidente che l'esaminato spera sino alla fine in un esito positivo.
11.2.2. - Nella specie, peraltro, non solo ancor prima delle
prove fu propalata la notizia che era necessario pagare per otte
nere l'esito positivo dell'esame (v. retro, sub n. 5.4.), ma, esple tate le prove e prima di comunicare ufficialmente il giudizio
positivo, la Milazzo (e, per essa, l'illustre) accrebbe a dismisura la descritta obiettiva e fisiologica situazione di soggezione ester
nando, sia immediatamente dopo l'espletamento della prova sia
con la lettura della lista dei promossi, apprezzamenti negativi sull'esito dell'esame prossimi, per intensità e valenza, ad una valutazione negativa ufficiosa: una ragione in più, dunque, per incrementare (questa volta patologicamente) lo stato di sogge zione in cui versavano i candidati: alla sospensione del giudizio corrispondeva — e non poteva essere diversamente — la morsa del dubbio.
11.2.3. - Essi, pertanto, ancorché alla fine abbiano lucrato una promozione forse illegittima (v. retro) nel momento in cui
consegnarono, ovvero promisero, la somma di denaro all'illu
stre, avevano ben ragione di temere l'abuso dell'imputata; la
Il Foro Italiano — 1994.
quale specularmente, non a caso, aveva fatto intendere, nel mo
do dianzi precisato, che ancora l'esito positivo dell'esame di
pendeva da lei (e dal pagamento richiesto). Tale essendo la si
tuazione obiettiva e subiettiva dei candidati in questione, non
può dirsi allora che essi abbiano concordato, su un piano di
assoluta libertà e con piena autonomia, l'acquisto della promo
zione, secondo il modulo della corruzione. Al contrario, dalle
considerazioni sopra svolte risulta ben chiaro che, in una situa
zione obiettiva di dubbio ad arte accresciuta dalla stessa Milaz
zo (e certamente non imputabile in alcun modo agli esaminati), i candidati indicati nel capo di imputazione dovettero pagare o promettere prestazioni indebite, perché costrette, o se si vuole
indotte, dal comportamento certamente illegittimo della Milaz
zo, e perciò dal suo abuso: se ad ogni costo si vuole immagina re un accordo tra candidati, da una parte, e p.u., dall'altra, non potrà negarsi che esso nacque viziato da violenza o, quanto
meno, da dolo, perché certamente non fu libero il consenso
prestato dai candidati.
11.3. - In definitiva, deve allora concludersi che, sebbene possa
immaginarsi (v. retro) che alla resa dei conti i predetti candidati
abbiano ricevuto un'utilità dal reato, sussiste ugualmente il rea
to di concussione, per ciò che essi hanno pagato, o promesso di pagare, a seguito della «posizione di preminenza prevaricatri ce del pubblico ufficiale sulla turbata ed intimorita volizione
della vittima» (v. retro). (Omissis)
II
Motivi della decisione. — Con sentenza 8 febbraio 1993 il
Tribunale di Milano condannava Armanini Walter alla pena di
anni quattro e mesi sei di reclusione e lire 900.000 di multa
siccome responsabile del reato di concussione ai danni di Ga
rampelli Fabrizio e di Rigo Sergio. Con la stessa sentenza l'Armanini veniva condannato al risar
cimento dei danni, quantificato rispettivamente in 100 milioni e 330.000 milioni, in favore delle costituite parti civili comune
di Milano e Garampelli Fabrizio. L'Armanini veniva invece assolto perché il fatto non sussiste
da due episodi di concussione ai danni dei fratelli Gaslini Fran
co e Gaslini Silvano e dal reato di cui all'art. 7 1. 195/74 e
perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato dal reato di cui all'art. 4 1. 659/81.
Queste ultime imputazioni riguardavano la somma ricevuta da Ceccarelli Giuseppe a titolo di finanziamento della campa
gna elettorale dell'imputato. Avverso la sentenza interponevano appello l'imputato, il pro
curatore della repubblica e la parte civile comune di Milano, come da motivi in atti.
In esito al dibattimento la corte osserva quanto segue. Il procedimento ha avuto origine dalle dichiarazioni dell'ar
chitetto Garampelli Fabrizio, legale rappresentante della società
Ifg Tettamanti, rese nel corso di un esame assunto dal procura tore della republica di Milano.
Il Garampelli era stato sentito in seguito alle dichiarazioni rese al p.m. Di Pietro in veste di indagato per corruzione in
appalti ricevuti dal comune di Milano, il 16 gennaio 1992, da
Egidio Properzio, A.D. della Impresa fratelli Proverbio di Egi dio Proverbio e C., dichiarazioni nelle quali si riferiva di voci correnti negli ambienti imprenditoriali circa una consistente «maz zetta» che l'assessore socialista Armanini aveva preso da certo
Garampelli per l'appalto della ristrutturazione del civico obito rio e che sarebbe stata utilizzata per la sua campagna elettorale
per le elezioni comunali del 6 maggio 1990. Le indagini, culiminate nell'ordinanza 19 maggio 1992 di ap
plicazione della custodia cautelare (l'Armanini trascorse qua rantuno giorni nella casa circondariale di Milano) e conclusesi con decreto di giudizio immediato del 19 giugno 1992, hanno accertato alcuni dati di fatto non contestati dalle parti.
Ciò che rende piuttosto agevole il giudizio della corte.
L'imputato, assesore allo stato civile dal gennaio 1988 allo
agosto 1990 — e pertanto p.u. sia secondo il testo originario dell'art. 357 c.p. che secondo quello modificato dall'art. 17 1. 26 aprile 1990 n. 86 — aveva pressanti esigenze di denaro per finanziare la sua campagna elettorale per il rinnovo del consi
glio comunale (che gli sarebbe costato circa 500 milioni), aven do esaurito le sue risorse personali e non avendo avuto alcun contributo dal partito, nonostante fosse il più vecchio consiglie re comunale socialista e avesse ricoperto negli ultimi anni le cariche di assessore alle finanze, all'educazione e allo stato civile.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Aveva quindi deciso di chiedere, per la parte che superava le sue risorse finanziarie, un «contributo» a imprenditori che
conosceva a causa dei rapporti che avevano con la pubblica amministrazione nel settore nel quale aveva competenza l'asses
sorato di cui era titolare.
In particolare, PArmanini ha tranquillamente ammesso di avere
ricevuto 50 milioni da Franco Gaslini, legale rappresentante del
l'Impresa fratelli Gaslini e C. s.n.c. che in data 14 dicembre
1987 si era aggiudicato per licitazione privata l'appalto del va
lore di lire 2.125.686.270 per opere di scavo e movimento terra
preparatorie e di supporto alla inumazione ed esumazione di
salme nel cimitero maggiore e che in data 22 dicembre 1989
si era aggiudicato per licitazione privata l'appalto del valore
di lire 1.825.291.817 per opere di manutenzione ordinaria nei
cimiteri cittadini, nel civico obitorio e nel sacrario dei caduti di guerra.
Ammetteva ancora di avere ricevuto lire 250.000.000 dall'ar
chitetto Garampelli Fabrizio, legale rappresentante dell'impresa I.F.G. Tettamanti s.p.a. che, in associazione con altre imprese, in data 12 dicembre 1989 si era aggiudicato per licitazione privata
l'appalto del valore di circa 15 miliardi per il progetto ed i lavori
di ristrutturazione dell'obitorio dell'istituto di medicina legale. E di avere ricevuto lire 7.000.000 da Ceccarelli Giuseppe, so
cio accomandatario dell'impresa Eredi Alessandro Ceccarelli
s.a.s., che si era aggiudicto l'appalto per la ristrutturazione del
sacrario dei caduti di piazza S. Ambrogio. Precisava invece PArmanini di non ricordare, ma di non es
sere in grado di escluderlo, di avere ricevuto lire 2.000.000 da
Rigo Sergio, accomandatario dell'impresa Rigo Sergio s.a.s.,
che si era aggiudicato in data 22 dicembre 1989 l'appalto del
valore di lire 211.774.095 per la manutenzione marmorea degli edifici cimiteriali per il periodo 1° gennaio 1990/31 dicembre 1990.
Per quanto concerne gli appalti aggiudicatisi dall'impresa Ga
slini, il contratto del primo era stato stipulato in data 21 gen naio 1988 tra PArmanini, rappresentante del comune nella qua lità di assessore delegato e Franco Gaslini quale legale rappre sentante dell'impresa appaltatrice (la gara, si era invece svolta
quando assessore allo stato civile era ancora Alfredo Mosini).
Il contratto del secondo appalto era stato stipulato in data 6
febbraio 1990 tra PArmanini e Franco Gaslini (la gara si era
svolta quando PArmanini era già assessore allo stato civile). Per quanto concerne l'appalto all'impresa Tettamanti e asso
ciate il contratto era stato stipulato in data 19 giugno 1990 tra
PArmanini e l'architetto Franco Borroni nella veste di consi
gliere delegato della Tettamanti (la gara si era svolta quando PArmanini era assessore allo stato civile).
L'appalto all'impresa Rigo Sergio s.a.s. era stato stipulato in data 6 febbraio 1990 tra PArmanini e Rigo Sergio (la gara si era svolta quando PArmanini era assessore allo stato civile).
Ciò premesso, passando all'esame dei singoli episodi, il p.m.
ha lamentato l'assoluzione dell'Armanini dalle imputazioni, ai
danni dei fratelli Gaslini, di tentata concussione e di concussio
ne consumata (capi 1 e 3 della rubrica), perché fondata sulla
ritenuta non credibilità delle parti lese desunta essenzialmente
dai loro provati reticenza e mendacio circa i rapporti di buona
conoscenza con PArmanini.
La corte ritiene che l'appello sia fondato, avendo il giudice di prime cure fatto malgoverno delle risultanze processuali.
Le circostanze di fatto:
Franco Gaslini, che, più sveglio e deciso del fratello Silvano
(è eloquente al riguardo la trascirzione dei loro esami dibatti
mentali), curava i rapporti con i committenti rappresentanti della
pubblica amministrazione, ha dichiarato, con riferimento al con
tratto del 21 gennaio 1988 relativo alle opere di scavo per inu
mazione ed esumazione aggiudicato all'impresa per licitazione
privata che aveva avuto luogo quando era assessore allo stato
civile. Alfredo Mosini, che PArmanini prima della firma lo aveva
convocato tramite la segretaria nel suo ufficio di assessore in
via Larga «perché voleva sapere come si svolgevano i lavori»
che erano appena iniziati. E li gli aveva chiesto una tangente — «tangente» era proprio stato il termine usato da Armanini
— «perché doveva firmare il contratto».
Il fratello Silvano, all'udienza del 27 novembre 1992, precisa
va che il congiunto gli aveva detto che PArmanini chiedeva la
tangente perché «aveva dato loro una mano», riferendosi alle
Il Foro Italiano — 1994 — Parte 11-1.
pretese dei dipendenti comunali di fare loro i lavori.
Il Franco «non c'era stato» e PArmanini non aveva insistito.
L'Armanini si era contentato, prima del secondo appalto, di
avere la manutenzione gratuita del suo terrazzo, ma si trattava
di «un lavoretto» che era stato fatto «da due ometti che anda
vano a mezza giornata». Con riferimento al contratto del 6 febbraio 1990, e cioè quel
lo realativo alle spese di manutenzione ordinaria nei cimiteri
cittadini, nel civico obitorio e nel sacrario dei caduti di guerra, Franco Gaslini ha dichiarato di essere stato convocato, dopo la gara e prima della firma, dall'Armanini nel suo ufficio e
di avere ceduto alle richieste di denaro per paura di ritorsioni:
perdere quel lavoro sarebbe stato per l'impresa «un discapito non indifferente».
L'Armanini aveva minacciato di non firmare il contratto. Ave
va cominciato col chiedere una tangente del 5% e poi si erano
accordati per 50 milioni («Insomma, se proprio non vuole pa
gare, almeno mi dia 50 milioni»). Lo aveva intimorito dicendo
gli «Guardi, se questa volta non paga io non le firmo il con
tratto».
Il pagamento era avvenuto in tre tranches, una di 20 milioni
e due di 15, in contanti nell'ufficio di Armanini dove si era
recato col fratello.
Le dichiarazioni di Franco Gaslini trovano corrispondenza in
quelle del fratello Silvano, che confermava i tre pagamenti nel
l'ufficio di Armanini dove si era recato perché il Franco voleva
che vedesse «dove andavano a finire quei soldi» e precisava che i versamenti erano avvenuti rispettivamente in gennaio, feb
braio e marzo 1990.
L'Armanini ammetteva di avere ricevuto dai fratelli Gaslini
50 milioni in tre rate; due nel suo ufficio e la terza nella cascina
Pozzi, di proprietà dei Gaslini, durante una riunione elettorale
nella quale si era mangiato pane e salame. Ma precisava: «Non
è vero che ho chiesto a Franco prima 75 milioni e poi 50 minac
ciando di non firmare il contratto . . . peché firmare il contrat
to è un atto dovuto», «sono venuti da me e mi hanno detto, eh Armanini, noi siamo qui pronti, disponibili, come hanno
fatto tutti i candidati perché bisogna anche essere . . . capire
queste cose». «Li avevo sempre visti alle riunioni di partito e
al circolo culturale De Amicis». «Mi considero amico di questi Gaslini ... ci si dava sempre del tu e non è vero che venivano
una volta ogni morte di papa perché erano sempre li».
I fratelli Gaslini hanno tentato di negare una frequentazione delPArmanini fuori degli incontri relativi agli appalti.
Franco Gaslini dichiarava di non avere conosciuto l'Armani
ni prima che divenisse assessore e di non avere mai frequentato i circoli politici di area socialista De Amicis e Venezia, nei quali si recava spesso PArmanini.
Alla specifica domanda sui rapporti che aveva intrattenuto
con PArmanini dopo quelli in occasione degli appalti risponde va: «Rapporti . . . rapporti formali ... per qualche motivo, si
pochissime volte, ma senza più avere richieste di denaro».
Richiesto più in particolare se avesse avuto rapporti più per sonali o di amicizia rispondeva: «No, assolutamente . . . non
so neanche dove abita adesso».
Richiesto dalla difesa delPArmanini di riferire se la sera del
15 marzo 1990 avesse partecipato ad una riunione, promossa dalla polisportiva San Leonardo nella cascina Pozzi di proprie tà dei Gaslini, in sostegno alla campagna elettorale delPArma
nini, alla quale PArmanini stesso aveva partecipato, rispondeva d'essere assolutamente sicuro di non avervi partecipato.
Dopo avere negato di essere stato militante e simpatizzante socialista Franco Gaslini, rispondendo ancora a specifiche do
mande dei difensori delPArmanini, dichiara di aver partecipato
la sera prima delle elezioni alla manifestazione conclusiva della
campagna elettorale presso la cascina Pozzi, alla quale avevano
partcipato, oltre all'Armanini, numerosi esponenti di spicco, del
partito socialità, tra i quali il sindaco Pillitteri, l'assessore Schem
mari ed i deputati Milani ed Aniasi. Silvano Gaslini negava a sua volta di avere avuto rapporti
con PArmanini, a parte quelli relativi agli appalti. Nel corso del controesame ammetteva però di avere parteci
pato ad un pranzo elettorale, tenutosi il 3 maggio 1990 nella
trattoria Villa Normanni di via degli Odescalchi su invito del PArmanini e di avere presenziato alla manifestazione di chiusu
ra della campagna elettorale la sera del 5 maggio 1990 alla ca
scina Pozzi.
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PARTE SECONDA
Come ammetteva di aver partecipato all'incontro di fine feb
braio primi di marzo organizzato dalla polisportiva San Leo
nardo, pur negando che ci fosse il fratello Franco.
Ciò premesso, va detto che la reticenza e il mendacio circa
i rapporti con PArmanini, il sostegno e le simpatie per il Psi sono provati, oltre che dalle ammissioni strappate dàlia difesa
in sede di controesame, dai documenti dalla difesa stessa prodotti. Ed invero, nell'agenda della segretaria di Armanini, Gabriel
la Sammartinaro, sfuggita al sequestro della documentazione
disposta da Di Pietro ma prodotta dalla difesa, alla data del
22 febbraio 1990 risulta l'annotazione «cascina Gasimi, festa
amici per sostenerlo» ed alla data del 5 maggio 1990 quella ore
20,30, cascina Pozzi via Gallarate 313, fratelli Gasimi, incontro elettorale Pilliteri, Armanini».
Veniva poi prodotto un invito dell'Armanini per la sera del 3
maggio 1990 al ristorante Villa Normanna, con allegato l'elenco
degli invitati nel quale appare l'annotazione «Gaslini si, quattro». E venivano prodotte due fotografie — raffiguranti l'una PAr
manini seduto ad un tavolo convivialie tra i frateli Silvano e
Franco Gaslini e l'altra una platea di persone che ascoltavano
il discorso di Armanini — che venivano rammostrate a Silvano
Gaslini, il quale ammetteva che erano state nello stesso contesto
nella sala della cascina Pozzi.
Va ricordato che la polisportiva San Leonardo, che organiz zava le riunioni, era sponsorizzata dai Gaslini, proprietari della
cascina Pozzi e che attivo vicepresidente della polisportiva era
Dante Gaslini, figlio di Silvano Gaslini. E dunque provato che tra i Gaslini ed i notabili del Psi, tra
i quali, PArmanini (il quale, non bisogna dimenticarlo, aveva
organizzato la sua campagna elettorale congiuntamente al sin
daco Pillitteri ed all'assessore Schemmari) ci fossero delle fre
quentazioni e che i Gaslini, tramite la polisportiva, mettessero
a disposizione la cascina Pozzi per riunioni e conviti elettorali.
Però è sommamente azzardato trasformare queste provate fre
quentazioni «politiche» in «rapporto di amicizia» come piutto sto disinvoltamente ha fatto il tribunale.
È vero che PArmanini ha dichiarto che si considerava amico
dei Gaslini, che tra loro ci si dava sempre del tu e che si vedeva
no spessissimo.
Ma, onestamente, la corte non vede, come a parte gli interes
sati rapporti di clientelato politico e di lavoro, potessero instau
rarsi dei rapporti di amicizia tra il dottore Aramini — assessore
di un grande comune, di elevata estrazione borghese, con lun
ghe esperienze di docenza universitaria e titolare di un noto stu
dio di commercialista — e i fratelli Gaslini, di umilissima estra
zione sociale, che, da contadini quali erano, alla fine degli anni
'60 avevano messo su un'impresa a crattere familiare che li ave
va fatti diventare vivaisti tra i più importanti della zona.
Ci sono dei limiti ad una ostentata ed interessata «bonarietà»
dei rapporti, sia pure tra asseriti simpatizzanti dello stesso partito! Gli è che PArmanini aveva un evidentissimo interesse proces
suale ad enfatizzare i rapporti con i Gaslini, elevandoli al rango di amicizia, per potere più agevolmente sostenere che la dazione di denaro era niente altro che una elargizione spontanea per la sua campagna elettorale da parte di due amici, cosi come avevano fatto gli altri amici di cui non faceva il nome per non far loro passare «i guai che aveva passato Ceccarelli».
Le reticenze e il mendacio dei Gaslini, che per quanto «scar
pe grosse e cervello fino» non avevano certamente l'abilità o la semplice capacità di tenere una linea logicamente accettabile nei loro esami dibattimentali incalzati com'erano dalla agguer ritissima difesa dell'imputato, appaiono umanamente giustifica bili nell'attuale momento storico, nel quale gli imprenditori che
hanno avuto rapporti con amministratori inquisiti dei partiti più
colpiti dall'azione di «Mani pulite» vivono nel terrore di essere
arrestati da un momento all'altro.
L'esperienza quotidiana ci fornisce innumerevoli esempi di
persone pure degnissime che oggi prendono ostentatamente le distanze dai loro inquisiti amici, anche intimi, di un tempo e che comunque minimizzano i loro rapporti per timore di essere coinvolti nel ciclone giudiziario.
Non bisogna dimenticare che, come ha chiarito l'aw. Cagno la, Franco Gaslini era stato sentito con l'assistenza del difenso re nel corso delle indagini preliminari dal dr. Di Pietro in ordi ne agli stessi fatti.
E, pur non essendo stata elevata alcuna imputazione a suo carico e pur non risultando indagato in altre vicende, è più che
comprensibie il suo timore di un più pesante coinvolgimento ed il suo interesse, maldestramente rivelato, a tacere o a mini
li. Foro Italiano — 1994.
mizzare rapporti o sostegni a personaggi inquisiti e a partiti politici compromessi in Tangentopoli.
Questa sua posizione anomala, tra potenziale inquisito e par te lesa per lo stesso fatto, giustifica ad avviso della corte la
reticenza ed il mendacio circa le frequentazioni dell'Armanini.
Tanto più che, se l'Armanini, che pure era assessore ed aveva
comunque studiato diritto, ha candidamente e sorprendentemente dichiarato all'udienza odierna di avere appreso in occasione di
questo processo la distinzione tra corruzione e concussione, a
ragione non si può supporre che tale distinzione fosse o sia tut
tora chiara ai Gaslini, i quali di chiaro avevano solo che aveva
no acconsentito a dare 50 milioni all'Armanini in relazione ad
un contratto di appalto e nella convinzione che fosse necessario
0 comunque utile per la loro attività imprenditoriale non op
porsi alla richiesta.
Non è stata poi chiarita l'entità dell'esposizione finanziaria
dei Gaslini in occasione della campagna elettorale del 1990.
A parte la considerazione che non ha riguardato esclusivamen
te l'Armanini, ma piuttosto tutto lo staff dirigenziale del Psi di
rettamente influente sul comune (tra l'altro, la campagna dell'Ar
manini era collegata a quella del sindaco Pillitteri), non vi è la prova che tutte le spese delle riunioni e dei conviti dei quali si è discorso
in dibattimento siano ricadute in maniera esclusiva sui Gaslini, 1 quali oltretutto offrivano i locali della loro cascina.
Potrebbe con un ragionevole margine di certezza riferirsi ai
Gaslini la spesa per «il pane e salame» mangiato nella riunione
del 15 marzo 1990, ma non sembrerebbe potere a loro riferire
le spese per il lussuoso ristorante di via degli Odescalchi nel
quale i Gaslini figurano invitati dall'Armanini. È vero che l'Armanini ha asserito che nella campagna eletto
rale nulla aveva speso per riunioni conviviali. Allora, vi è da
domandarsi come ha speso l'ingentissima somma di 500 milioni
che ha asserito essere stato il costo della sua campagna elettorale.
Non vi è nessuna prova delle faraoniche spese conviviali che
si sarebbero assunte, secondo il tribunale, i Gaslini.
Loro volevano certamente ingraziarsi il partito «in carica»
a Milano ed avranno certamente contribuito alle spese elettorali
del partito stesso, come è presumibile che avrebbero fatto con
altro partito che a quello succedesse.
Ma, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, è pro
prio questo contributo non direttamente collegato ai contratti
di appalto che potrebbe dare una giustificazione alla resistenza
dei Gaslini all'imposizione di tangenti e a mercanteggiamento dell'entità.
Circa le modalità della condotta concussiva siccome riferite
dai Gaslini, che difesa ed estensore della sentenza fanno a gara nel rilevarne l'inattendibilità, va detto che la corte al contrario, e proprio alla luce della appena esaurita disamina dei rapporti extracontrattuali tra i Gaslini e l'Armanini, ritiene siano state
proprio quelle esposte dalle parti lese.
La difesa ha posto in rilievo il contrasto tra la «civile» richie
ta di denaro fatta al Garampelli e la sostanziale grossolanità delle analoghe richieste fatte a Franco Gaslini.
Ma è agevole obiettare che ben diverso è il contesto nel quale le richieste si sono poste.
Il Garampelli è un architetto, nel parlare del quale l'Armani ni ha sempre mostrato considerazione, rotto ai rapporti con am ministratori pubblici ed esponenti politici ad alto livello, inte ressato solo a contratti di rilevante impegno economico, e pron to, per consuetudine, a recepire e valutare sulla base di semplici allusioni o addirittura, come meglio si dirà in prosieguo, di sem
plici predisposizioni ambientali. I Gaslini sono rozzi imprenditori, «venuti dalla gavetta» (cfr.
dichiarazioni 24 novembre 1992 di Franco Gaslini) con i quali certamente l'Armanini non poteva «lavorare di fioretto».
Ed atteso anche l'artificioso cameratismo e la dimistichezza sia pure solo apparente che discendevano dalle frequentazioni delle riunioni di partito, l'Armanini poteva, eventualmente con
grossolana facezia, chiedere una «tangente», chiamandola pro prio cosi e poteva anche dirgli, in occasione del secondo con
tratto: «Insomma, se proprio non vuole pagare, almeno mi dia
50 milioni». Incidentalmente, ritiene la corte che è più verosi mile che, pur in una certa atmosfera di dimistichezza, l'Arma nini si fosse rivolto al Gaslini con il lei, anziché col tu.
II tribunale ha ritenuto non credibile la minaccia «Guardi, se
questa volta non paga, io non le firmo il contratto» perché, come è scritto in sentenza, «la stipulazione di un contratto costituisce
per le parti contraenti, a seguito della aggiudicazione dell'appal to, un atto dovuto, secondo i principi del diritto amministrativo».
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ma non ha tenuto conto, il tribunale, del livello culturale
dell'interlocutore. E non ha tenuto conto che, comunque, l'as
sessore avrebbe potuto procrastinare a lungo, anche senza ri
correre a cavilli giuridici, la firma del contratto. E soprattutto non ha tenuto presente che per tutelare il suo buon diritto il
Gasimi in pratica non avrebbe avuto altra strada che rivolgersi all'autorità giudiziaria con tutte le conseguenze, non escluse quelle di tempo, che l'adire il giudice avrebbe comportato nella sua
attività lavorativa e nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Comunque, a prescindere dalla minaccia di non firmare il
contratto, che nell'episodio del tentativo fu espressa in maniera
meno esplicita (l'Armanini gli aveva detto che voleva la tangen te «perché doveva firmare il contratto») la volontà di concus
sione è comprata dalla convocazione, in entrambi gli episodi, del Gaslini nel suo ufficio.
Atteso il basso livello delle opere oggetto degli appalti all'im
presa Gaslini — scavi per inumazioni ed esumazioni di salme, manutenzione del verde cimiteriale e simili — appare non credi
bile e comunque inammissibile che un assessore del comune più
importante d'Italia convochi negli uffici dell'assessorato «per
sapere come andavano i lavori» o più in generale per informarsi
su come venivano effettuati, una specie di capomastro quale era il Franco Gaslini.
Mentre, se proprio i lavori gli stavano a cuore, avrebbe potu to delegare l'ing. Maiocchi, capo ripartizione dell'«Edilizia e
verdi cimiteriali», o un semplice tecnico dell'ufficio. Non va sottaciuto che all'epoca della convocazione per il se
condo contratto di appalto era ancora in corso il primo contrat
to (quello relativo agli scavi, per il quale i Gaslini avevano com
prato macchinari, e che era stato richiesto anche dalle maestranze
comunali) che sarebbe scaduto il 31 dicembre 1990.
Si ricorda che in precedenza i lavori di cui al primo contratto
venivano effettuati dalle maestranze comunali e l'assegnazione ai fratelli Gaslini da parte dell'assessore Mosini aveva costituito
un'innovazione. Ed a ciò si riferiva Silvano Gaslini quando di
chiarava che l'Armanini nel chiedere la prima tangente aveva
rivendicato di «aver dato loro una mano».
Quindi in previsione della prossima scadenza l'Armanini, nel
chiedere la tangente per il secondo appalto aveva nella mani,
come non ha mancato di rilevare il p.g. in udienza, una buona
arma per vincere eventuali riottosità.
Per completezza, la corte ricorda che il versamento della tan
gente, anche se non risulta essere stato posto come condizione,
diede dei vantaggi ai Gaslini i quali ottennero dall'Armanini una proroga, nonostante fosse già scoppiato lo scandalo Ga
rampelli (che Armanini sapeva essere inquisito per il caso Chie
sa). Quando l'Armanini se ne era andato la querelle con le mae
stranze comunali fu risolta dall'assessore Malacorda con l'affi
damento dei lavori nuovamente ai dipendenti comunali.
Sugli episodi Gaslini, dunque, la corte ritiene che le parti lese
furono oggetto di minacce concrete che, in più, si ponevano in un contesto di concussione ambientale facente capo alla posi zione di supremazia del p.u. che gli avrebbe consentito di creare
problemi e difficoltà nei rapporti di lavoro in corso e futuri,
come si dirà meglio trattando l'episodio Garampelli.
E si rileva che nella narrativa delle parti lese la dazione delle
somme e le richieste non sono collegate in alcun modo alla cam
pagna elettorale dell'Armanini. La richiesta della tangente in
ordine al primo contratto sarebbe stata del tutto prematura nel
tempo ed il pagamento della prima tranche della tangente in
ordine al secondo contratto, come ha rilevato il p.g., sarebbe
stata anche precedente all'inizio della campagna elettorale fissa
ta al 6 febbraio 1990. Sarebbe stato l'Armanini a cercare di
ricondurre in modo diretto almeno il pagamento di una tranche
alla campagna elettorale collocandolo nel contesto della riunio
ne del 15 marzo 1990 alla cascina Pozzi. Cosa del tutto invero
simile perché il luogo ed il momento non si presentavano parti
colarmente indicati per il pagamento di una grossa somma in
contanti.
Potrebbe ricordarsi anche come il p.g., argutamente, a ripro
va della attendibilità della narrativa dei Gaslini, abbia rilevato
che, se il loro intento fosse stato quello di ulteriormente nuoce
re all'Armanini, inventando in ordine al primo contratto un
episodio di concussione magari per fare piacere agli inquirenti, atteso che non avrebbe comunque potuto fornire prova docu
mentale o testimoniale, non vi sarebbe stato motivo di riferire
di un tentativo di concussione, anziché di una concussione con
sumata.
Per quanto concerne infine il denunciato contrasto tra le di
II Foro Italiano — 1994.
chiarazioni rese in sede di indagini preliminari e quelle rese in dibattimento, al quale l'estensore della sentenza sembrerebbe
aver dato tanta importanza, la corte non può che porre in rilie
vo come il contrasto — consistente esclusivamente nella ridutti
vità delle prime, rese non al p.m. ma alla polizia giudiziaria — sia dovuto solo al particolare momento in cui furono assunte.
Ed invero il p.m., il quale aveva condotto le indagini, all'u dienza del 27 novembre 1992 aveva fatto presente al collegio che «si trattava di dichiarazioni assunte, assieme ad altre 1.600, in un screening preliminare, dalla p.g., in cui ognuno cercava
di dire il meno possibile per cercare di pararsi». Circa l'episodio di concussione di cui al capo 5 della rubrica,
ai danni di Rigo Sergio, accomandatario dell'impresa Rigo Ser gio s.a.s. che si era aggiudicata in data 22 dicembre 1989 l'ap
palto sul valore di lire 211.774.095 per la mautenzione marmo
rea degli edifici cimiteriali per il periodo 1° gennaio 1990-31 dicembre 1992 ed il cui contratto era stato sottoscritto dall'Ar
manini in data 6 febbraio 1990, l'imputato all'udienza del 22
dicembre 1992 dichiarava: «Rigo è una persona che mi sta par ticolarmente simpatica perché è veneto, parla veneziano, mi fa
sorridere ... e mi diverte . . . Non ricordo assolutamente che
mi abbia dato due milioni per la campagna elettorale, però non
voglio neanche smentirlo ... se me li ha dati lo ringrazio di
cuore, presenti tutti, compreso le televisioni . . .».
È da presumere che si trattasse di un piccolo raspollamento che l'Armanini, abituato a ben più consistenti «elargizioni», non
ha memorizzato. Ed essendo evidentemente il Rigo persona sem
plice e presumibilmente inidonea ad essere strumentalizzata per fini calunniosamente accusatori, non ha ritenuto di smentirlo.
Ed attendibile lo ha ritenuto il tribunale e lo ritiene la corte
nella sua esposizione della vicenda.
All'udienza del 27 novembre 1992 il Rigo ha dichiarato di avere versato in contanti nelle mani dell'Armanini due milioni
in due rate, nell'aprile 1990, su sua richiesta, quale contributo
per la campagna elettorale.
Sollecitato a ricordare il tenore esatto della richiesta il Rigo
rispondeva: «... le parole esatte adesso . . . non le ricordo pe rò .. . però . . . però m'è rimasta . . . bene netta la convinzio
ne che avrei ... eh . . . che avrei avuto delle difficoltà sul
lavoro».
Ed ancora, richiesto dal p.m. di meglio ricordare il fatto pro
seguiva: «nel contesto del discorso, io ho capito che avrei avuto
delle difficoltà sul lavoro ... ho detto che le parole precise, a distanza di due anni, non le ricordo, però il senso lo ricordo
molto bene» e, precisando ulteriormente, dichiarava: «... l'e
spressione non è stata un'espressione diretta, cioè ben precisa,
è stato un discorso fatto, in cui si diceva che io andavo bene
col lavoro, ecc. . . .insomma che . . .sarei continuato ad anda
re bene . . .una cosa di questo genere, insomma . . .».
Giustamente l'avv. Di Noia, suscitando le reazioni dei difen
sori dell'imputato, ha parlato di uso da parte dell'Armanini di
un tipico linguaggio mafioso, la cui efficacia stava nelle allusio
ni a circostanze o beni di cui si rilevava il buon andamento
lasciando intendere che le cose avrebbero potuto cambiare.
È più che evidente la minaccia implicita, tenuto conto che
la richiesta si poneva in un contesto di metus publicae potestatis. In sostanza il Rigo si è trovato nell'alternativa di pagare una
certa somma o di vedere compromessi i suoi rapporti di lavoro
col comune.
A proposito nella sentenza del tribunale si osserva che «cosi
poco spontanea è stata la dazione di denaro da parte del Rigo
che costui non solo ha pagato dietro sollecitazione dell'imputa
to, ma ha versato la modesta somma di lire 2.000.000 in due
rate, dimostrando il sacrificio economico non indifferente che
rappresentava per lui l'esborso di una cifra di questo am
montare».
La difesa non ha speso parola alcuna in appello per l'episo
dio Rigo, richiamandosi alle argomentazioni esposte in ordine
alla posizione Garampelli, senza tenere conto che anche nella
motivazione della sentenza del tribunale la minaccia è data per
provata in maniera concreta, senza fare perno in maniera esclu
siva sulla c.d. concussione ambientale. (Omissis) Passando infine all'episodio di concussione ai danni di Ga
rampelli Fabrizio di cui al capo 2 della rubrica — in ordine al quale il tribunale ha affermato la penale responsabilità del
l'imputato — va detto che si tratta della vicenda oggetto prati
camente esclusivo delle richieste di riapertura del dibattimento,
di declaratoria di nullità dell'ordinanza ex art. 506, n. 1, c.p.p.
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PARTE SECONDA
(con conseguente inutilizzabilità delle ultime dichiarazioni rese
dal Garampelli, all'udienza del 28 gennaio 1993) e della senten
za per violazione dell'art. 521, n. 2, c.p.p. in ordine ai capi 2 e 5, di assoluzione e, in estremo subordine, di riduzione della pena inflitta.
Quanto al nuovo esame del Garampelli, disposto ex art. 506
c.p.p. dal collegio, ogni disquisizione si appaleserebbe super flua dopo la recente sentenza delle sezioni unite che ha pratica mente tolto ogni vincolo al potere del giudice di disporre ogni mezzo lecito di prova ritenuto utile per la ricerca della verità.
Ma, a prescindere dalla sentenza delle sezioni unite, ritiene
la corte che nella dizione «o più ampi», che segue quella «temi di prova nuovi» si possa ricomprendere il riesame a maggiori chiarimenti di un teste già escusso o di un imputato di procedi mento connesso.
Inoltre, atteso che il 2° comma dell'art. 506 c.p.p. consente
al presidente, anche su richiesta di altro componente del colle
gio, di rivolgere domande ai testimoni, non pare alla corte sia vietato porre le domande in un'udienza diversa qualora la ne
cessità o l'opportunità della domanda si appalesi dopo il rituale
esame, salvo restando il diritto di intervento delle parti le quali saranno loro, se del caso, a concludere l'esame.
Oltretutto, il Garampelli al'udienza del 28 gennaio 1993 non ha dichiarato cose realmente nuove ma ha solo più dettagliata mente illustrato quanto aveva dichiarato nell'esame del 27 no
vembre 1992.
Per quanto concerne l'eccepita asserita violazione dell'art. 521, n. 2, c.p.p. in ordine agli episodi di concussione ai danni di Rigo e Garampelli per avere il giudice, «immutando il fatto
sostituito alla minaccia contestata la minaccia indiretta da con testo ambientale» va detto che, a prescindere dal rilievo che
formandosi la prova nel dibattimento ed essendosi nel dibatti
mento svolta l'istruttoria nessun diritto della difesa sembrereb
be essere stato violato, nella lettera della formulazione, ampia e generica, delle imputazioni rientra certamente la minaccia im
plicita che caratterizza la concussione per induzione implicita. Nel caso del Rigo, come si è visto, la minaccia non è neppure tanto implicita, manifestata com'è stata per allusioni mafiose.
Per quanto concerne l'istanza di riapertura del dibattimento
per un nuovo esame del Garampelli, per l'acquisizione dei do cumenti allegati ai motivi, per l'esame di Mario Chiesa e per acquisire presso la Rai la registrazione televisiva degli esami del
Garampelli, la corte non solo non ravvisa l'assoluta necessità ai fini della decisione richiesta dall'art. 603 c.p.p. ma ritiene che sia di assoluta inutilità atteso che oltretutto i fatti che si
intenderebbero provare hanno già più che sufficiente documen tazione nel fascicolo processuale.
Come poi meglio emergerà dalle argomentazioni che la corte
porrà a sostegno della conferma anche del giudizio di penale responsabilità dell'Armanini in ordine all'episodio Garampelli — cosi come è apparso per l'episodio Rigo — non si ravvisa
nella fattispecie il reato di cui all'art. 318, 2° comma, c.p. Appare opportuna una completa esposizione della vicenda,
cosi come ha fatto il giudice di prime cure. In data 21 dicembre 1989 l'impresa I.F.G. Tettamanti, di cui
era presidente Garampelli Fabrizio, in associazione temporanea con altre imprese, si era aggiudicata l'appalto, del valore di 15
miliardi, dei lavori per la ristrutturazione dell'obitorio e dell'i stituto di medicina legale.
Il contratto era stato firmato per il comune, in data 19 giu gno 1990, dall'Armanini.
Il Garampelli ha riferito al tribunale che, dopo essersi rego larmente aggiudicato la gara di appalto, era stato convocato dall'assessore Armanini, che non conosceva e col quale sino allora non aveva intrattenuto alcun rapporto, per una racco mandazione circa l'esecuzione veloce e vantaggiosa dei lavori.
Poco prima della firma del contratto era stato nuovamente convocato dall'Armanini nel suo ufficio e, in quella seconda
occasione, l'assessore gli aveva detto che «avrebbe apprezzato un ... un contributo, un . . . fece una richiesta in denaro».
Precisava il Garampelli: «L'atmosfera della richiesta, che non era una richiesta, direi fatta anche in modo . . . , tra virgolette, signorile, voglio dire non . . . cioè non aveva grossi problemi. Era una richiesta: avrei. . . gradirei che ci fosse un . . .».
«... la richiesta fu di una cifra ... di 250 milioni . . . dissi che glieli avrei dati il settembre successivo».
Dopo non molti giorni era stato ancora, e quindi per la terza
volta, convocato dall'Armanini, il quale gli chiese «se poteva
Il Foro Italiano — 1994.
anticipare una parte di quella . . . una parte di quella somma, ed in questo caso mi disse anche che il motivo di questa richie
sta era perché ci sarebbero state delle imminenti elezioni e que sto denaro gli sarebbe servito per la sua . . . propaganda eletto
rale, non lo so, insomma . . . Siamo tra marzo e giugno-luglio del 1990 ... (il denaro) se non mi sbaglio glielo ho dato in due o tre rate, la prima forse di . . . si, se mi ricordo bene, di una cinquantina di milioni, la seconda altrettanto . . . Ades
so francamente non mi ricordo».
Il Garampelli non si era meravigliato della richiesta perché «il contesto ambientale era tale per cui l'imprenditore, se non
pagava, avrebbe ... se non pagava, difficilmente avrebbe po tuto continuare a lavorare per gli enti pubblici, o comunque c'era il timore che potesse avere o trovare degli ostruzionismi
o trovare difficoltà nel. . . nel continuare ad operare». «Il con
testo ambientale era dato da ... da una ... era dato da un
rapporto che si era ... ma no .. . dalle esigenze che venivano
dal mondo politico, che purtroppo aveva . . . chiedeva . . . chie
deva, aveva bisogno di continui contributi e automaticamente
si era creato un ... un ... un .. . proprio, un . . . meccani
smo perverso per cui, se non si pagava, si teneva o si avevano
delle ritorsioni tali che ci si trovava costretti ad accedere a que ste .. . richieste ... I nostri lavori sono lavori che . . . lavori
di edilizia che sono . . . durano . . . sono pluriennali, durano uno o due anni, richiedono rapporti continui con l'amministra
zione, rapporti continui perché sono lavori che si evolvono . . .
si evolvono ... nel tempo. Per cui era indispensabile, per po terli seguire in modo corretto e non avere . . . non avere pro
blemi, era indispensabile che ci fosse un ambiente non ostile».
L'ostilità «poteva consistere dalla nomina di un ... di un col
laudatore particolarmente . . . ostruzionista, particolarmente cri
tico, dal . . . dal non appoggiare le richieste, dal ritardare i pa
gamenti ... E, insomma, i documenti passavano . . . passava no .. . passavano e passano negli uffici. Quindi gli uffici, se
hanno certi input in un certo modo, se hanno altri input . . .
lavorano in un altro».
Riconvocato all'udienza del 18 gennaio 1993 il Garampelli
precisiva ulteriormente: «. . . Per meglio capire, dunque, pre messa appunto l'ottica mia di imprenditore, e quindi di mondo
imprenditoriale che era il mio . . . che frequentavo, parlando
per esempio dei rapporti del comune di Milano, c'era una . . .
una cosa fondamentale che ha messo le imprese di costruzioni in una situazione di inferiorità nei confronti dell'amministrazio
ne pubblica. Un . . . non so se cinque anni fa, sei anni fa, il
comune di Milano ha tolto dal capitolato generale, che è quella che disciplina i rapporti tra impresa e amministrazione in ogni
singolo contratto, la possibilità dell'arbitrato. Il che vuol di
re .. . ecco, la possibilità dell'arbitrato . . . Ora l'arbitrato . . . l'avere tolto l'arbitrato vuol dire aver dato . . . l'impresa, per poter difendere i propri interessi, per poter difendere nei con
fronti dell'amministrazione, per poter difendere i propri inte
ressi, l'unica possibilità che ha oggi è quella di ricorrere alla causa civile. Ora, ben sapendo che le cause civili durano, per avere una soluzione delle cause civili, più di sei anni, nel mo mento in cui è stato tolto questo ... la possibilità dell'arbitra
to, che invece avrebbe risanato le controversie in pochi mesi, ha dato in mano ai funzionari pubblici in genere, politici e non
politici, un'arma . . . un'arma incredibile perché abbiamo due contraenti in cui uno però, uno dei due può prevaricare come crede sul . . . sul secondo, e, in questo caso, sulle imprese. Mo tivo per cui un'impresa di costruzioni, essendo in una situazio ne di inferiorità, non può sottrarsi a certe richieste, perché im
maginando di dovere affrontare e di dovere iniziare un lavoro che avrebbe richiesto continui . . . continui contatti, non pote va .. . non potevamo . . . avevamo . . . questa situazione di inferiorità ci obbliga ... ci obbligava a sottostare alle richieste.
Ecco, questo . . . che non sono specifiche per il singolo lavoro, ma sono . . . direi generiche, che nascono probabilmente in con
seguenza di — come questo caso di cui stiamo parlando — di un contratto, ma che non è strettamente legato a questo lavoro. Cioè io avrei avuto probabilmente . . . insomma c'era il timore di ritorsioni nella gestione del contratto. Mille cose ci sono . . .
perché il nostro rapporto contrattuale tra impresa e ammini strazione è disciplinato da capitolati, da leggi difficili complica te, ecc. Mille, mille sono gli argomenti. Il primo è, non so, l'incasso dell'anticipazione . . .».
L'Armanini, da parte sua, ha cosi ricostruito la vicenda nel suo esame del 22 ottobre 1992: «L'architetto Garampelli l'ho
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GIURISPRUDENZA PENALE
incontrato nel mio ufficio, è una conoscenza recente direi, ben
diversa da quella dei fratelli Gaslini che, ripeto, conoscevo da
anni ed erano amici . . . L'architetto Garampelli l'ho conosciu
to praticamente dopo l'appalto dell'obitorio ed ho avuto un
incontro nel mio ufficio, dove gli raccomandai l'opera, quindi
gli raccomandai una perfetta esecuzione della ristrutturazione
di quello stabile, per il quale avevo lavorato moltissimo, avevo
superato delle difficoltà immense per finanziare la delibera e
per ottenere anche l'approvazione da parte della giunta e del
consiglio comunale. E quindi ci tenevo, viste le pressioni dei
lavoratori, dei magistrati che lavoravano in quel settore, e della
università di Milano, che fosse un'opera veramente . . . perfet ta. Ed ho avuto . . . questa assicurazione da parte dell'architet
to Garampelli. Ho avuto un'ottima impressione, sia in quel mo
mento che successivamente, di un imprenditore molto capace e molto corretto. Quando Garampelli lasciò il mio ufficio la
prima volta, mi disse di essere molto soddisfatto di aver vinto
quell'appalto, di poter lavorare con lo stato civile, il progetto era un progetto che gli dava soddisfazione. E mi ricordo che
mi disse: assessore, quando lei dovesse avere bisogno di me, 10 sono presente per qualsiasi sua necessità. Successivamente, visto che eravamo nell'imminenza delle elezioni, visto purtrop
po che mi trovavo in una situazione in cui avevo esaurito i
miei fondi personali e il mio partito non mi aveva dato assolu
tamente nulla, mi sono permesso di chiedere all'architetto Ga
rampelli se poteva aiutare la campagna elettorale . . . con gli stessi termini che ho sentito dire anche in questa aula. La rispo sta fu quella cortesissima dell'ingegnere Garampelli, che io in
contrai nel suo ufficio e che in diverse occasioni mi diede delle
somme, chiamiamole cosi, su sua indicazione, su sua spontanea
elargizione, non per richieste, non per tangenti, non per cose
di questo genere, ma, es., finalizzate esclusivamente alla mia
campagna elettorale. Peraltro, devo dire anche un'altra cosa, che tra me e l'ingegnere Garampelli era nata anche una stima
reciproca, quindi una stima reciproca che ci consenti, nella mia
veste di commercialista ed economista, anche delle consulenze
professionali... Si trattava in effetti di intervenire professio nalmente per uno sviluppo della sua attività nel Veneto . . . Nel
mese di settembre io dissi all'ingegnere Garampelli ritengo che
almeno cinquanta milioni siano il mio lavoro professionale . . .
però se lei, ingegnere, non dovesse ritenere che questi cinquanta milioni siano una mia parcella professionale, un domani, quan do lì avrò, speriamo presto, glieli restituirò».
Si è ritenuto di riportare quasi integralmente le dichiarazioni
rese sulla vicenda dai protagonisti perché fotografano con rara
efficacia la situazione ambientale nella quale la vicenda si poneva. La corte ritiene che la ricostruzione della vicenda risultante
dalle dichiarazioni del Garampelli sia del tutto attendibile.
E non in contrasto con quella fatta dall'Armanini. Per la
rispondenza assoluta mancano nella narrativa del Garampelli la dichiarazione di «disponibilità» riferita dall'Armanini («as sessore, quando lei dovesse aver bisogno di me, io sono presen te per qualsiasi sua necessità») e ogni accenno al rapporto di
consulenza riferito dell'Armanini e relativo agli interessi econo
mici del Garampelli nel Veneto.
Su queste circostanze il presidente del collegio avrebbe potuto sentire il Garampelli quando lo aveva convocato a norma del
l'art. 505 c.p.p. Ma non l'ha fatto e le circostanze non appaio no di rilievo cosi determinante da giustificare la riapertura del
dibattimento.
E va detto che l'Armanini non ha mai contestato le dichiara
zioni del Garampelli, per il quale ha sempre mostrato conside
razione.
Ciò premesso, ritiene la corte che correttamente il tribunale
nella vicenda, cosi come prospettata dai protagonisti, si versas
se in una fattispecie di concussione per induzione.
Ritiene la corte, nel conforto della giurisprudenza del Supre mo collegio, che l'elemento che caratterizza precipuamente il
delitto di concussione — e che rileva in maniera decisiva nel
distinguerlo dal delitto di corruzione — sia lo stato di soggezio ne del privato, molto spesso un imprenditore, di fronte al tito
lare di una pubblica funzione nella cui competenza in senso
lato rientri la gestione del rapporto tra la pubblica amministra
zione ed il privato instaurato o instaurando. Senza che possa
attribuirsi rilievo determinante alla circostanza che sia lo stesso
privato ad offrire al soggetto pubblico denaro o altre utilità,
in particolare quando l'offerta rappresenti il logico sbocco di
una situazione nella quale per il privato si prospettino danni,
che possono consistere nelle difficoltà di lavorare nel settore
11 Foro Italiano — 1994.
pubblico o addirittura nella ipotizzabile esclusione da appalti in favore di altre imprese.
Che poi dalla «elargizione» siano derivate all'imprenditore, oltre al vantaggio di una gestione normale del rapporto contrat
tuale in atto, altri vantaggi maturati nella progressione dei rap porti con la pubblica amministrazione non sposta la qualifica zione giuridica del fatto nell'alveo della corruzione, sempre che
gli ulteriori vantaggi non fossero stati anche parzialmente la
causa anche non determinante dell'«elargizione». Nella specie l'Armanini, vecchia volpe della politica anche
se non particolarmente aduso alle ruberie, consigliere comunale
ininterrottamente dal 1972 (essendo entrato nel consiglio nel 1972, in conseguenza delle dimissioni dell'on. Matteotti, quale primo dei non eletti nelle elezioni del 1970), più volte assessore in vari
settori (allo stato civile, da cui dipende la edilizia e verdi cimite riali, era dal gennaio 1988), non poteva non essere consapevole del contesto ambientale nel quale normalmente si pongono e
si articolano i rapporti tra gli imprenditori ed i funzionari che rappresentano la pubblica amministrazione.
Nel caso specifico poi, quando in seguito all'aggiudicazione
dell'appalto per la ristrutturazione dell'obitorio si erano instau
rati dei rapporti con il Garampelli, l'Armanini aveva già perpe
trato, approfittando del contesto ambientale, le concussioni ai
danni del Rigo e dei Gaslini. Aveva, cioè, già dimostrato ai suoi colleghi di partito che gli imputavano di «non saper ruba
re», che anche lui ne era capace. È ovvio che, in considerazione della qualità degli interlocuto
ri, la minaccia, anche se implicita nel caso del Rigo, dovesse
apparire con adeguata evidenza.
Ma nel caso del Garampelli, uomo abituato a trattare con
amministratori disonesti alle cui richieste si era più volte dovuto
adeguare (cfr. il «caso» Chiesa), persona di superiore categoria sociale e di pronta recezione, la minaccia non doveva essere
evidente anche per rispetto del fair play. Nella specie, la minaccia risultava implicita nelle più convoca
zioni del Garampelli nel suo ufficio di assessore per una non ne
cessaria raccomandazione di eseguire i lavori (dopotutto non si
trattava dell'esecuzione di un'opera di grande valore artistico che
richiedesse l'attenzione particolare dell'assessore, mentre si sa
rebbe appalesato più utile ed opportuno che ogni discussione sul
l'esecuzione dell'opera avvenisse con l'ing. Maiocchi che aveva
curato l'istruzione della pratica o con i tecnici che avrebbero do
vuto seguire la esecuzione dei lavori) e nella richiesta di un in
gentissimo contributo per la sua campagna elettorale (la somma
di lire 250 milioni avrebbe coperto metà della preventivata spesa di 500 milioni) a persona che non era un amico e che aveva ogni interesse a mantenere buoni rapporti con l'amministrazione.
Non è provato che il Garampelli avesse manifestato la sua
«disponibilità» nei termini riferiti dall'Armanini, il quale solo a causa della manifestata «disponibilità» si sarebbe determinato
alla richiesta.
In ogni caso, non parrebbe che nella generica disponibilità che il Garampelli avrebbe manifestato — pur nella forma lette
rale riferita dall'Armanini — potesse rientrare la «graziosa» elar
gizione a fondo perso di una rilevantissima somma di denaro, che sarebbe stata poi ricevuta in contanti in più riprese dall'Ar
manini negli uffici del Garampelli. E non si vede perché ad una persona appena conosciuta l'Ar
manini potesse permettersi di chiedere la rilevantissima somma
per sue esigenze personali quando l'interlocutore si presentava come il legale rappresentante di una impresa che si era aggiudi cata regolarmente un importante appalto e la cui notoria serietà
rassicurava circa la buona esecuzione delle opere. È vero che l'esborso della somma, oltre al vantaggio di libe
rare lo svolgimento del contratto dagli ostacoli che interessati
pubblici funzionari avrebbero potuto frapporre, presumibilmente
procurò al Garampelli il contratto per l'innalzamento dell'edifi
cio dell'obitorio, ma non è assolutamente provato che il versa
mento dei 250 milioni sia stato collegato all'ulteriore contratto.
Al proposito, non è privo d'interesse soffermarsi un momen
to su questa ulteriore vicenda perché pone in rilievo il livello
dei poteri dell'Armanini anche quando non era più assessore.
Dopo il maggio 1990 l'Armanini, sia pure eletto consigliere, non fu più assessore, ma ebbe i due importanti incarichi di de legato alla protezione civile e di delegato all'edilizia cimiteriale ed al verde cimiteriale.
Doveva istruire le pratiche e sottoporle al vero delegato del
sindaco che era l'assessore Zola.
Sia come assessore che come delegato, presiedendo il comita
to per le gare di licitazione privata, aveva un potere di controllo
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PARTE SECONDA
sulla regolarità della procedura ed aveva un potere di scelta sul
tipo di opere da eseguire, una valutazione di convenienza, di
opportunità e di criterio. Ed in pratica aveva anche un potere di scelta nelle ditte da ammettere alla licitazione, per esempio «non invitando le ditte chiacchierate», controllando i requisiti di quelle che avevano fatto domanda ed invitando ditte ritenute
idonee.
Nel caso dell'appalto per il sopralzo dell'obitorio, poiché i
precedenti lavori in corso erano stati fatti bene, aveva chiesto
all'ing. Maiocchi di «istruire una pratica in modo tale che po tesse chiedere a Zola se ritenesse opportuno dare alla Tettaman
ti il sopralzo dell'ultimo piano». All'obiezione del Maiocchi che in quel momento in comune
vi era tendenza a non dare incarichi alle ditte inquisite l'Arma
nini, pur sapendo che il Garampelli era inquisito per il caso
Chiesa, «poiché, inquisita o non inquisita, la Tettamanti aveva
fatto bene il lavoro», aveva dato incarico a Maiocchi di prepa rare il fascicolo per Zola per ottenerne il benestare alla propo sta di procedere alla delibera di attribuzione dell'appalto alla
Tettamanti.
Come si vede, grandi erano i poteri dell'Armanini e molte
le possibilità di creare problemi alle imprese di suo non gra dimento.
E dell'interesse dell'Armanini a «curare» gli appalti è sinto
matico il sequestro presso la sua abitazione, presumibilmente al momento dell'arresto, di un capitolato «Gare di appalto espe rite dal 10 marzo 1992 al 12 marzo 1992» e dell'elenco «Opere di manutenzione ordinaria nei cimiteri cittadini, contratti in sca
denza al 31 dicembre 1991».
Aprendo una parentesi a tal punto, poiché il p.g. ha avanza
to la ipotesi che il denaro rastrellato dall'Armanini fosse in mi
sura superiore a quello che sarebbe stato necessario per le spese elettorali quantificate in lire 500 milioni, va detto che, essendo
l'importo dei 500 milioni coperto dai 250 milioni del Garampel li, dai 50 milioni di Gaslini e dai 200 milioni asseritamente pre levati dai conti personali accesi presso il Credito artigiano ed
il Banco di Napoli (ma i depositi erano lungi dal coprire la
somma di 200 milioni per cui le banche avrebbero fatto dei
notevoli finanziamenti), resterebbero fuori le «elargizioni» del
Ceccarelli, del Rigo e degli altri «amici» dei quali PArmanini non ha voluto fare il nome perché non «facessero la fine del
Ceccarelli».
Va poi detto che non è provato che la campagna fosse costa
ta 500 milioni, atteso che una certa divisione delle spese discen
deva dall'averla organizzata congiuntamente a Pilitteri e a Schem
mari e che non avrebbe nulla pagato per le costose riunioni
conviviali.
Vanno poi ricordate le imbarazzate risposte date dall'Arma
nini circa il deposito a suo nome di lire 390 milioni in titoli di stato scoperto da Di Pietro presso la Banca nazionale dell'a
gricoltura, riguardo al quale la documentazione in prosieguo fornita e dalla quale risulterebbe la titolarità in capo alla vec
chia madre non parrebbe molto azzardato ipotizzare che fosse stata costituita a fini difensivi in epoca successiva al deposito.
Non si vede infine perché PArmanini, titolare di uno studio
molto affermato ed appartenente ad una famiglia agiata, anzi
ché procurarsi i fondi necessari per la campagna elettorale at
tingendo in maniera più incisiva alle risorse personali e facendo
ricorso ai familiari, dovesse sollecitare la elargizione di somme
rilevanti a ditte con le quali era venuto a contatto durante e a causa della sua qualità di p.u.
Se non aveva il denaro per pagarsi una campagna elettorale
avrebbe dovuto non presentarsi alle elezioni o avrebbe dovuto
organizzare una campagna elettorale modesta e comunque nei
limiti delle sue possibilità economiche. Tornando, dopo questo excursus forse «stravagante», alla vi
cenda Garampelli, correttamente il tribunale ha ritenuto che lo
incarico professionale che PArmanini ha asserito di avere rice
vuto in seguito dal Garampelli non rilevasse ai fini della confi gurabilità della concussione, sia perché non è da escludere che
anche questo incarico costituisse lo sviluppo di una condotta
in qualche misura condizionata dall'esigenza di non scontentare
PArmanini, sia perché si tratterebbe di un rapporto sorto suc
cessivamente alla promessa della dazione del denaro e pertanto
dopo la consumazione del reato.
Concludendo, in ciò praticamente seguendo la corretta linea
proposta efficacemente dalla parte civile.
In un contesto più generalizzato che è quello di una general mente accettata sottomissione alle richieste dei politici la con
II Foro Italiano — 1994.
cussione per induzione implicita è dimostrata da cinque elemen
ti pacifici: la gara era stata regolare e al momento della richie
sta della somma l'appalto era stato già aggiudicato; Armanini
e Garampelli non erano amici di vecchia data ma erano due
persone che si erano appena conosciute; vi era un rapporto isti
tuzionale fra Garampelli imprenditore ed Armanini assessore
nel settore competente per i lavori che dovevano essere svolti; Armanini era in condizione di creare ostacoli nella gestione del
l'appalto e di influire sui futuri rapporti dell'imprenditore con la pubblica amministrazione; Armanini aveva necessità di soldi
e ne aveva fatto richiesta all'imprenditore. Si conferma pertanto il giudizio di penale responsabilità emesso
dal tribunale. (Omissis)
III
Diritto. — Uno dei problemi, se non addirittura il problema essenziale che il presente procedimento ha posto e pone, è quel lo di individuare il criterio od i criteri differenziatori fra lo schema normativo della concussione e quello tipico della corruzione.
Si è infatti avuto modo di constatare, nel corso dell'analisi
precedentemente condotta sui singoli fatti-reato, come sia stato
costante da parte dei soggetti privati che hanno avuto rapporti con il Chiesa per l'aggiudicazione dei contratti di appalto il ri
corso allo schema della concussione per delineare l'essenza di
tali rapporti, prospettando, volta a volta, un metus o quanto meno uno stato di soggezione nei confronti del pubblico ufficiale.
A tale prospettazione fa peraltro riscontro, da parte di Chie
sa, il ricorso allo schema della corruzione, coinvolgendo nelle
penali responsabilità, conseguenti ai reati, anche le parti private. Di fronte a tale contrasto di prospettiva, appare fin troppo
evidente il gioco delle parti sottostanti e si assiste, in tale gioco, a rappresentazioni di presunte vittime che reiteratamente nega no di aver corrisposto al Chiesa una qualsiasi somma di danaro
e che, solo dopo le ammissioni dello stesso Chiesa, ammettono
la dazione delle somme in un contesto di mera soggezione al
«potere» illimitato del Chiesa. Si assiste, sempre in questo gio co di parti, a «vittime» che ricercano in modo costante e pres sante il loro «carnefice» pur di salvaguardare il «lavoro», pur di mantenere quei rapporti previlegiati che consentono di sfrut
tare le opportunità economiche offerte da un particolare merca
to. A sostegno della loro prospettazione, gli imprenditori han
no, in modo quasi costante, prospettato uno «stato di soggezio ne» nei confronti del Chiesa; si è affermato che le dazioni di
danaro sono state effettuate per evitare dannosi ostruzionismi
nell'estrinsecazione del rapporto instauratosi a seguito dell'ag
giudicazione dell'appalto: ritardi nei pagamenti, perizie supple tive artatamente disposte.
A ben vedere, tuttavia, il prospettato «stato di soggezione» non trova origine e causa in una violenza, in una minaccia, od in un'induzione proveniente dal p.u. che abusa delle sue fun
zioni o dei suoi poteri e che pone al privato l'alternativa di
effettuare il versamento della somma pretesa o subire il male
minacciato o prospettato. Tale stato di soggezione trova invece origine nella mera con
statazione del «potere» o dei poteri che il p.u. detiene e prescin de da un qualsiasi atto di coartazione della volontà del soggetto
privato, da un qualsiasi atto di concreta intimidazione prove niente dal p.u.; inoltre, l'eventuale dazione di danaro effettuata
al p.u. non è diretta ad evitare un danno «attuale», non è il
mezzo per sfuggire al «male» minacciato o prospettato, ma è
diretta a prevenire l'eventuale e futuro esercizio di un potere, da parte del p.u., da cui potrebbe derivare un danno per il
privato. In un simile contesto, non solo sono incerti il verificar
si del pregiudizio per il privato e l'estrinsecarsi del «potere» del p.u. a cui sarebbe riconducibile il danno del privato, ma
manca soprattutto una qualsiasi condotta, anche implicita, del
p.u. che determini nel privato il timore di un danno. Mancando
la concreta minaccia o violazione o l'induzione proveniente dal
p.u. tale «stato di soggezione» esula dallo schema normativo
della concussione; potrà, in un'eventuale riforma normativa, tro vare spazio nello schema della c.d. concussione ambientale, en
tro cui potrà attribuirsi rilevanza ad uno stato oggettivo di sog
gezione in cui viene a trovarsi il privato indipendentemente da
un'azione di coartazione proveniente dal p.u. Allo stato attua
le, gli schemi normativi di riferimento sono e rimangono quelli tradizionali della concussione e della corruzione.
A complicare la scelta fra le due alternative e fra i due sche
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GIURISPRUDENZA PENALE
mi normativi che vengono proposti dagli stessi imputati, prima ancora che dagli organi della pubblica accusa, vi è certamente
il fatto che, nella prospettiva del legislatore penale e soprattutto nella realtà sociale, concussione e corruzione rappresentano ipo
tesi di una patologia eccezionale o comunque circoscritta a de
viazioni individuali ed isolate. Il quadro che invece emerge dai fatti oggetto del presente procedimento (e da un complesso di
altri fatti che quasi quotidianamente emergono nelle indagini
originate dal presente procedimento) ha portato alla cognizione
giudiziaria un contesto che non è fatto di isolate deviazioni in dividuali, ma da comportamenti abituali, costanti e generalizza
ti che hanno dato origine ad un vero e proprio «sistema di ille
galità diffusa». Sistematico sembra infatti l'uso criminoso, ampio e genera
lizzato, dei poteri e delle opportunità collegati alla gestione del
la «cosa pubblica», dei beni e delle risorse della collettività, uso finalizzato o all'arricchimento personale di pubblici funzio nari od al finanziamento di attività destinate ad accrescere o
quanto meno a consolidare le «basi di consenso» di singoli o
di gruppi organizzati od anche soltanto al rafforzamento delle
posizioni d'impresa. Tuttavia, anche di fronte a tali deviazioni diffuse, anche di
fronte al «sistema», non mutano gli schemi normativi entro i
quali ricondurre le condotte criminose: concussione e corruzio
ne, nonostante la gravità del fenomeno delle c.d. tangenti e no
nostante i tentativi fatti anche in un recente passato per creare
nuovi schemi, rimangono le due fattispecie alle quali ci si deve
riferire per la repressione penale di tale fenomeno e vanno quindi
individuati i criteri di differenziazione fra l'uno e l'altro dei due schemi normativi.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente domi
nanti, mentre la corruzione è caratterizzata dal libero accordo
fra il pubblico ufficiale ed il privato e dalla posizione di parità fra i due soggetti, la concussione è contraddistinta dalla supe
riorità del pubblico funzionario rispetto al privato e dalla vo
lontà viziata con la quale il privato dà o promette denaro od
altra utilità. Così è stato affermato che «nella corruzione, l'ele
mento psicologico che induce il privato alla corresponsione di
un illecito compenso deve ricercarsi nella libera determinazione
da parte dello stesso di porre in essere, d'accordo con il pubbli
co ufficiale, un illecito rapporto; nella concussione invece la
determinazione è la conseguenza della coartazione della volontà
del privato soggiogata dall'impossibilità di conseguire in altro
modo l'utile sperato» (Cass., sez. VI, 22 maggio 1969, Foro
it., Rep. 1969, voce Concussione, n. 14); cioè «mentre nel delit
to di concussione il soggetto passivo è consapevole di essere
vittima di una sopraffazione e di non dover dare nulla, ma è
indotto a cedere alla richiesta di danaro o di altra utilità del
soggetto attivo per il timore della pubblica autorità, nel delitto
di corruzione il privato non agisce sotto l'influenza di altre per
sone e del funzionario, ma è assolutamente libero ed in condi
zioni di parità con il pubblico ufficiale, con il quale, anzi, colla bora alla ricerca di un accordo nell'illecita contrattazione» (Cass.,
sez. VI, 29 settembre 1972, Alù, id., Rep. 1974, voce cit., n. 3).
Anche la prima giurisprudenza formatasi dopo l'entrata in
vigore della 1. 86/90 ricalca il solco della precedente (Cass. 27
maggio 1991) affermando che «in materia di reati contro la pub blica amministrazione, dopo la modifica introdotta dalla 1. 26
aprile 1990 n. 86, risulta confermata la tradizionale distinzione
tra concussione e corruzione: nella prima viene in evidenza lo
stato di soggezione del cittadino di fronte al titolare di una pub
blica funzione o di un pubblico servizio, nella seconda viene
in evidenza una trattativa da pari a pari tra cittadino e funzio
nario, la quale si caratterizza come tale sul piano concreto e
funzionale, senza alcun riguardo al momento iniziale della pro
posta ed alla necessità di individuare l'autore di questa. Ove
il reato di concussione venga commesso con abuso dei poteri,
si pone un problema di relazione tra gli atti amministrativi adot
tati, rientranti nella competenza del funzionario, e la contropre
stazione del privato; pertanto, agli effetti della distinzione dal
reato di corruzione, può individuarsi un rapporto sinallagmati
co tra le prestazioni e si delinea una situazione di natura ogget
tiva, che — prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul
piano patrimoniale — vale a qualificare il rapporto soggettivo
come paritario (e quindi presumibilmente voluto dal privato)
o squilibrato (e quindi presumibilmente imposto dal funziona
rio). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso
della qualità, non si pone il problema di relazione tra contro
prestazioni, e lo stato di disponibilità del privato alla promessa
Il Foro Italiano — 1994.
o alla dazione di danaro o altra utilità, derivando dalla sola
qualifica soggettiva del pubblico ufficiale, non può essere colle
gato che ad un illegittimo stato di soggezione, nel quale indi
stintamente possono comporsi aspettative di eventuali benevo
lenze nella gestione della cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un'autonoma discrezionalità del
pubblico funzionario, che vale ad escludere il rapporto parita rio con il privato».
Al di là tuttavia delle definizioni, si è sempre comunque rav
visata una difficoltà nello stabilire quando viene meno la posi
zione di particolare supremazia del pubblico ufficiale e quando invece si affaccia uan posizione di parità fra il pubblico funzio nario ed il soggetto privato, difficoltà che di volta in volta si
è cercato di superare con il ricorso a qualche parametro oggettivo. Fermo restando in ogni caso l'elemento della diversità o della
parità di posizione fra pubblico funzionario e privato, quale
elemento differenziatore fra la fattispecie della concussione e
quella tipica della corruzione, in realtà, sia facendo riferimento
all'«iniziativa» sia guardando all'utile perseguito, si è cercato
di dare, mediante l'aggancio ad un qualche parametro oggetti
vo, un minimo di concretezza, a situazioni tipicamente soggetti
ve, quali il metus o l'accordo, difficilmente percepibili nella realtà
esteriore. Di fronte ad un atto non univoco (la dazione del com
penso al pubblico ufficiale), si è cercato di individuare la «cau sa» dell'atto o nel momento iniziale (l'iniziativa) o nel momen
to finale (l'utile perseguito), al fine di ricostruire la «posizione» 0 quanto meno l'animus dei soggetti intervenienti nell'illecito.
Secondo una concezione, in passato largamente dominante
in dottrina ed in giurisprudenza, ma attualmente superata, si
è individuato nelP «iniziativa» il criterio di differenziazione fra 1 due schemi e si è conseguentemente affermato che si ha corru
zione quando il pubblico funzionario accetta un compenso che
non gli spetta, offertogli dal privato, mentre ricorre la concus
sione quando il funzionario «chiede» una utilità non dovutagli,
prendendo egli stesso l'iniziativa. Contro la validità di un simile
approccio si è però osservato che «sia nell'ipotesi di corruzione
che in quella di concussione l'offerta o la richiesta della somma
rappresentano normalmente non l'atto iniziale dell'iter crimi
nis, ma il logico sbocco di una situazione gradatamente creatasi
attraverso velate allusioni o maliziose prospettazioni di futuri
danni; si che è perfettamente ipotizzabile una concussione nella
quale sia stato il privato ad offrire la somma ed una corruzione
nella quale sia il pubblico ufficiale a prendere l'iniziativa» (Cass.,
sez. VI, 18 gennaio 1971). Più recente è il tentativo di individuare un parametro oggetti
vo di differenziazione nel profitto «ingiusto» perseguito dal pri
vato. Si è quindi affermato che, anche quando la posizione fra
p.u. e privato non è paritaria, sussiste corruzione e non concus
sione se il privato tende a conseguire un profitto ingiusto a dan
no della pubblica amministrazione, sia che questo vantaggio con
sista nell'evitare un provvedimento giusto per lui pregiudizievo
le, sia che si concreti nel conseguire un utile che non gli compete;
in tal caso non sarebbe possibile parlare di concussione, perché
il privato non è vittima del p.u. ma coopera con lui in una
azione che lede gli interessi della pubblica amministrazione Tale
criterio affacciatosi in dottrina, viene, peraltro, solo talvolta re
cepito anche dalla giurisprudenza: «il delitto di concussione non si può configurare allorquando il funzionario domandi ed ot
tenga un indebito compenso come prezzo per violare i suoi do
veri e far conseguire al privato un vantaggio ingiusto in danno
della pubblica amministrazione, giacché in tal caso il privato
non è indotto alla dazione dal metus ma dalla finalità di conse
guire un vantaggio che senza la complicità del p.u. gli sarebbe
certamente precluso» (Cass. 15 aprile 1969, Di Fonzo, id., 1970,
II, 161). In forma sintetica ed efficace, il criterio differenziatore appe
na indicato è stato individuato affermando che, mentre nella
concussione il privato certat de damno vitando, nella corruzio
ne certat de lucro captando. In tale logica si è poi introdotta un'ulteriore distinzione: nel
caso del p.u. che si faccia dare o promettere denaro o altra
utilità dal privato per commettere un atto contrario ai doveri
di ufficio o per omettere o ritardare un atto di ufficio si avreb
be sempre corruzione (propria), poiché il fatto stesso che si rag
giunga un accordo per retribuire il p.u. in ordine a un compor
tamento contrario ai doveri di ufficio dimostra che vi è una
condotta illecita del privato, che deve essere punita; invece nel
caso della retribuzione per il compimento di un atto di ufficio,
l'elemento di differenziazione fra corruzione (impropria) e con
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PARTE SECONDA
cussione sarebbe costituito dalla iniziativa, intesa quest'ultima non in senso esteriore e formalistico, ma in senso conforme
alla realtà (non occorre una esplicita richiesta od offerta, ma
bastano atti concludenti). In ogni caso, l'accento posto o sul momento iniziale (l'inizia
tiva) o sul momento finale (il vantaggio) del rapporto che si instaura tra pubbico ufficiale e privato, si spiega in quanto,
soprattutto in fatti isolati ed individuali, l'attività di coloro che — in forme e con ruoli diversi nella concussione e nella corru
zione — intervengono nel fatto illecito, si esaurisce in atti es
senziali, se non addirittura in un unico atto da parte di ciascuno
dei due protagonisti, il versamento da parte del privato di quanto concordato o preteso, e l'abuso od il compimento dell'atto da
parte del pubblico funzionario.
L'essenzialità degli atti da sottoporre ad analisi rende difficol
toso cogliere quegli aspetti «soggettivi» che qualificano il rappor to tra il pubblico funzionario ed il privato e che consentono di
ricondurre tale rapporto all'una od all'altra delle due fattispecie. Tuttavia, nell'ambito di un «sistema di illegalità diffusa» quale
emerge dal presente procedimento, il rapporto tra il pubblico funzionario ed il privato non si esaurisce in atti essenziali: l'atto
del pubblico funzionario ed il versamento allo stesso di un com
penso da parte del privato non sono gli unici atti compiuti da
coloro che intervengono nell'illecito; sono invece gli atti finali,
penalmente rilevanti, di una complessa «procedura» costituita
da una pluralità di atti, fra loro distinti ma teologicamente coor dinati verso i due atti terminali sopra indicati. Anche dal com
plesso di tutti questi atti e dalle modalità con cui si integrano fra loro per la realizzazione degli atti finali si possono cogliere dati oggettivi per ricostruire quelle situazioni soggettive, che con
sentono di ricondurre ad uno dei due schemi normativi i singoli fatti.
Va solo notato che rispetto all'ottica tradizionale, non muta
no i criteri di differenziazione fra le due fattispecie di concus
sione e di corruzione, si amplia semplicemente l'ambito degli elementi oggettivi entro il quale ricercare i dati che qualificano penalmente il rapporto instauratosi fra il privato contraente ed il pubblico ufficiale. Del resto, l'indicazione a ricercare negli «atti» posti in essere dai soggetti che intervengono nell'illecito
per trarre gli elementi di qualificazione del rapporto, si può
cogliere anche in talune pronunce giurisprudenziali che solleci
tano implicitamente, a considerare, ai fini delle qualificazioni giuridiche, i «comportamenti delle parti», e l'eventuale «parte
cipazione» del privato all'azione: si afferma infatti che «quan do il cittadino non è vittima dell'azione illecita del pubblico ufficiale, ma partecipa ad essa, attraverso le tante forme anche
larvate che azioni del genere possono assumere, e se ne avvan
taggia, conseguendo un utile che altrimenti gli sarebbe precluso, non è ipotizzabile il reato di concussione, ma nel fatto deve essere ravvisata un'ipotesi di corruzione. In una tale situazione non ha importanza il fatto che sia stato il pubblico ufficiale
a richiedere l'illecita utilità o comunque a prendere l'iniziativa dell'accordo criminoso; perché l'offerta o la richiesta rappre sentano il momento terminale di una situazione già pervenuta a maturazione attraverso un concordante comportamento mali zioso delle parti» (Cass., sez. VI, 10 novembre 1971, Tartaro, id., 1973, II, 221).
Valutando i fatti-reato, oggetto del presente procedimento al la stregua dei criteri sopra individuati si può affermare che, ad eccezione dei fatti-reato posti in essere in danno del Magni, ricorrono per tutti gli altri casi gli estremi della fattispecie di cui all'art. 319 c.p., cosi come contestata. Infatti le dazioni di danaro al Chiesa trovano origine e causa in specifici ed artico lati «accordi», intervenuti tra lo stesso Chiesa e ciascuno degli altri imputati.
La sussistenza di tali accordi criminosi è desumibile sia dal vantaggio, sicuramente ingiusto, perseguito da ciascuno dei pri vati contraenti sia dalla attiva e concreta cooperazione dagli stessi prestata per la realizzazione di tale ingiusto vantaggio.
Sotto il primo profilo, il vantaggio infatti perseguito dal pri vato, mediante il versamento al Chiesa delle somme di danaro, non è la realizzazione di un proprio diritto: Chiesa non richiede e non percepisce le somme per consentire, agli imprenditori l'ac cesso alle gare d'appalto oppure per attribuire la vittoria, una volta verificatesi tutte le condizioni giuridiche, a chi ne fosse risultato vincitore.
Chiesa richiede e percepisce le somme perché offre al privato non il rispetto di un suo diritto, ma un fatto ulteriore, offre la certezza della vittoria nella successiva gara d'appalto, certez
II Foro Italiano — 1994.
za rispetto alla quale il privato non ha diritto alcuno e che, solo accettando ed effettuando il versamento della c.d. tangen
te, riesce ad acquisire, eliminando la concorrenza e creandosi
una situaizone previlegiata rispetto agli altri operatori economici. La «certezza della vincita» conseguita illecitamente mediante
la promessa prima e la dazione poi, della somma di danaro, richiede inoltre, per essere realizzata, una serie di atti.
Con l'offerta al privato dell'indebita posizione di privilegio, da parte del p.u., e con l'assunzione, da parte del privato, del
l'impegno a corrispondere la c.d. tangente, si concreta solo l'ac
cordo corruttivo, che, nel sistema emergente dal presente proce
dimento, è un accordo ad «esecuzione frazionata», la cui attua
zione richiede una pluralità di atti integrati e coordinati. Taluni di tali atti rientrano nella sfera esclusiva di attività
del p.u.; altri atti vengono e possono essere posti in essere esclu
sivamente dal privato, al di fuori della sfera «di vigilanza e
controllo» da parte del p.u., in una sfera in cui non opera in
alcun modo la posizione di supremazia del p.u. ed in cui vige la piena autonomia da parte del privato, atti la cui esecuzione
trova causa esclusiva nel fatto di essere condizioni essenziali
per la realizzazione dell'accordo illecito intervenuto con il p.u. In altri termini, oltre alla garanzia di vittoria nella gara offer
ta dal p.u. in cambio della promessa della c.d. tangente, questi offre anche la sua disponibilità a compiere tutti quegli atti rien
tranti nel suo ambito di operatività per rendere effettiva questa
«garanzia»; l'attivazione di questa disponibilità è però condi
zionata ad una serie di impulsi, di indicazioni o di comporta menti (chiaramente diversi dal versamento della somma di da
naro) provenienti dal soggetto privato e posti in essere solo per la realizzazione dell'indebito vantaggio offerto (promesso
garantito o prospettato) dal p.u.; solo alla ricezione di tali «im
pulsi» la disponibilità del p.u. si traduce in atti, in quegli atti che concretamente realizzano l'indebito vantaggio per il priva to; solo alla effettiva aggiudicazione della gara d'appalto al pri vato partecipe all'accordo corruttivo, segue il versamento al p.u. della somma di danaro.
Questa ricostruzione dell 'iter criminoso sottostante ai fatti di
corruzione contestati è sicuramente molto schematica, non po tendosi dare spazio all'infinita gamma di variazioni che ogni
rapporto intercorso tra Chiesa ed il singolo imprenditore presenta. Ciò che tuttavia preme porre in rilievo è il fatto che, nell'ille
cita procedura instauratasi all'interno del Pio Albergo Trivulzio — parallelamente ed in funzione delle procedure legali e forma
li per l'aggiudicazione degli appalti — c'è sempre uno specifico libero-cosciente e volontario «concorso materiale» dei singoli
imprenditori nell'illecita attività, un concorso materiale che, se, da un lato, convalida la sussistenza di specifici «accordi» cor
ruttivi quale causa dei versamenti di somme di danaro al Chie
sa, rende però anche evidente i profili di responsabilità degli
imprenditori che hanno conseguito, con specifiche attività, in
debite posizioni di vantaggio. Esaminando le singole procedure d'appalto appare chiaro l'ap
porto dato dagli imprenditori, l'attività dagli stessi posta in es sere per la realizzazione dell'accordo corruttivo, accordo che
per di più non è isolato, ma si inserisce in un contesto di accor di sistematici.
I metodi normalmente utilizzati per l'affidamento degli ap palti del Pio Albergo Trivulzio risultano essere stati i seguenti:
— Trattativa privata — Licitazione privata (sia con il sistema del massimo ribas
so, sia con il .sistema del raffronto con la media delle offerte
presentate) — Appalto concorso.
A) Trattativa privata. — È una forma di contrattazione ca ratterizzata dall'assenza di vincoli per la pubblica amministra
zione nella scelta nel contraente, cosi che il rapporto negoziale scaturisce da un accordo diretto fra la pubblica amministrazio ne e la parte privata, che concorre con l'amministrazione nella
definizione dei contenuti contrattuali.
Di norma, la trattativa privata non richiede preselezione, che
avviene, invece, nel caso della c.d. «trattativa privata multi
pla», nella quale l'amministrazione pur non essendo subordina ta (per la natura del contratto o per la modestia degli importi) all'obbligo del preventivo esperimento di una procedura con
corsuale, reputa comunque opportuno effettuare una sorta di
gara informale, mediante la convocazione di più offerenti. Nel caso di specie, il ricorso alla trattativa privata pura è
stato assai contenuto, anche in ragione del carattere assoluta mente eccezionale dell'istituto, che la normativa in materia di
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GIURISPRUDENZA PENALE
contabilità dello Stato e la legislazione sulla Ipab, considerano
applicabile solo in casi determinati. In particolare, la trattativa privata è stta utilizzata per l'affi
damento dei lavori di pulizia e per l'acquisto dei macchinari
relativi. Talvolta si è fatto uso della trattativa privata per piccole for
niture, soprattutto per coprire le eventuali necessità di integra zione delle scorte nelle more fra il contratto di fornitura relati
vo ad un esercizio e quello riguardante l'esercizio successivo
0 per prestazioni straordinarie. Nel caso della trattativa privata
«pura» non c'è alcuna attività riconducibile al privato contraente
e diretta ad eliminare i concorrenti, per il semplice motivo che
non vi è alcuna forma di gara. Considerazioni ben diverse devono essere fatte per altri casi
di ricorso alla trattativa privata nel corso della gestione del Pio
Albergo Trivulzio, in particolare per quanto attiene alle modali
tà di assegnazione di parte dei lavori inerenti alla esecuzione
di grandi opere edili. Altri casi ben più significativi di ricorso al metodo della trat
tativa privata riguardano comunque l'esecuzione di parte delle
grandi opere edili, in particolare l'affidamento dei lavori di co
struzione della seconda residenza protetta del padiglione S. Carlo
Schiaffinati. In tutti questi casi, infatti, è stato richiamato l'art. 12 1. n.
1 del 3 gennaio 1978, recante disposizioni in materia di accele
razione degli appalti di opere pubbliche. La norma indicata, in particolare, consente l'affidamento a
trattativa privata dei «lavori relativi ai lotti successivi di proget ti generali esecutivi approvati e parzialmente finanziati» alla me
desima impresa esecutrice del lotto precedente «per il valore
non superiore al doppio dell'importo iniziale di assegnazione del lotto precedente» a condizione che:
1) i nuovi lavori consistano nella ripetizione di opere simili
a quelle che hanno formato oggetto del primo appalto;
2) i lavori del lotto precedente siano ancora in corso;
3) l'impresa sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità
generale e tecnica per eseguire nuovi lavori.
La facoltà di ricorrere al metodo di aggiudicazione sopra ri
chiamato è subordinata alla circostanza che la stessa sia espres samente prevista nel bando di gara iniziale, atteso che — come
la giurisprudenza ha più volte rilevato (cfr. Corte conti, sez.
contr. Stato, 18 ottobre 1979, n. 1002, id., Rep. 1980, voce
Opere pubbliche, n. 58) — le opere oggetto di affidamento a
trattativa privata debbono essere già previste in un progetto ese
cutivo unitario, cosi da costituire completamento di un inter
vento già approvato in ogni sua parte. Nel caso di specie, nell'interrogatorio di Mario Chiesa, si os
serva espressamente come nel bando di gara relativo alla licita
zione privata per l'affidamento della prima struttura protetta era stato appositamente inserito il richiamo all'art. 12 1. 1/78
(che non è un contenuto necessario dei bandi, ma rispose sol
tanto a valutazioni di opportunità, rimesse alla scelta discrezio
nale della pubblica amministrazione), al fine di legittimare poi l'affidamento anche delle opere successive al medesimo gruppo di imprese: in sostanza, l'accordo iniziale riguardava tutto l'in
tervento di ristrutturazione del Pio Albergo Trivulzio ed è stato
orientato a consentire il primo affidamento dei lavori, in quan
to veicolo per l'affidamento anche delle opere successive.
Vi sono tuttavia forti dubbi sulla legittimità del ricorso alla
procedura di cui all'art. 12 1. 1/78 per l'assegnazione delle ope re relative alla seconda struttura e c'è la certezza che tale ricor
so sia stato illegittimo per l'affidamento delle opere relative al
padiglione S. Carlo Schiaffinati. Nel caso della seconda struttura protetta, infatti, come emer
ge chiaramente dalla delibera 31 luglio 1989, n. 534/88, i lavori
relativi alla seconda struttura protetta non erano inseriti nel pro
getto esecutivo in base al quale è stata indetta la licitazione pri
vata relativa alle opere di costruzione della prima struttura, ma
sono state oggetto di autonomo e specifico progetto esecutivo
(d.c. 28 febbraio 1988). In proposito, a nulla rileverebbe la circostanza che tale pro
getto facesse parte di un programma unitario di ristrutturazione
delle degenze laterali, come richiamato nella citata deliberazio
ne 534/88, in quanto la lettera dell'art. 12 1. 1/78 (ritenuto di
stretta applicazione stante il carattere eccezionale dello stesso)
richiede espressamente un «progetto generale esecutivo» unita
rio e non già un semplice «programma». Nel caso del S. Carlo Schiaffinati, poi, le condizioni di appli
cazione della norma sull'accelerazione dell'esecuzione delle ope
re pubbliche sono assolutamente inesistenti: si tratta, infatti,
di un intervento di costruzione di una struttura autonoma ri
II Foro Italiano — 1994.
spetto a quella già in corso di realizzazione da parte dell'asso
ciazione di imprese Marostica, assolutamente non prevista nel
progetto esecutivo della prima struttura ed anche difficilmente
qualificabile come «simile» a quelli già affidati. Per l'affidamento a trattativa privata delle grandi opere edili,
dunque, l'accordo criminoso non si è concretato nel mero supe ramento illegittimo dell'obbligo di indire la gara, ma nella pre costituzione delle condizioni per tale superamento. In sostanza, l'accordo iniziale è quello che ha portato alla organizzazione di una gara apparentemente regolare, per l'affidamento dei la
vori relativi alla prima struttura protetta, predisponendo un ban
do idoneo non solo a garantire (come si è visto e si vedrà in
seguito) la vittoria di un determinato imprenditore, ma anche
a precostituire le condizioni per consentire a quest'ultimo l'ese
cuzione anche di opere ulteriori e del tutto autonome.
B) Trattativa privata multipla. — A differenza della trattati
va ordinaria, la trattativa privata multipla (o a gara ufficiosa)
presuppone l'esperimento di una sorta di preconsultazione in
formale, tra una pluralità di imprese la cui finalità è quella di
consentire all'amministrazione di verificare le condizioni di mer
cato e di ottenere la migliore fornitura, sotto il profilo del rap
porto prezzo-qualità, senza le lungaggini della gara formale.
La consultazione di più operatori consente un confronto, sia
pur informale, dando maggiore garanzia di una scelta più van
taggiosa. Nel caso del Pio Albergo Trivulzio la trattativa privata multi
pla è stata formalmente utilizzata spesso per le forniture di ge neri di consumo e risulta più volte dalle affermazioni di Mario
Chiesa e dagli atti documentali che, in tali occasioni, venivano
invitate imprese di copertura, i cui nominativi venivano forniti
dallo stesso imprenditore predestinato a vincere.
È ad esempio il caso delle forniture facenti capo a Camalori,
delle quali si richiamano alcuni casi significativi. La Ceditalia ha operato come fornitrice del Pio Albergo Tri
vulzio per i prodotti alimentari, quali i pomodori pelati, i sot
t'olio, il caffè. Nel caso dei pelati, nel 1986 (deliberazione consiliare n. 633/80)
sembrerebbero essere state invitate otto ditte, con circa venti
giorni per formulare l'offerta: solo la Ceditalia concorre.
Nel 1987, sempre con limite di venti giorni per la formulazio
ne delle offerte, partecipano due ditte, ma vince la Ceditalia,
senza alcun dettaglio comparativo sulle offerte.
Nel 1988, nuovamente concorre la sola Ceditalia, poi confer
mata anche nel 1991, nonostante la partecipazione di altre due
ditte, senza alcuna traccia della valutazione comparativa. Per i prodotti sott'olio la situazione è analoga. Per il caffè ed i fiocchi di patate, poi, tra le poche ditte par
tecipanti alla «preselezione informale» compare quasi sempre la Orma, che è anch'essa legata a Camalori.
C) Licitazione privata. — La licitazione privata è una proce dura ristretta, cioè una gara formale alla quale possono parteci
pare soltanto le ditte invitate, a differenza dell'asta pubblica, nella quale la partecipazione è aperta a chiunque sia interessato.
In comune con l'asta pubblica la licitazione privata ha il fat
to di essere basata su un contratto i cui contenuti sostanziali
sono predisposti dall'amministrazione, di essere improntata al
principio della libera concorrenza e della aggiudicazione al mi
glior offerente rispetto ad una stima posta a base della gara, mentre condivide con la trattativa privata la facoltà di indivi
duazione preventiva del novero dei potenziali contraenti.
Nella licitazione privata, la certezza dell'aggiudicazione ad un
soggetto determinato può essere ottenuta operando su due di
verse fasi della procedura: sulla fase di preselezione delle impre
se partecipanti e sulla fase di determinazione dell'offerta.
Trattandosi di procedura concorsuale, nella quale l'aggiudi
cazione è l'esito di un'operazione matematica di sommatoria
delle offerte numeriche, è evidente che le possibilità di manipo
lazione della gara sono legate, in primo luogo, alla esistenza
di un accordo fra tutte (o la maggior parte) le imprese offeren
ti, le cui proposte debbono essere preventivamente determinate
in funzione all'aggiudicazione ad un soggetto determinato.
In questo senso, l'attività del pubblico funzionario è quella
di favorire l'attuazione dell'accordo fra le imprese, adattando
gli elementi formali della procedura alle esigenze dell'impresa
designata. Come si è già accennato, i criteri di aggiudicazione più fre
quentemente adottati dal Copat in casi di licitazione privata so
no stati i seguenti: — per le opere edili:
a) art. 1, lett. a), 1. 14/73
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PARTE SECONDA
b) art. 1, lett. c), 1. 14/73 — per le forniture:
art. 73 d.l. 23 maggio 1924 n. 827, principalmente con il me todo della lett. b): «per mezzo di offerte segrete da confrontarsi
poi col prezzo massimo o minimo prestabilito e indicato in una
scheda segreta dell'amministrazione».
Nel caso della lett. a) dell'art. 1 1. 14/73 l'aggiudicazione av
viene secondo lo schema procedurale di cui all'art. 76 della leg
ge di contabilità di Stato, cioè per mezzo di offerte segrete da
confrontarsi con il prezzo a base d'asta: di norma, ciò compor ta l'aggiudicazione all'offerta contenente il massimo ribasso.
Nel caso della lett. c), invece, il termine di raffronto dell'of
ferta è costituito dalla media finale, calcolata in base alle offer
te ammesse e cioè alle offerte che risultano comprese nei limiti
di minimo e massimo ribasso indicati dall'amministrazione in una apposita scheda segreta (forbice).
L'aggiudicazione secondo il sistema di cui all'art. 73, lett.
b), avviene per mezzo di offerte segrete da confrontarsi poi col
prezzo massimo o minimo indicato in apposita scheda segreta dall'amministrazione: in questo caso, si fissa il prezzo di riferi
mento oltre il quale (o al di sotto del quale, se le offerte sono
in aumento) le offerte non sono ammissibili.
Ciò premesso, si osserva che in tutti i casi il numero delle
imprese partecipanti è un fattore determinante nella predetermi nazione dell'offerta vincente, anche se con diversa portata a
seconda delle diverse situazioni.
In generale, quando l'aggiudicazione avviene in base alla me
dia delle offerte è evidente che tanto più è alto il numero delle
imprese partecipanti, tanto più difficile è il controllo delle of
ferte e il raggiungimento della massima approvazione. Di contro, peraltro, la drastica riduzione del numero di par
tecipanti, se non accompagnata da un controllo pressoché tota
le delle offerte presentate, rende quasi impossibile individuare
anticipatamente con certezza l'offerta vincente, in quanto il pe so di ciascuna offerta sulla composizione della media è propor zionalmente maggiore.
Ad esempio: se partecipano cento ditte, la rilevanza di cia
scuna offerta rispetto alla media è assai ridotta; se partecipano 2/3 ditte un'offerta sola è in grado di spostare drasticamente
l'asse della media, alterando ogni possibile previsione.
Peraltro, nel primo caso per governare la gara è necessario
non solo il controllo di molte offerte, ma anche la presentazio ne di più offerte fittiziamente diverse cosi da coprire un'ampia fascia della media e cautelarsi dagli scarti, magari solo decima
li, dovuti alla presenza di offerte controllate: ciò fa capire come
mai per certe gare — come è il caso delle verniciature (Pozzi) — alle quali partecipavano molte imprese, venivano sistemati
camente fatte partecipare più ditte fra loro collegate, in modo da garantire comunque l'aggiudicazione al gruppo favorito.
Analoga situazione veniva utilizzata da Fossati che, almeno
nelle prime gare di manutenzione, partecipava con ditte collega te con la C.c.p.l.
L'accordo prevedeva, ad esempio, che — in caso di vittoria — le imprese collegate declinassero l'aggiudicazione a favore
dell'impresa predesignata, la cui offerta risultava la più vicina,
proprio perché appositamente confezionata con minimi scarti. In ogni caso, una tendenza comprovata nel caso delle gare
svolte al Pio Albergo Trivulzio è stata da parte degli appaltatori legati da accordo criminoso con Chiesa, quella di controllare il numero maggiore possibile delle imprese partecipanti.
Sotto questo profilo, si osserva che di norma il Pio Albergo Trivulzio invitava tutte le imprese che ne facevano richiesta, ma spesso o la richiesta veniva formulata da un numero limita
to di imprese o comunque le offerte venivano presentate da po chissimi imprenditori, dimostrando cosi come l'accordo esterno fra le imprese in collusione fra loro riuscisse a riservare la par tecipazione alla gara ai soli concorrenti collegati.
La riduzione del numero delle imprese partecipanti veniva ot
tenuta artificiosamente, in particolare attraverso l'inserimento
di specifici requisiti di partecipazione, nel bando di gara. La normativa vigente si limita a prevedere il contenuto mini
mo essenziale del bando di gara, lasciando all'amministrazione la possibilità di inserire elementi ulteriori, cosi che — attraverso una apposita griglia di selezione ed introducendo clausole sem
pre più restrittive e particolari — è possibile restringere la par tecipazione alla gara alle sole imprese desiderate.
È evidente che la scelta dei requisiti da inserire nel bando
presuppone la precisa conoscenza della situazione individuale di ciascuna impresa, e quindi richiede un continuo ed analitico
Il Foro Italiano — 1994.
scambio di informazioni e di suggerimenti fra l'impresa e il pub blico funzionario al fine di influenzare il contenuto del bando:
ciò vale a comprendere i caratteri della prassi descritta dall'ing. Chiesa secondo la quale il testo del bando di gara veniva predi sposto dagli imprenditori, che segnalavano (v. Zaro, Borroni
e Fossati) di volta in volta gli elementi da indicare per consenti
re l'eliminazione di scomoda concorrenza.
In particolare, è stato il caso dello Zaro, che risulta aver sug
gerito l'inserimento nel bando di gara, quale requisito di parte
cipazione, il possesso di un certificato Cee per la macellazione, che egli sapeva essere stato rilasciato a pochissimi operatori del
settore.
Parimenti, l'ing. Chiesa riferisce questa prassi anche con ri
guardo a Fossati e Borroni, per i quali si afferma che — nel
l'appalto per la realizzazione della prima struttura — vennero
inseriti particolari requisiti in relazione all'attività di installazio ne degli elevatori. Oppure, ancora, nel caso di Fiore - Grandim
pianti, il numero delle imprese aspiranti all'appalto concorso
è stato limitato richiedendo iscrizioni elevate all'albo nazionale
dei costruttori e, soprattutto, richiedendo l'avvenuta esecuzione
di interventi di analoga portata e rilevanza negli esercizi prece denti: elementi di cui le imprese favorite erano in possesso, men
tre avrebbero messo in difficoltà altri concorrenti.
Un ulteriore elemento di pre-limitazione del numero delle im
prese è costituito dalla ridotta pubblicità: è chiaro che limitare
la notizia della gara agli operatori locali ed abituali impedisce la comparsa di esterni, non inquadrati nelle regole di spartizio ne dei lavori.
In quest'ottica va letta, ad esempio, la scelta di limitare gli
importi a base d'asta a valori collocati sempre al di sotto dei
limiti minimi previsti dall'ordinamento per una pubblicità più estesa.
Questa scelta venne fatta ad esempio, per le manutenzioni
(Fossati); per le opere di verniciatura; per le opere di manuten
zione di falegnameria (Filisetti). In particolare, nel caso di Filisetti addirittura nel 1986 (prima
gara esperita ed ingresso di Filisetti nel Pio Albergo Trivulzio) non venne neppure rispettata la normativa e il bando venne
affisso solo all'albo pretorio del comune di Milano.
Una volta prelimitato il numero delle imprese idonee a parte
cipare, un'ulteiore scrematura avveniva in sede di invito.
In questo senso, spesso l'ing. Chiesa riferisce di imprenditori che gli sottoponevano direttamente l'elenco delle imprese da in
vitare, scegliendole fra imprese collegate o comunque controllate.
L'effetto «griglia» veniva poi rafforzato anche imponendo
tempi ristretti per la predisposizione delle offerte: questo ele
mento appare particolarmente significativo nel caso degli appal ti concorso, nei quali — come meglio si vedrà in seguito —
l'offerta impone lo sviluppo di soluzioni progettuali, che richie
dono tempi lunghi; per cui è automaticamente favorito il con
corrente che, essendo stato informato precedentemente al ban
do di gara di quanto richiesto dall'amministrazione, ha tutto il tempo per preparare un progetto adeguato.
Una volta limitata la selezione delle imprese e circoscritto l'am bito di partecipazione soltanto ai soggetti manovrabili o comun
que ad operatori fra loro in accordo per l'affidamento dei lavo
ri ad un'impresa determinata, l'ulteriore fase di intervento con
cerne la manipolazione dell'offerta.
Nel caso di aggiudicazione ai sensi dell'art. 1, lett. a), 1. 14/73, cioè con il metodo dell'offerta segreta da confrontare con l'im
porto a base d'asta, senza limiti di aumento o di ribasso, l'uni
co modo che l'impresa ha di avvicinarsi all'importo di riferi
mento è quello di concordare con le altre imprese partecipanti il contenuto delle offerte segrete.
Tale metodo è quello seguito per l'aggiudicazione dei lavori
edili della prima residenza protetta e del padiglione ovest.
Laddove, poi, il metodo descritto sia integrato dalla previsio ne dell'art. 76 della legge di contabilità di Stato e l'amministra
zione abbia previsto un limite massimo di aumento o di ribasso,
l'impresa può essere favorita in modo determinante facendole
conoscere il contenuto della scheda, al fine di non conteggiare, nella media, offerte poi non ammissibili.
In questo caso, l'ing. Chiesa comunicava i contenuti della scheda segreta, che non recava, come erroneamente lo stesso
talvolta afferma, l'importo di riferimento per l'aggiudicazione (atteso che tale metodo è proprio della gara pubblica e non della licitazione), bensì i limiti di massimo e minimo ribasso.
Analoghe modalità seguiva la collusione con le imprese priva te nelle gare aggiudicate con metodo di cui alla lett. c) dell'art.
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GIURISPRUDENZA PENALE
I 1. 14/73, cioè con l'offerta segreta da confrontare con la me
dia finale delle offerte, previa esclusione delle offerte eccedenti
i limiti di massimo ribasso. In questo caso, rispetto all'importo a base d'asta, l'ammini
strazione limita l'ammissibilità delle offerte ad una determinata
fascia (c.d. forbice), escludendo preventivamente le offerte che si collocano al di fuori della fascia stessa e limitando il calcolo della media alle sole offerte comprese.
Per centrare l'offerta, è necessario che le imprese partecipanti non soltanto conoscano l'entità della forbice, al fine di avere
la percezione esatta delle offerte potenzialmente ammissibili, ma
esse debbono concordare fra loro l'ammontare di ciascuna of
ferta, in modo che la media finale delle offerte ammissibili sia predeterminato ed in relazione ad essa possa essere esattamente
collocata l'offerta vincente.
È evidente che più la forbice è ridotta, più è difficile che un numero elevato di imprese possa fornire offerte ammissibili, consentendo cosi una più facile organizzazione preventiva delle
offerte destinate ad incidere sulla media.
Il metodo sopra indicato è quello che è stato utilizzato per
l'aggiudicazione dei lavori di manutenzione, ordinaria (Edilmo
netti, Filisetti, Pozzi) o straordinaria (Fossati, Fossati, Borroni - Garampelli).
Per capire l'importanza della conoscenza preventiva della for
bice, si può portare ad esempio il caso delle gare aggiudicate a Filisetti: manutenzione opere di falegnameria.
Di fatto, nella gara in oggetto si sono sempre fronteggiati due gruppi: da un lato l'impresa Barbieri che già operava al
Pio Albergo Trivulzio, e dall'altro l'impresa Filisetti.
Ciascuna delle due imprese proponeva offerte proprie e of
ferte di appoggio attraverso ditte collegate. Stante il numero ridotto dei partecipanti alla gara, ciascun
gruppo aveva teoricamente la medesima probabilità di avvici
narsi alla media, ma soltanto chi aveva preventivamente la co
noscenza dei dati concernenti la forbice aveva la certezza di
centrare la media stessa.
Per le forniture, il metodo usualmente utilizzato è quello del
le offerte segrete da confrontare per il prezzo massimo-minimo
indicato in una scheda segreta dall'amministrazione ai sensi de
gli art. 73 e 75 della legge di contabilità dello Stato.
In questo caso determinante per la predisposizione di offerte
è la conoscenza e la preventiva comunicazione dei contenuti della
scheda segreta che costituisce il limite di riferimento per l'am
missibilità dell'offerta e per l'aggiudicazione.
D) Appalto concorso. — L'appalto concorso è una forma
speciale di procedura ristretta, nella quale — al contrario di
quanto accade nella licitazione privata — i contenuti del con
tratto non sono predeteminati dall'amministrazione, ma vengo no rimessi all'attività del privato.
Nell'appalto concorso, infatti, le ditte invitate debbono prov vedere non soltanto alla redazione di un'offerta economica, ma
anche alla stesura del progetto esecutivo, sviluppando le indica
zioni fornite dall'amministrazione.
L'offerta, dunque, risulta composita, in quanto costituita da
elementi ulteriori rispetto al prezzo e consistenti in una soluzio
ne tecnico-operativa, normalmente complessa. Come per la licitazione privata, anche nell'appalto concorso
una fase di possibili alterazioni è certamente quella di presele zione delle imprese da invitare alla gara, riguardo alla quale sono applicabili i medesimi accorgimenti.
Si è già accennato poi che — nel caso degli appalti concorso — può essere determinante per l'impresa favorita sapere in an
ticipo l'intendimento dell'amministrazione di indire la procedu
ra, onde disporre di tempi più adeguati per la stesura di progetti.
Questo accorgimento può essere ancora più utile quando alle
imprese concorrenti venga assegnato un tempo ristretto per l'offerta.
Per quanto attiene alla valutazione complessiva dell'offerta,
invece, essendo svariati gli elementi in gioco, non è ipotizzabile una preventiva comparazione aritmetica delle offerte, tale da
garantire l'aggiudicazione ad un soggetto determinato.
In caso di appalto concorso, l'analisi delle offerte è rimessa
ad una commissione giudicatrice. La certezza dell'esito della ga ra a favore di un'impresa predeterminata è dunque difficile se
la commissione non partecipa all'accordo criminoso (anche per la maggiore discrezionalità «tecnica» nella valuazione degli ele
menti), partecipazione che, nel caso in esame, sulla base degli
atti è da escludere.
L'unico modo relativamente sicuro è quello di determinare
preventivamente, in accordo con l'impresa favorita, le carat
II Foro Italiano — 1994.
teristiche del progetto da sviluppare cosi da dare all'impresa un sicuro vantaggio.
Di fatto l'appalto concorso è stato utilizzato molto raramente
dall'ing. Chiesa nella gestione del Pio Albergo Trivulzio, evi
dentemente perché meno governabile in anticipo. È un esempio di alterazione secondo le modalità indicate il
caso dei lavori di sistemazione della lavanderia da parte della
Lavafin: a pag. 65 e seguenti dell'interrogatorio l'ing. Chiesa
osserva, infatti, che alla gara di appalto concorso partecipò ol
tre alla Lavafin, anche la società Ilat, la quale propose un'of ferta superiore di circa un miliardo rispetto a quella della socie
tà di Bertini; in proposito lo stesso Chiesa rileva: «d'altro canto la Ilat non aveva la convenienza a partecipare ed a vincere la
gara per il Pio Albergo Trivulzio in quanto la Ilat preferiva ed aveva convenzione economica a concentrare in un unico im
pianto a Caleppio di Settala il servizio e non invece a fare tanti
piccoli impianti disseminati per la città, come nel caso specifico veniva chiesto».
Nel caso in esame la particolarità vera della gara stava pro
prio nel fatto che l'impulso alla predisposizione del progetto di massima, sulla base del quale svolgere la procedura, nasceva
da un'idea dello stesso Bertini, al quale l'ing. Chiesa dice di
avere preventivamente chiesto di valutare che cosa si poteva fa
re per risolvere i problemi di funzionalità del servizio di lavan
deria e «Bertini si dimostrò disponibile alla realizzazione di tale
progetto e si ingegnò ... a fare lay out e ad offrire un servizio
come quello richiesto».
In questo caso, dunque, l'attività del privato è stata addirit
tura determinante nella decisione di indire la gara e di definire
le modalità caratteristiche.
Analoga procedura è stata seguita nel caso dei lavori di siste
mazione della cucina, attraverso l'attività del Fiore, che ha pre
disposto un lay out dei locali e degli spazi da adibire a nuova
cucina, con previsione dell'intervento da eseguire. Anche in questo caso, la disparità fra le offerte era di carat
tere prettamente economico, atteso che la qualità del prodotto e i contenuti sostanziali dell'offerta si eguagliavano, come rile
vato dalla commissione giudicatrice. È evidente che, affidando preventivamente all'impresa il com
pito di studiare le caratteristiche progettuali delle opere, que st'ultima è in grado di redigere un'offerta completa e dettaglia ta in tempi assai ristretti di quelli normalmente necessari ai con
correnti, potendo cosi valutare con maggiore agio la componente economica della fornitura e indicando di conseguenza il prezzo
più conveniente.
Inoltre, e questo vale ad esempio per la f.lli Diana, alla quale è stato affidato all'appalto Pio Albergo Trivulzio-Calore, la pre cedente attività dell'operatore in luogo consente una maggiore conoscenza della peculiarità del servizio e delle esigenze dell'en
te, cosi che il progetto inserito nell'offerta risulta certamente più idoneo — anche sotto un profilo qualitativo — rispetto agli altri.
Un aspetto va ancora sottolineato, per completare la descri
zione delle modalità con cui gli atti del p.u. e gli atti del privato si integrano per la realizzazione concreta del risultato predeter minato sulla base dei singoli accordi corruttivi.
Si è già accennato, nel delineare tali modalità, ad intese dei
privati imprenditori, a «cordate» fra gli stessi e comunque a
«scelte» effettuate dallo stesso imprenditore destinato alla vin
cita e determinanti il gruppo dei concorrenti; si è anche implici tamente rilevato come la concreta attuazione del singolo accor
do corruttivo, in relazione ad una gara d'appalto, presupponga l'instaurarsi di rapporti, ulteriori e diversi, rispetto al rapporto
p.u.-corrotto ed imprenditore privato-corruttore.
Chiesa, in diverse parti delle sue dichiarazioni, accenna in
modo esplicito a tali rapporti. Sin dal 24 marzo 1993, Chiesa illustra che nel «sistema ospe
daliero milanese, operano imprese in regime di quasi monopo lio e che riescono anche a coalizzarsi tra loro quando si tratta
di aggiudicarsi lavori pubblici ospedalieri. Ad esempio per l'Eca lavora una società costituita appositamente da un consorzio di
società, note come le 4 Sorelle, Ifg, Edilmediolanum, fratelli
Moia ed una quarta che non ricordo, ciascuna delle quali detie
ne il 25% della società costituita; al Pini opera la Ifg, al Bassini opera Mazzalveri-Comelli, a Niguarda opera la Edilmediolanum
che talvolta si associa con la Torno e Lodigiani o altre.
Per favorire Fossati io gli comunicai anzi concordammo as
sieme la forbice. Dopodiché Fossati si recò da imprese a lui
collegate in modo e "concordò" la partecipazione di un gruppo di circa una trentina di imprese a lui collegate a quella gara: non so dire con esattezza le modalità con cui materialmente
questa partecipazione in cordata si realizzò, posso tuttavia dire
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PARTE SECONDA
per certo che la trentina di imprese collegate al Fossati entrò
tutta nei limiti ideila scheda segreta e quindi tutte ammesse alla
gara e parteciparono in misura determinante alla determinazio
ne della media delle offerte valide.
Dopo aver fatto entrare la Sic al Pio Albergo Trivulzio, ri
maneva il problema Borroni che comunque continuava a lavo
rare al completamento del reparto fisio-cardiorespiratorio e che
sembrava persino attardarsi per impedire in qualche modo la
sua estromissione dal Pio Albergo Trivulzio».
Le modalità con cui Monetti vinse la prima gara al Pio Al
bergo Trivulzio, vengono specificate da Chiesa nel corso del
l'interrogatorio del 26 marzo 1992: «La Edilmonetti fa parte di un gruppo di imprese che risultano collegate in qualche mo
do alle grandi imprese ma di livello nettamente inferiore in quanto risultano interessate a lavori che non superano i due miliardi
di lire ed in quanto tali vengono strumentalmente inserite in
cordata nei più grandi appalti per fare gruppo. In sostanza, il sistema garantisce alle imprese piccole gli ap
palti di importo basso purché le imprese piccole si prestino a
fare il gioco di cordata a favore delle grandi imprese quando si tratta di gare per importi superiori all'uno o due miliardi.
In tal modo si forma la lottizzazione del mercato e l'autoprote zione reciproca.
Gianni Monetti mi disse di fargli vincere l'appalto e risultò
effettivamente vincitore per quattro-cinque volte. Ad un certo
momento gli suggerii di trovare un'impresa della sua categoria che poi uscisse dopo un anno dal mercato in quanto non si
poteva sempre far vincere la Edilmonetti. L'appalto di un anno
quindi venne fatto vincere, d'accordo con Monetti, alla Cogeit
dell'ing. Poi. Nell'anno successivo, nonostante talune resistenze
del predetto ingegnere che voleva rimanere dentro al Pio Alber
go Trivulzio, alla fine la Cogeit usci dall'ente e con i trucchi
che ho detto risultò nuovamente vincitrice la Edilmonetti».
Con riguardo ai rapporti avuti con Svime e Sistemi, facenti
capo al Pozzi, Chiesa afferma: «La percentuale di tangente, all'interno del sistema milanese è pari al 15% ciò in quanto se si guarda all'elenco delle ditte aggiudicatrici degli appalti di
verniciatura sono a Milano e provincia in tutto 20 o 25 imprese tutte concentrate però nelle mani di sei o sette persone . . . Pra
ticamente di fronte a queste 20-25 imprese concentrate nel mo
do predetto è facile aggiudicare l'appalto attraverso il trucco
della lettera "C" anche perché i veri padroni sono tra loro con
sorziati "in pace armata" per lotizzarsi il mercato sanitario e
comunale, anche perché vige la regola di non pestarsi i piedi l'uno con l'altro. In questo contesto è molto facile ridurre gli scontri offerti e fare una scheda concordata con il massimo ri
basso contenuto, ad esempio meno del 15%, e impedire sconti
pari al 50% che invece sul mercato privato vengono applicati
regolarmente. Per tale motivo e cioè per la possibilità di massimo ribasso
sino al 50% e per la quasi assoluta impossibilità di controllare
l'effettivo impiego di materiali nel settore merceologico predet to la tangente effettiva è del 15%».
Con riferimento ai rapporti instaurati con Esaote, facente ca
po a Minguzzi, Chiesa precisa: «Mentre negli altri ospedali mi
lanesi si usa di solito il sistema di una delibera generale di pre selezione delle imprese idonee e sulla base di valutazioni econo
miche e tecnico sanitarie, che consente un sistema di tangenti mascherato attraverso la copertura di taluni costi di immagine, ad esempio: congressi, viaggi all'estero, io concordai con Min
guzzi il capitolo d'appalto, la descrizione dell'apparecchiatura e l'elenco delle ditte da invitare alla gara e Minguzzi mi diede, a quanto ricordo, due nominativi che erano le imprese più care
sul mercato e che quindi non avrebbero ostacolato l'assegnazio ne dell'appalto alla Esaote».
Nell'interrogatorio del 25 marzo 1992, Chiesa, illustrando le
ragioni per cui le percentuali di dazione venivano quantificate in base a specifici parametri rapportati alla categoria merceolo
gica di riferimento, afferma: «delle società gravanti attorno a
Camalori solo l'Ilpi mi liquida autonomamente e con una per centuale diversa cioè pari al 10% ciò perché tale percentuale è quella che nel sistema ospedaliero milanese vige per il settore
delle imprese di pulizia»; analogamente parlando di Fiore; «che
collocava i prodotti Zanussi nel sistema ospedaliero milanese
pagando, a quanto si diceva nell'ambiente, a tutti regolarmente il 10%».
Da ultimo, nell'interrogatorio del 25 marzo, Chiesa conclu
de: «Se può esser stato un mio errore adeguarmi a tali prassi o a tale sistema tuttavia ribadisco che era di tipo generalizzato, come si può rilevare dalle identiche modalità praticate al Pio
Albergo Trivulzio ed in altri enti . . . dalla ripartizione esistente
Il Foro Italiano — 1994.
fra i diversi operatori economici . . . dalla identità di percen tuali che risulta codificata a livello di settori merceologici (per centuali come tangenti)».
Il quadro conclusivo viene delineato da Chiesa nell'interroga torio del 30 marzo 1992: «Ciò che è avvenuto al Pio Albergo Trivulzio è né più né meno ciò che di norma avviene nella lot
tizzazione politico-imprenditoriale del sistema sanitario milane se: vi sono cioè gruppi di imprese, suddivise di regola per setto
ri merceologici e per capacità imprenditoriale (valutabile in rap
porto alla capacità di volume di affari) le quali — di fatto —
hanno realizzato un "patto di non belligeranza" ovvero un "car
tello finalizzato alla lottizzazione del mercato ospedaliero", sic
ché nei vari enti sanitari già si sa sin dall'inizio chi sono le ditte deputate a vincere gli appalti. È tanto vero ciò che nel
corso degli anni pur assistendo — a volte — al cambio delle
presidenze degli enti ospedalieri pubblici, non cambiano affatto
le imprese appaltatrici. Di converso vi sono "referenti" per ciascun partito politico
che si fanno carico di gestire la distribuzione degli appalti, assi
curando i rapporti con le imprese, percependo o facendo perce
pire da persone di loro fiducia le relative tangenti ed adoperan dosi per far inserire nei consigli di amministrazione dei vari enti
sanitari anche uomini politici di loro fiducia affinché — come
nel mio caso — provvedessero a trattare direttamente con gli
imprenditori, ovvero, come ad esempio nel caso degli altri mem
bri del consiglio di amministrazione del Pio Albergo Trivulzio, a legittimare con atti deliberativi formalmente legittimi fatti che
in realtà hanno sotto di loro un preordinato accordo sulla
tangente». A ben vedere poi, le affermazioni di Chiesa in ordine al con
testo imprenditoriale nel quale si collocano le gare di aggiudica zione tenutesi al Pio Albergo Trivulzio durante la sua presiden
za, trovano supporti probatori consistenti.
Altre dichiarazioni ed altri risultati investigativi, desunti da
diversi settori d'indagine del presente procedimento, vengono a confermare il quadro illustrato da Chiesa. Per i limiti del pre sente giudizio, non è possibile citare tutti i riscontri; peraltro, basti menzionare le vicende occorse alla Cosgemi ed ai suoi soci
per i rapporti intrattenuti con Carriera e Scuderi oppure le det
tagliate dichiarazioni rese da Proverbio Egidio sugli incontri fra
gli imprenditori edili dell'area milanese, incontri funzionali ad
una ripartizione concordata degli appalti indetti e/o da indire
da parte del comune di Milano.
Più che dai quadri delineati od abbozzati da altri imprendito
ri, la conferma alle affermazioni di Chiesa sull'esistenza di car
telli di imprese o di prassi o quanto meno di accordi occasionali
fra imprenditori per la spartizione del mercato degli appalti pub
blici, proviene dall'analisi documentale condotta in precedenza sulle singole gare. Basta richiamare, ad esempio, le modalità
di formazione di diversi raggruppamenti d'impresa con l'ocula
ta distribuzione, nei singoli raggruppamenti, delle diverse (e po
che) imprese di elevatori, quale si è verificata in occasione della
licitazione per la realizzazione della prima struttura protetta (cfr.
rapporti Chiesa, Fossati, Borroni e Garampelli). Ancor più si
gnificativa, per l'individuazione degli accordi intervenuti fra im
prenditori, è l'analisi dei risultati della gara per l'aggiudicazione delle opere inerenti alla prima struttura protetta e la graduato ria di aggiudicazione dei lavori relativi al corpo ovest: il gruppo di imprese riconducibili a Fossati, Borroni e Garampelli nelle
due gare riesce a piazzarsi sempre al primo posto con il gruppo costituito da Sic-Ifg Tettamanti, mentre al secondo posto in gra duatoria si colloca sempre un gruppo capeggiato dalla Tedil, controllato dagli stessi tre imprenditori.
Si pensi ancora, ad esempio, alla gara tenutasi il 31 maggio 1989 per l'aggiudicazione ad offerte segrete dei lavori di manu
tenzione ordinaria, gara che viene vinta dalla Edil Monetti: in
un campo di variazione di ben dieci punti (i valori della scheda
segreta sono compresi fra un minimo di ribasso pari al 5% ed
un massimo del 15%) non solo tutte le quindici imprese parteci
panti alla gara riescono a piazzare le loro offerte all'interno
della c.d. forbice, ma riescono a collocare tutte le quindici of
ferte in un ambito di variazione di 1,73%, il che significa che
ciascuna offerta è stata studiata in modo tale da consentire uno
scarto fra ciascuna di poco più di 0,10%. Si pensi ancora alla costanza con cui, nelle gare per l'aggiudi
cazione degli appalti delle opere di verniciatura, è riscontrabile
non solo identici partecipanti, ma anche e soprattutto il fatto
che Pozzi e Carobbi, i due imprenditori che stranamente si ri
partiscono le opere di verniciatura all'interno del Pio Albergo Trivulzio per più di sei anni, riescono a piazzare le loro offerte
in prossimità del valore centrale della forbice.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Come ultimo esempio, si pensi alla gara del 26 giugno 1990
in cui Filisetti riesce a piazzare tutte le offerte in gara in un
campo di variazione dello 0,60%, mentre i valori della scheda
segreta presentano un campo di ben cinque punti. Solo un accurato studio delle varie offerte e solo una preven
tiva intesa tra i diversi partecipanti alle gare possono consentire
risultati come quelli sopra indicati.
Forse non è possibile — né, a dir il vero, in questa sede inte
ressa — affermare che l'intero mercato delle commesse pubbli che fosse integralmente lottizzato o monopolizzato da cartelli
imprenditoriali e da consociazioni politiche: è un'ipotesi questa, forse non lontana dal vero, ma che, a ben vedere, dev'essere
verificata con dati più ampi di quelli desumibili dal presente procedimento e che, allo stato, può essere interessante per altri
fini, non certo per il presente provvedimento. Ciò che in questa sede, invece rileva è il dato oggettivo desu
mibile dal quadro delineato da Chiesa e suffragato dalla docu
mentazione: la concreta attuazione dell'accordo corruttivo in
tervnuto fra il p.u., nel caso specifico Chiesa, ed il singolo im
prenditore non può prescindere da «altri e diversi» accordi che
il privato stipula con gli altri imprenditori della sua categoria. La «pace armata» a cui fa riferimento Chiesa parlando delle
imprese di verniciatura o la constatazione di Fossati (riferita da Chiesa) che è «meglio una cattiva pace che una guerra vin
ta» rendono evidente come il singolo imprenditore, ottenuta dal
p.u. la promessa di vittoria nella gara attraverso la promessa di tangente, debba attivarsi, anche sul fronte degli imprenditori
privati, per avere una «garanzia», anche da parte loro, della
concreta realizzazione dell'accordo corruttivo.
L'attività, nei confronti degli altri imprenditori, si concreta es
senzialmente in apposite intese ed in specifici accordi diretti, da
un lato, ad ottenere un'astensione dalla gara di imprese effettiva
mente concorrenti e, dall'altro, a creare «cordate» di imprese col
legate che possano garantire la vittoria nella gara, mediante la par
tecipazione alla gara stessa, l'accordo sulle offerte da presentare
o persino la promessa di rinuncia in caso di risultato non confor
me a quello stabilito sulla base dell'accordo corruttivo.
L'ambito in cui tale attività si estrinseca è totalmente sottrat
to all'influenza del p.u. Quest'ultimo potrà agevolare la forma
zione di una cordata, operando sugli inviti alla gara o sui termi
ni di pubblicazione del bando; potrà facilitare gli accordi sulle
offerte da presentare, in funzione della effettiva aggiudicazio
ne, comunicando i limiti della scheda segreta; potrà anche limi
tarsi a prendere atto di eventuali rinunce finalizzate a consenti
re l'effettiva realizzazione dei patti intercorsi fra imprenditori;
tuttavia, questa, eventuale, incidenza di singoli atti del pubblico
funzionario è sempre successiva agli accordi intercorsi fra im
prenditori, si verifica cioè solo dopo che tali accordi sono stati
stipulati e dopo che lo stesso p.u. ha ricevuto specifiche indica
zioni dall ' imprenditore-corruttore.
L'iniziativa e la concreta stipula di questi accordi sono comun
que proprie del privato imprenditore in quanto si estrinsecano
in un'«area» nella quale il pubblico ufficiale non ha alcun pote
re e nella quale vige il principio dell'iniziativa privata, principio che i privati imprenditori impongono anche allo stesso pubblico
funzionario, al quale non consentono devianze. Significativa in
proposito è la vicenda Fossati, che agli inizi della presidenza di
Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, viene «imposto» da Chiesa agli
altri imprenditori, rompendo le logiche di cartello e tutti gli ac
cordi previgenti fra imprenditori sulle aree di reciproca «perti
nenza» nel mercato delle commesse pubbliche ospedaliere.
Fossati, dopo la prima vittoria ottenuta con un accordo
corruttivo stipulato senza l'intermediazione del «cartello» delle
imprese milanesi, è indotto a stipulare degli accordi con tale
cartello; e Chiesa, a ben vedere, non può far altro che prendere
atto dell'amara constatazione di Fossati, già citata e consentire
spazio all'Ifg-Tettamanti. All'esito dell'analisi sin qui condotta sulle diverse procedure
di aggiudicazione degli appalti e sulle diverse fasi in cui tali pro cedure si articolano, si può giungere ad alcune constatazioni con
clusive, che consentono di ricondurre alla fattispecie della corru
zione propria tutti i fatti-reato contestati al Chiesa, con la sola
eccezione dei fatti-reato derivanti dai rapporti intercorsi fra Chiesa
e Magni, fattispecie che, per le ragioni già esposte, sono invece
da ricondurre allo schema normativo della concussione.
Una prima constatazione s'impone con evidenza.
Nell'ambito delle diverse procedure legali finalizzate all'ag
giudicazione degli appalti, il privato imprenditore ed il pubblico funzionario concorrono, ciascuno con una propria attività ma
li Foro Italiano — 1994 — Parte II-8.
teriale, a determinare il contenuto dell'atto finale della proce
dura, anzi «cooperano», con attività che si integrano reciproca
mente, a determinare quel risultato.
Tale cooperazione, che s'instaura in diverse fasi della proce dura amministrativa, incide su situazioni di fatto che fungono da presupposto degli atti della procedura stessa e si concreta,
essenzialmente, in una artificiosa manipolazione dei presuppo sti di fatto in modo tale che, all'esito della procedura, si deter
mini, in modo certo, uno specifico risultato; la «vittoria alla
gara» non è, in altri termini, il risultato della sola attività del
pubblico funzionario, ma è il risultato anche dell'attività del
privato, attività che, integrandosi e coordinandosi con quella del p.u., riesce a conseguire il risultato utile.
Proprio tale cooperazione costituisce la prova evidente della
sussistenza di un accordo corruttivo: si coopera, infatti, solo
in vista di un determinato risultato e solo in quanto c'è la con
sapevolezza non solo di tale risultato, ma anche della necessità
della cooperazione altrui e della disponibilità altrui a prestare tale forma illecita di collaborazione.
La prova dell'accordo corruttivo emerge con maggiore evi
denza se si considera l'ambito in cui si collocano le attività con
correnti del privato e del p.u., ed i presupposti di fatto su cui
tali attività incidono. Nonostante la molteplicità di forme, la cooperazione prestata
dal privato incide su uno specifico presupposto del procedimen to amministrativo di aggiudicazione: la pluralità dei concorren
ti; al privato viene, di fatto, demandata l'individuazione dei
partecipanti alla gara ed il compito di creare, nel corso della
gara stessa, artificiosamente la pluralità dei concorrenti in fun
zione di quello che dovrà essere il risultato finale.
Tale cooperazione postula necessariamente un accordo in po sizione di parità, anteriormente intervenuto con il p.u.: l'indivi
duazione dei concorrenti demandata al privato viene effettuata
in funzione della concreta realizzazione di quell'indebito van
taggio, la certezza della vittoria nella gara, previamente concor
dato con il pubblico funzionario. Ed è palese che, solo cono
scendo quello che dovrà essere il risultato finale, la cernita dei
concorrenti, sul mercato, può essere fatta utilmente in funzione
di tale risultato e che, solo volendo il risultato, ci si attiva per
realizzarlo.
Inoltre, va sottolineato come, in questa attività di individua
zione dei concorrenti, il privato operi su un piano di parità di
posizione nei confronti del p.u.; la selezione viene infatti effet
tuata dal privato in un campo nel quale il pubblico ufficiale,
non esplica né può esplicare alcun potere, connesso alla sua
funzione, che possa determinare una qualsiasi forma di metus,
sia perché non è dotato di alcun potere specifico di intervento
sia perché l'area in cui si svolge questa particolare attività del
privato è totalmente al di fuori del campo di operatività del
p.u. essendo integralmente riservata all'iniziativa privata: le in
tese per la gara e gli accordi di cartello, diretti ad una pianifica
ta ripartizione delle opportunità presenti nel particolare settore
del mercato delle commesse pubbliche, sono attività proprie dei
privati imprenditori. Si tratta ancora di un'attività assolutamente libera, non de
terminata da alcuna forma di coartazione proveniente dal p.u.:
è un'attività che non forma oggetto dell'illecita pretesa da parte
del p.u. e che non è qualificabile in alcun modo come «mezzo»
per eludere il danno prospettato dal p.u.; si tratta di un'attività
ulteriore rispetto al «dare», che, nello schema tipico della con
cussione, viene prospettato al privato come unico mezzo per
sfuggire al male minacciato; quest'attività ulteriore costituisce
un'anomalia rispetto alla normale logica, in quanto chi è coar
tato nella volontà non pone in essere atti ulteriori rispetto a
quelli che sono indispensabili per eludere il danno prospettato
e conseguente al rifiuto ad aderire all'illecita pretesa.
L'attività del privato per la realizzazione del vantaggio inde
bito, la vittoria nella gara, presuppone, anche in fasi diverse
del procedimento amministrativo e nel corso del procedimento
stesso, atti del pubblico funzionario, atti che sono posti in esse
re in violazione di specifici doveri d'ufficio e che incidono, co me l'attività del privato, sulla «concorrenza in gara».
Si tratta di atti che, talvolta, si pongono come presupposto
di un'ulteriore attività riservata al privato, altre volte la presup
pongono; si tratta comunque di atti o di attività del pubblico
ufficiale che si integrano e si coordinano con quelli del privato, per cercare un'artificiosa concorrenza nel procedimento ammi
nistrativo diretto all'aggiudicazione dell'appalto. Il privato non solo conosce quelli che saranno gli atti o le
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PARTE SECONDA
attività che il p.u. porrà in essere per rendere effettivo quel
vantaggio, ma ha anche la certezza che tali atti verranno posti in essere, in conseguenza o come presupposto della propria at
tività. Quando infatti il privato individua, sul mercato dei possibili
concorrenti, quelli che gli consentiranno la vittoria in gara e
comunica al pubblico funzionario i nomi delle imprese da invi
tare alla gara od i criteri da inserire nel bando di gara, sa pre ventivamente che le sue indicazioni verranno «recepite» dal pub blico funzionario, il quale concretizzerà tali indicazioni, limi tando il novero delle imprese da invitare alla gara, introducendo
nel bando di gare le «griglie» di requisiti suggerite, riducendo i tempi e le forme di pubblicità dei bandi.
Il privato imprenditore sa ancora che, una volta iniziata la
procedura di aggiudicazione, potrà contare su un ulteriore ele
mento, la conoscenza del contenuto della scheda segreta, cono
scenza che gli deriverà dal pubblico funzionario e gli consentirà
di modellare, in vista del risultato predeterminato, le offerte
in gara. Gli atti e/o le attività che il pubblico ufficiale compie, per creare un'artificiosa concorrenza in gara, sono poi in netta
violazione dei doveri del suo ufficio. Infatti, nel momento in
cui il pubblico ufficiale in funzione delle indicazioni provenienti dal privato imprenditore, limita l'invito alla gara a determinati
imprenditori o restringe le forme od i tempi della pubblicità dei bandi, anche scegliendo appositamente periodi di pubblica zione ristretti o di scarsa «attenzione», oppure quando recepi sce le indicazioni del privato per inserire, nel bando di gara,
«griglie» di requisiti approntate al solo scopo di escludere dalla
gara un certo numero di concorrenti, non solo coopera con il
privato imprenditore nel creare una fittizia concorrenza in gara, ma pone in essere specifici atti contrari ai suoi doveri d'ufficio, in particolare al dovere di imparzialità e di esclusività; è palese infatti che con i predetti atti o con la predetta attività si viene
a restringere ed a limitare l'ambito di scelta offerto all'ente ap
paltante, subordinando l'interesse pubblico all'interesse di de
terminati o di un determinato concorrente: l'accesso alla gara viene di fatto consentito non a tutti gli imprenditori in possesso di adeguate capacità tecnico-economiche, ma solo a quegli im
prenditori che consentano all'imprenditore predestinato alla vin
cita, sulla base dell'accordo corruttivo, di realizzare il proprio indebito vantaggio.
Ancora più evidente è la violazione specifica dei doveri d'uf
ficio nel caso della preventiva comunicazione, fatta dal pubbli co ufficiale al privato imprenditore, del contenuto della c.d.
scheda segreta, comunicazione che, nel caso di specie, sembra
essere l'elemento più ricorrente nelle gare considerate. È pacifi co infatti che la violazione dell'obbligo di mantenere segreto il contenuto della scheda integra un comportamento contra le
gem del p.u., posto che si tratta di violazione di un dovere
espressamente previsto da specifiche norme, (ad esempio, art.
75 regol. cont., art. 15 dello statuto degli impiegati civili dello
Stato), persino penalmente sanzionato (326 c.p.); sotto questo
profilo la violazione al principio di legalità appare palese. Non
è però solo il principio di legalità a costituire il parametro di riferimento a cui commisurare la contrarietà ai doveri d'ufficio di tale comportamento del pubblico ufficiale.
Lo specifico obbligo del segreto è infatti imposto al pubblico funzionario perché sia assicurata un'effettiva concorrenza fra
le offerte in gara; comunicando i limiti della scheda segreta, il pubblico ufficiale consente ad un dato imprenditore non solo di collocare la sua offerta nei limiti della c.d. forbice e quindi fra le offerte ammesse in gara, ma consente anche a quello stes so imprenditore di «modellare» le varie offerte in gara in fun
zione del risultato finale, grazie a precedenti intese con altri
imprenditori che si presentano alla gara in funzione di mero
appoggio del vincitore predestinato. La violazione dell'obbligo del segreto comporta, quindi, an
che una violazione del dovere d'imparzialità e di esclusività o di fedeltà: con la comunicazione preventiva del contenuto della
scheda segreta, il pubblico ufficiale altera innanzi tutto la pari tà di condizione dei diversi concorrenti, creando una situazione
di vantaggio per colui (o coloro) a cui viene comunicato il pre detto contenuto, e conseguentemente altera, in funzione dell'in
teresse del privato imprenditore ed in pregiudizio dell'interesse
dell'ente pubblico, l'intero meccanismo di determinazione del
«prezzo» di aggiudicazione. Un ulteriore aspetto di tutta la «cooperazione» che s'instaura
tra pubblico funzionario e privato imprenditore a seguito del l'accordo corruttivo merita di essere sottolineata.
Il Foro Italiano — 1994.
La pluralità dei concorrenti ed il libero confronto fra gli stes
si sono elementi essenziali dei diversi procedimenti amministra
tivi previsti per l'aggiudicazione delle gare d'appalto e sono an
che l'elemento determinante della gara: il risultato della gara
dipende infatti dal campo, più o meno vasto, di scelta offerto
alla pubblica amministrazione dal raffronto delle diverse offerte.
Con la artefatta creazione della pluralità dei concorrenti alla
gara, funzionale all'esecuzione dell'accordo corruttivo, si pon
gono invece quei presupposti di fatto necessari, se non indi
spensabili, per la realizzazione dell'accordo corruttivo, nel for
male rispetto delle procedure amministrative previste dall'ordi
namento. Si fornisce, in altri termini, al p.u. la possibilità di innestare i procedimenti amministrativi, in un contesto di asso
luta, ma apparente regolarità formale dei singoli atti, su una
situazione oggettiva appositamente creata in vista di quel risul
tato predeterminato ed oggetto specifico dell'accordo corrutti
vo. Con la strumentale creazione della pluralità dei concorrenti, viene salvaguardato l'aspetto esteriore del procedimento, che, salvo taluni aggiustamenti, potrà svolgersi nell'apparente, ma
assoluto rispetto del principio di legalità, ma, nella sostanza, il procedimento viene totalmente svuotato di contenuto: diventa
una mera veste formale, peraltro necessaria perché le scelte fat
te, in base agli accordi cornuti vi, resistano a controlli e ad im
pugnative; in realtà, nonostante le apparenze, la scelta concor
suale, finalizzata a far acquisire alla pubblica amministrazione
il contratto più conveniente e fondata sul libero confronto dei
prezzi offerti da una pluralità di concorrenti, è, di fatto, insus
sistente, con conseguente elusione del principio di legalità e di
sostanziale violazione del principio di imparzialità. (Omissis)
TRIBUNALE DI MARSALA; ordinanza 26 gennaio 1994; Pres.
ed est. Petralia; imp. Bastone ed altri.
TRIBUNALE DI MARSALA;
Misure cautelari personali — Custodia cautelare in carcere —
Sospensione dei termini — Presupposti — Fattispecie (Cod.
proc. pen., art. 304).
L'operatività dell'istituto della sospensione dei termini di dura
ta della custodia cautelare nella fase del giudizio è vincolata
ex art. 304, 2° comma, c.p.p. alla sussistenza del duplice pre
supposto di una imputazione riconducibile ad alcuno dei reati
indicati dall'art. 407, 2° comma, lett. a), c.p.p. e di un dibat timento che si presenti dallo svolgimento particolarmente com
plesso; di quest'ultimo requisito, che deve presentarsi con ca
ratteristiche specifiche di peculiarità, il giudice deve dare con
tezza in termini di adeguata motivazione. (1)
(Omissis). L'operatività dell'istituto della sospensione nel ca
so di specie è vincolata alla ricorrenza del duplice presupposto di un'imputazione — ovviamente afferente ad ogni singolo sog
getto nei confronti del quale è chiesta la peculiare disciplina cautelare — riconducibile ad alcuno dei reati indicati dall'art.
(1) In senso sostanzialmente conforme, v. Cass. 23 maggio 1991, Cor
tese, Foro it., Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 367, e, in extenso, Giust. pen., 1991, III, 675, secondo cui la motivazione del l'ordinanza che dispone la sospensione dei termini di durata della cu stodia cautelare a norma dell'art. 304, 2° comma, c.p.p. non può con sistere in mere formule di stile ovvero nel generico richiamo al numero
degli imputati ovvero al numero delle «pagine» dell'incarto processua le, ma deve estrinsecarsi in riferimento concreto alle specifiche ragioni che giustificano la sospensione.
La dottrina, dal canto suo, osserva che la mancata previsione nel l'art. 304, 2° comma, c.p.p. di parametri espliciti in ordine alla partico lare complessità del dibattimento non soddisfa «le esigenze di determi natezza» imposte dalla Costituzione in tema di sacrificio della libertà
personale [cosi Zappalà, Le misure cautelari (Siracusano - Calati -
Tranchina), Diritto processuale penale, Milano, 1994,1, 489 s.; analo
gamente v. Illuminati, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 238, sub art. 304],
Nel senso che la sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'art. 304, 2° comma, c.p.p. non si riferisce esclusivamente al tetto massimo di cui al 4° comma dello stesso articolo, ma dispiega i suoi effetti anche in relazione ai termini intermedi e di fase, cfr. Cass., sez.
un., 1° ottobre 1991, Alleruzzo, Foro it., 1992, II, 65.
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