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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp....

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sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 255/256-265/266 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171576 . Accessed: 24/06/2014 19:59 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.18 on Tue, 24 Jun 2014 19:59:20 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler

sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. GuflerSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.255/256-265/266Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171576 .

Accessed: 24/06/2014 19:59

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PARTE SECONDA

I

TRIBUNALE DI TRENTO; sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler.

TRIBUNALE DI TRENTO;

Misure di prevenzione — foglio di via obbligatorio — Diletto

di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27

dicembre 1956 n. 1423, misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica mo

ralità, art. 1, 2).

Non è congruamente motivato, e va quindi disapplicato dal giu dice penale, il provvedimento del questore che disponga il rim

patrio di una persona ritenuta socialmente pericolosa per il solo

fatto che questa sia stata più volte denunciata all'autorità e senza indicare i titoli di reato delle denunce stesse. (1)

II

PRETURA DI ROMA; sentenza 24 settembre 1979; Giud. Bar

bagallo; imp. Bagnasacco.

Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Inosser vanza del principio del contraddittorio — Illegittimità — Di

sapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2). Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Carenza

di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2).

È illegittimo per eccesso di potere, e va quindi disapplicato dal

giudice penale, il provvedimento del questore che disponga il

rimpatrio con foglio di via obbligatorio senza il rispetto del

principio del contraddittorio, il quale si impone anche al di

fuori di un'espressa norma di legge, essendo il provvedimento medesimo destinato ad incidere su un interesse fondamentale quale è quello della libertà personale. (2)

È solo apparentemente motivato, e quindi illegittimo, il provve dimento del questore che disponga il rimpatrio con foglio di via obbligatorio di un soggetto « al fine di impedire l'ulteriore

aggravarsi del fenomeno della criminalità nella capitale», es sendo il contenuto di tale motivazione cosi generico da po tersi adattare alla totalità dei casi. (3)

III

PRETURA DI TRENTO; sentenza 21 gennaio 1978; Giud. Pa

scucci; imp. lori.

Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Appar tenenza del destinatario ad una delle categorie previste dalla

legge n. 1423'del 1956 — Accertamento — Criteri (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1).

Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Carenza di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2).

Chiavi, grimaldelli e serrature — Possesso di strumenti per scas so — Mancanza di un'effettiva situazione di pericolo — Reato — Esclusione (Cod. pen., art. 707).

Ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione del rimpa trio con foglio di via obbligatorio, l'appartenenza del destina

tario di tale misura ad una delle categorie previste dall'art. 1

legge 27 dicembre 1956 n. 1423, non può essere ritenuta dal l'autorità amministrativa presuntivamente sulla scorta dei soli

precedenti penali del soggetto, ma deve essere in concreto de sunta da fatti, circostanze, dati, che indichino specificamente a quali, fra le categorie in questione, si ritiene che il soggetto appartenga. (4)

É carente di motivazione, e va quindi disapplicato dal giudice penale, il provvedimento del questore che disponga il rimpa trio di una persona ritenuta socialmente pericolosa giovandosi di una motivazione riprodotta a stampa a cui sia stato aggiun to il nome del destinatario e i suoi precedenti penali. (5)

(1-5) Secondo un orientamento giurisprudenziale largamente pre valente, il sindacato del giudice penale sul provvedimento di rim patrio investe tutti i profili di legittimità dell'atto e concerne quindi la competenza dell'autorità che ha emesso l'ordine, la conformità del medesimo alle prescrizioni di legge e l'assenza di un eventuale vizio di eccesso di potere (Cass. 7 dicembre 1977, Addario, Foro it.,

Affinché ricorrano gli estremi del reato di cui all'art. 707 cod.

pen., non basta che l'agente, condannato per delitti determinati

da motivi di lucro, sia colto in possesso di strumenti per scasso

dei quali non sia in grado di giustificare la destinazione, ma

Rep. 1978, voce Misure di prevenzione, n. 32; 3 dicembre 1976, Di

Rienzo, id., Rep. 1977, voce cit., n. 57; 17 giugno 1974, Valdata, id., Rep. 1975, voce cit., n. 39; 26 aprile 1974, Tellone, ibid., n. 37; 17 dicembre 1973, Raimondi, ibid., n. 32), desumibile quest'ultimo, dalla logicità della motivazione e dalla congruità tra le circostanze di fatto e il giudizio sulla pericolosità sociale che ne è stato tratto

(Cass. 11 maggio 1977, Urbinati, id., Rep. 1978, voce cit., n. 34), essendo invece affidata esclusivamente al questore, in quanto atti nente al profilo del merito, la valutazione relativa allo stato di peri colosità del soggetto (Cass. 28 febbraio 1978, Riccardi, ibid., n. 13; Cass. 3 dicembre 1976, cit.).

In senso contrario a tale orientamento, v. comunque una recente ma isolata pronuncia della Cassazione la quale, con affrettata moti

vazione, ha ritenuto che il giudice penale non può estendere il suo sindacato alla rilevazione dell'eccesso di potere, e cioè al processo di formazione della volontà dell'organo amministrativo nella emana

zione del provvedimento, sotto il profilo del travisamento dei fatti, e cioè di alterazione cosciente e intenzionale di essi, dal momento che l'esame su tale vizio si risolve in una indagine sul merito del

provvedimento, come tale interdetta (sent. 14 marzo 1978, Lucisi, ibid., n. 12).

Circa i requisiti di contenuto richiesti ai fini di una congrua mo tivazione cfr. T.A.R. Piemonte 26 marzo 1975, n. 92, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 45, 46 e Cass. 9 marzo 1973, Purpura, id., Rep. 1974, voce cit., n. 50, le cui massime sono riportate in motivazione dal Tribunale di Trento. In senso parzialmente conforme v. Cass. 17 di

cembre 1973, Raimondi, id., Rep. 1975, voce cit., n. 35 e 25 febbraio

1972, Creanzi, id., Rep. 1973, voce cit., n. 69, le quali hanno rite nuto che ai fini della motivazione del provvedimento di rimpatrio obbligatorio non è necessario che in esso risultino enunciati singoli e circostanziati episodi, ma è sufficiente che l'autorità di p. s., sia

pure sommariamente, specifichi le modalità e le circostanze dell'at tività ascritta al prevenuto in modo da rendere palesi le ragioni per le quali la stessa sia contraria alla sicurezza e alla moralità

pubblica ed altresì fornisca elementi concreti atti a dimostrare la

pericolosità del soggetto in relazione alla probabile condotta futura dello stesso. In particolare secondo Cass. 26 gennaio 1977, Mon

dello, id., Rep. 1977, voce cit., n. 15, la pericolosità sociale neces saria per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui alla legge n. 1423 del 1956 si desume dall'esame dell'intera personalità del

soggetto e può scaturire anche da situazioni che giustifichino sospet ti e presunzioni, purché gli uni e le altre siano fondati su elementi

specifici; tali possono considerarsi: rapporti e denunce, indipenden temente dall'esito, per reati contro il patrimonio, unitamente a prece denti assoluzioni per insufficienza di prove, all'accompagnarsi con

pregiudicati ed all'ambiguo tenore di vita personale e familiare. Se condo Cass. 29 dicembre 1977, Moi, id., Rep. 1978, voce cit., n. 15,

invece, i precedenti giudiziari hanno per se stessi un valore sinto matico tale da legittimare da soli l'adozione di una misura di preven zione e possono essere utilizzati ai fini del giudizio di pericolosità anche se negativi, giacché l'accertamento della pericolosità del sog getto va fatta prendendo in esame l'intera personalità del medesimo quale risulta attraverso tutte le manifestazioni sociali della sua vita, anche se non ancorate alla perpetrazione di reati, ma solo a situa zioni che giustifichino sospetti e presunzioni che, purtuttavia, ap paiano fondati su elementi obiettivi e fatti specifici che, valutati in modo globale, autorizzino la prognosi di pericolosità. Sul punto cfr. anche Cass. 16 marzo 1977, Sgarano, id., Rep. 1977, voce cit., n. 16, secondo cui un fatto costituente delitto, accertato in sede penale, può essere rivelatore di una generica pericolosità sociale, il cui per durare è deducibile da comportamenti ulteriori, costituenti reato, an che se ancora sub iudice; Cass. 17 febbraio 1976, Fucci, id., Rep. 1978, voce cit., n. 38, che ha ritenuto legittimo l'ordine di rimpatrio di una donna dedita alla prostituzione motivato dal fatto che il mere tricio nella specie si addimostrava contrario alla morale pubblica e al buon costume perché esercitato palesemente e in modo scandaloso per le pubbliche vie.

Sembre in tema di motivazione, ma con riferimento al provvedimen to di diffida, v. ancora Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 1977, n. 569, id., Rep. 1977, voce cit., n. 37, il quale ha ritenuto che la motiva zione di un provvedimento di diffida non può fare riferimento che a indizi ancora generici, a circostanze di portata generale e di signifi cato tendenziale, a contesti nel loro complesso significativi, anziché a

singoli fatti, a circostanze univoche ed episodi definiti; 9 novembre 1976, n. 1038, id., 1977, III, 578, con nota di richiami, secondo cui è illegittima la speciale diffida prevista dalla legge antimafia fondata soltanto su elementi indiziari, invece che sull'indicazione di compor tamenti obiettivamente accertati.

Circa la necessità dell'osservanza del principio del contraddittorio per l'applicazione dell'ordine di rimpatrio, sostenuta dal Pretore di Roma, non risultano precedenti editi. Il principio è invece comune

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GIURISPRUDENZA PENALE

occorre che tale possesso, per le modalità, i tempi, i luoghi e

le altre circostanze in cui si perfeziona, crei in concreto una

effettiva situazione di pericolo. (6)

mente applicato in relazione al processo di prevenzione di cui agli art. 4 ss. legge 1423/1956. V. in proposito Cass. 1° giugno 1976, De

Risi, id., Rep. 1977, voce cit., n. 29, secondo cui nel procedimento di prevenzione sono applicabili le stesse garanzie di difesa previste

per il processo penale. Tuttavia Cass. 28 gennaio 1977, Milazzo, ibid., n. 27, ha ritenuto che nel processo di prevenzione l'istituto della contestazione non è applicabile nella stessa estensione del pro cesso ordinario, onde non si verifica violazione del diritto di difesa

nell'ipotesi in cui all'interessato non siano resi noti gli elementi su cui si fonda la richiesta di applicazione della misura, purché allo

stesso sia tempestivamente comunicato l'invito a comparire con indi cazione quantomeno della misura di prevenzione proposta dal que store e dell'udienza in cui sarà discussa la proposta, cosi da consen

tirgli di prendere visione degli atti e quindi di venire a conoscenza di tutti gli elementi su cui la proposta è fondata. Sull'esercizio del diritto di difesa nel processo di prevenzione v. anche Cass. 28 gen naio 1977, Orfano, ibid., n. 26; 2 aprile 1973, Rimi, id., Rep. 1974, voce cit., n. 33.

Sull'art. 2 legge 1423/1956, v. Pret. Venezia, ord. 25 maggio 1976, id., 1977, II, 150, con nota di richiami, che ha sollevato la que stione di costituzionalità di tale disposizione nella parte in cui con sente al questore di adottare misure limitative della libertà personale di locomozione per motivi di pubblica moralità, oltre che di sanità o di sicurezza, in riferimento all'art. 16 Cost. La questione è stata recentemente proposta negli stessi termini anche da Pret. Legnano, ord. 1° ottobre 1979, Gazz. uff. 5 dicembre 1979, n. 332.

In dottrina sul provvedimento di rimpatrio cfr. D'Argento, Misure di prevenzione, Napoli, 1979, 86-94; Zazzera, Per uno schedario dei

rimpatriati con foglio di via obbligatorio, in Riv. polizia, 1976, 270; Id., Alcuni problemi in tema di rimpatrio con f. v. o., in Mon. trib., 1975, 46; Di Noto, Le misure di polizia nei confronti delie persone socialmente pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità: dif fida, rimpatrio con f. v. o., espulsione ed allontanamento dello stra

niero, in Riv. polizia, 1974, 711; Mariani, Sindacato del giudice or dinario sui provvedimenti del questore in tema di rimpatrio, in Riv.

pen., 1972, II, 314.

(6) In termini Cass. 15 aprile 1975, Scimionato, Foro it., Rep. 1976, voce Chiavi, grimaldelli e serrature, n. 4, richiamata in motivazione.

La natura di reato di pericolo della contravvenzione di cui all'art.

707 cod. pen. è sostenuta anche da Cass. 23 gennaio 1978, Amadei,

id., Rep. 1978, voce cit., n. 3, ove si osserva che tale natura deriva

dalla complessa situazione soggettiva e oggettiva, che si verifica quan do una persona già condannata per reati contro il patrimonio, o per mendicità, o sottoposta ad ammonizione, a misura di sicurezza perso nale o a cauzione di buona condotta, sia trovata in possesso ingiu stificato di arnesi atti allo scasso.

Ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 707 cod. pen. una prevalente giurisprudenza ritiene che non sia necessario lo stato

di flagranza nel possesso degli strumenti atti allo scasso, essendo suf

ficiente soltanto la disponibilità degli stessi da parte del soggetto, da

cui derivi la possibilità di un sollecito uso della cosa, che la legge considera pericolosa per la sicurezza dell'altrui patrimonio. Su tale

presupposto si è ritenuta la sussistenza del reato de quo anche quan do le cose vengano rinvenute non sulla persona del soggetto, ma sul

veicolo nel quale la persona stessa si trova (Cass. 6 gennaio 1977,

Liguoro, id., Rep. 1977, voce cit., n. 3; 8 marzo 1972, Lepore, id.,

Rep. 1973, voce cit., n. 5) o nella sua abitazione (Cass. 2 ottobre

1972, Paterna, id., Rep. 1973, voce cit., n. 6). Cass. 18 giugno 1975,

Masini, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 6, ha invece escluso la configu rabilità del reato di cui all'art. 707 cod. pen. allorché gli oggetti atti

allo scasso vengano rinvenuti nell'abitazione di persona assente al

momento della perquisizione eseguita dalla polizia, ed accompagnata solo successivamente dalla polizia stessa in detto luogo per assistere

alla prosecuzione della perquisizione. Sul punto v. ancora Cass. 3 no

vembre 1971, Palumbo, id., Rep. 1972, voce cit., n. 7, la quale ha

ritenuto che, se a integrare gli estremi del reato può essere sufficiente

il rinvenimento degli arnesi a bordo dell'autovettura guidata dal con

travventore, non sempre esso può ravvisarsi nel rinvenimento degli arnesi stessi nella casa di abitazione, giacché quel rinvenimento può

anche non costituire un sintomo rivelatore di quella pericolosità so

ciale perseguita dalla norma, ben potendo avere l'imputato abbando

nato ogni attività delittuosa, senza per questo aver ritenuto di disfarsi

di oggetti che fra l'altro spesso sopo degli utensili comuni rinveni

bili in ogni famiglia e il cui possesso può dare luogo a un reato so

spetto quando vi sia una particolare attualità che possa far pensare alla possibilità di commissione di un reato contro il patrimonio.

In tema di concorso di persone nel reato di cui all'art. 707 cod. pen., Cass. 30 giugno 1976, Sardisco, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 4, 5; ha ritenuto che benché l'art. 707 cod. pen. contempli un reato a sog

getto attivo qualificato, non per questo è da escludersi la possibilità del concorso ad opera di chi non versi nelle condizioni soggettive ed

oggettive richieste dalla norma predetta. Di conseguenza concorre

I

Il Tribunale, ecc. — Fatto e diritto. — Il 13 giugno 1977 la

questura di Trento denunciava all'a. g. Gufler Marianna per contravvenzione al f.v.o. emesso dal Pretore di Trento in data

21 febbraio 1976, avendo la sunnominata preso alloggio 1*8 mag gio 1977 presso il locale motel AGIP, come risultava dalla re lativa schedina.

Tratta a giudizio dal Pretore di Trento, la Gufler Marianna veniva assolta perché il fatto non sussiste con sentenza del 16

gennaio 1978. Il pretore muove — nella motivazione della sen

tenza — dalla osservazione che la legge 27 dicembre 1956 n. 1423

richiede la sussistenza di due distinti requisiti, quale presuppo sto per la emanazione del foglio di via obbligatorio: l'apparte nenza del soggetto colpito ad una delle categorie di persone di

cui all'art. 1 della citata legge e la pericolosità della stessa. La

sussistenza di entrambi i requisiti deve risultare dalla motivazione

del provvedimento del questore. Venendo quindi all'esame di

tale motivazione, il giudicante rileva' che il primo dei requisiti suindicati risulterebbe sussistente soltanto da un generico ac

cenno ai precedenti della Gufler e da una formula standard pre

stampata sul modulo. Ciò renderebbe molto dubbia la sufficienza

della motivazione. Ma assorbente appare al pretore la conside

razione della completa carenza di motivazione — nel provvedi mento del questore — quanto al secondo dei requisiti, e cioè alla

valutazione della pericolosità, trovandosi scritto al riguardo sem

plicemente « ritenuto che Gufler Marianna è elemento pericoloso

per la sicurezza pubblica ai sensi dell'art. 1 legge 27 dicembre

1956 n. 1423 ». Pervenuto per tale via all'accertamento inciden

tale della illegittimità dell'atto del questore, per essere lo stesso

non adeguatamente motivato, il pretore lo disapplica.

Avverso tale sentenza ha interposto appello il procuratore del

la Repubblica di Trento.

L'appellante deduce un unico motivo di censura alla sentenza

di prime cure, osservando che la qualità di persona socialmente

pericolosa si desume — ai sensi dell'art. 203 cod. pen. — dalle

circostanze indicate dall'art. 133 cod. pen. che pertanto il sem

plice richiamo — contenuto nella specie nel provvedimento del

questore — dell'appartenenza del soggetto ad una delle catego rie di persone di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423,

risolvendosi ictu oculi nell'indicazione di circostanze contemplate

dall'art. 133 cod. pen., sarebbe sufficiente a soddisfare l'obbligo

di adeguata motivazione e quindi a rendere inattaccabile, sotto il

nel reato chi, pur immune da precedenti penali, si accompagna a

persona che sa essere già stata condannata per uno dei reati previsti dall'art. 707 cod. pen. ed è consapevole degli oggetti o strumenti da

essa tenuti, per la possibilità che ha di servirsi di detti strumenti o

di aiutare il compagno a servirsene. In senso conforme anche Cass.

1° ottobre 1975, Terella, ibid., n. 7, nonché Pret. Roma 27 gennaio

1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 10 e Cass. 20 gennaio 1970, Balin,

id., Rep. Ì972, voce cit., n. 13 (in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 949, con nota di Caraccioli), secondo le quali sussiste il concorso non

solo quando il concorrente sia a conoscenza dei precedenti penali del

pregiudicato, ma anche, stante la natura colposa del reato, quando

egli sia in colpa circa la mancata conoscenza degli stessi.

Per quanto concerne i rapporti fra la contravvenzione prevista dal

l'art. 707 cod. pen. e il delitto di furto aggravato a norma dell'art.

625, n. 2, cod. pen., la giurisprudenza è orientata nel senso che la

contravvenzione rimane assorbita nell'aggravante quando il colpe vole è colto in possesso degli arnesi atti allo scasso durante gli atti

di esecuzione di tale delitto (Cass. 30 aprile 1973, Pecci, Foro it.,

Rep. 1975, voce cit., n. 2) o quando il possesso di detti arnesi si

verifichi solo per l'uso momentaneo necessario all'effrazione (Cass.

23 gennaio 1974, Mannella, ibid., n. 3). Qualora risulti, invece, che

nella consumazione del reato non sono serviti gli arnesi o che l'agen

te sia stato trovato in possesso degli stessi dopo un lasso di tempo

apprezzabile dalla causazione del furto, deve ritenersi che i due reati

concorrano (Cass. 27 giugno 1972, Marotta, id., Rep. 1973, voce cit., n. 8).

Corte cost. 30 ottobre 1975, n. 236, id., 1976, I, 14, con nota di

richiami e osservazione critica di Pizzorusso, ha dichiarato infon

data la questione di costituzionalità dell'art. 707 cod. pen. in riferi

mento agli art. 3, 1° comma, 24, 2° comma, 25, 2° comma e 27,

2' comma, Cost. La questione è stata di recente nuovamente dichia

rata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con richia

mo~ai motivi sostenuti nella sent. 236 cit. (ord. 6 dicembre 1977,

n. 146, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1). Per la manifesta infondatezza della questione cfr. anche Cass. 20

novembre 1974, Gentilini, id., Rep. 1976, voce cit., n. 3.

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PARTE SECONDA

profilo della legittimità, il foglio di via obbligatorio in sede

penale. La censura appare infondata al collegio e la decisione del pre

tore deve quindi essere confermata, salve le precisazioni che di

seguito verranno esposte.

Nella specie il provvedimento di rimpatrio emesso dal questore fa riferimento alla circostanza che Gufler Marianna « è stata de

nunciata più volte e rimpatriata con foglio di via obbligatorio»;

prosegue con l'affermare che essa non ha residenza stabile in

Trento, non ha mezzi di sussistenza sufficienti e pur essendo va

lida al lavoro non ha mai avuto stabile occupazione e si associa

attualmente ad elementi pregiudicati; conclude che l'affermazione

della pericolosità. La motivazione è quasi interamente prestampata sul modulo, salvo l'accenno ai precedenti giudiziari.

Fra le categorie di persone, di cui all'art. 1 legge 27 dicembre

1956 n. 1423, soltanto quella di cui al n. 1 (oziosi e vagabondi abituali, validi al lavoro) è dunque richiamata dalla motivazione

del foglio di vita. Ma rispetto a tale richiamo è esatto il rilievo

del pretore circa la totale carenza di motivazione in punto perico

losità. Invero gli oziosi e vagabondi non possono considerarsi pe ricolosi in quanto tali, ma soltanto in quanto, per i loro precedenti

penali e giudiziari o da altre circostanze di fatto, appaiano procli vi a delinquere. La Gufler ha subito diverse condanne, ma sem

pre per reati colposi o contravvenzionali (codice della strada) che

non sembrano sintomatiche di pericolosità, ovvero per inosser

vanza del foglio di via (e par chiaro che l'emissione del foglio di

via non può autogiustifìcarsi sul presupposto di precedenti viola

zioni di fogli di via, dei quali si ignorano peraltro le motivazio

ni): ed infatti l'estensore del foglio di via del 21 febbraio 1976 si

è astenuto dall'enunciare i titoli di reato delle denunce che rile

vava a carico della Gufler. Codesto sostanziale silenzio del prov vedimento sui precedenti giudiziari della Gufler rende la motiva

zione totalmente carente sul punto.

Ma vi è di più, dovendo il vaglio critico della parte prestam

pata della motivazione essere ulteriormente approfondito. Come

è stato autorevolmente affermato dalla giurisprudenza « non è

contrario ai criteri di un'adeguata motivazione del provvedimen to di rimpatrio con il f. v. o. l'impiego di modelli predisposti,

quando da essi risultino identificati i requisiti sostanziali dell'atto, al fine dell'esercizio del controllo di legittimità, nel senso di veri

ficare che il detto provvedimento, che incide profondamente nella

sfera della libertà della persona, sia emanato nelle ipotesi per cui

la legge lo ha previsto e col concorso di tutti i presupposti e le

condizioni, seppure sommariamente enunciati, idonei a giustifi carlo nel caso concreto». Prosegue la stessa decisione: «E ille

gittimo l'ordine di rimpatrio con f. v. o., quando la motivazione

non consente l'individuazione delle circostanze concrete che in

tegrano i presupposti legali della misura applicata e le correla

tive fonti, con il richiamo ad elementi indiziari circostanziati e

decisivi » (T.A.R. Piemonte 26 marzo 1975, n. 92, Foro it., Rep.

1975, voce Misure di prevenzione, nn. 45, 46). Analogamente la

Suprema corte ha insegnato: « Il rimpatrio è congruamente mo

tivato quando si basi non su semplici sospetti, ma su fatti con

creti, specificati e accertati, idonei a dimostrare la pericolosità della persona da rimpatriare ». (Cass. 9 marzo 1973, Purpura, id.,

Rep. 1974, voce cit., n. 50).

Applicando tali insegnamenti alla fattispecie di cui è processo, si scorge subito che la motivazione del questore di Trento non

consente di appurare quali siano le reali ragioni di pericolo

sità su cui si fonderebbe il provvedimento. Di conseguenza questa motivazione rende anche impossibile un effettivo controllo di le

gittimità, controllo che, come è noto, pur non potendo attingere la sfera discrezionale riservata alla pubblica amministrazione, è

sufficientemente penetrante, investendo anche la formazione della

volontà (vizi di eccesso di potere).

Ed invero la stessa indicazione dell'appartenenza del soggetto alla categoria di persone di cui all'art. 1, n. 1, legge 27 dicembre

1956 n. 1423 è sprovvista della indicazione della fonte da cui si

trae tale affermazione. L'affermazione che la Gufler frequenta

abitualmente pregiudicati non solo non accenna alle fonti, ma è

del tutto generica, mentre il fatto dovrebbe essere adeguatamente

circostanziato. Il richiamo dei precedenti penali infine, in quanto sottacendo il titolo delle denunce si fosse voluta fare apparire

una pericolosità che in effetti non sembra sussistere sulla base

del certificato penale, si tradurrebbe in un autentico travisamento

dei fatti e quindi in eccesso di potere. Nel suo insieme la moti

vazione afferma soltanto — in forma standardizzata e insufficente

per difetto di indicazione delle fonti — la presunta qualità di

oziosa della Gufler, ma essun elemento valido fornisce che possa dar corpo al giudizio di pericolosità, che risulta immotivato.

Se dunque anche è esatto in tesi generale il rilievo del pubbli co ministero secondo cui descrivendo condotta e condizione di

vita del soggetto al fine di circoscriverne l'appartenenza ad una

delle categorie di persone di cui all'art. 1, n. 1, della legge 27 di

cembre 1956 n. 1423 e fornendo qualche elemento di fatto che

possa rientrare tra le circostanze di cui all'art. 133 cod. pen. già si pongono le premesse necessarie e sufficienti per un valido giu dizio di pericolosità, nondimeno nella specie — proprio per la

carenza di tali presupposti nella motivazione — il provvedimento

appare sprovvisto di valida motivazione sulla perico.losità, come

affermato dal pretore, eppertanto illegittimo per violazione di

legge. Per questi motivi, ecc.

II

Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — A seguito di denuncia del

l'autorità di p. s. il pretore procedeva nei confronti di Giovanni

Bagnasacco per il reato di cui in epigrafe. In esito all'istruttoria

espletata, il pretore ritiene che Giovanni Bagnasacco debba esse

re assolto dalla imputazione ascrittagli perché il fatto non sussi

ste in quanto l'ordinanza del questore di Roma in data 24 maggio

1979 con cui veniva ordinato a Giovanni Bagnasacco di recarsi

a Torino e di non far ritorno a Roma per tre anni è illegittima e

pertanto deve essere disapplicata.

Tale illegittimità scaturisce da tre vizi del provvedimento, cia

scuno dei quali, di per sé, determinante l'illegittimità stessa. Due

di tali vizi sono riconducibili al vizio di legittimità dell'atto che

si indica come eccesso di potere, il terzo è riconducibile al vizio

di violazione di legge.

Indipendentemente infatti j dalla tesi difensiva secondo la quale il provvedimento di diffida sarebbe stato determinato da ragioni

politiche (l'imputato ha dichiarato: « Il vero motivo per cui è

stato emesso il foglio di via obbligatorio mi è staio contestato a

voce da un funzionario di polizia, secondo il quale la iniziativa

mia e degli altri compagni amici di Ahmed Ali Giama per assi

curare a quest'ultimo un funerale decente costituiva una specula zione politica »), vi sono vizi del procedimento e del provvedi mento che stanno ad indicare che il potere attribuito dalla legge al questore è stato usato in modo inappropriato. Per quanto con

cerne il primo dei denunciati vizi, questo pretore ritiene che

nel caso di specie non sia stato osservato il principio del giusto

procedimento.

Con tale espressione si indica una figura sintomatica di ec

cesso di potere caratterizzata dalla mancanza di garanzie sostan

ziali di contraddittorio e di difesa dei soggetti passivi del prov

vedimento soprattutto in procedimenti di tipo sanzionatorio (co me ad esempio il procedimento disciplinare). Sotto il profilo pre

cettivo il principio deve essere cosi enunciato: il procedimento tendente ad un provvedimento che sacrifica interessi fondamen

tali deve assicurare la possibilità di difesa del soggetto passivo del provvedimento il quale perciò, anche al di fuori di una

espressa previsione di legge, deve essere messo in condizioni di

essere sentito (principio del contraddittorio).

Ora, non vi è alcun dubbio che il provvedimento di rimpatrio incida su un interesse fondamentale quale è quello della libertà

personale (e non della sola libertà di locomozione), per cui esso

può essere emanato solo con il rispetto della regola del contrad

dittorio. In altre parole il grande rilievo dell'interesse in questio ne importa che, anche al di fuori di una espressa previsione di

legge (si verserebbe altrimenti nel campo della violazione di

legge), il provvedimento di rimpatrio non possa essere preso

senza che l'interessato sia messo in condizioni di essere sentito e

senza che le sue giustificazioni siano valutate. Ciò non può non

contribuire a restituire legittimità nel nostro ordinamento ad un

provvedimento che nella sua quotidiana applicazione rischia di

apparire quale una specie di patente dell'emarginato, che, come

tale, offende in maniera profonda il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).

La violazione di tale regola importa l'inosservanza del giusto

procedimento che è una figura sintomatica di eccesso di potere.

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler

GIURISPRUDENZA PENALE

Nel caso di specie, appunto, non vi è traccia nel modulo a

stampa che contiene il provvedimento dell'avvenuta osservanza

della regola del contraddittorio. Sotto altri più specifici profili,

poi, il provvedimento è viziato.

All'esame di questi ulteriori profili di illegittimità del provve dimento del questore di Roma vanno premessi alcuni cenni sulla

portata della norma di cui all'art. 2 legge 27 dicembre 1956

n. 1423.

Secondo questo giudice la norma pone l'ordine di rimpatrio

quale punto di arrivo di un iter che si svolge in più momenti

dei quali due rappresentano attività di giudizio, o, se si vuole,

esercizio di discrezionalità tecnica, e, l'ultimo, esercizio di discre

zionalità amministrativa: 1) il primo momento è quello dell'ac

certamento circa l'appartenenza del soggetto ad una delle catego

rie di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423; 2) il secondo

momento è quello dell'accertamento della pericolosità del sogget

to; 3) il terzo momento — della discrezionalità amministrativa —

è quello in cui l'autorità dovrà, valutati gli interessi alla cui tu

tela è volto il provvedimento, stabilire se rimandare nel luogo di

residenza il soggetto, o meno.

Infatti la lettera dell'art. 2 legge citata è: « Il questore può ri

mandarvele » e non « il questore deve rimandarvele ». L'autorità

amministrativa dovrà quindi, in concreto, dar conto dell'uso del

potere discrezionale di rimpatrio e, avuto riguardo al fatto che

gli interessi principali cui è volto in astratto il provvedimento

sono quelli della sicurezza e della moralità pubblica, dovrà

motivare sul perché il soggetto passivo sia meno pericoloso in un

luogo piuttosto che in un altro.

Orbene, il provvedimento in esame sul primo punto cosi re

cita: « Visti gli atti d'ufficio da cui risulta qui senza fissa dimora,

senza alloggio e senza lavoro, per cui si ritiene che trae i mezzi

per vivere in Roma dai proventi di azioni illecite; già denun

ziato per furto ».

Questo pretore ritiene che tale enunciazione non implichi la

appartenenza ad una delle categorie di cui all'art. 1 legge 27 di

cembre 1956 n. 1423; in particolare: sulla base di quanto esposto

nel provvedimento, non si può ritenere che l'imputato fosse

ozioso e vagabondo abituale (categoria di cui al n. 1 legge 1423)

perché non vi è parola nel riportato accertamento che faccia pen sare che egli fosse abitualmente privo di lavoro per sua cattiva

volontà (va inoltre sottolineato, a questo proposito, che il questo

re avrebbe dovuto prendere in considerazione la situazione di

invalidità del Bagnasacco del quale parte di una gamba è sosti

tuita da un arto artificiale). Neppure, poi, la enunciazione ripor tata pare implicare l'appartenenza dell'interessato alla categoria di cui al n. 3 dell'art. 1 legge n. 1423; infatti fanno parte di tale

categoria « coloro che, per la condotta e il tenore di vita, debba

ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con il pro

vento di delitti...» e nell'accertamento del questore non vi è

alcun cenno al tenore di vita del Bagnasacco.

Quindi sotto il profilo in esame il provvedimento di diffida è

viziato (da violazione di legge), perché attuato nei confronti di

persona apparentemente non appartenente ad una delle catego

rie di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423, come la nor

ma di cui all'art. 2 della stessa legge impone.

Ma vi è di più: pur a ritenere che il secondo momento, quello

della pericolosità del soggetto, sia motivato per relationem con

quanto esposto a proposito del primo, poiché le condizioni di

vita attribuite al Bagnasacco avrebbero importato una sua peri

colosità per la sicurezza pubblica (sul punto il provvedimento: « accertato che è persona pericolosa per la sicurezza pubblica »),

si deve rilevare come proprio nell'esercitare il potere di discre

zionalità incidente su un fondamentale diritto di libertà (terzo

momento), il questore abbia dato una motivazione apparente; in

fatti su tale punto il modulo a stampa che contiene il provve

dimento fa riferimento al « fine di impedire l'ulteriore aggravarsi

del fenomeno della criminalità nell'ambito della capitale ».

La mera apparenza della motivazione, che in realtà è una non

motivazione, risulta chiaramente dalla circostanza che essa può es

sere applicata in tutti i casi; ora una motivazione dell'esercizio di

un potere discrezionale che è cosi generica da poter essere sem

pre riportata, non è una vera motivazione.

Inoltre questa motivazione geografica per cui in sostanza ver

rebbe ad essere tutelato maggiormente l'ordine pubblico nell'am

bito del territorio della capitale, rispetto all'ordine pubblico nelle

altre parti del territorio nazionale pare introdurre un fine diverso

rispetto a quello per cui il potere è conferito che è il fine dell'or

dine pubblico nel territorio nazionale.

Il provvedimento sul terzo punto è perciò mancante completa mente di una reale e corretta motivazione, sia per quanto riguarda l'interesse principale cui è preordinato l'atto in esame (non è spie

gato infatti perché il Bagnasacco a Roma si debba ritenere più pe ricoloso che altrove ed in particolare a Torino ove è stato rimpa

triato), sia per quanto riguarda eventuali interessi secondari ri

spetto al tipo di provvedimento (interesse al lavoro, interesse alla

libera esplicazione della personalità), che pure però si sarebbero

potuti prendere in considerazione. Pertanto anche sotto questo

terzo profilo, essendo l'atto completamente mancante di una reale

motivazione sul terzo punto, esso va considerato illegittimo >n

quanto viziato da eccesso di potere. Per questi motivi, ecc.

Ili

Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Il 31 dicembre 1977 lori

Alessandro, verso le ore 7,15, veniva sorpreso mentre dormiva in

una Fiat 124 tg. TN 134443, in località Cadine del comune di

Trento. Poiché nei suoi confronti era stato emesso ordine di rim

patrio con foglio di via obbligatorio da parte del questore di

Trento per un periodo di tre anni a decorrere dal 1° dicembre

1977, lo lori veniva arrestato. All'atto dell'arresto nella macchina

venivano ritrovati vari arnesi, tipo cesoie, chiavi, di cui al re

perto di sequestro. Interrogato in carcere dal magistrato di turno,

con l'assistenza del difensore, si procedeva alla convalida del

l'arresto dello lori il quale veniva giudicato con il rito direttissi

mo, imputato come in atti.

All'odierno dibattimento, dopo le conclusioni delle parti, la

causa è stata decisa con sentenza di cui il dispositivo è stato reso

pubblico mediante lettura. Il primo problema che bisogna affron

tare e risolvere è quello relativo alla presunta violazione del

l'ordine di rimpatrio da parte dell'imputato. La legge 27 dicem

bre 1956 n. 1423 nell'indicare, all'art. 1, le persone diffìdabili

da parte del questore, sanziona, all'art. 2, la possibilità di rimpa

triarle con foglio di via obbligatorio qualora esse siano perico lose per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità e si

trovino fuori dei luoghi di residenza, comminando, per l'ipotesi di violazione di detto ordine, l'arresto da uno a sei mesi.

L'ipotesi di reato si configura, quindi, relativamente all'esisten

za di un atto amministrativo di cui si assuma per ipotesi la viola

zione. Ciò porta, necessariamente, alla valutazione da parte del

giudice ordinario delle legittimità o meno dell'atto amministra

tivo strutturalmente legato — nella prospettiva di una sua nega

zione — alla fattispecie reato.

Ciò, naturalmente, in stretto ossequio della legge che impone

il controllo di legittimità degli atti amministrativi da parte del

giudice ordinario quando incidenter tantum, ne sia investito e,

cosa ben più rilevante, impone la disapplicazione ove per avven

tura gli atti stessi siano inficiati da vizi di legittimità. Tale prin

cipio, oltre che essere previsto dall'art. 5 legge 20 marzo 1865 n.

2248, è statuito anche nel codice penale laddove allorché all'art.

650 si punisce chiunque non osservi un provvedimento dato dal

l'autorità, si sancisce per l'appunto il diritto da parte del giudice

di sindacare la legittimità formale e sostanziale dell'atto ammi

nistrativo, rimanendo evidentemente in piedi la questione dei li

miti di tale attività.

Sotto tale aspetto non c'è dubbio che il sindacato del giudice

si estenda a tutti i vizi di legittimità escludendosi, invece, per i

vizi di merito. Il punto che fino a qualche tempo fu controverso, ri

guardante la possibilità del magistrato ordinario di portare la

propria indagine al vizio di eccesso di potere, è ora pacificamente

risolto, e a livello dottrinario, e a livello giurisprudenziale, nel

senso di ritenere perfettamente conforme ai postulati di legge

l'estensione del controllo dell'atto amministrativo sotto l'aspetto

dell'eccesso di potere (a tale proposito vedi Cass, pen., Sez. VI, 10

luglio 1976, n. 7641, che afferma per l'appunto che il controllo di

legittimità degli « atti amministrativi spettante al giudice ordina

rio si estende a tutti i vizi da cui l'atto sia inficiato sotto il pro

filo della rispondenza allo schema tipicizzato dalla legge, ivi

compreso l'eccesso di potere, con la sola limitazione relativa a

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Page 6: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler

PARTE SECONDA

ogni valutazione e apprezzamento sulla opportunità e convenien

za dell'atto medesimo »).

Esclusa, sul piano processuale, qualsiasi remora a un'indagine diretta a conoscere dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo — che nel nostro caso è l'ordine del rimpatrio emesso dal questo re di Trento, il 1° dicembre 1977, nei confronti dell'imputato — oc

corre in concreto analizzare tale ordine ai fini di una verifica

della sua legittimità sotto l'aspetto patologico dell'eccesso di

potere.

Come già detto, l'art. 2 legge 27 dicembre 1956 n. 1423 sanci

sce la possibilità di rimpatriare le persone « pericolose per la si

curezza pubblica o per la pubblica moralità » qualora apparten

gano a una delle categorie di cui all'art. 1 di detta legge. Dal che

deriva un'ovvia conseguenza: e cioè, a parte il problema della

pericolosità o meno delle persone rimpatriabili, occorre che esse

appartengano a quelle e solo a quelle categorie. Ora, tali catego

rie essendo una semplice nomenclatura di astratte possibilità teo

riche di status, sarebbe occorso che il questore nel caso di spe

cie — e, sempre, in via generale — avesse pregiudizialmente de

finito a quali delle categorie legislativamente previste apparte nesse lo lori. Tale definizione di status, infatti non può sicura

mente essere desunta presuntivamente da una o meno esternata

« qualità » di precedenti penali, bensì va individuata, lucida

mente, criticamente e con il supporto immancabile di fatti con una

collocazione che, pur fra le incertezze e i dogmatismi di qualsiasi nomenclatura applicata alle persone, si faccia carico di tenta

tivi scrupolosi, circostanziati, di raccolta di dati, avvenimenti, cir

costanze, metodo di vita, atti a una definizione sicuramente quali

ficante. Tale operazione non è stata fatta, e, quindi, viene a cadere

uno dei presupposti teorici per l'applicazione dell'art. 2.

Ma questo appena trattato non è il punto nodale del proble

ma, se pur ne illumina i contorni. Da chiedersi, infatti, è se il

provvedimento di rimpatrio, nell'inviare al proprio comune di

residenza l'imputato perché pericoloso, abbia in qualche modo

motivato tale pericolosità.

Perché è ben chiaro che, anche a non voler ritenere per certo

che fra i compiti dell'autorità amministrativa ci sia un non trop

po identificato potere di delimitazione delle persone nelle catego rie di cui all'art. 1 legge 1956, è tuttavia pacifico che, allorché

si decida di rimpatriare le persone di cui all'art. 1 perché perico

lose, occorra necessariamente motivare tale pericolosità. La Cas

sazione sul punto è estremamente concorde. Il richiamo puro e

semplice alla circostanza che si è persona giudicata, che si è sprov

visti di lavoro e di mezzi di assistenza, non costituisce una sufficien

te motivazione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via

obbligatorio e con diffida a non far ritorno nella città da cui si

è allontanati, poiché tali elementi... « non sono di per sé deci

sivi per giustificare ... il provvedimento di rimpatrio, per il qua le si richiede dall'art. 2 di detta legge l'ulteriore elemento della

pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica... onde il

relativo provvedimento deve essere motivato con ' riferimento alla pericolosità della persona

' (Cass. 25 luglio 1962).

Che tale motivazione, nell'ordine di rimpatrio dello lori, sia

carente è cosa che non sfugge alla lettura, per superficiale che

sia, del provvedimento che, è il caso subito di rilevare, è fatto

per «stampone», già predisposto, con l'aggiunta solo del nome e

dei precedenti penali, privo di qualsiasi fatto, circostanza, da

cui sia possibile fondatamente ritenere che l'imputato sia persona

pericolosa per la sicurezza pubblica.

A tale proposito si ribadisce come l'indagine del giudicante non si estende a censurare la valutazione da parte dell'autorità di

p. s. di una persona come pericolosa, ma si limita a non ricono

scere legittima, perché viziata da eccesso di potere, una dichiara

zione di pericolosità priva di qualsiasi presupposto motivaziona

le, carente talmente di fatti da cui possa derivare la legittima

qualificazione di persona pericolosa. Nel caso di specie, insom

ma, si è in presenza, più che di un difetto di motivazione, di una

carenza totale di motivazione che, per essere il provvedimento di rimpatrio restrittivo di diritti soggettivi, avrebbe dovuto invece

essere la più lata possibile, e la più circostanziata. Per non ripe terci e, infine, per finire, l'ordine di rimpatrio emesso dal que store di Trento è totalmente privo di qualsivoglia elemento di

motivazione sotto un duplice aspetto: difetta della dichiarazione

di una delle categorie di cui all'art. 1 della legge del 1956 entro cui

possa essere inquadrato lo lori; è totalmente carente di motiva

z;one sulla pericolosità dello lori, sicuramente non potendosi per venire a una valutazione di pericolosità sulla base degli scarsis

simi, e anzi quali nulli, elementi riscontrabili nel provvedimento.

Ciò porta, come ovvia conseguenza, a dover ritenere illegittimo l'ordine di rimpatrio e a disapplicarlo nel caso di specie, per ciò stesso dovendosi ritenere perfettamente non in contrasto con

la legge il comportamento dell'imputato che, venendo a Trento,

non ha violato sicuramente un atto che era ab initio viziato e

quindi ineseguibile. Lo lori, quindi, va assolto dal reato di cui al

capo a) dell'imputazione perché il fatto non costituisce reato.

Per quanto concerne il capo b) dell'imputazione, e cioè il pos sesso da parte dell'imputato di arnesi atti allo scasso, occorre,

anche in questo caso, una meditata intelligenza del problema giu ridico che è alla base dell'art. 707 cod. penale.

L'art. 707 nel punire chiunque, essendo stato condannato per delitto determinato da motivi di lucro o per contravvenzione con

cernente la prevenzione dei delitti contro il patrimonio, è colto

in possesso di chiavi false o di strumenti atti ad aprire e a for

zare serrature, crea un tipico reato di pericolo. Infatti la norma

ha lo scopo di impedire che il reo, essendo in possesso degli stru

menti idonei ad aprire serrature, possa servirsi degli strumenti

stessi per commettere reati determinati da motivi di lucro.

Ciò è desumibile dai motivi della lettera della legge e dalla

collocazione sistematica della norma tra gli art. 705 e 713 cod.

pen., che hanno per oggetto le contravvenzioni concernenti la pre

venzione dei delitti contro il patrimonio. Tale elemento della nor

ma dell'art. 707 cod. pen. è avallato, in sede giurisprudenziale,

da una serie di sentenze della Suprema corte, una delle quali

(Sez. V 15 aprile 1975, Scimionato, id., Rep. 1976, voce

Chiavi, grimaldelli e serrature, n. 5) afferma il principio che

« non commette reato per assoluta deficienza di pericolo, colui

che venga sorpreso nel momento in cui si sta sbarazzando di stru

menti atti allo scasso, essendo evidente che l'agente non intende

più usarli per scopi delittuosi ».

Che la norma dell'art. 707 cod. pen. vada interpretata nel senso

chf il comportamento dell'agente debba dar luogo in concreto a

una situazione di pericolo è avallato dal fatto che la disposi zione legislativa assume che l'agente debba essere colto in pos

sesso degli arnesi da scasso. La qual cosa, nell'esprimere la ne

cessità di un rapporto di attualità e di immediatezza tra il sog

getto e la cosa, sottolinea come la ratio intrinseca della norma

sia quella di punire coloro che vengono colti nell'atto di creare,

con comportamenti inequivocabili e univocamente diretti, una si

tuazione di pericolo in ordine all'oggetto giuridico tutelato, e cioè

il bene patrimoniale.

Insomma il possesso di arnesi da scasso, in tanto diviene giuri dicamente rilevante, in quanto tale possesso, per le modalità, i

tempi, i luoghi, le circostanze in cui si perfeziona, crei, nel caso

di specie, e non astrattamente, una effettiva situazione di pericolo.

Non altra potrebbe essere l'interpretazione da dare all'art. 707

cod. pen., a meno di non volersi ritenere (la qualcosa è sicura

mente da escludere abbia voluto il legislatore, e ciò proprio per

la collocazione sistematica della norma) che basta l'essere stato

condannato per delitti per motivi di lucro perché il possesso di

qualsiasi strumento astrattamente idoneo allo scasso integri l'ipo tesi di cui all'art. 707 cod. penale.

Se ciò è vero, quello che bisogna valutare, e che il giudicante ritiene di dover valutare, è se nella fattispecie si sia creata quella

situazione effettiva e storicizzata di pericolo la cui esistenza in

tegra il reato di cui all'art. 707 cod. penale.

La risposta a tale domanda non può che essere sicuramente ne

gativa, senza che per pervenire a tale conclusione occorra una

particolare e complessa attenzione.

In realtà basta rilevare, come è emerso in sede di dibattimento

e come risulta dal rapporto della guardia di p. s., che lo lori, nell'atto in cui venne scoperto, si trovava alla guida della pro

pria macchina, addormentato, verso le 7,15 di mattina, a una

distanza, come è stato detto dal teste Angel Giuliano, di circa un

chilometro dal centro abitato di Trento, sulla strada che, prove niente da Bolzano, porta a Bloggio Superiore, che è il paese di

residenza dello lori.

Come il possesso degli arnesi che si assumono essere adatti

allo scasso abbia potuto creare un'effettiva situazione di pericolo, date le circostanze di tempo e le modalità dell'arresto dell'impu

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Page 7: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler

GIURISPRUDENZA PENALE

tato, rimane domanda sicuramente senza risposta, almeno nei

limiti in cui questa voglia necessariamente essere trovata nel ri

conoscimento di una situazione di pericolo, che, nel caso di spe

cie, invece, non si è mai verificato, mancandone ogni possibilità di qualificazione giuridica.

Per tali considerazioni ritiene lo scrivente che lo lori vada

prosciolto dal reato di cui al capo b) dell'imputazione perché il

fatto posto in essere non costituisce reato.

Come conseguenza dell'assoluzione, lo lori va immediatamente

scarcerato, ove non detenuto per altra causa.

Si ordina anche il dissequestro dell'autovettura Fiat 124 tg TN 134443 che viene restituita al legittimo proprietario.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 28 maggio 1979; Pres. M.

Battaguni, Est. Viglietta; imp. Pittalis.

TRIBUNALE DI ROMA;

Stupefacenti e sostanze psicotrope — Uso personale terapeu tico — Esclusione — Fattispecie (Legge 22 dicembre 1975 n.

685, disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Pre

venzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodi

pendenza, art. 80). Circostanze di reato — Attenuanti — Motivi di particolare va

lore umano e sociale — Sussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 62).

Pur in presenza di tossicodipendente che faccia uso di hashish

per evitare di ricorrere alla più dannosa eroina, non può rico

noscersi la condizione di non punibilità dell'uso personale tera

peutico nel caso di detenzione di ben 880 grammi di hashish. (1) Sussiste l'attenuante dei motivi di particolare valore umano e

sociale nel caso di tossicodipendente responsabile di detenzione

di hashish, il quale abbia fatto ricorso alla sostanza allo scopo di abbandonare l'uso della più dannosa eroina. (2)

(1) Nel senso che l'uso di droghe da parte di un tossicomane che

agisca di propria iniziativa al di fuori di ogni prescrizione medica e d'interventi curativi non può comunque essere qualificato come tera

peutico, v. Cass. 9 febbraio 1977, Longo, Foro it., Rep. 1977, voce Stupefacenti, n. 32. Cfr. anche Cass. 30 novembre 1976, Boccuni, ibid., n. 33 (tra le ipotesi di non punibilità previste dall'art. 80 della nuova legge sulla disciplina degli stupefacenti non può rientrare la detenzione di settanta grammi di hashish, dal momento che da un lato si tratta di sostanza del tutto priva di effetti curativi, gravemente dannosa alla salute, che produce fenomeni allucinatori e che deter mina in breve uno stato di dipendenza, dall'altro il suddetto quan titativo non può considerarsi modica quantità).

Sulla modica quantità, v. Cass. 3 marzo 1978, Potestà, id., 1979, II, 37, con nota di richiami.

Per altri riferimenti di giurisprudenza e dottrina, v. Trib. Firenze 6 novembre 1978, id., 1979, II, 385, con nota di richiami; Cass. 18

aprile 1977, Conversi, id., 1979, II, 131, con nota di richiami.

(2) La giurisprudenza ricorre per solito ad una nozione molto ri gorosa dei motivi di particolare valore umano e sociale. V. da ultimo Cass. 7 giugno 1978, Sgabellone, Mass. pen., 1979, 1098, 1096 (per ché possa applicarsi la circostanza non basta che i motivi del reato siano apprezzabili dal punto di vista etico e suscitino sentimenti di indulgenza, ma è necessario che essi abbiano un « particolare » valore morale, nel senso che la causa psicologica del reato corrisponda a finalità e principi che, per « la speciale densità del loro contenuto etico », siano approvati dalla coscienza dell'individuo medio e, quin di, dalla collettività organizzata). Va ancora oltre Corte assise Cuneo 31 maggio 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Circostanze di reato, n. 55 (per l'applicazione dell'attenuante si deve pretendere, per l'esi

genza di gradazione implicita nella nozione dei motivi di particolare valore, che questi superino la media dei sentimenti umani nella co munità nazionale in un dato momento storico).

Cfr., altresì, Cass. 16 gennaio 1974, Pinelli, id., Rep. 1976, voce cit., n. 47, commentata da Albamonte, in Giusi, pen., 1975, II, 648

(i motivi di particolare valore umano e sociale sono costituiti sol

tanto da moventi spiccatamente nobili e altruistici e non già da pro positi ispirati da sentimenti egoistici e personali o da stimoli comuni:

fattispecie in tema di alterazione di stato motivata dal desiderio di dare il proprio cognome al neonato, procreato con donna coniugata, e di evitare l'eventuale azione di disconoscimento di paternità da par te del marito di questa); Cass. 25 febbraio 1976, Mamone, Foro it.,

Il Foro Italiano — 1980 — Parte II-18. .

Il Tribunale, ecc. •— Fatto. — Con rapporto giudiziario redatto il 18 maggio 1979 il ricevitore capo della circoscrizione doganale di Roma Fiumicino denunciava in stato di arresto Gianraffaele

Pittalis perché il giorno precedente, appena sbarcato dal volo AT 952 proveniente da Rabat, era stato trovato in possesso di

gr. 880 di una sostanza (occultata nel doppio fondo di una borsa) che dava la reazione tipica dell'/ias/jis/i alla prova del Narkotest.

Interrogato dal p. m., l'imputato ammetteva l'addebito, ecslu dendo però l'intenzione di far commercio della sostanza stupe facente.

Tratto a giudizio con rito direttissimo il Pittalis dimostrava documentalmente di essere titolare di una impresa di produzioni pubblicitarie, che ha svolto importanti ed apprezzati lavori per conto del ministero per gli esteri e altre amministrazioni pub bliche, organizzando mostre sulla ricerca scientifica in Italia e all'estero.

Affermava inoltre che, in conseguenza di un grave stato depres sivo originato dalle sue vicende familiari (separazione dalla mo

glie), aveva contratto l'abitudine di iniettarsi eroina, divenendo

tossicodipendente, e aveva tentato inutilmente la disintossicazione

presso l'ambulatorio dell'ufficio di igiene di via dei Riari, il

policlinico Gemelli e la clinica privata Sant'Andrea, senza tut

tavia ottenere risultati apprezzabili. Pertanto era giunto alla de

terminazione di curarsi da solo, ed era riuscito da qualche tempo ad abbandonare l'eroina, facendo uso di hashish.

Il p. m. preliminarmente chiedeva che si disponesse l'istru

zione formale per procedere a perizia sulla sostanza in sequestro; nel merito concludeva per la condanna ad anni due di reclusione

e lire 2.000.000 di multa.

La difesa sosteneva l'applicabilità dell'ipotesi di uso personale

terapeutico, ed invocava l'assoluzione con la formula prevista dall'art. 80 legge 22 dicembre 1975 n. 685.

Diritto. — Ritiene il tribunale che non sia necessaria, nel caso

di specie, alcuna perizia per determinare la natura della sostanza

in sequestro. Infatti gli accertamenti di polizia giudiziaria, pur non avendo il valore probatorio di una perizia, non sono con

testati dalla difesa, e gli elementi di convincimento che se ne

possono trarre si sommano a quelli desumibili dalla confessione

dell'imputato, consumatore assai esperto di hashish.

!È tuttavia da escludere che il [Pittalis avesse acquistato la droga a fine di spaccio. L'imputato ha provato di fruire di alti redditi,

svolgendo un lavoro socialmente utile ed apprezzato (vedi atte

stato del presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e

dichiarazioni dei redditi per gli anni 1977 e 1978), e di esser stato

dedito all'uso di stupefacenti ben più nocivi dei derivati dalla

cannabis, tentando inutilmente di curarsi presso strutture ospeda liere pubbliche e private.

L'indicazione dei ricoveri, delle cliniche e dei medici che lo

ebbero in cura è un dato preciso e facilmente riscontrabile.

Ciò premesso, si può ritenere dimostrato quanto affermato dal

Pittalis anche in relazione ai motivi che lo spinsero a far ricorso

aW'hashish.

È notoria, infatti, la situazione di grave carenza delle strutture

pubbliche che dovrebbero servire alla cura e riabilitazione dei

tossicodipendenti: in molte regioni i centri previsti dalla legge 685/75 non sono stati ancora istituiti, e in ogni caso i centri esistenti in istituzioni sanitarie regionali, comunali, enti ospeda lieri e cliniche private si limitano a ricoveri di pochissimi giorni, con somministrazione di epatoprotettori e sedativi, e alla distri

buzione ambulatoriale di metadone o sostanze simili.

Viceversa, limitandoci ad un'esposizione molto sintetica, sap

piamo, da una serie sterminata di indagini scientifiche e psico

sociologiche a) che la sindrome di astinenza da eroina scompare

dopo una settimana, e una guarigione completa può richiedere

più di sei mesi; b) che il trattamento mediante metadone, un

morfinosimile con uso non medico assai esteso e che provoca a

sua volta crisi di astinenza, è molto discusso; c) che le motiva

Rep. 1976, voce cit., n. 50 (non può dar luogo all'attenuante la ne cessità di curare una persona della propria famiglia); Cass. 24 otto bre 1973, Adduci, id., Rep. 1975, voce cit., n. 34 (la legge richiede non soltanto lo scopo di perseguire un fine socialmente utile, ma esi

ge inoltre che l'azione, nel proiettarsi nel mondo esterno, non si ri

solva in un mezzo per creare disordine e per sovvertire l'ordine e la

disciplina). Circa i dati ricordati in motivazione v. G. Arnao, Rapporto sulle

droghe, Feltrinelli, Milano, 1977.

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