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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 novembre 1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo;...

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sentenza 23 novembre 1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. Milazzo Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 225/226-259/260 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188460 . Accessed: 25/06/2014 03:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.66 on Wed, 25 Jun 2014 03:38:22 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 novembre 1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. Milazzo

sentenza 23 novembre 1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. MilazzoSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.225/226-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188460 .

Accessed: 25/06/2014 03:38

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GIURISPRUDENZA PENALE

Diritto. — Il ricorso è fondato e merita accoglimento. L'ordinanza impugnata ha rigettato il ricorso ritenendo che

il decreto di perquisizione e di sequestro, predisposto dal procu ratore della repubblica presso il Tribunale di Palmi, debba con

siderarsi formalmente e sostanzialmente corretto, essendo stato

disposto con idonea motivazione per rintracciare cose pertinenti a reato.

L'opinione espressa dal giudice del riesame non risulta sorret

ta da adeguata motivazione, essendosi risolta in un apodittico riconoscimento della legittimità del decreto emesso dal p.m., senza il minimo esame delle ampie e argomentate doglianze de

dotte a sostegno della richiesta di riesame.

Pronunciando su una fattispecie perfettamente analoga a quella in esame, questa corte ha recentemente ribadito che la perquisi

zione, che è mezzo di ricerca della prova, presuppone l'esisten

za di un fondato motivo che consenta di ritenere che il corpo del reato o cose pertinenti al reato si trovino sulla persona di

un determinato soggetto o in un determinato luogo, sicché è

essenziale la previa individuazione del thema probandum ed è

necessaria l'esistenza di indizi di rilievo convergenti, in riferi

mento ad una concreta figura di reato, verso la probabilità di

rinvenimento della res oggetto della ricerca: è stato conseguen temente stabilito che qualora si proceda in base a semplici so

spetti o illazioni e in difetto di un concreto nesso strumentale

con una determinata attività criminosa, la perquisizione e il se

questro ad essa conseguente si trasformano da mezzo di ricerca

della prova in mezzo di acquisizione di una notitia criminis, come tale inammissibile perché lesivo della libertà individuale

lato sensu, che ha i suoi referenti negli art. 13 e 14 Cost. (Cass., sez. I, 22 aprile 1993, Zappoli Thirion). Identici principi erano

stati già enunciati dalla Suprema corte che, nell'affermare l'ille

gittimità di una perquisizione disposta in base a mere congettu re o sospetti, ha posto in luce che, nel nuovo codice di rito,

è indubbia la sussistenza di uno stretto rapporto funzionale tra

l'atto di ricerca della prova (perquisizione) e la sua materiale

apprensione (sequestro), ritenendo illegittimo il sequestro di do

cumenti operato in base ad un decreto di perquisizione assolu

tamente carente di motivazione (Cass., sez. V, 13 marzo 1992,

ric. Casini). Nell'ordinanza impugnata risultano completamente disattesi

i principi di diritto testé indicati, la cui applicazione avrebbe

impedito al Tribunale di Reggio Calabria di riconoscere la legit timità formale e sostanziale del decreto in data 5 aprile 1993

del procuratore della repubblica di Palmi e avrebbe condotto

a riconoscere la palese illegittimità della perquisizione e del se

questro presso la loggia massonica Risorgimento-Vili agosto di

Bologna e presso l'abitazione del maestro venerabile, Lenzi Ugo.

Invero, sulla base di una valutazione compiuta in una corretta

prospettiva, rispondente alle regole sopra indicate, il tribunale

non avrebbe potuto non rilevare immediatamente che il p.m. non aveva individuato ipotesi criminose concrete né elementi

fattuali specifici e precisi, essendosi limitato l'organo inquirente ad enunciare ipotesi di reato vaghe e non determinate attraver

so meri riferimenti normativi (art. 416 c.p. e art. 1 e 2 1. 25

gennaio 1982 n. 17) e l'indicazione di una «attività illecita di

natura massonica», che non apporta, di per sé, un qualsiasi

apprezzabile contributo all'esigenza di formulazione, sia pur som

maria, di una specifica fattispecie criminosa.

Il tribunale del riesame ha altresì omesso di rilevare che l'in

determinatezza dell'oggetto dell'accusa ha reso indeterminato

anche l'oggetto della perquisizione e del sequestro che, difatti,

sono stati disposti ai fini dell'acquisizione in originale o in co

pia di qualsivoglia documentazione riferibile direttamente o in

direttamente ai fatti per cui si procede, come corrispondenze,

liste, agende di qualsiasi tipo, computers, appunti, ecc.

Infine, deve porsi in risalto che, se fossero stati adottati esatti

criteri giuridici, il giudice del riesame avrebbe potuto agevol

mente constatare che la mancanza di dati precisi e concreti si

è tradotta inevitabilmente nell'assoluta carenza di indizi che pos

sano considerarsi in qualche modo convergenti in direzione di

una determinata ipotesi di reato, onde non avrebbe potuto di

13 marzo 1992, Casini, Cass, pen., 1993, 393. Sostanzialmente confor

me, con riferimento però solo al sequestro probatorio, Cass. 25 giugno

1990, Isola, Foro it., Rep. 1991, voce Sequestro penale, n. 17. Cfr.,

altresì, Cass. 12 novembre 1990, Galluzzo, ibid., n. 20, ove si afferma

che, affinché sia legittimo un sequestro preventivo o probatorio, è ne

cessario che vi siano indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla

sussistenza ed attribuibilità del reato.

Il Foro Italiano — 1994.

sconoscersi che a base del decreto del p.m. erano state addotte

semplici congetture e che, in definitiva, il provvedimento costi

tuiva più che un mezzo di acquisizione della prova, uno stru

mento di ricerca della notitia criminis.

A conclusione delle precedenti considerazioni, deve ricono

scersi che la totale mancanza di motivazione inficia non solo

l'ordinanza impugnata, ma anche il decreto del p.m., che, in

palese violazione degli art. 247 e 253 c.p.p. e, prima ancora

dell'art. 14 Cost., non può in alcun modo considerarsi come

un atto motivato idoneo a giustificare la perquisizione e il se

questro. Di conseguenza, questa corte deve pronunciare l'an

nullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti.

I

CORTE D'APPELLO DI CATANIA; sentenza 23 novembre

1993; Pres. Migliorisi, Est. Russo; imp. Milazzo.

CORTE D'APPELLO DI CATANIA;

Concussione — Reato — Estremi — Fattispecie (Cod. pen., art. 317, 318, 319).

Sussiste il reato di concussione, anziché quello di corruzione, ove il pubblico ufficiale, abusando della sua qualità o dei

suoi poteri, ottenga con violenza psicologica od inganno una

prestazione indebita, ancorché il soggetto concusso lucri un

indebito vantaggio, in quanto l'eventuale utilità del privato non è, astrattamente e praticamente, incompatibile con la vio

lenza o l'inganno usati dal soggetto concussore (nella specie, è stata ritenuta colpevole di concussione una dipendente della

motorizzazione civile, incaricata di effettuare gli esami di pa

tente, che costringeva o comunque induceva alcuni candidati

a dare indebitamente danaro con la minaccia che, diversa

mente, essi non sarebbero stati promossi all'esame di guida

appena sostenuto). (1)

II

CORTE D'APPELLO DI MILANO; sentenza 8 ottobre 1993; Pres. ed est. Caccamo; imp. Armanini.

Concussione — Reato — Estremi — Fattispecie (Cod. pen., art. 317, 318, 319).

L'elemento che caratterizza precipuamente il delitto di concus

sione — e che rileva in maniera decisiva nel distinguerlo dal

delitto di corruzione — è lo stato di soggezione del privato, molto spesso un imprenditore, di fronte al titolare di una pub blica funzione; che poi dalla «elargizione» siano derivati al

l'imprenditore, oltre al vantaggio di una gestione normale del

rapporto contrattuale in atto, altri vantaggi maturati nella pro

(1-3) Le pronunce su riprodotte si segnalano all'attenzione perché af

frontano il controverso problema della distinzione tra i reati di concus sione e corruzione sia in un contesto di criminalità episodica individuale

(v. App. Catania sub 1), sia — ed è certamente l'aspetto più interessan

te — all'interno di quel sistema di illegalità diffusa che va ormai sotto

il nome di «Tangentopoli» (v. App. e Trib. Milano sub 2 e 3).

Soprattutto l'ampia e argomentata motivazione della sentenza del g.i.p. del tribunale milanese, che ha condannato con giudizio abbreviato Ma

rio Chiesa (e cioè quel celebre pubblico amministratore, col cui arresto

«è saltato quel 'tappo' che aveva compresso l'iniziativa dei magistrati fin dagli anni del centro-sinistra»: cfr. Ricolfi, L'ultimo parlamento. Sulla fine della prima repubblica, Roma, 1993, 37), assurge a documen

to storico di alcune tecniche operative tipicamente invalse nel sistema

di corruzione che ha visto come protagonisti imprenditori e politici del

l'era «craxiana» (per un approfondimento del fenomeno sul piano socio

politologico, cfr., oltre alla indagine di Ricolfi, cit., Sapelli, Clepto

crazia, Milano, 1994). I. - La tesi della compatibilità tra la concussione e l'ingiusto vantag

gio conseguito dal soggetto concusso, affermata da App. Catania nella

massima sub 1 e sia pure con limitazioni da App. Milano nella massima

sub 2, non è priva di precedenti nella stessa giurisprudenza di legittimi tà: cfr. Cass., sez. un., 27 novembre 1982, Dessi (cit. in motivazione

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PARTE SECONDA

pressione dei rapporti con la pubblica amministrazione non

sposta la qualificazione giuridica del fatto nell'alveo della cor

ruzione, sempre che gli ulteriori vantaggi non fossero stati

anche parzialmente la causa anche non determinante della elar

gizione stessa (fattispecie relativa all'assessore dello stato civi

le del comune di Milano Walter Armanini, responsabile di aver imposto «tangenti» ad alcuni imprenditori aggiudicatari di appalti per lavori da effettuarsi nei cimiteri e nell'obitorio

dell'istituto di medicina legale). (2)

III

TRIBUNALE DI MILANO; sentenza 28 novembre 1992; Giud.

ind. prel. Ghitti; imp. Chiesa e altri.

Corruzione — Corruzione propria — Reato — Estremi — Fat

tispecie (Cod. pen., art. 317, 319).

Premesso che nell'ambito di un «sistema di illegalità diffusa» il rapporto tra il pubblico funzionario e il privato non si esau

risce in alcuni atti essenziali ma si articola in una pluralità di comportamenti teleologicamente coordinati al conseguimento di vantaggi ingiusti, si configura il reato di corruzione pro

pria, e non già quello di concussione, allorché con le dazioni di danaro al pubblico ufficiale i privati imprenditori perse guano un ingiusto vantaggio e cooperino, con attività che si

integrano reciprocamente nelle diverse fasi della procedura am

ministrativa per l'aggiudicazione di appalti, al raggiungimen to del precostituito risultato finale (fattispecie relativa a Ma

rio Chiesa, presidente dell'ospedale Pio Albergo Trivulzio di

Milano, responsabile di aver ricevuto «tangenti» quale corri

spettivo dell'assegnazione di appalti ad alcune imprese). (3)

I

(Omissis). La qualificazione giuridica. § 10. 10.1. - Siccome l'attività amministrativa deve rispondere ai requisiti della con

formità a legge, del buon andamento e dell'imparzialità (art. 97 Cost.), l'atto amministrativo — e tale è anche la valutazione

di un esame di guida — deve essere legittimo e lecito; un tralati

cio orientamento lo presume legittimo, fino a che non venga

di App. Catania), Giusi, pen., 1983, II, 257, e massimata in Foro it., Rep. 1983, voce Concussione, n. 14; 27 ottobre 1983, Burlando, id., Rep. 1984, voce cit., n. 10; 9 febbraio 1990, Squeo id., Rep. 1992, voce cit., n. 6 e Riv. pen. economia, 1992, 110, con nota di Palombi

(fattispecie in tema di tangenti pagate da imprenditori per ottenere l'ag giudicazione di appalti).

App. Catania, in particolare, si sforza di suffragare l'assunto soste nuto facendo leva su di un (discutibile) riferimento analogico alla disci

plina civilistica del contratto: sotto il profilo che — come si legge in motivazione — «nei casi di negozio viziato da violenza o da dolo (casi cui corrispondono, sul versante penalistico, i due tipi di concussione), la sanzione invalidante non è la nullità sibbene l'annullabilità, la cui concreta attivazione è rimessa al privato (senza potere essere rilevata d'ufficio dal giudice), proprio perché nulla esclude a priori che il priva to possa acquietarsi anche dinanzi a tale tipo di contratto viziato, se ne intraveda, per esempio, una qualche utilità complessiva».

II. - La problematica che più travaglia l'elaborazione dogmatica e la prassi applicativa della fattispecie di concussione, cioè quella della sua di stinzione dalla corruzione, diventa ancora più acuta nell'ambito di un si stema di illegalità diffusa, in quanto i contorni dei comportamenti e dei ruoli appaiono sfumati e confusi, con il passggio del privato dalla posi zione di concusso a quella di corruttore e viceversa. (È proprio per supe rare questa travagliata distinzione che lo «Schema di delega legislativa per l'emanazione di un nuovo codice penale», in Documenti giustizia, 1992, 305 ss., riprende la proposta di introdurre la fattispecie incriminatrice in termedia della cosiddetta «concussione ambientale», consistente nel fatto del pubblico agente che riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un ter zo, denaro o altra utilità patrimoniale, sfruttando l'altrui convinzione, de terminata da situazioni ambientali, reali o supposte, di non poter altri menti contare su un trattamento imparziale).

Non a caso, questa problematica è fatta oggetto di riconsiderazione da parte del g.i.p. del Tribunale di Milano nella ormai notissima vicen da di Mario Chiesa.

Con l'obiettivo di adeguare l'elaborazione tradizionale a un contesto caratterizzato da illegalismo sistematico, il giudice muove da questa pre messa metodologica: «Va (. . .) notato che rispetto all'ottica tradizio nale, non mutano i criteri di differenziazione fra le due fattispecie di concussione e di corruzione, si amplia semplicemente l'ambito degli ele menti oggettivi entro il quale ricercare i dati che qualificano penalmente

Il Foro Italiano — 1994.

utilmente impugnato nella sede competente. Esso può, comun

que, essere conforme o non alla legge; lo sia o non lo sia, può

poi arrecare un'utilità od un danno al privato che in qualche modo ne sia destinatario (utilità e danno identificati — si inten de — dal punto di vista del privato).

10.2. - Se l'amministrazione pubblica è regolata (anche) dalla norma costituzionale sopra ricordata e se essa costituisce fun

zione, è evidente che essa non può essere oggetto di atti disposi tivi: l'atto amministrativo è inalienabile ed incommerciabile; i trasgressori (privati o pubblici ufficiali che siano) commettono il reato di corruzione: tale il precetto che si ricava univocamen

te dalla disciplina dei reati di corruzione. In prima battuta si

potrebbe pensare che il privato «acquisti» l'atto amministrativo

allorché, se legittimamente emesso, gli sarebbe sfavorevole (nel senso sopra detto), e quindi proprio allo scopo di mutarlo in

suo vantaggio: la corruzione si comprende meglio se con essa

il privato intenda volgere (se pure con atti illegittimi) in suo favore l'attività amministrativa. Ma all'ordinamento interessa che non si barattino neppure gli atti legittimi, e cioè quelli do

vuti al privato; ecco perché viene punita non solo la corruzione

propria, ma anche quella impropria. In entrambi i casi (ma spe cialmente nell'alternativa propria), entrambi i soggetti del reato

ricavano una qualche utilità (sicché è stato facile affermare che

nella corruzione il privato certat de lucro captando), mentre è certo il danno della pubblica amministrazione. Il reato si com

mette con la ricezione di una retribuzione, ma esso sottende,

dunque, un libero accordo, che viene confermato ed eseguito dalla prestazione della retribuzione stessa.

10.3. - Nel diritto civile è noto che anche i contratti possono essere viziati e che lo sono principalmente quando viziato sia il volere dei paciscenti. Ma, guardando alla fisiologia contrat

tuale, si è parlato finora di alienazione e di baratto per rimarca

re che, nella corruzione, privato e pubblico ufficiale [In una

schematizzazione cosi scarnificata è tollerabile qualche semplifi cazione: in realtà, tanto della corruzione (art. 320 c.p.) quanto della corruzione (art. 317 c.p.) risponde anche l'incaricato di un pubblico servizio] stanno sul medesimo piano, e cioè su un

piano di assoluta parità, si da potersi pensare ad essi come a

due soggetti che (illecitamente si, ma) liberamente contrattino

e concordino: l'essere sceleris nulla toglie al pactum. Ben altra

situazione si verifica, invece, allorché il privato subisce l'anghe

il rapporto instauratosi fra il privato contraente ed il pubblico ufficiale». Fatta questa premessa metodologica, la distinzione tra le due figure

di reato viene operata alla stregua di quella prospettiva di fondo, che

corrisponde all'indirizzo oggi dominante: mentre la corruzione è carat terizzata da un libero accordo, per cui le parti agiscono su di un piano di parità, nella concussione il privato si trova invece in una condizione di soggezione e la sua volontà è viziata da timore o errore (cfr., tra le tante, Cass. 29 settembre 1972, Alù, cit. in motivazione, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 3 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1974, 729, con nota di Neppi Modona; sez. un. 27 novembre 1982, Dessi, cit.; 4 luglio 1983, Pacillo, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 12; 31 gennaio 1986, Ferrari, id., Rep. 1987, voce cit., n. 9; 10 giugno 1989, Teardo, id., Rep. 1990, voce cit., n. 6).

Quanto al problema di individuare quando nei diversi casi concreti sussista uno stato di soggezione o una condizione di parità, si respinge innanzitutto il parametro tradizionale dell'«iniziativa» proveniente dal pubblico agente o dal privato, considerato ormai obsoleto o inadeguato dalla stessa giurisprudenza prevalente: cfr. Cass. 2 dicembre 1987, Can none, id., Rep. 1988, voce cit., n. 7; 10 giugno 1989, Teardo, cit.; 9 febbraio 1990, Squeo, cit. Ma si reputa, altresì, da solo inadeguato l'altro criterio ravvisato nel «profitto ingiusto» perseguito dal privato: cosi invece, ad esempio, Cass. 15 aprile 1969, Di Fonzo, cit. in motiva zione, id., 1970, II, 161, con nota di Boschi.

Piuttosto, si ritiene che il criterio discretivo più idoneo a fungere da elemento diagnostico della corruzione, specie in un contesto di ille galità diffusa, sia costituito dalla partecipazione o collaborazione del privato alla complessa procedura che sfocia poi, soltanto come risultato finale, nell'atto del pubblico funzionario e nel compenso da parte del privato: per spunti in questo senso, v. già Cass. 10 novembre 1971, Tartaro, cit. in motivazione, id., 1973, II, 221.

Sul problema della distinzione tra concussione e corruzione, v., di recente, in dottrina, Palombi, in Riv. pen. economia, 1992, 110; Arcie ri, in Giur. merito, 1992, 1287; Segreto - De Luca, I delitti dei pub blici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1991, 378; Grosso, Corruzione, voce del Digesto pen., Torino, 1989, III, 166; Be nussi, in Indice pen., 1985 , 409.

Sulla diversa questione della idoneità delle prestazioni sessuali a inte grare il concetto di «altra utilità» ex art. 317 c.p., cfr., di recente, in senso affermativo, Cass., sez. un., 11 maggio 1993, Romano, Foro it., 1993, II, 552.

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GIURISPRUDENZA PENALE

ria o l'astuzia del pubblico ufficiale, il quale, abusando ovvia mente della sua autorità, rispettivamente costringe e induce il

civis a dare o promettere l'indebito. Qui il privato, lungi dal porsi su un piano di parità con il pubblico ufficiale, ne diventa

vittima [Il criterio che fa perno sulla provenienza della iniziati

va illecita (del p.u. nella concussione; del privato nella corru

zione), a lungo dominante nella nostra cultura giuridica, è stato

da tempo abbandonato. Dopo l'introduzione nell'art. 322 c.p. dei commi 3 e 4, criterio siffatto, d'altronde, non avrebbe nep pure il vantaggio della semplicità. Nella vicenda in esame l'ado

zione di criterio siffatto porterebbe a ravvisare il reato di con

cussione, essendo stati richiesti, il denaro e la promessa, dalla

Milazzo, per tramite dell'illustre]. Come nella corruzione, si può anche immaginare — si badi — un accordo tra pubblico uffi

ciale e privato confermato ed eseguito per mezzo della presta zione del privato; ma nell'ipotesi qui passata in rassegna (a dif

ferenza di quanto avviene nella corruzione) il volere del privato è comunque viziato, o dalla violenza del pubblico ufficiale (vio lenza che un tralaticio insegnamento qualifica metus publicae

potestatis) ovvero dal suo dolo [Se, infatti, il p.u. approfittasse dell'errore in cui versa il privato, non indotto da lui, si verse

rebbe nell'ipotesi di peculato prevista dall'art. 316 c.p.], sicché

non può affermarsi certamente che egli abbia voluto liberamen

te la prestazione a suo carico: alla prevaricazione del p.u. corri

sponde uno stato di ingiusta soggezione del privato. Da qui la

sottoposizione del p.u. ad una sanzione penale molto più grave di quella prevista per la corruzione: infatti, non viene leso sol

tanto l'interesse alla legittimità dell'attività amministrativa, ma

è offesa anche la libera determinazione dei privati (e proprio brandendo come arma di ricatto, ovvero piegando a strumento

di inganno, la funzione amministrativa) [Questa maggiore com

plessità in termini di beni giuridici tutelati, in ragione della qua le la concussione si può considerare in qualche modo come una

fattispecie che (essendo di raggio più ampio) ricomprende gli estremi della corruzione, traspare anche da taluni risvolti pro cessuali (v. infra sub)].

10.4. - L'apparente semplicità e schematicità di questa (fin

troppo) sommaria analisi differenziale tra corruzione (propria ed impropria) e concussione (cosi chiamasi nel nostro ordina

mento il descritto sopruso o inganno del pubblico ufficiale) —

è destinata ad appannarsi in alcune ipotesi niente affatto stati

sticamente marginali. In particolare, se con la sua prestazione

(reale od obbligatoria, ma comunque) indebita, il privato in fin dei conti lucra un vantaggio illegittimo (ottenendo quindi un

provvedimento illegittimo, ma per lui utile) tutto lascerebbe pen

sare, a prima vista, che si versi in tema di corruzione: è più facile — sembra — inferire che, dove vi sia vantaggio indebito

per il privato, questi abbia voluto liberamente accordarsi con

il p.u. e quindi non abbia affatto subito la di lui supremazia. In realtà, già in un'ottica civilistica, ma anche secondo il buon

senso, è (apparentemente) inconsueto che una parte usi violenza

o dolo per fare conseguire alla controparte una obiettiva utilità.

Per questo, non secondari esponenti della dottrina penalistica

espungono, addirittura, dalla vexata quaestio della distinzione

tra corruzione e concussione tutti i casi in cui alla prestazione del privato faccia riscontro un atto illegittimo, perché piegato al soddisfacimento di illegittime esigenze del privato; casi in cui, a loro avviso, non può parlarsi che di corruzione propria. Per

tal via, ad onta della dizione letterale della norma penale di

riferimento, si dovrebbe intendere introdotto un elemento nega tivo nella fattispecie penale in esame: ogni qual volta ricorra

l'utilità del privato resterebbe ipso facto esclusa la ricorrenza

della concussione, pur sussistendone tutti gli altri (espliciti) pre

supposti. Sicché, per venire al dunque e per giustificare il di

scorso fin qui svolto, se effettivamente i candidati, destinati al

la bocciatura, furono (illegittimamente) promossi soltanto a se

guito delle prestazioni indebite effettuate in favore della Milazzo

(che li ricevette per interposta persona: l'illustre), sulla scia del

predetto orientamento il fatto sarebbe punibile come corruzione

e non come concussione, anche se è correttamente descritto nel

capo di imputazione come concussione: operazione anche pro

cessualmente consentita, siccome compatibile con l'art. 521 c.p.p.

[Infatti, vietata la qualificazione in termini di concussione del l'accusa originariamente contestata di corruzione, è ammesso

pacificamente l'inverso: cfr., per tutte, Cass. 18 agosto 1982,

n. 1515]. § 11. - Come è emerso dalla discussione svoltasi in camera

di consiglio, se pure v'è molto di vero nella tesi sopra ricordata,

essa non è pienamente convincente sotto almeno due profili.

Il Foro Italiano — 1994.

11.1. - Sul piano teorico, innanzi tutto, non è affatto sicuro

che il vantaggio del privato sia, sempre e comunque, ontologi camente incompatibile con l'uso della violenza (psichica) e, so

prattutto, con l'induzione in errore posti in essere dal pubblico ufficiale. Al riguardo, non va dimenticato che il p.u. riceve,

comunque, una utilità pari alla prestazione indebitamente per

cepita dal privato. D'altra parte, a fronte di tale utilità del p.u., non è affatto escluso che egli sia disposto a «cedere», per cosi

dire, qualche vantaggio al privato, specialmente se tale vantag

gio possa servire a vincere con più facilità la sua resistenza:

e si sta parlando di utilità in cui nulla di suo spende realmente

il p.u., atteso che tutto avviene a discapito della legittimità del

l'attività amministrativa. Si consideri, inoltre, che, a volere uti

lizzare ancora una volta lo schema civilistico del contratto, an

che nei casi di negozio viziato da violenza o da dolo (casi cui

corrispondono, sul versante penalistico, i due tipi positivi di

concussione), la sanzione invalidante non è la nullità, sibbene

l'anullabilità, la cui concreta attivazione è rimessa al privato

(senza poter essere rilevata d'ufficio dal giudice), proprio per ché nulla esclude a priori che il privato possa acquietarsi anche

dinanzi a tale tipo di contratto viziato, se ne intraveda, per esem

pio, una qualche utilità finale complessiva; e, d'altra parte, il

beneficio che il privato possa avere ricavato da un negozio af

fetto dai vizi sopra enunciati non gli preclude certamente l'eser

cizio vittorioso dell'azione di annullamento: il che significa che

certamente nel diritto civile la violenza ed il dolo sono sanzio

nati (con l'annullabiltà) anche se ad essi corrisponda una qual che utilità per il contraente la cui libertà del volere sia stata

illecitamente influenzata [Nel diritto dei privati l'animus deci

piendi, per essere costitutivo del dolo e comportare quindi il

vittorioso esperimento dell'azione di annullamento, non presup

pone né il fine di arrecare danno alla controparte né la prova di un danno patrimoniale subito dalla stessa; il che comporta che l'azione di annullamento non è affatto esclusa neppure al

lorché il contraente vessato abbia ricevuto un qualche vantaggio dal contratto viziato. Né è difficile ipotizzare casi in cui ricorre

la fattispecie ipotizzata: se Tizio ottiene con inganno di acqui stare da Caio una foto cui annette un grande valore affettivo, anche l'esborso di un prezzo esoso (sicuramente superiore al

prezzo di mercato di quella foto) non preclude l'annullamento

del contratto; il cui esercizio rimane, tuttavia, lasciato alla libe

ra determinazione dell'acquirente ingannato (libero di trattene

re il prezzo qualora il prezzo lo soddisfi). Nel diritto civile quel che importa è, innanzi tutto, che la volontà dei paciscenti si

sia formata liberamente; il profilo del danno rileverà, se mai,

sotto altri profili (per esempio risarcitori), non necessariamente

coesistenti con l'annullabilità. La validità, ai fini di analizzare

la differenza tra concussione e corruzione, della prospettiva com

parativa con quanto avviene nel diritto contrattuale si incentra

sul rilievo che in entrambi i casi importa stabilire se la volontà

si sia liberamente determinata: in diritto penale, infatti, ogni

qual volta il volere del privato sia stato libero, e non illecita

mente deviato ad opera del p.u., ci si trova sul versante della

corruzione. E si sta cercando di dimostrare che l'utilità che pos sa essere ricavata dal privato non è a priori incompatibile con

il metus e con l'inganno puniti nell'ambito della concussione]. Dunque, rimane confermato che il beneficio del privato, neppu

re teoricamente, elimina, con carattere di necessità, la possibili tà di un'influenza prevaricatrice del p.u. [Né può tacersi che

anche l'autorevole dottrina che ha aderito con certezza alla tesi

per cui ricorrerebbe il reato di corruzione (propria) in ogn ciaso

in cui il privato abbia ritratto qualche vantaggio, non manca

di annotare che, se tuttavia «il pubblico ufficiale, oltre ad offri

re in vendita l'atto contrario ai doveri di ufficio, coarta la vo

lontà del privato abusando della sua qualità o della sua funzio

ne, si avrà un concorso di norme, nel quale ordinariamente la

concussione . . . assorbirà la corruzione passiva propria . . .»].

11.2. - Ma, poi, la tesi qui scrutinata corre il rischio di essere

astrattamente logica, ma non sempre appropriata rispetto al va

riegato, multiforme e non di rado contraddittorio atteggiarsi

delle condotte umane [Non a caso le sezioni unite della Supre

ma corte da tempo hanno rilevato che: «Invero, l'infinita mol

teplicità degli accadimenti e dei comportamenti umani, la serie

multiforme delle implicazioni psicologiche, degli impulsi, delle iniziative, delle attività dei soggetti non possono suggerire sche

mi tassativamente circoscritti, ma impongono indagini partico

lari e differenziate, dirette all'esame dei casi singoli, da cui trar

re elementi sicuri per la riconducibilità dei fatti alla tipologia

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PARTE SECONDA

ontologica precostituita e generalizzata dalla norma» (Cass., sez.

un., 27 novembre 1982, Dessi, Foro it., Rep. 1983, voce Con

cussione, n. 14). Proprio con tale decisione le sezioni unite, di

rimendo il contrasto insorto all'interno della corte, hanno stabi

lito che la conformità o contrarietà dell'atto del p.u. ai doveri

d'ufficio non è un elemento essenziale per discriminare la cor

ruzione dalla concussione, non potendosi sovrapporre alle fatti

specie descritte dalle corrispondenti norme penali, fermo restando

che esso può somministrare elementi di giudizio al fine della

diagnosi differenziale; con la duplice conseguenza che, mentre

è ben ipotizzabile che, anche in presenza di una qualche utilità

ricavata dal privato, sussista il reato di concussione «potendo benissimo verificarsi che la gravità del male minacciato o la

subdola pericolosità dell'azione fraudolenta mantengano inalte

rata la posizione di preminenza prevaricatrice del pubblico uffi

ciale sulla turbata ed intimorita volizione della vittima», per converso la consapevolezza dell'illegittimità dell'atto da parte del privato «può, secondo situazioni particolari, essere suffi

cientemente idonea a riequilibrare le parti in un rapporto di

parità, nel quale il pubblico ufficiale non appare più rivestito

di prestigio e di potere e, dall'altra parte, ì'extraneus non più

psicologicamente intimorito e coartato da imposizioni, ma vali

do ed efficiente compartecipe nel pactum sceleris»]; e proprio la fattispecie in esame, da questo punto di vista, può ritenersi

non solo un caso esemplare, ma anche un privilegiato osserva

torio. Ben vero, anche a volere sospettare [Infatti, proprio il

comportamento criminoso dell'imputata non consente ormai di

ricostruire quale dovesse essere l'esito ortodosso degli esami],

per pura comodità dialettica, che i tre candidati che sborsarono

somme di denaro per ottenere la promozione abbiano ricevuto

un'illegittima utilità, giacché altrimenti essi sarebbero andati in

contro ad una sicura bocciatura, non ritiene la corte che la Mi

lazzo debba essere condannata per il reato di corruzione, anzi

ché di concussione (espressamente contestatole); e ciò per varie

ragioni qui di seguito sinteticamente esposte. 11.2.1. - Innanzi tutto, ed il rilievo attiene ad un profilo ge

nerale scarsamente attenzionato nelle discussioni sulla differen

za ontologica tra corruzione e concussione, non può dimenti

carsi che, assai spesso e certamente nel caso qui vagliato, quale debba essere il provvedimento secundum legem, o meglio quale debba essere il contenuto del provvedimento amministrativo per essere conforme a legge (quindi non affetto da vizi di legittimità o di merito), è noto, o può essere noto, al p.u. che lo deve

emettere, ma non certo al privato interessato. Quest'ultimo, dun

que, normalmente si trova in una situazione di attesa, e perciò stesso di soggezione, di fronte al p.u. da cui dipende l'emissio

ne del provvedimento che lo riguarda. Nella fattispecie in esa

me, infatti, è veramente arduo immaginare che i candidati che

sborsarono o promisero denaro (all'illustre e per suo tramite) alla Milazzo, potessero ritenere, con assoluta certezza, di avere

meritato la bocciatura: questo può predicarsi soltanto della Cu

trufelli (v. deposizione testimoniale) che, non essendosi arresta

ta ad uno stop, capi subito che la gravità del suo errore non le avrebbe giammai consentito di essere promossa. È comune massima di esperienza che l'esaminato, anzi qualunque persona che si sottoponga al giudizio altrui, si accosti all'esame con an

sietà e paura e che tale situazione psicologica permane anche

dopo l'espletamento della prova, fino al verdetto finale. Ed in

ogni caso di sospensione del giudizio finale, nella specie voluto dalla Milazzo, è evidente che l'esaminato spera sino alla fine in un esito positivo.

11.2.2. - Nella specie, peraltro, non solo ancor prima delle

prove fu propalata la notizia che era necessario pagare per otte

nere l'esito positivo dell'esame (v. retro, sub n. 5.4.), ma, esple tate le prove e prima di comunicare ufficialmente il giudizio

positivo, la Milazzo (e, per essa, l'illustre) accrebbe a dismisura la descritta obiettiva e fisiologica situazione di soggezione ester

nando, sia immediatamente dopo l'espletamento della prova sia

con la lettura della lista dei promossi, apprezzamenti negativi sull'esito dell'esame prossimi, per intensità e valenza, ad una valutazione negativa ufficiosa: una ragione in più, dunque, per incrementare (questa volta patologicamente) lo stato di sogge zione in cui versavano i candidati: alla sospensione del giudizio corrispondeva — e non poteva essere diversamente — la morsa del dubbio.

11.2.3. - Essi, pertanto, ancorché alla fine abbiano lucrato una promozione forse illegittima (v. retro) nel momento in cui

consegnarono, ovvero promisero, la somma di denaro all'illu

stre, avevano ben ragione di temere l'abuso dell'imputata; la

Il Foro Italiano — 1994.

quale specularmente, non a caso, aveva fatto intendere, nel mo

do dianzi precisato, che ancora l'esito positivo dell'esame di

pendeva da lei (e dal pagamento richiesto). Tale essendo la si

tuazione obiettiva e subiettiva dei candidati in questione, non

può dirsi allora che essi abbiano concordato, su un piano di

assoluta libertà e con piena autonomia, l'acquisto della promo

zione, secondo il modulo della corruzione. Al contrario, dalle

considerazioni sopra svolte risulta ben chiaro che, in una situa

zione obiettiva di dubbio ad arte accresciuta dalla stessa Milaz

zo (e certamente non imputabile in alcun modo agli esaminati), i candidati indicati nel capo di imputazione dovettero pagare o promettere prestazioni indebite, perché costrette, o se si vuole

indotte, dal comportamento certamente illegittimo della Milaz

zo, e perciò dal suo abuso: se ad ogni costo si vuole immagina re un accordo tra candidati, da una parte, e p.u., dall'altra, non potrà negarsi che esso nacque viziato da violenza o, quanto

meno, da dolo, perché certamente non fu libero il consenso

prestato dai candidati.

11.3. - In definitiva, deve allora concludersi che, sebbene possa

immaginarsi (v. retro) che alla resa dei conti i predetti candidati

abbiano ricevuto un'utilità dal reato, sussiste ugualmente il rea

to di concussione, per ciò che essi hanno pagato, o promesso di pagare, a seguito della «posizione di preminenza prevaricatri ce del pubblico ufficiale sulla turbata ed intimorita volizione

della vittima» (v. retro). (Omissis)

II

Motivi della decisione. — Con sentenza 8 febbraio 1993 il

Tribunale di Milano condannava Armanini Walter alla pena di

anni quattro e mesi sei di reclusione e lire 900.000 di multa

siccome responsabile del reato di concussione ai danni di Ga

rampelli Fabrizio e di Rigo Sergio. Con la stessa sentenza l'Armanini veniva condannato al risar

cimento dei danni, quantificato rispettivamente in 100 milioni e 330.000 milioni, in favore delle costituite parti civili comune

di Milano e Garampelli Fabrizio. L'Armanini veniva invece assolto perché il fatto non sussiste

da due episodi di concussione ai danni dei fratelli Gaslini Fran

co e Gaslini Silvano e dal reato di cui all'art. 7 1. 195/74 e

perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato dal reato di cui all'art. 4 1. 659/81.

Queste ultime imputazioni riguardavano la somma ricevuta da Ceccarelli Giuseppe a titolo di finanziamento della campa

gna elettorale dell'imputato. Avverso la sentenza interponevano appello l'imputato, il pro

curatore della repubblica e la parte civile comune di Milano, come da motivi in atti.

In esito al dibattimento la corte osserva quanto segue. Il procedimento ha avuto origine dalle dichiarazioni dell'ar

chitetto Garampelli Fabrizio, legale rappresentante della società

Ifg Tettamanti, rese nel corso di un esame assunto dal procura tore della republica di Milano.

Il Garampelli era stato sentito in seguito alle dichiarazioni rese al p.m. Di Pietro in veste di indagato per corruzione in

appalti ricevuti dal comune di Milano, il 16 gennaio 1992, da

Egidio Properzio, A.D. della Impresa fratelli Proverbio di Egi dio Proverbio e C., dichiarazioni nelle quali si riferiva di voci correnti negli ambienti imprenditoriali circa una consistente «maz zetta» che l'assessore socialista Armanini aveva preso da certo

Garampelli per l'appalto della ristrutturazione del civico obito rio e che sarebbe stata utilizzata per la sua campagna elettorale

per le elezioni comunali del 6 maggio 1990. Le indagini, culiminate nell'ordinanza 19 maggio 1992 di ap

plicazione della custodia cautelare (l'Armanini trascorse qua rantuno giorni nella casa circondariale di Milano) e conclusesi con decreto di giudizio immediato del 19 giugno 1992, hanno accertato alcuni dati di fatto non contestati dalle parti.

Ciò che rende piuttosto agevole il giudizio della corte.

L'imputato, assesore allo stato civile dal gennaio 1988 allo

agosto 1990 — e pertanto p.u. sia secondo il testo originario dell'art. 357 c.p. che secondo quello modificato dall'art. 17 1. 26 aprile 1990 n. 86 — aveva pressanti esigenze di denaro per finanziare la sua campagna elettorale per il rinnovo del consi

glio comunale (che gli sarebbe costato circa 500 milioni), aven do esaurito le sue risorse personali e non avendo avuto alcun contributo dal partito, nonostante fosse il più vecchio consiglie re comunale socialista e avesse ricoperto negli ultimi anni le cariche di assessore alle finanze, all'educazione e allo stato civile.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Aveva quindi deciso di chiedere, per la parte che superava le sue risorse finanziarie, un «contributo» a imprenditori che

conosceva a causa dei rapporti che avevano con la pubblica amministrazione nel settore nel quale aveva competenza l'asses

sorato di cui era titolare.

In particolare, PArmanini ha tranquillamente ammesso di avere

ricevuto 50 milioni da Franco Gaslini, legale rappresentante del

l'Impresa fratelli Gaslini e C. s.n.c. che in data 14 dicembre

1987 si era aggiudicato per licitazione privata l'appalto del va

lore di lire 2.125.686.270 per opere di scavo e movimento terra

preparatorie e di supporto alla inumazione ed esumazione di

salme nel cimitero maggiore e che in data 22 dicembre 1989

si era aggiudicato per licitazione privata l'appalto del valore

di lire 1.825.291.817 per opere di manutenzione ordinaria nei

cimiteri cittadini, nel civico obitorio e nel sacrario dei caduti di guerra.

Ammetteva ancora di avere ricevuto lire 250.000.000 dall'ar

chitetto Garampelli Fabrizio, legale rappresentante dell'impresa I.F.G. Tettamanti s.p.a. che, in associazione con altre imprese, in data 12 dicembre 1989 si era aggiudicato per licitazione privata

l'appalto del valore di circa 15 miliardi per il progetto ed i lavori

di ristrutturazione dell'obitorio dell'istituto di medicina legale. E di avere ricevuto lire 7.000.000 da Ceccarelli Giuseppe, so

cio accomandatario dell'impresa Eredi Alessandro Ceccarelli

s.a.s., che si era aggiudicto l'appalto per la ristrutturazione del

sacrario dei caduti di piazza S. Ambrogio. Precisava invece PArmanini di non ricordare, ma di non es

sere in grado di escluderlo, di avere ricevuto lire 2.000.000 da

Rigo Sergio, accomandatario dell'impresa Rigo Sergio s.a.s.,

che si era aggiudicato in data 22 dicembre 1989 l'appalto del

valore di lire 211.774.095 per la manutenzione marmorea degli edifici cimiteriali per il periodo 1° gennaio 1990/31 dicembre 1990.

Per quanto concerne gli appalti aggiudicatisi dall'impresa Ga

slini, il contratto del primo era stato stipulato in data 21 gen naio 1988 tra PArmanini, rappresentante del comune nella qua lità di assessore delegato e Franco Gaslini quale legale rappre sentante dell'impresa appaltatrice (la gara, si era invece svolta

quando assessore allo stato civile era ancora Alfredo Mosini).

Il contratto del secondo appalto era stato stipulato in data 6

febbraio 1990 tra PArmanini e Franco Gaslini (la gara si era

svolta quando PArmanini era già assessore allo stato civile). Per quanto concerne l'appalto all'impresa Tettamanti e asso

ciate il contratto era stato stipulato in data 19 giugno 1990 tra

PArmanini e l'architetto Franco Borroni nella veste di consi

gliere delegato della Tettamanti (la gara si era svolta quando PArmanini era assessore allo stato civile).

L'appalto all'impresa Rigo Sergio s.a.s. era stato stipulato in data 6 febbraio 1990 tra PArmanini e Rigo Sergio (la gara si era svolta quando PArmanini era assessore allo stato civile).

Ciò premesso, passando all'esame dei singoli episodi, il p.m.

ha lamentato l'assoluzione dell'Armanini dalle imputazioni, ai

danni dei fratelli Gaslini, di tentata concussione e di concussio

ne consumata (capi 1 e 3 della rubrica), perché fondata sulla

ritenuta non credibilità delle parti lese desunta essenzialmente

dai loro provati reticenza e mendacio circa i rapporti di buona

conoscenza con PArmanini.

La corte ritiene che l'appello sia fondato, avendo il giudice di prime cure fatto malgoverno delle risultanze processuali.

Le circostanze di fatto:

Franco Gaslini, che, più sveglio e deciso del fratello Silvano

(è eloquente al riguardo la trascirzione dei loro esami dibatti

mentali), curava i rapporti con i committenti rappresentanti della

pubblica amministrazione, ha dichiarato, con riferimento al con

tratto del 21 gennaio 1988 relativo alle opere di scavo per inu

mazione ed esumazione aggiudicato all'impresa per licitazione

privata che aveva avuto luogo quando era assessore allo stato

civile. Alfredo Mosini, che PArmanini prima della firma lo aveva

convocato tramite la segretaria nel suo ufficio di assessore in

via Larga «perché voleva sapere come si svolgevano i lavori»

che erano appena iniziati. E li gli aveva chiesto una tangente — «tangente» era proprio stato il termine usato da Armanini

— «perché doveva firmare il contratto».

Il fratello Silvano, all'udienza del 27 novembre 1992, precisa

va che il congiunto gli aveva detto che PArmanini chiedeva la

tangente perché «aveva dato loro una mano», riferendosi alle

Il Foro Italiano — 1994 — Parte 11-1.

pretese dei dipendenti comunali di fare loro i lavori.

Il Franco «non c'era stato» e PArmanini non aveva insistito.

L'Armanini si era contentato, prima del secondo appalto, di

avere la manutenzione gratuita del suo terrazzo, ma si trattava

di «un lavoretto» che era stato fatto «da due ometti che anda

vano a mezza giornata». Con riferimento al contratto del 6 febbraio 1990, e cioè quel

lo realativo alle spese di manutenzione ordinaria nei cimiteri

cittadini, nel civico obitorio e nel sacrario dei caduti di guerra, Franco Gaslini ha dichiarato di essere stato convocato, dopo la gara e prima della firma, dall'Armanini nel suo ufficio e

di avere ceduto alle richieste di denaro per paura di ritorsioni:

perdere quel lavoro sarebbe stato per l'impresa «un discapito non indifferente».

L'Armanini aveva minacciato di non firmare il contratto. Ave

va cominciato col chiedere una tangente del 5% e poi si erano

accordati per 50 milioni («Insomma, se proprio non vuole pa

gare, almeno mi dia 50 milioni»). Lo aveva intimorito dicendo

gli «Guardi, se questa volta non paga io non le firmo il con

tratto».

Il pagamento era avvenuto in tre tranches, una di 20 milioni

e due di 15, in contanti nell'ufficio di Armanini dove si era

recato col fratello.

Le dichiarazioni di Franco Gaslini trovano corrispondenza in

quelle del fratello Silvano, che confermava i tre pagamenti nel

l'ufficio di Armanini dove si era recato perché il Franco voleva

che vedesse «dove andavano a finire quei soldi» e precisava che i versamenti erano avvenuti rispettivamente in gennaio, feb

braio e marzo 1990.

L'Armanini ammetteva di avere ricevuto dai fratelli Gaslini

50 milioni in tre rate; due nel suo ufficio e la terza nella cascina

Pozzi, di proprietà dei Gaslini, durante una riunione elettorale

nella quale si era mangiato pane e salame. Ma precisava: «Non

è vero che ho chiesto a Franco prima 75 milioni e poi 50 minac

ciando di non firmare il contratto . . . peché firmare il contrat

to è un atto dovuto», «sono venuti da me e mi hanno detto, eh Armanini, noi siamo qui pronti, disponibili, come hanno

fatto tutti i candidati perché bisogna anche essere . . . capire

queste cose». «Li avevo sempre visti alle riunioni di partito e

al circolo culturale De Amicis». «Mi considero amico di questi Gaslini ... ci si dava sempre del tu e non è vero che venivano

una volta ogni morte di papa perché erano sempre li».

I fratelli Gaslini hanno tentato di negare una frequentazione delPArmanini fuori degli incontri relativi agli appalti.

Franco Gaslini dichiarava di non avere conosciuto l'Armani

ni prima che divenisse assessore e di non avere mai frequentato i circoli politici di area socialista De Amicis e Venezia, nei quali si recava spesso PArmanini.

Alla specifica domanda sui rapporti che aveva intrattenuto

con PArmanini dopo quelli in occasione degli appalti risponde va: «Rapporti . . . rapporti formali ... per qualche motivo, si

pochissime volte, ma senza più avere richieste di denaro».

Richiesto più in particolare se avesse avuto rapporti più per sonali o di amicizia rispondeva: «No, assolutamente . . . non

so neanche dove abita adesso».

Richiesto dalla difesa delPArmanini di riferire se la sera del

15 marzo 1990 avesse partecipato ad una riunione, promossa dalla polisportiva San Leonardo nella cascina Pozzi di proprie tà dei Gaslini, in sostegno alla campagna elettorale delPArma

nini, alla quale PArmanini stesso aveva partecipato, rispondeva d'essere assolutamente sicuro di non avervi partecipato.

Dopo avere negato di essere stato militante e simpatizzante socialista Franco Gaslini, rispondendo ancora a specifiche do

mande dei difensori delPArmanini, dichiara di aver partecipato

la sera prima delle elezioni alla manifestazione conclusiva della

campagna elettorale presso la cascina Pozzi, alla quale avevano

partcipato, oltre all'Armanini, numerosi esponenti di spicco, del

partito socialità, tra i quali il sindaco Pillitteri, l'assessore Schem

mari ed i deputati Milani ed Aniasi. Silvano Gaslini negava a sua volta di avere avuto rapporti

con PArmanini, a parte quelli relativi agli appalti. Nel corso del controesame ammetteva però di avere parteci

pato ad un pranzo elettorale, tenutosi il 3 maggio 1990 nella

trattoria Villa Normanni di via degli Odescalchi su invito del PArmanini e di avere presenziato alla manifestazione di chiusu

ra della campagna elettorale la sera del 5 maggio 1990 alla ca

scina Pozzi.

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PARTE SECONDA

Come ammetteva di aver partecipato all'incontro di fine feb

braio primi di marzo organizzato dalla polisportiva San Leo

nardo, pur negando che ci fosse il fratello Franco.

Ciò premesso, va detto che la reticenza e il mendacio circa

i rapporti con PArmanini, il sostegno e le simpatie per il Psi sono provati, oltre che dalle ammissioni strappate dàlia difesa

in sede di controesame, dai documenti dalla difesa stessa prodotti. Ed invero, nell'agenda della segretaria di Armanini, Gabriel

la Sammartinaro, sfuggita al sequestro della documentazione

disposta da Di Pietro ma prodotta dalla difesa, alla data del

22 febbraio 1990 risulta l'annotazione «cascina Gasimi, festa

amici per sostenerlo» ed alla data del 5 maggio 1990 quella ore

20,30, cascina Pozzi via Gallarate 313, fratelli Gasimi, incontro elettorale Pilliteri, Armanini».

Veniva poi prodotto un invito dell'Armanini per la sera del 3

maggio 1990 al ristorante Villa Normanna, con allegato l'elenco

degli invitati nel quale appare l'annotazione «Gaslini si, quattro». E venivano prodotte due fotografie — raffiguranti l'una PAr

manini seduto ad un tavolo convivialie tra i frateli Silvano e

Franco Gaslini e l'altra una platea di persone che ascoltavano

il discorso di Armanini — che venivano rammostrate a Silvano

Gaslini, il quale ammetteva che erano state nello stesso contesto

nella sala della cascina Pozzi.

Va ricordato che la polisportiva San Leonardo, che organiz zava le riunioni, era sponsorizzata dai Gaslini, proprietari della

cascina Pozzi e che attivo vicepresidente della polisportiva era

Dante Gaslini, figlio di Silvano Gaslini. E dunque provato che tra i Gaslini ed i notabili del Psi, tra

i quali, PArmanini (il quale, non bisogna dimenticarlo, aveva

organizzato la sua campagna elettorale congiuntamente al sin

daco Pillitteri ed all'assessore Schemmari) ci fossero delle fre

quentazioni e che i Gaslini, tramite la polisportiva, mettessero

a disposizione la cascina Pozzi per riunioni e conviti elettorali.

Però è sommamente azzardato trasformare queste provate fre

quentazioni «politiche» in «rapporto di amicizia» come piutto sto disinvoltamente ha fatto il tribunale.

È vero che PArmanini ha dichiarto che si considerava amico

dei Gaslini, che tra loro ci si dava sempre del tu e che si vedeva

no spessissimo.

Ma, onestamente, la corte non vede, come a parte gli interes

sati rapporti di clientelato politico e di lavoro, potessero instau

rarsi dei rapporti di amicizia tra il dottore Aramini — assessore

di un grande comune, di elevata estrazione borghese, con lun

ghe esperienze di docenza universitaria e titolare di un noto stu

dio di commercialista — e i fratelli Gaslini, di umilissima estra

zione sociale, che, da contadini quali erano, alla fine degli anni

'60 avevano messo su un'impresa a crattere familiare che li ave

va fatti diventare vivaisti tra i più importanti della zona.

Ci sono dei limiti ad una ostentata ed interessata «bonarietà»

dei rapporti, sia pure tra asseriti simpatizzanti dello stesso partito! Gli è che PArmanini aveva un evidentissimo interesse proces

suale ad enfatizzare i rapporti con i Gaslini, elevandoli al rango di amicizia, per potere più agevolmente sostenere che la dazione di denaro era niente altro che una elargizione spontanea per la sua campagna elettorale da parte di due amici, cosi come avevano fatto gli altri amici di cui non faceva il nome per non far loro passare «i guai che aveva passato Ceccarelli».

Le reticenze e il mendacio dei Gaslini, che per quanto «scar

pe grosse e cervello fino» non avevano certamente l'abilità o la semplice capacità di tenere una linea logicamente accettabile nei loro esami dibattimentali incalzati com'erano dalla agguer ritissima difesa dell'imputato, appaiono umanamente giustifica bili nell'attuale momento storico, nel quale gli imprenditori che

hanno avuto rapporti con amministratori inquisiti dei partiti più

colpiti dall'azione di «Mani pulite» vivono nel terrore di essere

arrestati da un momento all'altro.

L'esperienza quotidiana ci fornisce innumerevoli esempi di

persone pure degnissime che oggi prendono ostentatamente le distanze dai loro inquisiti amici, anche intimi, di un tempo e che comunque minimizzano i loro rapporti per timore di essere coinvolti nel ciclone giudiziario.

Non bisogna dimenticare che, come ha chiarito l'aw. Cagno la, Franco Gaslini era stato sentito con l'assistenza del difenso re nel corso delle indagini preliminari dal dr. Di Pietro in ordi ne agli stessi fatti.

E, pur non essendo stata elevata alcuna imputazione a suo carico e pur non risultando indagato in altre vicende, è più che

comprensibie il suo timore di un più pesante coinvolgimento ed il suo interesse, maldestramente rivelato, a tacere o a mini

li. Foro Italiano — 1994.

mizzare rapporti o sostegni a personaggi inquisiti e a partiti politici compromessi in Tangentopoli.

Questa sua posizione anomala, tra potenziale inquisito e par te lesa per lo stesso fatto, giustifica ad avviso della corte la

reticenza ed il mendacio circa le frequentazioni dell'Armanini.

Tanto più che, se l'Armanini, che pure era assessore ed aveva

comunque studiato diritto, ha candidamente e sorprendentemente dichiarato all'udienza odierna di avere appreso in occasione di

questo processo la distinzione tra corruzione e concussione, a

ragione non si può supporre che tale distinzione fosse o sia tut

tora chiara ai Gaslini, i quali di chiaro avevano solo che aveva

no acconsentito a dare 50 milioni all'Armanini in relazione ad

un contratto di appalto e nella convinzione che fosse necessario

0 comunque utile per la loro attività imprenditoriale non op

porsi alla richiesta.

Non è stata poi chiarita l'entità dell'esposizione finanziaria

dei Gaslini in occasione della campagna elettorale del 1990.

A parte la considerazione che non ha riguardato esclusivamen

te l'Armanini, ma piuttosto tutto lo staff dirigenziale del Psi di

rettamente influente sul comune (tra l'altro, la campagna dell'Ar

manini era collegata a quella del sindaco Pillitteri), non vi è la prova che tutte le spese delle riunioni e dei conviti dei quali si è discorso

in dibattimento siano ricadute in maniera esclusiva sui Gaslini, 1 quali oltretutto offrivano i locali della loro cascina.

Potrebbe con un ragionevole margine di certezza riferirsi ai

Gaslini la spesa per «il pane e salame» mangiato nella riunione

del 15 marzo 1990, ma non sembrerebbe potere a loro riferire

le spese per il lussuoso ristorante di via degli Odescalchi nel

quale i Gaslini figurano invitati dall'Armanini. È vero che l'Armanini ha asserito che nella campagna eletto

rale nulla aveva speso per riunioni conviviali. Allora, vi è da

domandarsi come ha speso l'ingentissima somma di 500 milioni

che ha asserito essere stato il costo della sua campagna elettorale.

Non vi è nessuna prova delle faraoniche spese conviviali che

si sarebbero assunte, secondo il tribunale, i Gaslini.

Loro volevano certamente ingraziarsi il partito «in carica»

a Milano ed avranno certamente contribuito alle spese elettorali

del partito stesso, come è presumibile che avrebbero fatto con

altro partito che a quello succedesse.

Ma, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, è pro

prio questo contributo non direttamente collegato ai contratti

di appalto che potrebbe dare una giustificazione alla resistenza

dei Gaslini all'imposizione di tangenti e a mercanteggiamento dell'entità.

Circa le modalità della condotta concussiva siccome riferite

dai Gaslini, che difesa ed estensore della sentenza fanno a gara nel rilevarne l'inattendibilità, va detto che la corte al contrario, e proprio alla luce della appena esaurita disamina dei rapporti extracontrattuali tra i Gaslini e l'Armanini, ritiene siano state

proprio quelle esposte dalle parti lese.

La difesa ha posto in rilievo il contrasto tra la «civile» richie

ta di denaro fatta al Garampelli e la sostanziale grossolanità delle analoghe richieste fatte a Franco Gaslini.

Ma è agevole obiettare che ben diverso è il contesto nel quale le richieste si sono poste.

Il Garampelli è un architetto, nel parlare del quale l'Armani ni ha sempre mostrato considerazione, rotto ai rapporti con am ministratori pubblici ed esponenti politici ad alto livello, inte ressato solo a contratti di rilevante impegno economico, e pron to, per consuetudine, a recepire e valutare sulla base di semplici allusioni o addirittura, come meglio si dirà in prosieguo, di sem

plici predisposizioni ambientali. I Gaslini sono rozzi imprenditori, «venuti dalla gavetta» (cfr.

dichiarazioni 24 novembre 1992 di Franco Gaslini) con i quali certamente l'Armanini non poteva «lavorare di fioretto».

Ed atteso anche l'artificioso cameratismo e la dimistichezza sia pure solo apparente che discendevano dalle frequentazioni delle riunioni di partito, l'Armanini poteva, eventualmente con

grossolana facezia, chiedere una «tangente», chiamandola pro prio cosi e poteva anche dirgli, in occasione del secondo con

tratto: «Insomma, se proprio non vuole pagare, almeno mi dia

50 milioni». Incidentalmente, ritiene la corte che è più verosi mile che, pur in una certa atmosfera di dimistichezza, l'Arma nini si fosse rivolto al Gaslini con il lei, anziché col tu.

II tribunale ha ritenuto non credibile la minaccia «Guardi, se

questa volta non paga, io non le firmo il contratto» perché, come è scritto in sentenza, «la stipulazione di un contratto costituisce

per le parti contraenti, a seguito della aggiudicazione dell'appal to, un atto dovuto, secondo i principi del diritto amministrativo».

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ma non ha tenuto conto, il tribunale, del livello culturale

dell'interlocutore. E non ha tenuto conto che, comunque, l'as

sessore avrebbe potuto procrastinare a lungo, anche senza ri

correre a cavilli giuridici, la firma del contratto. E soprattutto non ha tenuto presente che per tutelare il suo buon diritto il

Gasimi in pratica non avrebbe avuto altra strada che rivolgersi all'autorità giudiziaria con tutte le conseguenze, non escluse quelle di tempo, che l'adire il giudice avrebbe comportato nella sua

attività lavorativa e nei rapporti con la pubblica amministrazione.

Comunque, a prescindere dalla minaccia di non firmare il

contratto, che nell'episodio del tentativo fu espressa in maniera

meno esplicita (l'Armanini gli aveva detto che voleva la tangen te «perché doveva firmare il contratto») la volontà di concus

sione è comprata dalla convocazione, in entrambi gli episodi, del Gaslini nel suo ufficio.

Atteso il basso livello delle opere oggetto degli appalti all'im

presa Gaslini — scavi per inumazioni ed esumazioni di salme, manutenzione del verde cimiteriale e simili — appare non credi

bile e comunque inammissibile che un assessore del comune più

importante d'Italia convochi negli uffici dell'assessorato «per

sapere come andavano i lavori» o più in generale per informarsi

su come venivano effettuati, una specie di capomastro quale era il Franco Gaslini.

Mentre, se proprio i lavori gli stavano a cuore, avrebbe potu to delegare l'ing. Maiocchi, capo ripartizione dell'«Edilizia e

verdi cimiteriali», o un semplice tecnico dell'ufficio. Non va sottaciuto che all'epoca della convocazione per il se

condo contratto di appalto era ancora in corso il primo contrat

to (quello relativo agli scavi, per il quale i Gaslini avevano com

prato macchinari, e che era stato richiesto anche dalle maestranze

comunali) che sarebbe scaduto il 31 dicembre 1990.

Si ricorda che in precedenza i lavori di cui al primo contratto

venivano effettuati dalle maestranze comunali e l'assegnazione ai fratelli Gaslini da parte dell'assessore Mosini aveva costituito

un'innovazione. Ed a ciò si riferiva Silvano Gaslini quando di

chiarava che l'Armanini nel chiedere la prima tangente aveva

rivendicato di «aver dato loro una mano».

Quindi in previsione della prossima scadenza l'Armanini, nel

chiedere la tangente per il secondo appalto aveva nella mani,

come non ha mancato di rilevare il p.g. in udienza, una buona

arma per vincere eventuali riottosità.

Per completezza, la corte ricorda che il versamento della tan

gente, anche se non risulta essere stato posto come condizione,

diede dei vantaggi ai Gaslini i quali ottennero dall'Armanini una proroga, nonostante fosse già scoppiato lo scandalo Ga

rampelli (che Armanini sapeva essere inquisito per il caso Chie

sa). Quando l'Armanini se ne era andato la querelle con le mae

stranze comunali fu risolta dall'assessore Malacorda con l'affi

damento dei lavori nuovamente ai dipendenti comunali.

Sugli episodi Gaslini, dunque, la corte ritiene che le parti lese

furono oggetto di minacce concrete che, in più, si ponevano in un contesto di concussione ambientale facente capo alla posi zione di supremazia del p.u. che gli avrebbe consentito di creare

problemi e difficoltà nei rapporti di lavoro in corso e futuri,

come si dirà meglio trattando l'episodio Garampelli.

E si rileva che nella narrativa delle parti lese la dazione delle

somme e le richieste non sono collegate in alcun modo alla cam

pagna elettorale dell'Armanini. La richiesta della tangente in

ordine al primo contratto sarebbe stata del tutto prematura nel

tempo ed il pagamento della prima tranche della tangente in

ordine al secondo contratto, come ha rilevato il p.g., sarebbe

stata anche precedente all'inizio della campagna elettorale fissa

ta al 6 febbraio 1990. Sarebbe stato l'Armanini a cercare di

ricondurre in modo diretto almeno il pagamento di una tranche

alla campagna elettorale collocandolo nel contesto della riunio

ne del 15 marzo 1990 alla cascina Pozzi. Cosa del tutto invero

simile perché il luogo ed il momento non si presentavano parti

colarmente indicati per il pagamento di una grossa somma in

contanti.

Potrebbe ricordarsi anche come il p.g., argutamente, a ripro

va della attendibilità della narrativa dei Gaslini, abbia rilevato

che, se il loro intento fosse stato quello di ulteriormente nuoce

re all'Armanini, inventando in ordine al primo contratto un

episodio di concussione magari per fare piacere agli inquirenti, atteso che non avrebbe comunque potuto fornire prova docu

mentale o testimoniale, non vi sarebbe stato motivo di riferire

di un tentativo di concussione, anziché di una concussione con

sumata.

Per quanto concerne infine il denunciato contrasto tra le di

II Foro Italiano — 1994.

chiarazioni rese in sede di indagini preliminari e quelle rese in dibattimento, al quale l'estensore della sentenza sembrerebbe

aver dato tanta importanza, la corte non può che porre in rilie

vo come il contrasto — consistente esclusivamente nella ridutti

vità delle prime, rese non al p.m. ma alla polizia giudiziaria — sia dovuto solo al particolare momento in cui furono assunte.

Ed invero il p.m., il quale aveva condotto le indagini, all'u dienza del 27 novembre 1992 aveva fatto presente al collegio che «si trattava di dichiarazioni assunte, assieme ad altre 1.600, in un screening preliminare, dalla p.g., in cui ognuno cercava

di dire il meno possibile per cercare di pararsi». Circa l'episodio di concussione di cui al capo 5 della rubrica,

ai danni di Rigo Sergio, accomandatario dell'impresa Rigo Ser gio s.a.s. che si era aggiudicata in data 22 dicembre 1989 l'ap

palto sul valore di lire 211.774.095 per la mautenzione marmo

rea degli edifici cimiteriali per il periodo 1° gennaio 1990-31 dicembre 1992 ed il cui contratto era stato sottoscritto dall'Ar

manini in data 6 febbraio 1990, l'imputato all'udienza del 22

dicembre 1992 dichiarava: «Rigo è una persona che mi sta par ticolarmente simpatica perché è veneto, parla veneziano, mi fa

sorridere ... e mi diverte . . . Non ricordo assolutamente che

mi abbia dato due milioni per la campagna elettorale, però non

voglio neanche smentirlo ... se me li ha dati lo ringrazio di

cuore, presenti tutti, compreso le televisioni . . .».

È da presumere che si trattasse di un piccolo raspollamento che l'Armanini, abituato a ben più consistenti «elargizioni», non

ha memorizzato. Ed essendo evidentemente il Rigo persona sem

plice e presumibilmente inidonea ad essere strumentalizzata per fini calunniosamente accusatori, non ha ritenuto di smentirlo.

Ed attendibile lo ha ritenuto il tribunale e lo ritiene la corte

nella sua esposizione della vicenda.

All'udienza del 27 novembre 1992 il Rigo ha dichiarato di avere versato in contanti nelle mani dell'Armanini due milioni

in due rate, nell'aprile 1990, su sua richiesta, quale contributo

per la campagna elettorale.

Sollecitato a ricordare il tenore esatto della richiesta il Rigo

rispondeva: «... le parole esatte adesso . . . non le ricordo pe rò .. . però . . . però m'è rimasta . . . bene netta la convinzio

ne che avrei ... eh . . . che avrei avuto delle difficoltà sul

lavoro».

Ed ancora, richiesto dal p.m. di meglio ricordare il fatto pro

seguiva: «nel contesto del discorso, io ho capito che avrei avuto

delle difficoltà sul lavoro ... ho detto che le parole precise, a distanza di due anni, non le ricordo, però il senso lo ricordo

molto bene» e, precisando ulteriormente, dichiarava: «... l'e

spressione non è stata un'espressione diretta, cioè ben precisa,

è stato un discorso fatto, in cui si diceva che io andavo bene

col lavoro, ecc. . . .insomma che . . .sarei continuato ad anda

re bene . . .una cosa di questo genere, insomma . . .».

Giustamente l'avv. Di Noia, suscitando le reazioni dei difen

sori dell'imputato, ha parlato di uso da parte dell'Armanini di

un tipico linguaggio mafioso, la cui efficacia stava nelle allusio

ni a circostanze o beni di cui si rilevava il buon andamento

lasciando intendere che le cose avrebbero potuto cambiare.

È più che evidente la minaccia implicita, tenuto conto che

la richiesta si poneva in un contesto di metus publicae potestatis. In sostanza il Rigo si è trovato nell'alternativa di pagare una

certa somma o di vedere compromessi i suoi rapporti di lavoro

col comune.

A proposito nella sentenza del tribunale si osserva che «cosi

poco spontanea è stata la dazione di denaro da parte del Rigo

che costui non solo ha pagato dietro sollecitazione dell'imputa

to, ma ha versato la modesta somma di lire 2.000.000 in due

rate, dimostrando il sacrificio economico non indifferente che

rappresentava per lui l'esborso di una cifra di questo am

montare».

La difesa non ha speso parola alcuna in appello per l'episo

dio Rigo, richiamandosi alle argomentazioni esposte in ordine

alla posizione Garampelli, senza tenere conto che anche nella

motivazione della sentenza del tribunale la minaccia è data per

provata in maniera concreta, senza fare perno in maniera esclu

siva sulla c.d. concussione ambientale. (Omissis) Passando infine all'episodio di concussione ai danni di Ga

rampelli Fabrizio di cui al capo 2 della rubrica — in ordine al quale il tribunale ha affermato la penale responsabilità del

l'imputato — va detto che si tratta della vicenda oggetto prati

camente esclusivo delle richieste di riapertura del dibattimento,

di declaratoria di nullità dell'ordinanza ex art. 506, n. 1, c.p.p.

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PARTE SECONDA

(con conseguente inutilizzabilità delle ultime dichiarazioni rese

dal Garampelli, all'udienza del 28 gennaio 1993) e della senten

za per violazione dell'art. 521, n. 2, c.p.p. in ordine ai capi 2 e 5, di assoluzione e, in estremo subordine, di riduzione della pena inflitta.

Quanto al nuovo esame del Garampelli, disposto ex art. 506

c.p.p. dal collegio, ogni disquisizione si appaleserebbe super flua dopo la recente sentenza delle sezioni unite che ha pratica mente tolto ogni vincolo al potere del giudice di disporre ogni mezzo lecito di prova ritenuto utile per la ricerca della verità.

Ma, a prescindere dalla sentenza delle sezioni unite, ritiene

la corte che nella dizione «o più ampi», che segue quella «temi di prova nuovi» si possa ricomprendere il riesame a maggiori chiarimenti di un teste già escusso o di un imputato di procedi mento connesso.

Inoltre, atteso che il 2° comma dell'art. 506 c.p.p. consente

al presidente, anche su richiesta di altro componente del colle

gio, di rivolgere domande ai testimoni, non pare alla corte sia vietato porre le domande in un'udienza diversa qualora la ne

cessità o l'opportunità della domanda si appalesi dopo il rituale

esame, salvo restando il diritto di intervento delle parti le quali saranno loro, se del caso, a concludere l'esame.

Oltretutto, il Garampelli al'udienza del 28 gennaio 1993 non ha dichiarato cose realmente nuove ma ha solo più dettagliata mente illustrato quanto aveva dichiarato nell'esame del 27 no

vembre 1992.

Per quanto concerne l'eccepita asserita violazione dell'art. 521, n. 2, c.p.p. in ordine agli episodi di concussione ai danni di Rigo e Garampelli per avere il giudice, «immutando il fatto

sostituito alla minaccia contestata la minaccia indiretta da con testo ambientale» va detto che, a prescindere dal rilievo che

formandosi la prova nel dibattimento ed essendosi nel dibatti

mento svolta l'istruttoria nessun diritto della difesa sembrereb

be essere stato violato, nella lettera della formulazione, ampia e generica, delle imputazioni rientra certamente la minaccia im

plicita che caratterizza la concussione per induzione implicita. Nel caso del Rigo, come si è visto, la minaccia non è neppure tanto implicita, manifestata com'è stata per allusioni mafiose.

Per quanto concerne l'istanza di riapertura del dibattimento

per un nuovo esame del Garampelli, per l'acquisizione dei do cumenti allegati ai motivi, per l'esame di Mario Chiesa e per acquisire presso la Rai la registrazione televisiva degli esami del

Garampelli, la corte non solo non ravvisa l'assoluta necessità ai fini della decisione richiesta dall'art. 603 c.p.p. ma ritiene che sia di assoluta inutilità atteso che oltretutto i fatti che si

intenderebbero provare hanno già più che sufficiente documen tazione nel fascicolo processuale.

Come poi meglio emergerà dalle argomentazioni che la corte

porrà a sostegno della conferma anche del giudizio di penale responsabilità dell'Armanini in ordine all'episodio Garampelli — cosi come è apparso per l'episodio Rigo — non si ravvisa

nella fattispecie il reato di cui all'art. 318, 2° comma, c.p. Appare opportuna una completa esposizione della vicenda,

cosi come ha fatto il giudice di prime cure. In data 21 dicembre 1989 l'impresa I.F.G. Tettamanti, di cui

era presidente Garampelli Fabrizio, in associazione temporanea con altre imprese, si era aggiudicata l'appalto, del valore di 15

miliardi, dei lavori per la ristrutturazione dell'obitorio e dell'i stituto di medicina legale.

Il contratto era stato firmato per il comune, in data 19 giu gno 1990, dall'Armanini.

Il Garampelli ha riferito al tribunale che, dopo essersi rego larmente aggiudicato la gara di appalto, era stato convocato dall'assessore Armanini, che non conosceva e col quale sino allora non aveva intrattenuto alcun rapporto, per una racco mandazione circa l'esecuzione veloce e vantaggiosa dei lavori.

Poco prima della firma del contratto era stato nuovamente convocato dall'Armanini nel suo ufficio e, in quella seconda

occasione, l'assessore gli aveva detto che «avrebbe apprezzato un ... un contributo, un . . . fece una richiesta in denaro».

Precisava il Garampelli: «L'atmosfera della richiesta, che non era una richiesta, direi fatta anche in modo . . . , tra virgolette, signorile, voglio dire non . . . cioè non aveva grossi problemi. Era una richiesta: avrei. . . gradirei che ci fosse un . . .».

«... la richiesta fu di una cifra ... di 250 milioni . . . dissi che glieli avrei dati il settembre successivo».

Dopo non molti giorni era stato ancora, e quindi per la terza

volta, convocato dall'Armanini, il quale gli chiese «se poteva

Il Foro Italiano — 1994.

anticipare una parte di quella . . . una parte di quella somma, ed in questo caso mi disse anche che il motivo di questa richie

sta era perché ci sarebbero state delle imminenti elezioni e que sto denaro gli sarebbe servito per la sua . . . propaganda eletto

rale, non lo so, insomma . . . Siamo tra marzo e giugno-luglio del 1990 ... (il denaro) se non mi sbaglio glielo ho dato in due o tre rate, la prima forse di . . . si, se mi ricordo bene, di una cinquantina di milioni, la seconda altrettanto . . . Ades

so francamente non mi ricordo».

Il Garampelli non si era meravigliato della richiesta perché «il contesto ambientale era tale per cui l'imprenditore, se non

pagava, avrebbe ... se non pagava, difficilmente avrebbe po tuto continuare a lavorare per gli enti pubblici, o comunque c'era il timore che potesse avere o trovare degli ostruzionismi

o trovare difficoltà nel. . . nel continuare ad operare». «Il con

testo ambientale era dato da ... da una ... era dato da un

rapporto che si era ... ma no .. . dalle esigenze che venivano

dal mondo politico, che purtroppo aveva . . . chiedeva . . . chie

deva, aveva bisogno di continui contributi e automaticamente

si era creato un ... un ... un .. . proprio, un . . . meccani

smo perverso per cui, se non si pagava, si teneva o si avevano

delle ritorsioni tali che ci si trovava costretti ad accedere a que ste .. . richieste ... I nostri lavori sono lavori che . . . lavori

di edilizia che sono . . . durano . . . sono pluriennali, durano uno o due anni, richiedono rapporti continui con l'amministra

zione, rapporti continui perché sono lavori che si evolvono . . .

si evolvono ... nel tempo. Per cui era indispensabile, per po terli seguire in modo corretto e non avere . . . non avere pro

blemi, era indispensabile che ci fosse un ambiente non ostile».

L'ostilità «poteva consistere dalla nomina di un ... di un col

laudatore particolarmente . . . ostruzionista, particolarmente cri

tico, dal . . . dal non appoggiare le richieste, dal ritardare i pa

gamenti ... E, insomma, i documenti passavano . . . passava no .. . passavano e passano negli uffici. Quindi gli uffici, se

hanno certi input in un certo modo, se hanno altri input . . .

lavorano in un altro».

Riconvocato all'udienza del 18 gennaio 1993 il Garampelli

precisiva ulteriormente: «. . . Per meglio capire, dunque, pre messa appunto l'ottica mia di imprenditore, e quindi di mondo

imprenditoriale che era il mio . . . che frequentavo, parlando

per esempio dei rapporti del comune di Milano, c'era una . . .

una cosa fondamentale che ha messo le imprese di costruzioni in una situazione di inferiorità nei confronti dell'amministrazio

ne pubblica. Un . . . non so se cinque anni fa, sei anni fa, il

comune di Milano ha tolto dal capitolato generale, che è quella che disciplina i rapporti tra impresa e amministrazione in ogni

singolo contratto, la possibilità dell'arbitrato. Il che vuol di

re .. . ecco, la possibilità dell'arbitrato . . . Ora l'arbitrato . . . l'avere tolto l'arbitrato vuol dire aver dato . . . l'impresa, per poter difendere i propri interessi, per poter difendere nei con

fronti dell'amministrazione, per poter difendere i propri inte

ressi, l'unica possibilità che ha oggi è quella di ricorrere alla causa civile. Ora, ben sapendo che le cause civili durano, per avere una soluzione delle cause civili, più di sei anni, nel mo mento in cui è stato tolto questo ... la possibilità dell'arbitra

to, che invece avrebbe risanato le controversie in pochi mesi, ha dato in mano ai funzionari pubblici in genere, politici e non

politici, un'arma . . . un'arma incredibile perché abbiamo due contraenti in cui uno però, uno dei due può prevaricare come crede sul . . . sul secondo, e, in questo caso, sulle imprese. Mo tivo per cui un'impresa di costruzioni, essendo in una situazio ne di inferiorità, non può sottrarsi a certe richieste, perché im

maginando di dovere affrontare e di dovere iniziare un lavoro che avrebbe richiesto continui . . . continui contatti, non pote va .. . non potevamo . . . avevamo . . . questa situazione di inferiorità ci obbliga ... ci obbligava a sottostare alle richieste.

Ecco, questo . . . che non sono specifiche per il singolo lavoro, ma sono . . . direi generiche, che nascono probabilmente in con

seguenza di — come questo caso di cui stiamo parlando — di un contratto, ma che non è strettamente legato a questo lavoro. Cioè io avrei avuto probabilmente . . . insomma c'era il timore di ritorsioni nella gestione del contratto. Mille cose ci sono . . .

perché il nostro rapporto contrattuale tra impresa e ammini strazione è disciplinato da capitolati, da leggi difficili complica te, ecc. Mille, mille sono gli argomenti. Il primo è, non so, l'incasso dell'anticipazione . . .».

L'Armanini, da parte sua, ha cosi ricostruito la vicenda nel suo esame del 22 ottobre 1992: «L'architetto Garampelli l'ho

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GIURISPRUDENZA PENALE

incontrato nel mio ufficio, è una conoscenza recente direi, ben

diversa da quella dei fratelli Gaslini che, ripeto, conoscevo da

anni ed erano amici . . . L'architetto Garampelli l'ho conosciu

to praticamente dopo l'appalto dell'obitorio ed ho avuto un

incontro nel mio ufficio, dove gli raccomandai l'opera, quindi

gli raccomandai una perfetta esecuzione della ristrutturazione

di quello stabile, per il quale avevo lavorato moltissimo, avevo

superato delle difficoltà immense per finanziare la delibera e

per ottenere anche l'approvazione da parte della giunta e del

consiglio comunale. E quindi ci tenevo, viste le pressioni dei

lavoratori, dei magistrati che lavoravano in quel settore, e della

università di Milano, che fosse un'opera veramente . . . perfet ta. Ed ho avuto . . . questa assicurazione da parte dell'architet

to Garampelli. Ho avuto un'ottima impressione, sia in quel mo

mento che successivamente, di un imprenditore molto capace e molto corretto. Quando Garampelli lasciò il mio ufficio la

prima volta, mi disse di essere molto soddisfatto di aver vinto

quell'appalto, di poter lavorare con lo stato civile, il progetto era un progetto che gli dava soddisfazione. E mi ricordo che

mi disse: assessore, quando lei dovesse avere bisogno di me, 10 sono presente per qualsiasi sua necessità. Successivamente, visto che eravamo nell'imminenza delle elezioni, visto purtrop

po che mi trovavo in una situazione in cui avevo esaurito i

miei fondi personali e il mio partito non mi aveva dato assolu

tamente nulla, mi sono permesso di chiedere all'architetto Ga

rampelli se poteva aiutare la campagna elettorale . . . con gli stessi termini che ho sentito dire anche in questa aula. La rispo sta fu quella cortesissima dell'ingegnere Garampelli, che io in

contrai nel suo ufficio e che in diverse occasioni mi diede delle

somme, chiamiamole cosi, su sua indicazione, su sua spontanea

elargizione, non per richieste, non per tangenti, non per cose

di questo genere, ma, es., finalizzate esclusivamente alla mia

campagna elettorale. Peraltro, devo dire anche un'altra cosa, che tra me e l'ingegnere Garampelli era nata anche una stima

reciproca, quindi una stima reciproca che ci consenti, nella mia

veste di commercialista ed economista, anche delle consulenze

professionali... Si trattava in effetti di intervenire professio nalmente per uno sviluppo della sua attività nel Veneto . . . Nel

mese di settembre io dissi all'ingegnere Garampelli ritengo che

almeno cinquanta milioni siano il mio lavoro professionale . . .

però se lei, ingegnere, non dovesse ritenere che questi cinquanta milioni siano una mia parcella professionale, un domani, quan do lì avrò, speriamo presto, glieli restituirò».

Si è ritenuto di riportare quasi integralmente le dichiarazioni

rese sulla vicenda dai protagonisti perché fotografano con rara

efficacia la situazione ambientale nella quale la vicenda si poneva. La corte ritiene che la ricostruzione della vicenda risultante

dalle dichiarazioni del Garampelli sia del tutto attendibile.

E non in contrasto con quella fatta dall'Armanini. Per la

rispondenza assoluta mancano nella narrativa del Garampelli la dichiarazione di «disponibilità» riferita dall'Armanini («as sessore, quando lei dovesse aver bisogno di me, io sono presen te per qualsiasi sua necessità») e ogni accenno al rapporto di

consulenza riferito dell'Armanini e relativo agli interessi econo

mici del Garampelli nel Veneto.

Su queste circostanze il presidente del collegio avrebbe potuto sentire il Garampelli quando lo aveva convocato a norma del

l'art. 505 c.p.p. Ma non l'ha fatto e le circostanze non appaio no di rilievo cosi determinante da giustificare la riapertura del

dibattimento.

E va detto che l'Armanini non ha mai contestato le dichiara

zioni del Garampelli, per il quale ha sempre mostrato conside

razione.

Ciò premesso, ritiene la corte che correttamente il tribunale

nella vicenda, cosi come prospettata dai protagonisti, si versas

se in una fattispecie di concussione per induzione.

Ritiene la corte, nel conforto della giurisprudenza del Supre mo collegio, che l'elemento che caratterizza precipuamente il

delitto di concussione — e che rileva in maniera decisiva nel

distinguerlo dal delitto di corruzione — sia lo stato di soggezio ne del privato, molto spesso un imprenditore, di fronte al tito

lare di una pubblica funzione nella cui competenza in senso

lato rientri la gestione del rapporto tra la pubblica amministra

zione ed il privato instaurato o instaurando. Senza che possa

attribuirsi rilievo determinante alla circostanza che sia lo stesso

privato ad offrire al soggetto pubblico denaro o altre utilità,

in particolare quando l'offerta rappresenti il logico sbocco di

una situazione nella quale per il privato si prospettino danni,

che possono consistere nelle difficoltà di lavorare nel settore

11 Foro Italiano — 1994.

pubblico o addirittura nella ipotizzabile esclusione da appalti in favore di altre imprese.

Che poi dalla «elargizione» siano derivate all'imprenditore, oltre al vantaggio di una gestione normale del rapporto contrat

tuale in atto, altri vantaggi maturati nella progressione dei rap porti con la pubblica amministrazione non sposta la qualifica zione giuridica del fatto nell'alveo della corruzione, sempre che

gli ulteriori vantaggi non fossero stati anche parzialmente la

causa anche non determinante dell'«elargizione». Nella specie l'Armanini, vecchia volpe della politica anche

se non particolarmente aduso alle ruberie, consigliere comunale

ininterrottamente dal 1972 (essendo entrato nel consiglio nel 1972, in conseguenza delle dimissioni dell'on. Matteotti, quale primo dei non eletti nelle elezioni del 1970), più volte assessore in vari

settori (allo stato civile, da cui dipende la edilizia e verdi cimite riali, era dal gennaio 1988), non poteva non essere consapevole del contesto ambientale nel quale normalmente si pongono e

si articolano i rapporti tra gli imprenditori ed i funzionari che rappresentano la pubblica amministrazione.

Nel caso specifico poi, quando in seguito all'aggiudicazione

dell'appalto per la ristrutturazione dell'obitorio si erano instau

rati dei rapporti con il Garampelli, l'Armanini aveva già perpe

trato, approfittando del contesto ambientale, le concussioni ai

danni del Rigo e dei Gaslini. Aveva, cioè, già dimostrato ai suoi colleghi di partito che gli imputavano di «non saper ruba

re», che anche lui ne era capace. È ovvio che, in considerazione della qualità degli interlocuto

ri, la minaccia, anche se implicita nel caso del Rigo, dovesse

apparire con adeguata evidenza.

Ma nel caso del Garampelli, uomo abituato a trattare con

amministratori disonesti alle cui richieste si era più volte dovuto

adeguare (cfr. il «caso» Chiesa), persona di superiore categoria sociale e di pronta recezione, la minaccia non doveva essere

evidente anche per rispetto del fair play. Nella specie, la minaccia risultava implicita nelle più convoca

zioni del Garampelli nel suo ufficio di assessore per una non ne

cessaria raccomandazione di eseguire i lavori (dopotutto non si

trattava dell'esecuzione di un'opera di grande valore artistico che

richiedesse l'attenzione particolare dell'assessore, mentre si sa

rebbe appalesato più utile ed opportuno che ogni discussione sul

l'esecuzione dell'opera avvenisse con l'ing. Maiocchi che aveva

curato l'istruzione della pratica o con i tecnici che avrebbero do

vuto seguire la esecuzione dei lavori) e nella richiesta di un in

gentissimo contributo per la sua campagna elettorale (la somma

di lire 250 milioni avrebbe coperto metà della preventivata spesa di 500 milioni) a persona che non era un amico e che aveva ogni interesse a mantenere buoni rapporti con l'amministrazione.

Non è provato che il Garampelli avesse manifestato la sua

«disponibilità» nei termini riferiti dall'Armanini, il quale solo a causa della manifestata «disponibilità» si sarebbe determinato

alla richiesta.

In ogni caso, non parrebbe che nella generica disponibilità che il Garampelli avrebbe manifestato — pur nella forma lette

rale riferita dall'Armanini — potesse rientrare la «graziosa» elar

gizione a fondo perso di una rilevantissima somma di denaro, che sarebbe stata poi ricevuta in contanti in più riprese dall'Ar

manini negli uffici del Garampelli. E non si vede perché ad una persona appena conosciuta l'Ar

manini potesse permettersi di chiedere la rilevantissima somma

per sue esigenze personali quando l'interlocutore si presentava come il legale rappresentante di una impresa che si era aggiudi cata regolarmente un importante appalto e la cui notoria serietà

rassicurava circa la buona esecuzione delle opere. È vero che l'esborso della somma, oltre al vantaggio di libe

rare lo svolgimento del contratto dagli ostacoli che interessati

pubblici funzionari avrebbero potuto frapporre, presumibilmente

procurò al Garampelli il contratto per l'innalzamento dell'edifi

cio dell'obitorio, ma non è assolutamente provato che il versa

mento dei 250 milioni sia stato collegato all'ulteriore contratto.

Al proposito, non è privo d'interesse soffermarsi un momen

to su questa ulteriore vicenda perché pone in rilievo il livello

dei poteri dell'Armanini anche quando non era più assessore.

Dopo il maggio 1990 l'Armanini, sia pure eletto consigliere, non fu più assessore, ma ebbe i due importanti incarichi di de legato alla protezione civile e di delegato all'edilizia cimiteriale ed al verde cimiteriale.

Doveva istruire le pratiche e sottoporle al vero delegato del

sindaco che era l'assessore Zola.

Sia come assessore che come delegato, presiedendo il comita

to per le gare di licitazione privata, aveva un potere di controllo

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PARTE SECONDA

sulla regolarità della procedura ed aveva un potere di scelta sul

tipo di opere da eseguire, una valutazione di convenienza, di

opportunità e di criterio. Ed in pratica aveva anche un potere di scelta nelle ditte da ammettere alla licitazione, per esempio «non invitando le ditte chiacchierate», controllando i requisiti di quelle che avevano fatto domanda ed invitando ditte ritenute

idonee.

Nel caso dell'appalto per il sopralzo dell'obitorio, poiché i

precedenti lavori in corso erano stati fatti bene, aveva chiesto

all'ing. Maiocchi di «istruire una pratica in modo tale che po tesse chiedere a Zola se ritenesse opportuno dare alla Tettaman

ti il sopralzo dell'ultimo piano». All'obiezione del Maiocchi che in quel momento in comune

vi era tendenza a non dare incarichi alle ditte inquisite l'Arma

nini, pur sapendo che il Garampelli era inquisito per il caso

Chiesa, «poiché, inquisita o non inquisita, la Tettamanti aveva

fatto bene il lavoro», aveva dato incarico a Maiocchi di prepa rare il fascicolo per Zola per ottenerne il benestare alla propo sta di procedere alla delibera di attribuzione dell'appalto alla

Tettamanti.

Come si vede, grandi erano i poteri dell'Armanini e molte

le possibilità di creare problemi alle imprese di suo non gra dimento.

E dell'interesse dell'Armanini a «curare» gli appalti è sinto

matico il sequestro presso la sua abitazione, presumibilmente al momento dell'arresto, di un capitolato «Gare di appalto espe rite dal 10 marzo 1992 al 12 marzo 1992» e dell'elenco «Opere di manutenzione ordinaria nei cimiteri cittadini, contratti in sca

denza al 31 dicembre 1991».

Aprendo una parentesi a tal punto, poiché il p.g. ha avanza

to la ipotesi che il denaro rastrellato dall'Armanini fosse in mi

sura superiore a quello che sarebbe stato necessario per le spese elettorali quantificate in lire 500 milioni, va detto che, essendo

l'importo dei 500 milioni coperto dai 250 milioni del Garampel li, dai 50 milioni di Gaslini e dai 200 milioni asseritamente pre levati dai conti personali accesi presso il Credito artigiano ed

il Banco di Napoli (ma i depositi erano lungi dal coprire la

somma di 200 milioni per cui le banche avrebbero fatto dei

notevoli finanziamenti), resterebbero fuori le «elargizioni» del

Ceccarelli, del Rigo e degli altri «amici» dei quali PArmanini non ha voluto fare il nome perché non «facessero la fine del

Ceccarelli».

Va poi detto che non è provato che la campagna fosse costa

ta 500 milioni, atteso che una certa divisione delle spese discen

deva dall'averla organizzata congiuntamente a Pilitteri e a Schem

mari e che non avrebbe nulla pagato per le costose riunioni

conviviali.

Vanno poi ricordate le imbarazzate risposte date dall'Arma

nini circa il deposito a suo nome di lire 390 milioni in titoli di stato scoperto da Di Pietro presso la Banca nazionale dell'a

gricoltura, riguardo al quale la documentazione in prosieguo fornita e dalla quale risulterebbe la titolarità in capo alla vec

chia madre non parrebbe molto azzardato ipotizzare che fosse stata costituita a fini difensivi in epoca successiva al deposito.

Non si vede infine perché PArmanini, titolare di uno studio

molto affermato ed appartenente ad una famiglia agiata, anzi

ché procurarsi i fondi necessari per la campagna elettorale at

tingendo in maniera più incisiva alle risorse personali e facendo

ricorso ai familiari, dovesse sollecitare la elargizione di somme

rilevanti a ditte con le quali era venuto a contatto durante e a causa della sua qualità di p.u.

Se non aveva il denaro per pagarsi una campagna elettorale

avrebbe dovuto non presentarsi alle elezioni o avrebbe dovuto

organizzare una campagna elettorale modesta e comunque nei

limiti delle sue possibilità economiche. Tornando, dopo questo excursus forse «stravagante», alla vi

cenda Garampelli, correttamente il tribunale ha ritenuto che lo

incarico professionale che PArmanini ha asserito di avere rice

vuto in seguito dal Garampelli non rilevasse ai fini della confi gurabilità della concussione, sia perché non è da escludere che

anche questo incarico costituisse lo sviluppo di una condotta

in qualche misura condizionata dall'esigenza di non scontentare

PArmanini, sia perché si tratterebbe di un rapporto sorto suc

cessivamente alla promessa della dazione del denaro e pertanto

dopo la consumazione del reato.

Concludendo, in ciò praticamente seguendo la corretta linea

proposta efficacemente dalla parte civile.

In un contesto più generalizzato che è quello di una general mente accettata sottomissione alle richieste dei politici la con

II Foro Italiano — 1994.

cussione per induzione implicita è dimostrata da cinque elemen

ti pacifici: la gara era stata regolare e al momento della richie

sta della somma l'appalto era stato già aggiudicato; Armanini

e Garampelli non erano amici di vecchia data ma erano due

persone che si erano appena conosciute; vi era un rapporto isti

tuzionale fra Garampelli imprenditore ed Armanini assessore

nel settore competente per i lavori che dovevano essere svolti; Armanini era in condizione di creare ostacoli nella gestione del

l'appalto e di influire sui futuri rapporti dell'imprenditore con la pubblica amministrazione; Armanini aveva necessità di soldi

e ne aveva fatto richiesta all'imprenditore. Si conferma pertanto il giudizio di penale responsabilità emesso

dal tribunale. (Omissis)

III

Diritto. — Uno dei problemi, se non addirittura il problema essenziale che il presente procedimento ha posto e pone, è quel lo di individuare il criterio od i criteri differenziatori fra lo schema normativo della concussione e quello tipico della corruzione.

Si è infatti avuto modo di constatare, nel corso dell'analisi

precedentemente condotta sui singoli fatti-reato, come sia stato

costante da parte dei soggetti privati che hanno avuto rapporti con il Chiesa per l'aggiudicazione dei contratti di appalto il ri

corso allo schema della concussione per delineare l'essenza di

tali rapporti, prospettando, volta a volta, un metus o quanto meno uno stato di soggezione nei confronti del pubblico ufficiale.

A tale prospettazione fa peraltro riscontro, da parte di Chie

sa, il ricorso allo schema della corruzione, coinvolgendo nelle

penali responsabilità, conseguenti ai reati, anche le parti private. Di fronte a tale contrasto di prospettiva, appare fin troppo

evidente il gioco delle parti sottostanti e si assiste, in tale gioco, a rappresentazioni di presunte vittime che reiteratamente nega no di aver corrisposto al Chiesa una qualsiasi somma di danaro

e che, solo dopo le ammissioni dello stesso Chiesa, ammettono

la dazione delle somme in un contesto di mera soggezione al

«potere» illimitato del Chiesa. Si assiste, sempre in questo gio co di parti, a «vittime» che ricercano in modo costante e pres sante il loro «carnefice» pur di salvaguardare il «lavoro», pur di mantenere quei rapporti previlegiati che consentono di sfrut

tare le opportunità economiche offerte da un particolare merca

to. A sostegno della loro prospettazione, gli imprenditori han

no, in modo quasi costante, prospettato uno «stato di soggezio ne» nei confronti del Chiesa; si è affermato che le dazioni di

danaro sono state effettuate per evitare dannosi ostruzionismi

nell'estrinsecazione del rapporto instauratosi a seguito dell'ag

giudicazione dell'appalto: ritardi nei pagamenti, perizie supple tive artatamente disposte.

A ben vedere, tuttavia, il prospettato «stato di soggezione» non trova origine e causa in una violenza, in una minaccia, od in un'induzione proveniente dal p.u. che abusa delle sue fun

zioni o dei suoi poteri e che pone al privato l'alternativa di

effettuare il versamento della somma pretesa o subire il male

minacciato o prospettato. Tale stato di soggezione trova invece origine nella mera con

statazione del «potere» o dei poteri che il p.u. detiene e prescin de da un qualsiasi atto di coartazione della volontà del soggetto

privato, da un qualsiasi atto di concreta intimidazione prove niente dal p.u.; inoltre, l'eventuale dazione di danaro effettuata

al p.u. non è diretta ad evitare un danno «attuale», non è il

mezzo per sfuggire al «male» minacciato o prospettato, ma è

diretta a prevenire l'eventuale e futuro esercizio di un potere, da parte del p.u., da cui potrebbe derivare un danno per il

privato. In un simile contesto, non solo sono incerti il verificar

si del pregiudizio per il privato e l'estrinsecarsi del «potere» del p.u. a cui sarebbe riconducibile il danno del privato, ma

manca soprattutto una qualsiasi condotta, anche implicita, del

p.u. che determini nel privato il timore di un danno. Mancando

la concreta minaccia o violazione o l'induzione proveniente dal

p.u. tale «stato di soggezione» esula dallo schema normativo

della concussione; potrà, in un'eventuale riforma normativa, tro vare spazio nello schema della c.d. concussione ambientale, en

tro cui potrà attribuirsi rilevanza ad uno stato oggettivo di sog

gezione in cui viene a trovarsi il privato indipendentemente da

un'azione di coartazione proveniente dal p.u. Allo stato attua

le, gli schemi normativi di riferimento sono e rimangono quelli tradizionali della concussione e della corruzione.

A complicare la scelta fra le due alternative e fra i due sche

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GIURISPRUDENZA PENALE

mi normativi che vengono proposti dagli stessi imputati, prima ancora che dagli organi della pubblica accusa, vi è certamente

il fatto che, nella prospettiva del legislatore penale e soprattutto nella realtà sociale, concussione e corruzione rappresentano ipo

tesi di una patologia eccezionale o comunque circoscritta a de

viazioni individuali ed isolate. Il quadro che invece emerge dai fatti oggetto del presente procedimento (e da un complesso di

altri fatti che quasi quotidianamente emergono nelle indagini

originate dal presente procedimento) ha portato alla cognizione

giudiziaria un contesto che non è fatto di isolate deviazioni in dividuali, ma da comportamenti abituali, costanti e generalizza

ti che hanno dato origine ad un vero e proprio «sistema di ille

galità diffusa». Sistematico sembra infatti l'uso criminoso, ampio e genera

lizzato, dei poteri e delle opportunità collegati alla gestione del

la «cosa pubblica», dei beni e delle risorse della collettività, uso finalizzato o all'arricchimento personale di pubblici funzio nari od al finanziamento di attività destinate ad accrescere o

quanto meno a consolidare le «basi di consenso» di singoli o

di gruppi organizzati od anche soltanto al rafforzamento delle

posizioni d'impresa. Tuttavia, anche di fronte a tali deviazioni diffuse, anche di

fronte al «sistema», non mutano gli schemi normativi entro i

quali ricondurre le condotte criminose: concussione e corruzio

ne, nonostante la gravità del fenomeno delle c.d. tangenti e no

nostante i tentativi fatti anche in un recente passato per creare

nuovi schemi, rimangono le due fattispecie alle quali ci si deve

riferire per la repressione penale di tale fenomeno e vanno quindi

individuati i criteri di differenziazione fra l'uno e l'altro dei due schemi normativi.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente domi

nanti, mentre la corruzione è caratterizzata dal libero accordo

fra il pubblico ufficiale ed il privato e dalla posizione di parità fra i due soggetti, la concussione è contraddistinta dalla supe

riorità del pubblico funzionario rispetto al privato e dalla vo

lontà viziata con la quale il privato dà o promette denaro od

altra utilità. Così è stato affermato che «nella corruzione, l'ele

mento psicologico che induce il privato alla corresponsione di

un illecito compenso deve ricercarsi nella libera determinazione

da parte dello stesso di porre in essere, d'accordo con il pubbli

co ufficiale, un illecito rapporto; nella concussione invece la

determinazione è la conseguenza della coartazione della volontà

del privato soggiogata dall'impossibilità di conseguire in altro

modo l'utile sperato» (Cass., sez. VI, 22 maggio 1969, Foro

it., Rep. 1969, voce Concussione, n. 14); cioè «mentre nel delit

to di concussione il soggetto passivo è consapevole di essere

vittima di una sopraffazione e di non dover dare nulla, ma è

indotto a cedere alla richiesta di danaro o di altra utilità del

soggetto attivo per il timore della pubblica autorità, nel delitto

di corruzione il privato non agisce sotto l'influenza di altre per

sone e del funzionario, ma è assolutamente libero ed in condi

zioni di parità con il pubblico ufficiale, con il quale, anzi, colla bora alla ricerca di un accordo nell'illecita contrattazione» (Cass.,

sez. VI, 29 settembre 1972, Alù, id., Rep. 1974, voce cit., n. 3).

Anche la prima giurisprudenza formatasi dopo l'entrata in

vigore della 1. 86/90 ricalca il solco della precedente (Cass. 27

maggio 1991) affermando che «in materia di reati contro la pub blica amministrazione, dopo la modifica introdotta dalla 1. 26

aprile 1990 n. 86, risulta confermata la tradizionale distinzione

tra concussione e corruzione: nella prima viene in evidenza lo

stato di soggezione del cittadino di fronte al titolare di una pub

blica funzione o di un pubblico servizio, nella seconda viene

in evidenza una trattativa da pari a pari tra cittadino e funzio

nario, la quale si caratterizza come tale sul piano concreto e

funzionale, senza alcun riguardo al momento iniziale della pro

posta ed alla necessità di individuare l'autore di questa. Ove

il reato di concussione venga commesso con abuso dei poteri,

si pone un problema di relazione tra gli atti amministrativi adot

tati, rientranti nella competenza del funzionario, e la contropre

stazione del privato; pertanto, agli effetti della distinzione dal

reato di corruzione, può individuarsi un rapporto sinallagmati

co tra le prestazioni e si delinea una situazione di natura ogget

tiva, che — prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul

piano patrimoniale — vale a qualificare il rapporto soggettivo

come paritario (e quindi presumibilmente voluto dal privato)

o squilibrato (e quindi presumibilmente imposto dal funziona

rio). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso

della qualità, non si pone il problema di relazione tra contro

prestazioni, e lo stato di disponibilità del privato alla promessa

Il Foro Italiano — 1994.

o alla dazione di danaro o altra utilità, derivando dalla sola

qualifica soggettiva del pubblico ufficiale, non può essere colle

gato che ad un illegittimo stato di soggezione, nel quale indi

stintamente possono comporsi aspettative di eventuali benevo

lenze nella gestione della cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un'autonoma discrezionalità del

pubblico funzionario, che vale ad escludere il rapporto parita rio con il privato».

Al di là tuttavia delle definizioni, si è sempre comunque rav

visata una difficoltà nello stabilire quando viene meno la posi

zione di particolare supremazia del pubblico ufficiale e quando invece si affaccia uan posizione di parità fra il pubblico funzio nario ed il soggetto privato, difficoltà che di volta in volta si

è cercato di superare con il ricorso a qualche parametro oggettivo. Fermo restando in ogni caso l'elemento della diversità o della

parità di posizione fra pubblico funzionario e privato, quale

elemento differenziatore fra la fattispecie della concussione e

quella tipica della corruzione, in realtà, sia facendo riferimento

all'«iniziativa» sia guardando all'utile perseguito, si è cercato

di dare, mediante l'aggancio ad un qualche parametro oggetti

vo, un minimo di concretezza, a situazioni tipicamente soggetti

ve, quali il metus o l'accordo, difficilmente percepibili nella realtà

esteriore. Di fronte ad un atto non univoco (la dazione del com

penso al pubblico ufficiale), si è cercato di individuare la «cau sa» dell'atto o nel momento iniziale (l'iniziativa) o nel momen

to finale (l'utile perseguito), al fine di ricostruire la «posizione» 0 quanto meno l'animus dei soggetti intervenienti nell'illecito.

Secondo una concezione, in passato largamente dominante

in dottrina ed in giurisprudenza, ma attualmente superata, si

è individuato nelP «iniziativa» il criterio di differenziazione fra 1 due schemi e si è conseguentemente affermato che si ha corru

zione quando il pubblico funzionario accetta un compenso che

non gli spetta, offertogli dal privato, mentre ricorre la concus

sione quando il funzionario «chiede» una utilità non dovutagli,

prendendo egli stesso l'iniziativa. Contro la validità di un simile

approccio si è però osservato che «sia nell'ipotesi di corruzione

che in quella di concussione l'offerta o la richiesta della somma

rappresentano normalmente non l'atto iniziale dell'iter crimi

nis, ma il logico sbocco di una situazione gradatamente creatasi

attraverso velate allusioni o maliziose prospettazioni di futuri

danni; si che è perfettamente ipotizzabile una concussione nella

quale sia stato il privato ad offrire la somma ed una corruzione

nella quale sia il pubblico ufficiale a prendere l'iniziativa» (Cass.,

sez. VI, 18 gennaio 1971). Più recente è il tentativo di individuare un parametro oggetti

vo di differenziazione nel profitto «ingiusto» perseguito dal pri

vato. Si è quindi affermato che, anche quando la posizione fra

p.u. e privato non è paritaria, sussiste corruzione e non concus

sione se il privato tende a conseguire un profitto ingiusto a dan

no della pubblica amministrazione, sia che questo vantaggio con

sista nell'evitare un provvedimento giusto per lui pregiudizievo

le, sia che si concreti nel conseguire un utile che non gli compete;

in tal caso non sarebbe possibile parlare di concussione, perché

il privato non è vittima del p.u. ma coopera con lui in una

azione che lede gli interessi della pubblica amministrazione Tale

criterio affacciatosi in dottrina, viene, peraltro, solo talvolta re

cepito anche dalla giurisprudenza: «il delitto di concussione non si può configurare allorquando il funzionario domandi ed ot

tenga un indebito compenso come prezzo per violare i suoi do

veri e far conseguire al privato un vantaggio ingiusto in danno

della pubblica amministrazione, giacché in tal caso il privato

non è indotto alla dazione dal metus ma dalla finalità di conse

guire un vantaggio che senza la complicità del p.u. gli sarebbe

certamente precluso» (Cass. 15 aprile 1969, Di Fonzo, id., 1970,

II, 161). In forma sintetica ed efficace, il criterio differenziatore appe

na indicato è stato individuato affermando che, mentre nella

concussione il privato certat de damno vitando, nella corruzio

ne certat de lucro captando. In tale logica si è poi introdotta un'ulteriore distinzione: nel

caso del p.u. che si faccia dare o promettere denaro o altra

utilità dal privato per commettere un atto contrario ai doveri

di ufficio o per omettere o ritardare un atto di ufficio si avreb

be sempre corruzione (propria), poiché il fatto stesso che si rag

giunga un accordo per retribuire il p.u. in ordine a un compor

tamento contrario ai doveri di ufficio dimostra che vi è una

condotta illecita del privato, che deve essere punita; invece nel

caso della retribuzione per il compimento di un atto di ufficio,

l'elemento di differenziazione fra corruzione (impropria) e con

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PARTE SECONDA

cussione sarebbe costituito dalla iniziativa, intesa quest'ultima non in senso esteriore e formalistico, ma in senso conforme

alla realtà (non occorre una esplicita richiesta od offerta, ma

bastano atti concludenti). In ogni caso, l'accento posto o sul momento iniziale (l'inizia

tiva) o sul momento finale (il vantaggio) del rapporto che si instaura tra pubbico ufficiale e privato, si spiega in quanto,

soprattutto in fatti isolati ed individuali, l'attività di coloro che — in forme e con ruoli diversi nella concussione e nella corru

zione — intervengono nel fatto illecito, si esaurisce in atti es

senziali, se non addirittura in un unico atto da parte di ciascuno

dei due protagonisti, il versamento da parte del privato di quanto concordato o preteso, e l'abuso od il compimento dell'atto da

parte del pubblico funzionario.

L'essenzialità degli atti da sottoporre ad analisi rende difficol

toso cogliere quegli aspetti «soggettivi» che qualificano il rappor to tra il pubblico funzionario ed il privato e che consentono di

ricondurre tale rapporto all'una od all'altra delle due fattispecie. Tuttavia, nell'ambito di un «sistema di illegalità diffusa» quale

emerge dal presente procedimento, il rapporto tra il pubblico funzionario ed il privato non si esaurisce in atti essenziali: l'atto

del pubblico funzionario ed il versamento allo stesso di un com

penso da parte del privato non sono gli unici atti compiuti da

coloro che intervengono nell'illecito; sono invece gli atti finali,

penalmente rilevanti, di una complessa «procedura» costituita

da una pluralità di atti, fra loro distinti ma teologicamente coor dinati verso i due atti terminali sopra indicati. Anche dal com

plesso di tutti questi atti e dalle modalità con cui si integrano fra loro per la realizzazione degli atti finali si possono cogliere dati oggettivi per ricostruire quelle situazioni soggettive, che con

sentono di ricondurre ad uno dei due schemi normativi i singoli fatti.

Va solo notato che rispetto all'ottica tradizionale, non muta

no i criteri di differenziazione fra le due fattispecie di concus

sione e di corruzione, si amplia semplicemente l'ambito degli elementi oggettivi entro il quale ricercare i dati che qualificano penalmente il rapporto instauratosi fra il privato contraente ed il pubblico ufficiale. Del resto, l'indicazione a ricercare negli «atti» posti in essere dai soggetti che intervengono nell'illecito

per trarre gli elementi di qualificazione del rapporto, si può

cogliere anche in talune pronunce giurisprudenziali che solleci

tano implicitamente, a considerare, ai fini delle qualificazioni giuridiche, i «comportamenti delle parti», e l'eventuale «parte

cipazione» del privato all'azione: si afferma infatti che «quan do il cittadino non è vittima dell'azione illecita del pubblico ufficiale, ma partecipa ad essa, attraverso le tante forme anche

larvate che azioni del genere possono assumere, e se ne avvan

taggia, conseguendo un utile che altrimenti gli sarebbe precluso, non è ipotizzabile il reato di concussione, ma nel fatto deve essere ravvisata un'ipotesi di corruzione. In una tale situazione non ha importanza il fatto che sia stato il pubblico ufficiale

a richiedere l'illecita utilità o comunque a prendere l'iniziativa dell'accordo criminoso; perché l'offerta o la richiesta rappre sentano il momento terminale di una situazione già pervenuta a maturazione attraverso un concordante comportamento mali zioso delle parti» (Cass., sez. VI, 10 novembre 1971, Tartaro, id., 1973, II, 221).

Valutando i fatti-reato, oggetto del presente procedimento al la stregua dei criteri sopra individuati si può affermare che, ad eccezione dei fatti-reato posti in essere in danno del Magni, ricorrono per tutti gli altri casi gli estremi della fattispecie di cui all'art. 319 c.p., cosi come contestata. Infatti le dazioni di danaro al Chiesa trovano origine e causa in specifici ed artico lati «accordi», intervenuti tra lo stesso Chiesa e ciascuno degli altri imputati.

La sussistenza di tali accordi criminosi è desumibile sia dal vantaggio, sicuramente ingiusto, perseguito da ciascuno dei pri vati contraenti sia dalla attiva e concreta cooperazione dagli stessi prestata per la realizzazione di tale ingiusto vantaggio.

Sotto il primo profilo, il vantaggio infatti perseguito dal pri vato, mediante il versamento al Chiesa delle somme di danaro, non è la realizzazione di un proprio diritto: Chiesa non richiede e non percepisce le somme per consentire, agli imprenditori l'ac cesso alle gare d'appalto oppure per attribuire la vittoria, una volta verificatesi tutte le condizioni giuridiche, a chi ne fosse risultato vincitore.

Chiesa richiede e percepisce le somme perché offre al privato non il rispetto di un suo diritto, ma un fatto ulteriore, offre la certezza della vittoria nella successiva gara d'appalto, certez

II Foro Italiano — 1994.

za rispetto alla quale il privato non ha diritto alcuno e che, solo accettando ed effettuando il versamento della c.d. tangen

te, riesce ad acquisire, eliminando la concorrenza e creandosi

una situaizone previlegiata rispetto agli altri operatori economici. La «certezza della vincita» conseguita illecitamente mediante

la promessa prima e la dazione poi, della somma di danaro, richiede inoltre, per essere realizzata, una serie di atti.

Con l'offerta al privato dell'indebita posizione di privilegio, da parte del p.u., e con l'assunzione, da parte del privato, del

l'impegno a corrispondere la c.d. tangente, si concreta solo l'ac

cordo corruttivo, che, nel sistema emergente dal presente proce

dimento, è un accordo ad «esecuzione frazionata», la cui attua

zione richiede una pluralità di atti integrati e coordinati. Taluni di tali atti rientrano nella sfera esclusiva di attività

del p.u.; altri atti vengono e possono essere posti in essere esclu

sivamente dal privato, al di fuori della sfera «di vigilanza e

controllo» da parte del p.u., in una sfera in cui non opera in

alcun modo la posizione di supremazia del p.u. ed in cui vige la piena autonomia da parte del privato, atti la cui esecuzione

trova causa esclusiva nel fatto di essere condizioni essenziali

per la realizzazione dell'accordo illecito intervenuto con il p.u. In altri termini, oltre alla garanzia di vittoria nella gara offer

ta dal p.u. in cambio della promessa della c.d. tangente, questi offre anche la sua disponibilità a compiere tutti quegli atti rien

tranti nel suo ambito di operatività per rendere effettiva questa

«garanzia»; l'attivazione di questa disponibilità è però condi

zionata ad una serie di impulsi, di indicazioni o di comporta menti (chiaramente diversi dal versamento della somma di da

naro) provenienti dal soggetto privato e posti in essere solo per la realizzazione dell'indebito vantaggio offerto (promesso

garantito o prospettato) dal p.u.; solo alla ricezione di tali «im

pulsi» la disponibilità del p.u. si traduce in atti, in quegli atti che concretamente realizzano l'indebito vantaggio per il priva to; solo alla effettiva aggiudicazione della gara d'appalto al pri vato partecipe all'accordo corruttivo, segue il versamento al p.u. della somma di danaro.

Questa ricostruzione dell 'iter criminoso sottostante ai fatti di

corruzione contestati è sicuramente molto schematica, non po tendosi dare spazio all'infinita gamma di variazioni che ogni

rapporto intercorso tra Chiesa ed il singolo imprenditore presenta. Ciò che tuttavia preme porre in rilievo è il fatto che, nell'ille

cita procedura instauratasi all'interno del Pio Albergo Trivulzio — parallelamente ed in funzione delle procedure legali e forma

li per l'aggiudicazione degli appalti — c'è sempre uno specifico libero-cosciente e volontario «concorso materiale» dei singoli

imprenditori nell'illecita attività, un concorso materiale che, se, da un lato, convalida la sussistenza di specifici «accordi» cor

ruttivi quale causa dei versamenti di somme di danaro al Chie

sa, rende però anche evidente i profili di responsabilità degli

imprenditori che hanno conseguito, con specifiche attività, in

debite posizioni di vantaggio. Esaminando le singole procedure d'appalto appare chiaro l'ap

porto dato dagli imprenditori, l'attività dagli stessi posta in es sere per la realizzazione dell'accordo corruttivo, accordo che

per di più non è isolato, ma si inserisce in un contesto di accor di sistematici.

I metodi normalmente utilizzati per l'affidamento degli ap palti del Pio Albergo Trivulzio risultano essere stati i seguenti:

— Trattativa privata — Licitazione privata (sia con il sistema del massimo ribas

so, sia con il .sistema del raffronto con la media delle offerte

presentate) — Appalto concorso.

A) Trattativa privata. — È una forma di contrattazione ca ratterizzata dall'assenza di vincoli per la pubblica amministra

zione nella scelta nel contraente, cosi che il rapporto negoziale scaturisce da un accordo diretto fra la pubblica amministrazio ne e la parte privata, che concorre con l'amministrazione nella

definizione dei contenuti contrattuali.

Di norma, la trattativa privata non richiede preselezione, che

avviene, invece, nel caso della c.d. «trattativa privata multi

pla», nella quale l'amministrazione pur non essendo subordina ta (per la natura del contratto o per la modestia degli importi) all'obbligo del preventivo esperimento di una procedura con

corsuale, reputa comunque opportuno effettuare una sorta di

gara informale, mediante la convocazione di più offerenti. Nel caso di specie, il ricorso alla trattativa privata pura è

stato assai contenuto, anche in ragione del carattere assoluta mente eccezionale dell'istituto, che la normativa in materia di

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GIURISPRUDENZA PENALE

contabilità dello Stato e la legislazione sulla Ipab, considerano

applicabile solo in casi determinati. In particolare, la trattativa privata è stta utilizzata per l'affi

damento dei lavori di pulizia e per l'acquisto dei macchinari

relativi. Talvolta si è fatto uso della trattativa privata per piccole for

niture, soprattutto per coprire le eventuali necessità di integra zione delle scorte nelle more fra il contratto di fornitura relati

vo ad un esercizio e quello riguardante l'esercizio successivo

0 per prestazioni straordinarie. Nel caso della trattativa privata

«pura» non c'è alcuna attività riconducibile al privato contraente

e diretta ad eliminare i concorrenti, per il semplice motivo che

non vi è alcuna forma di gara. Considerazioni ben diverse devono essere fatte per altri casi

di ricorso alla trattativa privata nel corso della gestione del Pio

Albergo Trivulzio, in particolare per quanto attiene alle modali

tà di assegnazione di parte dei lavori inerenti alla esecuzione

di grandi opere edili. Altri casi ben più significativi di ricorso al metodo della trat

tativa privata riguardano comunque l'esecuzione di parte delle

grandi opere edili, in particolare l'affidamento dei lavori di co

struzione della seconda residenza protetta del padiglione S. Carlo

Schiaffinati. In tutti questi casi, infatti, è stato richiamato l'art. 12 1. n.

1 del 3 gennaio 1978, recante disposizioni in materia di accele

razione degli appalti di opere pubbliche. La norma indicata, in particolare, consente l'affidamento a

trattativa privata dei «lavori relativi ai lotti successivi di proget ti generali esecutivi approvati e parzialmente finanziati» alla me

desima impresa esecutrice del lotto precedente «per il valore

non superiore al doppio dell'importo iniziale di assegnazione del lotto precedente» a condizione che:

1) i nuovi lavori consistano nella ripetizione di opere simili

a quelle che hanno formato oggetto del primo appalto;

2) i lavori del lotto precedente siano ancora in corso;

3) l'impresa sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità

generale e tecnica per eseguire nuovi lavori.

La facoltà di ricorrere al metodo di aggiudicazione sopra ri

chiamato è subordinata alla circostanza che la stessa sia espres samente prevista nel bando di gara iniziale, atteso che — come

la giurisprudenza ha più volte rilevato (cfr. Corte conti, sez.

contr. Stato, 18 ottobre 1979, n. 1002, id., Rep. 1980, voce

Opere pubbliche, n. 58) — le opere oggetto di affidamento a

trattativa privata debbono essere già previste in un progetto ese

cutivo unitario, cosi da costituire completamento di un inter

vento già approvato in ogni sua parte. Nel caso di specie, nell'interrogatorio di Mario Chiesa, si os

serva espressamente come nel bando di gara relativo alla licita

zione privata per l'affidamento della prima struttura protetta era stato appositamente inserito il richiamo all'art. 12 1. 1/78

(che non è un contenuto necessario dei bandi, ma rispose sol

tanto a valutazioni di opportunità, rimesse alla scelta discrezio

nale della pubblica amministrazione), al fine di legittimare poi l'affidamento anche delle opere successive al medesimo gruppo di imprese: in sostanza, l'accordo iniziale riguardava tutto l'in

tervento di ristrutturazione del Pio Albergo Trivulzio ed è stato

orientato a consentire il primo affidamento dei lavori, in quan

to veicolo per l'affidamento anche delle opere successive.

Vi sono tuttavia forti dubbi sulla legittimità del ricorso alla

procedura di cui all'art. 12 1. 1/78 per l'assegnazione delle ope re relative alla seconda struttura e c'è la certezza che tale ricor

so sia stato illegittimo per l'affidamento delle opere relative al

padiglione S. Carlo Schiaffinati. Nel caso della seconda struttura protetta, infatti, come emer

ge chiaramente dalla delibera 31 luglio 1989, n. 534/88, i lavori

relativi alla seconda struttura protetta non erano inseriti nel pro

getto esecutivo in base al quale è stata indetta la licitazione pri

vata relativa alle opere di costruzione della prima struttura, ma

sono state oggetto di autonomo e specifico progetto esecutivo

(d.c. 28 febbraio 1988). In proposito, a nulla rileverebbe la circostanza che tale pro

getto facesse parte di un programma unitario di ristrutturazione

delle degenze laterali, come richiamato nella citata deliberazio

ne 534/88, in quanto la lettera dell'art. 12 1. 1/78 (ritenuto di

stretta applicazione stante il carattere eccezionale dello stesso)

richiede espressamente un «progetto generale esecutivo» unita

rio e non già un semplice «programma». Nel caso del S. Carlo Schiaffinati, poi, le condizioni di appli

cazione della norma sull'accelerazione dell'esecuzione delle ope

re pubbliche sono assolutamente inesistenti: si tratta, infatti,

di un intervento di costruzione di una struttura autonoma ri

II Foro Italiano — 1994.

spetto a quella già in corso di realizzazione da parte dell'asso

ciazione di imprese Marostica, assolutamente non prevista nel

progetto esecutivo della prima struttura ed anche difficilmente

qualificabile come «simile» a quelli già affidati. Per l'affidamento a trattativa privata delle grandi opere edili,

dunque, l'accordo criminoso non si è concretato nel mero supe ramento illegittimo dell'obbligo di indire la gara, ma nella pre costituzione delle condizioni per tale superamento. In sostanza, l'accordo iniziale è quello che ha portato alla organizzazione di una gara apparentemente regolare, per l'affidamento dei la

vori relativi alla prima struttura protetta, predisponendo un ban

do idoneo non solo a garantire (come si è visto e si vedrà in

seguito) la vittoria di un determinato imprenditore, ma anche

a precostituire le condizioni per consentire a quest'ultimo l'ese

cuzione anche di opere ulteriori e del tutto autonome.

B) Trattativa privata multipla. — A differenza della trattati

va ordinaria, la trattativa privata multipla (o a gara ufficiosa)

presuppone l'esperimento di una sorta di preconsultazione in

formale, tra una pluralità di imprese la cui finalità è quella di

consentire all'amministrazione di verificare le condizioni di mer

cato e di ottenere la migliore fornitura, sotto il profilo del rap

porto prezzo-qualità, senza le lungaggini della gara formale.

La consultazione di più operatori consente un confronto, sia

pur informale, dando maggiore garanzia di una scelta più van

taggiosa. Nel caso del Pio Albergo Trivulzio la trattativa privata multi

pla è stata formalmente utilizzata spesso per le forniture di ge neri di consumo e risulta più volte dalle affermazioni di Mario

Chiesa e dagli atti documentali che, in tali occasioni, venivano

invitate imprese di copertura, i cui nominativi venivano forniti

dallo stesso imprenditore predestinato a vincere.

È ad esempio il caso delle forniture facenti capo a Camalori,

delle quali si richiamano alcuni casi significativi. La Ceditalia ha operato come fornitrice del Pio Albergo Tri

vulzio per i prodotti alimentari, quali i pomodori pelati, i sot

t'olio, il caffè. Nel caso dei pelati, nel 1986 (deliberazione consiliare n. 633/80)

sembrerebbero essere state invitate otto ditte, con circa venti

giorni per formulare l'offerta: solo la Ceditalia concorre.

Nel 1987, sempre con limite di venti giorni per la formulazio

ne delle offerte, partecipano due ditte, ma vince la Ceditalia,

senza alcun dettaglio comparativo sulle offerte.

Nel 1988, nuovamente concorre la sola Ceditalia, poi confer

mata anche nel 1991, nonostante la partecipazione di altre due

ditte, senza alcuna traccia della valutazione comparativa. Per i prodotti sott'olio la situazione è analoga. Per il caffè ed i fiocchi di patate, poi, tra le poche ditte par

tecipanti alla «preselezione informale» compare quasi sempre la Orma, che è anch'essa legata a Camalori.

C) Licitazione privata. — La licitazione privata è una proce dura ristretta, cioè una gara formale alla quale possono parteci

pare soltanto le ditte invitate, a differenza dell'asta pubblica, nella quale la partecipazione è aperta a chiunque sia interessato.

In comune con l'asta pubblica la licitazione privata ha il fat

to di essere basata su un contratto i cui contenuti sostanziali

sono predisposti dall'amministrazione, di essere improntata al

principio della libera concorrenza e della aggiudicazione al mi

glior offerente rispetto ad una stima posta a base della gara, mentre condivide con la trattativa privata la facoltà di indivi

duazione preventiva del novero dei potenziali contraenti.

Nella licitazione privata, la certezza dell'aggiudicazione ad un

soggetto determinato può essere ottenuta operando su due di

verse fasi della procedura: sulla fase di preselezione delle impre

se partecipanti e sulla fase di determinazione dell'offerta.

Trattandosi di procedura concorsuale, nella quale l'aggiudi

cazione è l'esito di un'operazione matematica di sommatoria

delle offerte numeriche, è evidente che le possibilità di manipo

lazione della gara sono legate, in primo luogo, alla esistenza

di un accordo fra tutte (o la maggior parte) le imprese offeren

ti, le cui proposte debbono essere preventivamente determinate

in funzione all'aggiudicazione ad un soggetto determinato.

In questo senso, l'attività del pubblico funzionario è quella

di favorire l'attuazione dell'accordo fra le imprese, adattando

gli elementi formali della procedura alle esigenze dell'impresa

designata. Come si è già accennato, i criteri di aggiudicazione più fre

quentemente adottati dal Copat in casi di licitazione privata so

no stati i seguenti: — per le opere edili:

a) art. 1, lett. a), 1. 14/73

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PARTE SECONDA

b) art. 1, lett. c), 1. 14/73 — per le forniture:

art. 73 d.l. 23 maggio 1924 n. 827, principalmente con il me todo della lett. b): «per mezzo di offerte segrete da confrontarsi

poi col prezzo massimo o minimo prestabilito e indicato in una

scheda segreta dell'amministrazione».

Nel caso della lett. a) dell'art. 1 1. 14/73 l'aggiudicazione av

viene secondo lo schema procedurale di cui all'art. 76 della leg

ge di contabilità di Stato, cioè per mezzo di offerte segrete da

confrontarsi con il prezzo a base d'asta: di norma, ciò compor ta l'aggiudicazione all'offerta contenente il massimo ribasso.

Nel caso della lett. c), invece, il termine di raffronto dell'of

ferta è costituito dalla media finale, calcolata in base alle offer

te ammesse e cioè alle offerte che risultano comprese nei limiti

di minimo e massimo ribasso indicati dall'amministrazione in una apposita scheda segreta (forbice).

L'aggiudicazione secondo il sistema di cui all'art. 73, lett.

b), avviene per mezzo di offerte segrete da confrontarsi poi col

prezzo massimo o minimo indicato in apposita scheda segreta dall'amministrazione: in questo caso, si fissa il prezzo di riferi

mento oltre il quale (o al di sotto del quale, se le offerte sono

in aumento) le offerte non sono ammissibili.

Ciò premesso, si osserva che in tutti i casi il numero delle

imprese partecipanti è un fattore determinante nella predetermi nazione dell'offerta vincente, anche se con diversa portata a

seconda delle diverse situazioni.

In generale, quando l'aggiudicazione avviene in base alla me

dia delle offerte è evidente che tanto più è alto il numero delle

imprese partecipanti, tanto più difficile è il controllo delle of

ferte e il raggiungimento della massima approvazione. Di contro, peraltro, la drastica riduzione del numero di par

tecipanti, se non accompagnata da un controllo pressoché tota

le delle offerte presentate, rende quasi impossibile individuare

anticipatamente con certezza l'offerta vincente, in quanto il pe so di ciascuna offerta sulla composizione della media è propor zionalmente maggiore.

Ad esempio: se partecipano cento ditte, la rilevanza di cia

scuna offerta rispetto alla media è assai ridotta; se partecipano 2/3 ditte un'offerta sola è in grado di spostare drasticamente

l'asse della media, alterando ogni possibile previsione.

Peraltro, nel primo caso per governare la gara è necessario

non solo il controllo di molte offerte, ma anche la presentazio ne di più offerte fittiziamente diverse cosi da coprire un'ampia fascia della media e cautelarsi dagli scarti, magari solo decima

li, dovuti alla presenza di offerte controllate: ciò fa capire come

mai per certe gare — come è il caso delle verniciature (Pozzi) — alle quali partecipavano molte imprese, venivano sistemati

camente fatte partecipare più ditte fra loro collegate, in modo da garantire comunque l'aggiudicazione al gruppo favorito.

Analoga situazione veniva utilizzata da Fossati che, almeno

nelle prime gare di manutenzione, partecipava con ditte collega te con la C.c.p.l.

L'accordo prevedeva, ad esempio, che — in caso di vittoria — le imprese collegate declinassero l'aggiudicazione a favore

dell'impresa predesignata, la cui offerta risultava la più vicina,

proprio perché appositamente confezionata con minimi scarti. In ogni caso, una tendenza comprovata nel caso delle gare

svolte al Pio Albergo Trivulzio è stata da parte degli appaltatori legati da accordo criminoso con Chiesa, quella di controllare il numero maggiore possibile delle imprese partecipanti.

Sotto questo profilo, si osserva che di norma il Pio Albergo Trivulzio invitava tutte le imprese che ne facevano richiesta, ma spesso o la richiesta veniva formulata da un numero limita

to di imprese o comunque le offerte venivano presentate da po chissimi imprenditori, dimostrando cosi come l'accordo esterno fra le imprese in collusione fra loro riuscisse a riservare la par tecipazione alla gara ai soli concorrenti collegati.

La riduzione del numero delle imprese partecipanti veniva ot

tenuta artificiosamente, in particolare attraverso l'inserimento

di specifici requisiti di partecipazione, nel bando di gara. La normativa vigente si limita a prevedere il contenuto mini

mo essenziale del bando di gara, lasciando all'amministrazione la possibilità di inserire elementi ulteriori, cosi che — attraverso una apposita griglia di selezione ed introducendo clausole sem

pre più restrittive e particolari — è possibile restringere la par tecipazione alla gara alle sole imprese desiderate.

È evidente che la scelta dei requisiti da inserire nel bando

presuppone la precisa conoscenza della situazione individuale di ciascuna impresa, e quindi richiede un continuo ed analitico

Il Foro Italiano — 1994.

scambio di informazioni e di suggerimenti fra l'impresa e il pub blico funzionario al fine di influenzare il contenuto del bando:

ciò vale a comprendere i caratteri della prassi descritta dall'ing. Chiesa secondo la quale il testo del bando di gara veniva predi sposto dagli imprenditori, che segnalavano (v. Zaro, Borroni

e Fossati) di volta in volta gli elementi da indicare per consenti

re l'eliminazione di scomoda concorrenza.

In particolare, è stato il caso dello Zaro, che risulta aver sug

gerito l'inserimento nel bando di gara, quale requisito di parte

cipazione, il possesso di un certificato Cee per la macellazione, che egli sapeva essere stato rilasciato a pochissimi operatori del

settore.

Parimenti, l'ing. Chiesa riferisce questa prassi anche con ri

guardo a Fossati e Borroni, per i quali si afferma che — nel

l'appalto per la realizzazione della prima struttura — vennero

inseriti particolari requisiti in relazione all'attività di installazio ne degli elevatori. Oppure, ancora, nel caso di Fiore - Grandim

pianti, il numero delle imprese aspiranti all'appalto concorso

è stato limitato richiedendo iscrizioni elevate all'albo nazionale

dei costruttori e, soprattutto, richiedendo l'avvenuta esecuzione

di interventi di analoga portata e rilevanza negli esercizi prece denti: elementi di cui le imprese favorite erano in possesso, men

tre avrebbero messo in difficoltà altri concorrenti.

Un ulteriore elemento di pre-limitazione del numero delle im

prese è costituito dalla ridotta pubblicità: è chiaro che limitare

la notizia della gara agli operatori locali ed abituali impedisce la comparsa di esterni, non inquadrati nelle regole di spartizio ne dei lavori.

In quest'ottica va letta, ad esempio, la scelta di limitare gli

importi a base d'asta a valori collocati sempre al di sotto dei

limiti minimi previsti dall'ordinamento per una pubblicità più estesa.

Questa scelta venne fatta ad esempio, per le manutenzioni

(Fossati); per le opere di verniciatura; per le opere di manuten

zione di falegnameria (Filisetti). In particolare, nel caso di Filisetti addirittura nel 1986 (prima

gara esperita ed ingresso di Filisetti nel Pio Albergo Trivulzio) non venne neppure rispettata la normativa e il bando venne

affisso solo all'albo pretorio del comune di Milano.

Una volta prelimitato il numero delle imprese idonee a parte

cipare, un'ulteiore scrematura avveniva in sede di invito.

In questo senso, spesso l'ing. Chiesa riferisce di imprenditori che gli sottoponevano direttamente l'elenco delle imprese da in

vitare, scegliendole fra imprese collegate o comunque controllate.

L'effetto «griglia» veniva poi rafforzato anche imponendo

tempi ristretti per la predisposizione delle offerte: questo ele

mento appare particolarmente significativo nel caso degli appal ti concorso, nei quali — come meglio si vedrà in seguito —

l'offerta impone lo sviluppo di soluzioni progettuali, che richie

dono tempi lunghi; per cui è automaticamente favorito il con

corrente che, essendo stato informato precedentemente al ban

do di gara di quanto richiesto dall'amministrazione, ha tutto il tempo per preparare un progetto adeguato.

Una volta limitata la selezione delle imprese e circoscritto l'am bito di partecipazione soltanto ai soggetti manovrabili o comun

que ad operatori fra loro in accordo per l'affidamento dei lavo

ri ad un'impresa determinata, l'ulteriore fase di intervento con

cerne la manipolazione dell'offerta.

Nel caso di aggiudicazione ai sensi dell'art. 1, lett. a), 1. 14/73, cioè con il metodo dell'offerta segreta da confrontare con l'im

porto a base d'asta, senza limiti di aumento o di ribasso, l'uni

co modo che l'impresa ha di avvicinarsi all'importo di riferi

mento è quello di concordare con le altre imprese partecipanti il contenuto delle offerte segrete.

Tale metodo è quello seguito per l'aggiudicazione dei lavori

edili della prima residenza protetta e del padiglione ovest.

Laddove, poi, il metodo descritto sia integrato dalla previsio ne dell'art. 76 della legge di contabilità di Stato e l'amministra

zione abbia previsto un limite massimo di aumento o di ribasso,

l'impresa può essere favorita in modo determinante facendole

conoscere il contenuto della scheda, al fine di non conteggiare, nella media, offerte poi non ammissibili.

In questo caso, l'ing. Chiesa comunicava i contenuti della scheda segreta, che non recava, come erroneamente lo stesso

talvolta afferma, l'importo di riferimento per l'aggiudicazione (atteso che tale metodo è proprio della gara pubblica e non della licitazione), bensì i limiti di massimo e minimo ribasso.

Analoghe modalità seguiva la collusione con le imprese priva te nelle gare aggiudicate con metodo di cui alla lett. c) dell'art.

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GIURISPRUDENZA PENALE

I 1. 14/73, cioè con l'offerta segreta da confrontare con la me

dia finale delle offerte, previa esclusione delle offerte eccedenti

i limiti di massimo ribasso. In questo caso, rispetto all'importo a base d'asta, l'ammini

strazione limita l'ammissibilità delle offerte ad una determinata

fascia (c.d. forbice), escludendo preventivamente le offerte che si collocano al di fuori della fascia stessa e limitando il calcolo della media alle sole offerte comprese.

Per centrare l'offerta, è necessario che le imprese partecipanti non soltanto conoscano l'entità della forbice, al fine di avere

la percezione esatta delle offerte potenzialmente ammissibili, ma

esse debbono concordare fra loro l'ammontare di ciascuna of

ferta, in modo che la media finale delle offerte ammissibili sia predeterminato ed in relazione ad essa possa essere esattamente

collocata l'offerta vincente.

È evidente che più la forbice è ridotta, più è difficile che un numero elevato di imprese possa fornire offerte ammissibili, consentendo cosi una più facile organizzazione preventiva delle

offerte destinate ad incidere sulla media.

Il metodo sopra indicato è quello che è stato utilizzato per

l'aggiudicazione dei lavori di manutenzione, ordinaria (Edilmo

netti, Filisetti, Pozzi) o straordinaria (Fossati, Fossati, Borroni - Garampelli).

Per capire l'importanza della conoscenza preventiva della for

bice, si può portare ad esempio il caso delle gare aggiudicate a Filisetti: manutenzione opere di falegnameria.

Di fatto, nella gara in oggetto si sono sempre fronteggiati due gruppi: da un lato l'impresa Barbieri che già operava al

Pio Albergo Trivulzio, e dall'altro l'impresa Filisetti.

Ciascuna delle due imprese proponeva offerte proprie e of

ferte di appoggio attraverso ditte collegate. Stante il numero ridotto dei partecipanti alla gara, ciascun

gruppo aveva teoricamente la medesima probabilità di avvici

narsi alla media, ma soltanto chi aveva preventivamente la co

noscenza dei dati concernenti la forbice aveva la certezza di

centrare la media stessa.

Per le forniture, il metodo usualmente utilizzato è quello del

le offerte segrete da confrontare per il prezzo massimo-minimo

indicato in una scheda segreta dall'amministrazione ai sensi de

gli art. 73 e 75 della legge di contabilità dello Stato.

In questo caso determinante per la predisposizione di offerte

è la conoscenza e la preventiva comunicazione dei contenuti della

scheda segreta che costituisce il limite di riferimento per l'am

missibilità dell'offerta e per l'aggiudicazione.

D) Appalto concorso. — L'appalto concorso è una forma

speciale di procedura ristretta, nella quale — al contrario di

quanto accade nella licitazione privata — i contenuti del con

tratto non sono predeteminati dall'amministrazione, ma vengo no rimessi all'attività del privato.

Nell'appalto concorso, infatti, le ditte invitate debbono prov vedere non soltanto alla redazione di un'offerta economica, ma

anche alla stesura del progetto esecutivo, sviluppando le indica

zioni fornite dall'amministrazione.

L'offerta, dunque, risulta composita, in quanto costituita da

elementi ulteriori rispetto al prezzo e consistenti in una soluzio

ne tecnico-operativa, normalmente complessa. Come per la licitazione privata, anche nell'appalto concorso

una fase di possibili alterazioni è certamente quella di presele zione delle imprese da invitare alla gara, riguardo alla quale sono applicabili i medesimi accorgimenti.

Si è già accennato poi che — nel caso degli appalti concorso — può essere determinante per l'impresa favorita sapere in an

ticipo l'intendimento dell'amministrazione di indire la procedu

ra, onde disporre di tempi più adeguati per la stesura di progetti.

Questo accorgimento può essere ancora più utile quando alle

imprese concorrenti venga assegnato un tempo ristretto per l'offerta.

Per quanto attiene alla valutazione complessiva dell'offerta,

invece, essendo svariati gli elementi in gioco, non è ipotizzabile una preventiva comparazione aritmetica delle offerte, tale da

garantire l'aggiudicazione ad un soggetto determinato.

In caso di appalto concorso, l'analisi delle offerte è rimessa

ad una commissione giudicatrice. La certezza dell'esito della ga ra a favore di un'impresa predeterminata è dunque difficile se

la commissione non partecipa all'accordo criminoso (anche per la maggiore discrezionalità «tecnica» nella valuazione degli ele

menti), partecipazione che, nel caso in esame, sulla base degli

atti è da escludere.

L'unico modo relativamente sicuro è quello di determinare

preventivamente, in accordo con l'impresa favorita, le carat

II Foro Italiano — 1994.

teristiche del progetto da sviluppare cosi da dare all'impresa un sicuro vantaggio.

Di fatto l'appalto concorso è stato utilizzato molto raramente

dall'ing. Chiesa nella gestione del Pio Albergo Trivulzio, evi

dentemente perché meno governabile in anticipo. È un esempio di alterazione secondo le modalità indicate il

caso dei lavori di sistemazione della lavanderia da parte della

Lavafin: a pag. 65 e seguenti dell'interrogatorio l'ing. Chiesa

osserva, infatti, che alla gara di appalto concorso partecipò ol

tre alla Lavafin, anche la società Ilat, la quale propose un'of ferta superiore di circa un miliardo rispetto a quella della socie

tà di Bertini; in proposito lo stesso Chiesa rileva: «d'altro canto la Ilat non aveva la convenienza a partecipare ed a vincere la

gara per il Pio Albergo Trivulzio in quanto la Ilat preferiva ed aveva convenzione economica a concentrare in un unico im

pianto a Caleppio di Settala il servizio e non invece a fare tanti

piccoli impianti disseminati per la città, come nel caso specifico veniva chiesto».

Nel caso in esame la particolarità vera della gara stava pro

prio nel fatto che l'impulso alla predisposizione del progetto di massima, sulla base del quale svolgere la procedura, nasceva

da un'idea dello stesso Bertini, al quale l'ing. Chiesa dice di

avere preventivamente chiesto di valutare che cosa si poteva fa

re per risolvere i problemi di funzionalità del servizio di lavan

deria e «Bertini si dimostrò disponibile alla realizzazione di tale

progetto e si ingegnò ... a fare lay out e ad offrire un servizio

come quello richiesto».

In questo caso, dunque, l'attività del privato è stata addirit

tura determinante nella decisione di indire la gara e di definire

le modalità caratteristiche.

Analoga procedura è stata seguita nel caso dei lavori di siste

mazione della cucina, attraverso l'attività del Fiore, che ha pre

disposto un lay out dei locali e degli spazi da adibire a nuova

cucina, con previsione dell'intervento da eseguire. Anche in questo caso, la disparità fra le offerte era di carat

tere prettamente economico, atteso che la qualità del prodotto e i contenuti sostanziali dell'offerta si eguagliavano, come rile

vato dalla commissione giudicatrice. È evidente che, affidando preventivamente all'impresa il com

pito di studiare le caratteristiche progettuali delle opere, que st'ultima è in grado di redigere un'offerta completa e dettaglia ta in tempi assai ristretti di quelli normalmente necessari ai con

correnti, potendo cosi valutare con maggiore agio la componente economica della fornitura e indicando di conseguenza il prezzo

più conveniente.

Inoltre, e questo vale ad esempio per la f.lli Diana, alla quale è stato affidato all'appalto Pio Albergo Trivulzio-Calore, la pre cedente attività dell'operatore in luogo consente una maggiore conoscenza della peculiarità del servizio e delle esigenze dell'en

te, cosi che il progetto inserito nell'offerta risulta certamente più idoneo — anche sotto un profilo qualitativo — rispetto agli altri.

Un aspetto va ancora sottolineato, per completare la descri

zione delle modalità con cui gli atti del p.u. e gli atti del privato si integrano per la realizzazione concreta del risultato predeter minato sulla base dei singoli accordi corruttivi.

Si è già accennato, nel delineare tali modalità, ad intese dei

privati imprenditori, a «cordate» fra gli stessi e comunque a

«scelte» effettuate dallo stesso imprenditore destinato alla vin

cita e determinanti il gruppo dei concorrenti; si è anche implici tamente rilevato come la concreta attuazione del singolo accor

do corruttivo, in relazione ad una gara d'appalto, presupponga l'instaurarsi di rapporti, ulteriori e diversi, rispetto al rapporto

p.u.-corrotto ed imprenditore privato-corruttore.

Chiesa, in diverse parti delle sue dichiarazioni, accenna in

modo esplicito a tali rapporti. Sin dal 24 marzo 1993, Chiesa illustra che nel «sistema ospe

daliero milanese, operano imprese in regime di quasi monopo lio e che riescono anche a coalizzarsi tra loro quando si tratta

di aggiudicarsi lavori pubblici ospedalieri. Ad esempio per l'Eca lavora una società costituita appositamente da un consorzio di

società, note come le 4 Sorelle, Ifg, Edilmediolanum, fratelli

Moia ed una quarta che non ricordo, ciascuna delle quali detie

ne il 25% della società costituita; al Pini opera la Ifg, al Bassini opera Mazzalveri-Comelli, a Niguarda opera la Edilmediolanum

che talvolta si associa con la Torno e Lodigiani o altre.

Per favorire Fossati io gli comunicai anzi concordammo as

sieme la forbice. Dopodiché Fossati si recò da imprese a lui

collegate in modo e "concordò" la partecipazione di un gruppo di circa una trentina di imprese a lui collegate a quella gara: non so dire con esattezza le modalità con cui materialmente

questa partecipazione in cordata si realizzò, posso tuttavia dire

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PARTE SECONDA

per certo che la trentina di imprese collegate al Fossati entrò

tutta nei limiti ideila scheda segreta e quindi tutte ammesse alla

gara e parteciparono in misura determinante alla determinazio

ne della media delle offerte valide.

Dopo aver fatto entrare la Sic al Pio Albergo Trivulzio, ri

maneva il problema Borroni che comunque continuava a lavo

rare al completamento del reparto fisio-cardiorespiratorio e che

sembrava persino attardarsi per impedire in qualche modo la

sua estromissione dal Pio Albergo Trivulzio».

Le modalità con cui Monetti vinse la prima gara al Pio Al

bergo Trivulzio, vengono specificate da Chiesa nel corso del

l'interrogatorio del 26 marzo 1992: «La Edilmonetti fa parte di un gruppo di imprese che risultano collegate in qualche mo

do alle grandi imprese ma di livello nettamente inferiore in quanto risultano interessate a lavori che non superano i due miliardi

di lire ed in quanto tali vengono strumentalmente inserite in

cordata nei più grandi appalti per fare gruppo. In sostanza, il sistema garantisce alle imprese piccole gli ap

palti di importo basso purché le imprese piccole si prestino a

fare il gioco di cordata a favore delle grandi imprese quando si tratta di gare per importi superiori all'uno o due miliardi.

In tal modo si forma la lottizzazione del mercato e l'autoprote zione reciproca.

Gianni Monetti mi disse di fargli vincere l'appalto e risultò

effettivamente vincitore per quattro-cinque volte. Ad un certo

momento gli suggerii di trovare un'impresa della sua categoria che poi uscisse dopo un anno dal mercato in quanto non si

poteva sempre far vincere la Edilmonetti. L'appalto di un anno

quindi venne fatto vincere, d'accordo con Monetti, alla Cogeit

dell'ing. Poi. Nell'anno successivo, nonostante talune resistenze

del predetto ingegnere che voleva rimanere dentro al Pio Alber

go Trivulzio, alla fine la Cogeit usci dall'ente e con i trucchi

che ho detto risultò nuovamente vincitrice la Edilmonetti».

Con riguardo ai rapporti avuti con Svime e Sistemi, facenti

capo al Pozzi, Chiesa afferma: «La percentuale di tangente, all'interno del sistema milanese è pari al 15% ciò in quanto se si guarda all'elenco delle ditte aggiudicatrici degli appalti di

verniciatura sono a Milano e provincia in tutto 20 o 25 imprese tutte concentrate però nelle mani di sei o sette persone . . . Pra

ticamente di fronte a queste 20-25 imprese concentrate nel mo

do predetto è facile aggiudicare l'appalto attraverso il trucco

della lettera "C" anche perché i veri padroni sono tra loro con

sorziati "in pace armata" per lotizzarsi il mercato sanitario e

comunale, anche perché vige la regola di non pestarsi i piedi l'uno con l'altro. In questo contesto è molto facile ridurre gli scontri offerti e fare una scheda concordata con il massimo ri

basso contenuto, ad esempio meno del 15%, e impedire sconti

pari al 50% che invece sul mercato privato vengono applicati

regolarmente. Per tale motivo e cioè per la possibilità di massimo ribasso

sino al 50% e per la quasi assoluta impossibilità di controllare

l'effettivo impiego di materiali nel settore merceologico predet to la tangente effettiva è del 15%».

Con riferimento ai rapporti instaurati con Esaote, facente ca

po a Minguzzi, Chiesa precisa: «Mentre negli altri ospedali mi

lanesi si usa di solito il sistema di una delibera generale di pre selezione delle imprese idonee e sulla base di valutazioni econo

miche e tecnico sanitarie, che consente un sistema di tangenti mascherato attraverso la copertura di taluni costi di immagine, ad esempio: congressi, viaggi all'estero, io concordai con Min

guzzi il capitolo d'appalto, la descrizione dell'apparecchiatura e l'elenco delle ditte da invitare alla gara e Minguzzi mi diede, a quanto ricordo, due nominativi che erano le imprese più care

sul mercato e che quindi non avrebbero ostacolato l'assegnazio ne dell'appalto alla Esaote».

Nell'interrogatorio del 25 marzo 1992, Chiesa, illustrando le

ragioni per cui le percentuali di dazione venivano quantificate in base a specifici parametri rapportati alla categoria merceolo

gica di riferimento, afferma: «delle società gravanti attorno a

Camalori solo l'Ilpi mi liquida autonomamente e con una per centuale diversa cioè pari al 10% ciò perché tale percentuale è quella che nel sistema ospedaliero milanese vige per il settore

delle imprese di pulizia»; analogamente parlando di Fiore; «che

collocava i prodotti Zanussi nel sistema ospedaliero milanese

pagando, a quanto si diceva nell'ambiente, a tutti regolarmente il 10%».

Da ultimo, nell'interrogatorio del 25 marzo, Chiesa conclu

de: «Se può esser stato un mio errore adeguarmi a tali prassi o a tale sistema tuttavia ribadisco che era di tipo generalizzato, come si può rilevare dalle identiche modalità praticate al Pio

Albergo Trivulzio ed in altri enti . . . dalla ripartizione esistente

Il Foro Italiano — 1994.

fra i diversi operatori economici . . . dalla identità di percen tuali che risulta codificata a livello di settori merceologici (per centuali come tangenti)».

Il quadro conclusivo viene delineato da Chiesa nell'interroga torio del 30 marzo 1992: «Ciò che è avvenuto al Pio Albergo Trivulzio è né più né meno ciò che di norma avviene nella lot

tizzazione politico-imprenditoriale del sistema sanitario milane se: vi sono cioè gruppi di imprese, suddivise di regola per setto

ri merceologici e per capacità imprenditoriale (valutabile in rap

porto alla capacità di volume di affari) le quali — di fatto —

hanno realizzato un "patto di non belligeranza" ovvero un "car

tello finalizzato alla lottizzazione del mercato ospedaliero", sic

ché nei vari enti sanitari già si sa sin dall'inizio chi sono le ditte deputate a vincere gli appalti. È tanto vero ciò che nel

corso degli anni pur assistendo — a volte — al cambio delle

presidenze degli enti ospedalieri pubblici, non cambiano affatto

le imprese appaltatrici. Di converso vi sono "referenti" per ciascun partito politico

che si fanno carico di gestire la distribuzione degli appalti, assi

curando i rapporti con le imprese, percependo o facendo perce

pire da persone di loro fiducia le relative tangenti ed adoperan dosi per far inserire nei consigli di amministrazione dei vari enti

sanitari anche uomini politici di loro fiducia affinché — come

nel mio caso — provvedessero a trattare direttamente con gli

imprenditori, ovvero, come ad esempio nel caso degli altri mem

bri del consiglio di amministrazione del Pio Albergo Trivulzio, a legittimare con atti deliberativi formalmente legittimi fatti che

in realtà hanno sotto di loro un preordinato accordo sulla

tangente». A ben vedere poi, le affermazioni di Chiesa in ordine al con

testo imprenditoriale nel quale si collocano le gare di aggiudica zione tenutesi al Pio Albergo Trivulzio durante la sua presiden

za, trovano supporti probatori consistenti.

Altre dichiarazioni ed altri risultati investigativi, desunti da

diversi settori d'indagine del presente procedimento, vengono a confermare il quadro illustrato da Chiesa. Per i limiti del pre sente giudizio, non è possibile citare tutti i riscontri; peraltro, basti menzionare le vicende occorse alla Cosgemi ed ai suoi soci

per i rapporti intrattenuti con Carriera e Scuderi oppure le det

tagliate dichiarazioni rese da Proverbio Egidio sugli incontri fra

gli imprenditori edili dell'area milanese, incontri funzionali ad

una ripartizione concordata degli appalti indetti e/o da indire

da parte del comune di Milano.

Più che dai quadri delineati od abbozzati da altri imprendito

ri, la conferma alle affermazioni di Chiesa sull'esistenza di car

telli di imprese o di prassi o quanto meno di accordi occasionali

fra imprenditori per la spartizione del mercato degli appalti pub

blici, proviene dall'analisi documentale condotta in precedenza sulle singole gare. Basta richiamare, ad esempio, le modalità

di formazione di diversi raggruppamenti d'impresa con l'ocula

ta distribuzione, nei singoli raggruppamenti, delle diverse (e po

che) imprese di elevatori, quale si è verificata in occasione della

licitazione per la realizzazione della prima struttura protetta (cfr.

rapporti Chiesa, Fossati, Borroni e Garampelli). Ancor più si

gnificativa, per l'individuazione degli accordi intervenuti fra im

prenditori, è l'analisi dei risultati della gara per l'aggiudicazione delle opere inerenti alla prima struttura protetta e la graduato ria di aggiudicazione dei lavori relativi al corpo ovest: il gruppo di imprese riconducibili a Fossati, Borroni e Garampelli nelle

due gare riesce a piazzarsi sempre al primo posto con il gruppo costituito da Sic-Ifg Tettamanti, mentre al secondo posto in gra duatoria si colloca sempre un gruppo capeggiato dalla Tedil, controllato dagli stessi tre imprenditori.

Si pensi ancora, ad esempio, alla gara tenutasi il 31 maggio 1989 per l'aggiudicazione ad offerte segrete dei lavori di manu

tenzione ordinaria, gara che viene vinta dalla Edil Monetti: in

un campo di variazione di ben dieci punti (i valori della scheda

segreta sono compresi fra un minimo di ribasso pari al 5% ed

un massimo del 15%) non solo tutte le quindici imprese parteci

panti alla gara riescono a piazzare le loro offerte all'interno

della c.d. forbice, ma riescono a collocare tutte le quindici of

ferte in un ambito di variazione di 1,73%, il che significa che

ciascuna offerta è stata studiata in modo tale da consentire uno

scarto fra ciascuna di poco più di 0,10%. Si pensi ancora alla costanza con cui, nelle gare per l'aggiudi

cazione degli appalti delle opere di verniciatura, è riscontrabile

non solo identici partecipanti, ma anche e soprattutto il fatto

che Pozzi e Carobbi, i due imprenditori che stranamente si ri

partiscono le opere di verniciatura all'interno del Pio Albergo Trivulzio per più di sei anni, riescono a piazzare le loro offerte

in prossimità del valore centrale della forbice.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Come ultimo esempio, si pensi alla gara del 26 giugno 1990

in cui Filisetti riesce a piazzare tutte le offerte in gara in un

campo di variazione dello 0,60%, mentre i valori della scheda

segreta presentano un campo di ben cinque punti. Solo un accurato studio delle varie offerte e solo una preven

tiva intesa tra i diversi partecipanti alle gare possono consentire

risultati come quelli sopra indicati.

Forse non è possibile — né, a dir il vero, in questa sede inte

ressa — affermare che l'intero mercato delle commesse pubbli che fosse integralmente lottizzato o monopolizzato da cartelli

imprenditoriali e da consociazioni politiche: è un'ipotesi questa, forse non lontana dal vero, ma che, a ben vedere, dev'essere

verificata con dati più ampi di quelli desumibili dal presente procedimento e che, allo stato, può essere interessante per altri

fini, non certo per il presente provvedimento. Ciò che in questa sede, invece rileva è il dato oggettivo desu

mibile dal quadro delineato da Chiesa e suffragato dalla docu

mentazione: la concreta attuazione dell'accordo corruttivo in

tervnuto fra il p.u., nel caso specifico Chiesa, ed il singolo im

prenditore non può prescindere da «altri e diversi» accordi che

il privato stipula con gli altri imprenditori della sua categoria. La «pace armata» a cui fa riferimento Chiesa parlando delle

imprese di verniciatura o la constatazione di Fossati (riferita da Chiesa) che è «meglio una cattiva pace che una guerra vin

ta» rendono evidente come il singolo imprenditore, ottenuta dal

p.u. la promessa di vittoria nella gara attraverso la promessa di tangente, debba attivarsi, anche sul fronte degli imprenditori

privati, per avere una «garanzia», anche da parte loro, della

concreta realizzazione dell'accordo corruttivo.

L'attività, nei confronti degli altri imprenditori, si concreta es

senzialmente in apposite intese ed in specifici accordi diretti, da

un lato, ad ottenere un'astensione dalla gara di imprese effettiva

mente concorrenti e, dall'altro, a creare «cordate» di imprese col

legate che possano garantire la vittoria nella gara, mediante la par

tecipazione alla gara stessa, l'accordo sulle offerte da presentare

o persino la promessa di rinuncia in caso di risultato non confor

me a quello stabilito sulla base dell'accordo corruttivo.

L'ambito in cui tale attività si estrinseca è totalmente sottrat

to all'influenza del p.u. Quest'ultimo potrà agevolare la forma

zione di una cordata, operando sugli inviti alla gara o sui termi

ni di pubblicazione del bando; potrà facilitare gli accordi sulle

offerte da presentare, in funzione della effettiva aggiudicazio

ne, comunicando i limiti della scheda segreta; potrà anche limi

tarsi a prendere atto di eventuali rinunce finalizzate a consenti

re l'effettiva realizzazione dei patti intercorsi fra imprenditori;

tuttavia, questa, eventuale, incidenza di singoli atti del pubblico

funzionario è sempre successiva agli accordi intercorsi fra im

prenditori, si verifica cioè solo dopo che tali accordi sono stati

stipulati e dopo che lo stesso p.u. ha ricevuto specifiche indica

zioni dall ' imprenditore-corruttore.

L'iniziativa e la concreta stipula di questi accordi sono comun

que proprie del privato imprenditore in quanto si estrinsecano

in un'«area» nella quale il pubblico ufficiale non ha alcun pote

re e nella quale vige il principio dell'iniziativa privata, principio che i privati imprenditori impongono anche allo stesso pubblico

funzionario, al quale non consentono devianze. Significativa in

proposito è la vicenda Fossati, che agli inizi della presidenza di

Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, viene «imposto» da Chiesa agli

altri imprenditori, rompendo le logiche di cartello e tutti gli ac

cordi previgenti fra imprenditori sulle aree di reciproca «perti

nenza» nel mercato delle commesse pubbliche ospedaliere.

Fossati, dopo la prima vittoria ottenuta con un accordo

corruttivo stipulato senza l'intermediazione del «cartello» delle

imprese milanesi, è indotto a stipulare degli accordi con tale

cartello; e Chiesa, a ben vedere, non può far altro che prendere

atto dell'amara constatazione di Fossati, già citata e consentire

spazio all'Ifg-Tettamanti. All'esito dell'analisi sin qui condotta sulle diverse procedure

di aggiudicazione degli appalti e sulle diverse fasi in cui tali pro cedure si articolano, si può giungere ad alcune constatazioni con

clusive, che consentono di ricondurre alla fattispecie della corru

zione propria tutti i fatti-reato contestati al Chiesa, con la sola

eccezione dei fatti-reato derivanti dai rapporti intercorsi fra Chiesa

e Magni, fattispecie che, per le ragioni già esposte, sono invece

da ricondurre allo schema normativo della concussione.

Una prima constatazione s'impone con evidenza.

Nell'ambito delle diverse procedure legali finalizzate all'ag

giudicazione degli appalti, il privato imprenditore ed il pubblico funzionario concorrono, ciascuno con una propria attività ma

li Foro Italiano — 1994 — Parte II-8.

teriale, a determinare il contenuto dell'atto finale della proce

dura, anzi «cooperano», con attività che si integrano reciproca

mente, a determinare quel risultato.

Tale cooperazione, che s'instaura in diverse fasi della proce dura amministrativa, incide su situazioni di fatto che fungono da presupposto degli atti della procedura stessa e si concreta,

essenzialmente, in una artificiosa manipolazione dei presuppo sti di fatto in modo tale che, all'esito della procedura, si deter

mini, in modo certo, uno specifico risultato; la «vittoria alla

gara» non è, in altri termini, il risultato della sola attività del

pubblico funzionario, ma è il risultato anche dell'attività del

privato, attività che, integrandosi e coordinandosi con quella del p.u., riesce a conseguire il risultato utile.

Proprio tale cooperazione costituisce la prova evidente della

sussistenza di un accordo corruttivo: si coopera, infatti, solo

in vista di un determinato risultato e solo in quanto c'è la con

sapevolezza non solo di tale risultato, ma anche della necessità

della cooperazione altrui e della disponibilità altrui a prestare tale forma illecita di collaborazione.

La prova dell'accordo corruttivo emerge con maggiore evi

denza se si considera l'ambito in cui si collocano le attività con

correnti del privato e del p.u., ed i presupposti di fatto su cui

tali attività incidono. Nonostante la molteplicità di forme, la cooperazione prestata

dal privato incide su uno specifico presupposto del procedimen to amministrativo di aggiudicazione: la pluralità dei concorren

ti; al privato viene, di fatto, demandata l'individuazione dei

partecipanti alla gara ed il compito di creare, nel corso della

gara stessa, artificiosamente la pluralità dei concorrenti in fun

zione di quello che dovrà essere il risultato finale.

Tale cooperazione postula necessariamente un accordo in po sizione di parità, anteriormente intervenuto con il p.u.: l'indivi

duazione dei concorrenti demandata al privato viene effettuata

in funzione della concreta realizzazione di quell'indebito van

taggio, la certezza della vittoria nella gara, previamente concor

dato con il pubblico funzionario. Ed è palese che, solo cono

scendo quello che dovrà essere il risultato finale, la cernita dei

concorrenti, sul mercato, può essere fatta utilmente in funzione

di tale risultato e che, solo volendo il risultato, ci si attiva per

realizzarlo.

Inoltre, va sottolineato come, in questa attività di individua

zione dei concorrenti, il privato operi su un piano di parità di

posizione nei confronti del p.u.; la selezione viene infatti effet

tuata dal privato in un campo nel quale il pubblico ufficiale,

non esplica né può esplicare alcun potere, connesso alla sua

funzione, che possa determinare una qualsiasi forma di metus,

sia perché non è dotato di alcun potere specifico di intervento

sia perché l'area in cui si svolge questa particolare attività del

privato è totalmente al di fuori del campo di operatività del

p.u. essendo integralmente riservata all'iniziativa privata: le in

tese per la gara e gli accordi di cartello, diretti ad una pianifica

ta ripartizione delle opportunità presenti nel particolare settore

del mercato delle commesse pubbliche, sono attività proprie dei

privati imprenditori. Si tratta ancora di un'attività assolutamente libera, non de

terminata da alcuna forma di coartazione proveniente dal p.u.:

è un'attività che non forma oggetto dell'illecita pretesa da parte

del p.u. e che non è qualificabile in alcun modo come «mezzo»

per eludere il danno prospettato dal p.u.; si tratta di un'attività

ulteriore rispetto al «dare», che, nello schema tipico della con

cussione, viene prospettato al privato come unico mezzo per

sfuggire al male minacciato; quest'attività ulteriore costituisce

un'anomalia rispetto alla normale logica, in quanto chi è coar

tato nella volontà non pone in essere atti ulteriori rispetto a

quelli che sono indispensabili per eludere il danno prospettato

e conseguente al rifiuto ad aderire all'illecita pretesa.

L'attività del privato per la realizzazione del vantaggio inde

bito, la vittoria nella gara, presuppone, anche in fasi diverse

del procedimento amministrativo e nel corso del procedimento

stesso, atti del pubblico funzionario, atti che sono posti in esse

re in violazione di specifici doveri d'ufficio e che incidono, co me l'attività del privato, sulla «concorrenza in gara».

Si tratta di atti che, talvolta, si pongono come presupposto

di un'ulteriore attività riservata al privato, altre volte la presup

pongono; si tratta comunque di atti o di attività del pubblico

ufficiale che si integrano e si coordinano con quelli del privato, per cercare un'artificiosa concorrenza nel procedimento ammi

nistrativo diretto all'aggiudicazione dell'appalto. Il privato non solo conosce quelli che saranno gli atti o le

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PARTE SECONDA

attività che il p.u. porrà in essere per rendere effettivo quel

vantaggio, ma ha anche la certezza che tali atti verranno posti in essere, in conseguenza o come presupposto della propria at

tività. Quando infatti il privato individua, sul mercato dei possibili

concorrenti, quelli che gli consentiranno la vittoria in gara e

comunica al pubblico funzionario i nomi delle imprese da invi

tare alla gara od i criteri da inserire nel bando di gara, sa pre ventivamente che le sue indicazioni verranno «recepite» dal pub blico funzionario, il quale concretizzerà tali indicazioni, limi tando il novero delle imprese da invitare alla gara, introducendo

nel bando di gare le «griglie» di requisiti suggerite, riducendo i tempi e le forme di pubblicità dei bandi.

Il privato imprenditore sa ancora che, una volta iniziata la

procedura di aggiudicazione, potrà contare su un ulteriore ele

mento, la conoscenza del contenuto della scheda segreta, cono

scenza che gli deriverà dal pubblico funzionario e gli consentirà

di modellare, in vista del risultato predeterminato, le offerte

in gara. Gli atti e/o le attività che il pubblico ufficiale compie, per creare un'artificiosa concorrenza in gara, sono poi in netta

violazione dei doveri del suo ufficio. Infatti, nel momento in

cui il pubblico ufficiale in funzione delle indicazioni provenienti dal privato imprenditore, limita l'invito alla gara a determinati

imprenditori o restringe le forme od i tempi della pubblicità dei bandi, anche scegliendo appositamente periodi di pubblica zione ristretti o di scarsa «attenzione», oppure quando recepi sce le indicazioni del privato per inserire, nel bando di gara,

«griglie» di requisiti approntate al solo scopo di escludere dalla

gara un certo numero di concorrenti, non solo coopera con il

privato imprenditore nel creare una fittizia concorrenza in gara, ma pone in essere specifici atti contrari ai suoi doveri d'ufficio, in particolare al dovere di imparzialità e di esclusività; è palese infatti che con i predetti atti o con la predetta attività si viene

a restringere ed a limitare l'ambito di scelta offerto all'ente ap

paltante, subordinando l'interesse pubblico all'interesse di de

terminati o di un determinato concorrente: l'accesso alla gara viene di fatto consentito non a tutti gli imprenditori in possesso di adeguate capacità tecnico-economiche, ma solo a quegli im

prenditori che consentano all'imprenditore predestinato alla vin

cita, sulla base dell'accordo corruttivo, di realizzare il proprio indebito vantaggio.

Ancora più evidente è la violazione specifica dei doveri d'uf

ficio nel caso della preventiva comunicazione, fatta dal pubbli co ufficiale al privato imprenditore, del contenuto della c.d.

scheda segreta, comunicazione che, nel caso di specie, sembra

essere l'elemento più ricorrente nelle gare considerate. È pacifi co infatti che la violazione dell'obbligo di mantenere segreto il contenuto della scheda integra un comportamento contra le

gem del p.u., posto che si tratta di violazione di un dovere

espressamente previsto da specifiche norme, (ad esempio, art.

75 regol. cont., art. 15 dello statuto degli impiegati civili dello

Stato), persino penalmente sanzionato (326 c.p.); sotto questo

profilo la violazione al principio di legalità appare palese. Non

è però solo il principio di legalità a costituire il parametro di riferimento a cui commisurare la contrarietà ai doveri d'ufficio di tale comportamento del pubblico ufficiale.

Lo specifico obbligo del segreto è infatti imposto al pubblico funzionario perché sia assicurata un'effettiva concorrenza fra

le offerte in gara; comunicando i limiti della scheda segreta, il pubblico ufficiale consente ad un dato imprenditore non solo di collocare la sua offerta nei limiti della c.d. forbice e quindi fra le offerte ammesse in gara, ma consente anche a quello stes so imprenditore di «modellare» le varie offerte in gara in fun

zione del risultato finale, grazie a precedenti intese con altri

imprenditori che si presentano alla gara in funzione di mero

appoggio del vincitore predestinato. La violazione dell'obbligo del segreto comporta, quindi, an

che una violazione del dovere d'imparzialità e di esclusività o di fedeltà: con la comunicazione preventiva del contenuto della

scheda segreta, il pubblico ufficiale altera innanzi tutto la pari tà di condizione dei diversi concorrenti, creando una situazione

di vantaggio per colui (o coloro) a cui viene comunicato il pre detto contenuto, e conseguentemente altera, in funzione dell'in

teresse del privato imprenditore ed in pregiudizio dell'interesse

dell'ente pubblico, l'intero meccanismo di determinazione del

«prezzo» di aggiudicazione. Un ulteriore aspetto di tutta la «cooperazione» che s'instaura

tra pubblico funzionario e privato imprenditore a seguito del l'accordo corruttivo merita di essere sottolineata.

Il Foro Italiano — 1994.

La pluralità dei concorrenti ed il libero confronto fra gli stes

si sono elementi essenziali dei diversi procedimenti amministra

tivi previsti per l'aggiudicazione delle gare d'appalto e sono an

che l'elemento determinante della gara: il risultato della gara

dipende infatti dal campo, più o meno vasto, di scelta offerto

alla pubblica amministrazione dal raffronto delle diverse offerte.

Con la artefatta creazione della pluralità dei concorrenti alla

gara, funzionale all'esecuzione dell'accordo corruttivo, si pon

gono invece quei presupposti di fatto necessari, se non indi

spensabili, per la realizzazione dell'accordo corruttivo, nel for

male rispetto delle procedure amministrative previste dall'ordi

namento. Si fornisce, in altri termini, al p.u. la possibilità di innestare i procedimenti amministrativi, in un contesto di asso

luta, ma apparente regolarità formale dei singoli atti, su una

situazione oggettiva appositamente creata in vista di quel risul

tato predeterminato ed oggetto specifico dell'accordo corrutti

vo. Con la strumentale creazione della pluralità dei concorrenti, viene salvaguardato l'aspetto esteriore del procedimento, che, salvo taluni aggiustamenti, potrà svolgersi nell'apparente, ma

assoluto rispetto del principio di legalità, ma, nella sostanza, il procedimento viene totalmente svuotato di contenuto: diventa

una mera veste formale, peraltro necessaria perché le scelte fat

te, in base agli accordi cornuti vi, resistano a controlli e ad im

pugnative; in realtà, nonostante le apparenze, la scelta concor

suale, finalizzata a far acquisire alla pubblica amministrazione

il contratto più conveniente e fondata sul libero confronto dei

prezzi offerti da una pluralità di concorrenti, è, di fatto, insus

sistente, con conseguente elusione del principio di legalità e di

sostanziale violazione del principio di imparzialità. (Omissis)

TRIBUNALE DI MARSALA; ordinanza 26 gennaio 1994; Pres.

ed est. Petralia; imp. Bastone ed altri.

TRIBUNALE DI MARSALA;

Misure cautelari personali — Custodia cautelare in carcere —

Sospensione dei termini — Presupposti — Fattispecie (Cod.

proc. pen., art. 304).

L'operatività dell'istituto della sospensione dei termini di dura

ta della custodia cautelare nella fase del giudizio è vincolata

ex art. 304, 2° comma, c.p.p. alla sussistenza del duplice pre

supposto di una imputazione riconducibile ad alcuno dei reati

indicati dall'art. 407, 2° comma, lett. a), c.p.p. e di un dibat timento che si presenti dallo svolgimento particolarmente com

plesso; di quest'ultimo requisito, che deve presentarsi con ca

ratteristiche specifiche di peculiarità, il giudice deve dare con

tezza in termini di adeguata motivazione. (1)

(Omissis). L'operatività dell'istituto della sospensione nel ca

so di specie è vincolata alla ricorrenza del duplice presupposto di un'imputazione — ovviamente afferente ad ogni singolo sog

getto nei confronti del quale è chiesta la peculiare disciplina cautelare — riconducibile ad alcuno dei reati indicati dall'art.

(1) In senso sostanzialmente conforme, v. Cass. 23 maggio 1991, Cor

tese, Foro it., Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, n. 367, e, in extenso, Giust. pen., 1991, III, 675, secondo cui la motivazione del l'ordinanza che dispone la sospensione dei termini di durata della cu stodia cautelare a norma dell'art. 304, 2° comma, c.p.p. non può con sistere in mere formule di stile ovvero nel generico richiamo al numero

degli imputati ovvero al numero delle «pagine» dell'incarto processua le, ma deve estrinsecarsi in riferimento concreto alle specifiche ragioni che giustificano la sospensione.

La dottrina, dal canto suo, osserva che la mancata previsione nel l'art. 304, 2° comma, c.p.p. di parametri espliciti in ordine alla partico lare complessità del dibattimento non soddisfa «le esigenze di determi natezza» imposte dalla Costituzione in tema di sacrificio della libertà

personale [cosi Zappalà, Le misure cautelari (Siracusano - Calati -

Tranchina), Diritto processuale penale, Milano, 1994,1, 489 s.; analo

gamente v. Illuminati, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 238, sub art. 304],

Nel senso che la sospensione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell'art. 304, 2° comma, c.p.p. non si riferisce esclusivamente al tetto massimo di cui al 4° comma dello stesso articolo, ma dispiega i suoi effetti anche in relazione ai termini intermedi e di fase, cfr. Cass., sez.

un., 1° ottobre 1991, Alleruzzo, Foro it., 1992, II, 65.

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