sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. GuflerSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.255/256-265/266Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171576 .
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PARTE SECONDA
I
TRIBUNALE DI TRENTO; sentenza 23 ottobre 1979; Pres. ed est. Giuliano; imp. Gufler.
TRIBUNALE DI TRENTO;
Misure di prevenzione — foglio di via obbligatorio — Diletto
di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27
dicembre 1956 n. 1423, misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica mo
ralità, art. 1, 2).
Non è congruamente motivato, e va quindi disapplicato dal giu dice penale, il provvedimento del questore che disponga il rim
patrio di una persona ritenuta socialmente pericolosa per il solo
fatto che questa sia stata più volte denunciata all'autorità e senza indicare i titoli di reato delle denunce stesse. (1)
II
PRETURA DI ROMA; sentenza 24 settembre 1979; Giud. Bar
bagallo; imp. Bagnasacco.
Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Inosser vanza del principio del contraddittorio — Illegittimità — Di
sapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2). Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Carenza
di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2).
È illegittimo per eccesso di potere, e va quindi disapplicato dal
giudice penale, il provvedimento del questore che disponga il
rimpatrio con foglio di via obbligatorio senza il rispetto del
principio del contraddittorio, il quale si impone anche al di
fuori di un'espressa norma di legge, essendo il provvedimento medesimo destinato ad incidere su un interesse fondamentale quale è quello della libertà personale. (2)
È solo apparentemente motivato, e quindi illegittimo, il provve dimento del questore che disponga il rimpatrio con foglio di via obbligatorio di un soggetto « al fine di impedire l'ulteriore
aggravarsi del fenomeno della criminalità nella capitale», es sendo il contenuto di tale motivazione cosi generico da po tersi adattare alla totalità dei casi. (3)
III
PRETURA DI TRENTO; sentenza 21 gennaio 1978; Giud. Pa
scucci; imp. lori.
Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Appar tenenza del destinatario ad una delle categorie previste dalla
legge n. 1423'del 1956 — Accertamento — Criteri (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1).
Misure di prevenzione — Foglio di via obbligatorio — Carenza di motivazione — Illegittimità — Disapplicazione (Legge 27 dicembre 1956 n. 1423, art. 1, 2).
Chiavi, grimaldelli e serrature — Possesso di strumenti per scas so — Mancanza di un'effettiva situazione di pericolo — Reato — Esclusione (Cod. pen., art. 707).
Ai fini dell'applicazione della misura di prevenzione del rimpa trio con foglio di via obbligatorio, l'appartenenza del destina
tario di tale misura ad una delle categorie previste dall'art. 1
legge 27 dicembre 1956 n. 1423, non può essere ritenuta dal l'autorità amministrativa presuntivamente sulla scorta dei soli
precedenti penali del soggetto, ma deve essere in concreto de sunta da fatti, circostanze, dati, che indichino specificamente a quali, fra le categorie in questione, si ritiene che il soggetto appartenga. (4)
É carente di motivazione, e va quindi disapplicato dal giudice penale, il provvedimento del questore che disponga il rimpa trio di una persona ritenuta socialmente pericolosa giovandosi di una motivazione riprodotta a stampa a cui sia stato aggiun to il nome del destinatario e i suoi precedenti penali. (5)
(1-5) Secondo un orientamento giurisprudenziale largamente pre valente, il sindacato del giudice penale sul provvedimento di rim patrio investe tutti i profili di legittimità dell'atto e concerne quindi la competenza dell'autorità che ha emesso l'ordine, la conformità del medesimo alle prescrizioni di legge e l'assenza di un eventuale vizio di eccesso di potere (Cass. 7 dicembre 1977, Addario, Foro it.,
Affinché ricorrano gli estremi del reato di cui all'art. 707 cod.
pen., non basta che l'agente, condannato per delitti determinati
da motivi di lucro, sia colto in possesso di strumenti per scasso
dei quali non sia in grado di giustificare la destinazione, ma
Rep. 1978, voce Misure di prevenzione, n. 32; 3 dicembre 1976, Di
Rienzo, id., Rep. 1977, voce cit., n. 57; 17 giugno 1974, Valdata, id., Rep. 1975, voce cit., n. 39; 26 aprile 1974, Tellone, ibid., n. 37; 17 dicembre 1973, Raimondi, ibid., n. 32), desumibile quest'ultimo, dalla logicità della motivazione e dalla congruità tra le circostanze di fatto e il giudizio sulla pericolosità sociale che ne è stato tratto
(Cass. 11 maggio 1977, Urbinati, id., Rep. 1978, voce cit., n. 34), essendo invece affidata esclusivamente al questore, in quanto atti nente al profilo del merito, la valutazione relativa allo stato di peri colosità del soggetto (Cass. 28 febbraio 1978, Riccardi, ibid., n. 13; Cass. 3 dicembre 1976, cit.).
In senso contrario a tale orientamento, v. comunque una recente ma isolata pronuncia della Cassazione la quale, con affrettata moti
vazione, ha ritenuto che il giudice penale non può estendere il suo sindacato alla rilevazione dell'eccesso di potere, e cioè al processo di formazione della volontà dell'organo amministrativo nella emana
zione del provvedimento, sotto il profilo del travisamento dei fatti, e cioè di alterazione cosciente e intenzionale di essi, dal momento che l'esame su tale vizio si risolve in una indagine sul merito del
provvedimento, come tale interdetta (sent. 14 marzo 1978, Lucisi, ibid., n. 12).
Circa i requisiti di contenuto richiesti ai fini di una congrua mo tivazione cfr. T.A.R. Piemonte 26 marzo 1975, n. 92, id., Rep. 1975, voce cit., nn. 45, 46 e Cass. 9 marzo 1973, Purpura, id., Rep. 1974, voce cit., n. 50, le cui massime sono riportate in motivazione dal Tribunale di Trento. In senso parzialmente conforme v. Cass. 17 di
cembre 1973, Raimondi, id., Rep. 1975, voce cit., n. 35 e 25 febbraio
1972, Creanzi, id., Rep. 1973, voce cit., n. 69, le quali hanno rite nuto che ai fini della motivazione del provvedimento di rimpatrio obbligatorio non è necessario che in esso risultino enunciati singoli e circostanziati episodi, ma è sufficiente che l'autorità di p. s., sia
pure sommariamente, specifichi le modalità e le circostanze dell'at tività ascritta al prevenuto in modo da rendere palesi le ragioni per le quali la stessa sia contraria alla sicurezza e alla moralità
pubblica ed altresì fornisca elementi concreti atti a dimostrare la
pericolosità del soggetto in relazione alla probabile condotta futura dello stesso. In particolare secondo Cass. 26 gennaio 1977, Mon
dello, id., Rep. 1977, voce cit., n. 15, la pericolosità sociale neces saria per l'applicazione delle misure di prevenzione di cui alla legge n. 1423 del 1956 si desume dall'esame dell'intera personalità del
soggetto e può scaturire anche da situazioni che giustifichino sospet ti e presunzioni, purché gli uni e le altre siano fondati su elementi
specifici; tali possono considerarsi: rapporti e denunce, indipenden temente dall'esito, per reati contro il patrimonio, unitamente a prece denti assoluzioni per insufficienza di prove, all'accompagnarsi con
pregiudicati ed all'ambiguo tenore di vita personale e familiare. Se condo Cass. 29 dicembre 1977, Moi, id., Rep. 1978, voce cit., n. 15,
invece, i precedenti giudiziari hanno per se stessi un valore sinto matico tale da legittimare da soli l'adozione di una misura di preven zione e possono essere utilizzati ai fini del giudizio di pericolosità anche se negativi, giacché l'accertamento della pericolosità del sog getto va fatta prendendo in esame l'intera personalità del medesimo quale risulta attraverso tutte le manifestazioni sociali della sua vita, anche se non ancorate alla perpetrazione di reati, ma solo a situa zioni che giustifichino sospetti e presunzioni che, purtuttavia, ap paiano fondati su elementi obiettivi e fatti specifici che, valutati in modo globale, autorizzino la prognosi di pericolosità. Sul punto cfr. anche Cass. 16 marzo 1977, Sgarano, id., Rep. 1977, voce cit., n. 16, secondo cui un fatto costituente delitto, accertato in sede penale, può essere rivelatore di una generica pericolosità sociale, il cui per durare è deducibile da comportamenti ulteriori, costituenti reato, an che se ancora sub iudice; Cass. 17 febbraio 1976, Fucci, id., Rep. 1978, voce cit., n. 38, che ha ritenuto legittimo l'ordine di rimpatrio di una donna dedita alla prostituzione motivato dal fatto che il mere tricio nella specie si addimostrava contrario alla morale pubblica e al buon costume perché esercitato palesemente e in modo scandaloso per le pubbliche vie.
Sembre in tema di motivazione, ma con riferimento al provvedimen to di diffida, v. ancora Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 1977, n. 569, id., Rep. 1977, voce cit., n. 37, il quale ha ritenuto che la motiva zione di un provvedimento di diffida non può fare riferimento che a indizi ancora generici, a circostanze di portata generale e di signifi cato tendenziale, a contesti nel loro complesso significativi, anziché a
singoli fatti, a circostanze univoche ed episodi definiti; 9 novembre 1976, n. 1038, id., 1977, III, 578, con nota di richiami, secondo cui è illegittima la speciale diffida prevista dalla legge antimafia fondata soltanto su elementi indiziari, invece che sull'indicazione di compor tamenti obiettivamente accertati.
Circa la necessità dell'osservanza del principio del contraddittorio per l'applicazione dell'ordine di rimpatrio, sostenuta dal Pretore di Roma, non risultano precedenti editi. Il principio è invece comune
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GIURISPRUDENZA PENALE
occorre che tale possesso, per le modalità, i tempi, i luoghi e
le altre circostanze in cui si perfeziona, crei in concreto una
effettiva situazione di pericolo. (6)
mente applicato in relazione al processo di prevenzione di cui agli art. 4 ss. legge 1423/1956. V. in proposito Cass. 1° giugno 1976, De
Risi, id., Rep. 1977, voce cit., n. 29, secondo cui nel procedimento di prevenzione sono applicabili le stesse garanzie di difesa previste
per il processo penale. Tuttavia Cass. 28 gennaio 1977, Milazzo, ibid., n. 27, ha ritenuto che nel processo di prevenzione l'istituto della contestazione non è applicabile nella stessa estensione del pro cesso ordinario, onde non si verifica violazione del diritto di difesa
nell'ipotesi in cui all'interessato non siano resi noti gli elementi su cui si fonda la richiesta di applicazione della misura, purché allo
stesso sia tempestivamente comunicato l'invito a comparire con indi cazione quantomeno della misura di prevenzione proposta dal que store e dell'udienza in cui sarà discussa la proposta, cosi da consen
tirgli di prendere visione degli atti e quindi di venire a conoscenza di tutti gli elementi su cui la proposta è fondata. Sull'esercizio del diritto di difesa nel processo di prevenzione v. anche Cass. 28 gen naio 1977, Orfano, ibid., n. 26; 2 aprile 1973, Rimi, id., Rep. 1974, voce cit., n. 33.
Sull'art. 2 legge 1423/1956, v. Pret. Venezia, ord. 25 maggio 1976, id., 1977, II, 150, con nota di richiami, che ha sollevato la que stione di costituzionalità di tale disposizione nella parte in cui con sente al questore di adottare misure limitative della libertà personale di locomozione per motivi di pubblica moralità, oltre che di sanità o di sicurezza, in riferimento all'art. 16 Cost. La questione è stata recentemente proposta negli stessi termini anche da Pret. Legnano, ord. 1° ottobre 1979, Gazz. uff. 5 dicembre 1979, n. 332.
In dottrina sul provvedimento di rimpatrio cfr. D'Argento, Misure di prevenzione, Napoli, 1979, 86-94; Zazzera, Per uno schedario dei
rimpatriati con foglio di via obbligatorio, in Riv. polizia, 1976, 270; Id., Alcuni problemi in tema di rimpatrio con f. v. o., in Mon. trib., 1975, 46; Di Noto, Le misure di polizia nei confronti delie persone socialmente pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità: dif fida, rimpatrio con f. v. o., espulsione ed allontanamento dello stra
niero, in Riv. polizia, 1974, 711; Mariani, Sindacato del giudice or dinario sui provvedimenti del questore in tema di rimpatrio, in Riv.
pen., 1972, II, 314.
(6) In termini Cass. 15 aprile 1975, Scimionato, Foro it., Rep. 1976, voce Chiavi, grimaldelli e serrature, n. 4, richiamata in motivazione.
La natura di reato di pericolo della contravvenzione di cui all'art.
707 cod. pen. è sostenuta anche da Cass. 23 gennaio 1978, Amadei,
id., Rep. 1978, voce cit., n. 3, ove si osserva che tale natura deriva
dalla complessa situazione soggettiva e oggettiva, che si verifica quan do una persona già condannata per reati contro il patrimonio, o per mendicità, o sottoposta ad ammonizione, a misura di sicurezza perso nale o a cauzione di buona condotta, sia trovata in possesso ingiu stificato di arnesi atti allo scasso.
Ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 707 cod. pen. una prevalente giurisprudenza ritiene che non sia necessario lo stato
di flagranza nel possesso degli strumenti atti allo scasso, essendo suf
ficiente soltanto la disponibilità degli stessi da parte del soggetto, da
cui derivi la possibilità di un sollecito uso della cosa, che la legge considera pericolosa per la sicurezza dell'altrui patrimonio. Su tale
presupposto si è ritenuta la sussistenza del reato de quo anche quan do le cose vengano rinvenute non sulla persona del soggetto, ma sul
veicolo nel quale la persona stessa si trova (Cass. 6 gennaio 1977,
Liguoro, id., Rep. 1977, voce cit., n. 3; 8 marzo 1972, Lepore, id.,
Rep. 1973, voce cit., n. 5) o nella sua abitazione (Cass. 2 ottobre
1972, Paterna, id., Rep. 1973, voce cit., n. 6). Cass. 18 giugno 1975,
Masini, id.. Rep. 1976, voce cit., n. 6, ha invece escluso la configu rabilità del reato di cui all'art. 707 cod. pen. allorché gli oggetti atti
allo scasso vengano rinvenuti nell'abitazione di persona assente al
momento della perquisizione eseguita dalla polizia, ed accompagnata solo successivamente dalla polizia stessa in detto luogo per assistere
alla prosecuzione della perquisizione. Sul punto v. ancora Cass. 3 no
vembre 1971, Palumbo, id., Rep. 1972, voce cit., n. 7, la quale ha
ritenuto che, se a integrare gli estremi del reato può essere sufficiente
il rinvenimento degli arnesi a bordo dell'autovettura guidata dal con
travventore, non sempre esso può ravvisarsi nel rinvenimento degli arnesi stessi nella casa di abitazione, giacché quel rinvenimento può
anche non costituire un sintomo rivelatore di quella pericolosità so
ciale perseguita dalla norma, ben potendo avere l'imputato abbando
nato ogni attività delittuosa, senza per questo aver ritenuto di disfarsi
di oggetti che fra l'altro spesso sopo degli utensili comuni rinveni
bili in ogni famiglia e il cui possesso può dare luogo a un reato so
spetto quando vi sia una particolare attualità che possa far pensare alla possibilità di commissione di un reato contro il patrimonio.
In tema di concorso di persone nel reato di cui all'art. 707 cod. pen., Cass. 30 giugno 1976, Sardisco, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 4, 5; ha ritenuto che benché l'art. 707 cod. pen. contempli un reato a sog
getto attivo qualificato, non per questo è da escludersi la possibilità del concorso ad opera di chi non versi nelle condizioni soggettive ed
oggettive richieste dalla norma predetta. Di conseguenza concorre
I
Il Tribunale, ecc. — Fatto e diritto. — Il 13 giugno 1977 la
questura di Trento denunciava all'a. g. Gufler Marianna per contravvenzione al f.v.o. emesso dal Pretore di Trento in data
21 febbraio 1976, avendo la sunnominata preso alloggio 1*8 mag gio 1977 presso il locale motel AGIP, come risultava dalla re lativa schedina.
Tratta a giudizio dal Pretore di Trento, la Gufler Marianna veniva assolta perché il fatto non sussiste con sentenza del 16
gennaio 1978. Il pretore muove — nella motivazione della sen
tenza — dalla osservazione che la legge 27 dicembre 1956 n. 1423
richiede la sussistenza di due distinti requisiti, quale presuppo sto per la emanazione del foglio di via obbligatorio: l'apparte nenza del soggetto colpito ad una delle categorie di persone di
cui all'art. 1 della citata legge e la pericolosità della stessa. La
sussistenza di entrambi i requisiti deve risultare dalla motivazione
del provvedimento del questore. Venendo quindi all'esame di
tale motivazione, il giudicante rileva' che il primo dei requisiti suindicati risulterebbe sussistente soltanto da un generico ac
cenno ai precedenti della Gufler e da una formula standard pre
stampata sul modulo. Ciò renderebbe molto dubbia la sufficienza
della motivazione. Ma assorbente appare al pretore la conside
razione della completa carenza di motivazione — nel provvedi mento del questore — quanto al secondo dei requisiti, e cioè alla
valutazione della pericolosità, trovandosi scritto al riguardo sem
plicemente « ritenuto che Gufler Marianna è elemento pericoloso
per la sicurezza pubblica ai sensi dell'art. 1 legge 27 dicembre
1956 n. 1423 ». Pervenuto per tale via all'accertamento inciden
tale della illegittimità dell'atto del questore, per essere lo stesso
non adeguatamente motivato, il pretore lo disapplica.
Avverso tale sentenza ha interposto appello il procuratore del
la Repubblica di Trento.
L'appellante deduce un unico motivo di censura alla sentenza
di prime cure, osservando che la qualità di persona socialmente
pericolosa si desume — ai sensi dell'art. 203 cod. pen. — dalle
circostanze indicate dall'art. 133 cod. pen. che pertanto il sem
plice richiamo — contenuto nella specie nel provvedimento del
questore — dell'appartenenza del soggetto ad una delle catego rie di persone di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423,
risolvendosi ictu oculi nell'indicazione di circostanze contemplate
dall'art. 133 cod. pen., sarebbe sufficiente a soddisfare l'obbligo
di adeguata motivazione e quindi a rendere inattaccabile, sotto il
nel reato chi, pur immune da precedenti penali, si accompagna a
persona che sa essere già stata condannata per uno dei reati previsti dall'art. 707 cod. pen. ed è consapevole degli oggetti o strumenti da
essa tenuti, per la possibilità che ha di servirsi di detti strumenti o
di aiutare il compagno a servirsene. In senso conforme anche Cass.
1° ottobre 1975, Terella, ibid., n. 7, nonché Pret. Roma 27 gennaio
1972, id., Rep. 1973, voce cit., n. 10 e Cass. 20 gennaio 1970, Balin,
id., Rep. Ì972, voce cit., n. 13 (in Riv. it. dir. proc. pen., 1971, 949, con nota di Caraccioli), secondo le quali sussiste il concorso non
solo quando il concorrente sia a conoscenza dei precedenti penali del
pregiudicato, ma anche, stante la natura colposa del reato, quando
egli sia in colpa circa la mancata conoscenza degli stessi.
Per quanto concerne i rapporti fra la contravvenzione prevista dal
l'art. 707 cod. pen. e il delitto di furto aggravato a norma dell'art.
625, n. 2, cod. pen., la giurisprudenza è orientata nel senso che la
contravvenzione rimane assorbita nell'aggravante quando il colpe vole è colto in possesso degli arnesi atti allo scasso durante gli atti
di esecuzione di tale delitto (Cass. 30 aprile 1973, Pecci, Foro it.,
Rep. 1975, voce cit., n. 2) o quando il possesso di detti arnesi si
verifichi solo per l'uso momentaneo necessario all'effrazione (Cass.
23 gennaio 1974, Mannella, ibid., n. 3). Qualora risulti, invece, che
nella consumazione del reato non sono serviti gli arnesi o che l'agen
te sia stato trovato in possesso degli stessi dopo un lasso di tempo
apprezzabile dalla causazione del furto, deve ritenersi che i due reati
concorrano (Cass. 27 giugno 1972, Marotta, id., Rep. 1973, voce cit., n. 8).
Corte cost. 30 ottobre 1975, n. 236, id., 1976, I, 14, con nota di
richiami e osservazione critica di Pizzorusso, ha dichiarato infon
data la questione di costituzionalità dell'art. 707 cod. pen. in riferi
mento agli art. 3, 1° comma, 24, 2° comma, 25, 2° comma e 27,
2' comma, Cost. La questione è stata di recente nuovamente dichia
rata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con richia
mo~ai motivi sostenuti nella sent. 236 cit. (ord. 6 dicembre 1977,
n. 146, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1). Per la manifesta infondatezza della questione cfr. anche Cass. 20
novembre 1974, Gentilini, id., Rep. 1976, voce cit., n. 3.
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PARTE SECONDA
profilo della legittimità, il foglio di via obbligatorio in sede
penale. La censura appare infondata al collegio e la decisione del pre
tore deve quindi essere confermata, salve le precisazioni che di
seguito verranno esposte.
Nella specie il provvedimento di rimpatrio emesso dal questore fa riferimento alla circostanza che Gufler Marianna « è stata de
nunciata più volte e rimpatriata con foglio di via obbligatorio»;
prosegue con l'affermare che essa non ha residenza stabile in
Trento, non ha mezzi di sussistenza sufficienti e pur essendo va
lida al lavoro non ha mai avuto stabile occupazione e si associa
attualmente ad elementi pregiudicati; conclude che l'affermazione
della pericolosità. La motivazione è quasi interamente prestampata sul modulo, salvo l'accenno ai precedenti giudiziari.
Fra le categorie di persone, di cui all'art. 1 legge 27 dicembre
1956 n. 1423, soltanto quella di cui al n. 1 (oziosi e vagabondi abituali, validi al lavoro) è dunque richiamata dalla motivazione
del foglio di vita. Ma rispetto a tale richiamo è esatto il rilievo
del pretore circa la totale carenza di motivazione in punto perico
losità. Invero gli oziosi e vagabondi non possono considerarsi pe ricolosi in quanto tali, ma soltanto in quanto, per i loro precedenti
penali e giudiziari o da altre circostanze di fatto, appaiano procli vi a delinquere. La Gufler ha subito diverse condanne, ma sem
pre per reati colposi o contravvenzionali (codice della strada) che
non sembrano sintomatiche di pericolosità, ovvero per inosser
vanza del foglio di via (e par chiaro che l'emissione del foglio di
via non può autogiustifìcarsi sul presupposto di precedenti viola
zioni di fogli di via, dei quali si ignorano peraltro le motivazio
ni): ed infatti l'estensore del foglio di via del 21 febbraio 1976 si
è astenuto dall'enunciare i titoli di reato delle denunce che rile
vava a carico della Gufler. Codesto sostanziale silenzio del prov vedimento sui precedenti giudiziari della Gufler rende la motiva
zione totalmente carente sul punto.
Ma vi è di più, dovendo il vaglio critico della parte prestam
pata della motivazione essere ulteriormente approfondito. Come
è stato autorevolmente affermato dalla giurisprudenza « non è
contrario ai criteri di un'adeguata motivazione del provvedimen to di rimpatrio con il f. v. o. l'impiego di modelli predisposti,
quando da essi risultino identificati i requisiti sostanziali dell'atto, al fine dell'esercizio del controllo di legittimità, nel senso di veri
ficare che il detto provvedimento, che incide profondamente nella
sfera della libertà della persona, sia emanato nelle ipotesi per cui
la legge lo ha previsto e col concorso di tutti i presupposti e le
condizioni, seppure sommariamente enunciati, idonei a giustifi carlo nel caso concreto». Prosegue la stessa decisione: «E ille
gittimo l'ordine di rimpatrio con f. v. o., quando la motivazione
non consente l'individuazione delle circostanze concrete che in
tegrano i presupposti legali della misura applicata e le correla
tive fonti, con il richiamo ad elementi indiziari circostanziati e
decisivi » (T.A.R. Piemonte 26 marzo 1975, n. 92, Foro it., Rep.
1975, voce Misure di prevenzione, nn. 45, 46). Analogamente la
Suprema corte ha insegnato: « Il rimpatrio è congruamente mo
tivato quando si basi non su semplici sospetti, ma su fatti con
creti, specificati e accertati, idonei a dimostrare la pericolosità della persona da rimpatriare ». (Cass. 9 marzo 1973, Purpura, id.,
Rep. 1974, voce cit., n. 50).
Applicando tali insegnamenti alla fattispecie di cui è processo, si scorge subito che la motivazione del questore di Trento non
consente di appurare quali siano le reali ragioni di pericolo
sità su cui si fonderebbe il provvedimento. Di conseguenza questa motivazione rende anche impossibile un effettivo controllo di le
gittimità, controllo che, come è noto, pur non potendo attingere la sfera discrezionale riservata alla pubblica amministrazione, è
sufficientemente penetrante, investendo anche la formazione della
volontà (vizi di eccesso di potere).
Ed invero la stessa indicazione dell'appartenenza del soggetto alla categoria di persone di cui all'art. 1, n. 1, legge 27 dicembre
1956 n. 1423 è sprovvista della indicazione della fonte da cui si
trae tale affermazione. L'affermazione che la Gufler frequenta
abitualmente pregiudicati non solo non accenna alle fonti, ma è
del tutto generica, mentre il fatto dovrebbe essere adeguatamente
circostanziato. Il richiamo dei precedenti penali infine, in quanto sottacendo il titolo delle denunce si fosse voluta fare apparire
una pericolosità che in effetti non sembra sussistere sulla base
del certificato penale, si tradurrebbe in un autentico travisamento
dei fatti e quindi in eccesso di potere. Nel suo insieme la moti
vazione afferma soltanto — in forma standardizzata e insufficente
per difetto di indicazione delle fonti — la presunta qualità di
oziosa della Gufler, ma essun elemento valido fornisce che possa dar corpo al giudizio di pericolosità, che risulta immotivato.
Se dunque anche è esatto in tesi generale il rilievo del pubbli co ministero secondo cui descrivendo condotta e condizione di
vita del soggetto al fine di circoscriverne l'appartenenza ad una
delle categorie di persone di cui all'art. 1, n. 1, della legge 27 di
cembre 1956 n. 1423 e fornendo qualche elemento di fatto che
possa rientrare tra le circostanze di cui all'art. 133 cod. pen. già si pongono le premesse necessarie e sufficienti per un valido giu dizio di pericolosità, nondimeno nella specie — proprio per la
carenza di tali presupposti nella motivazione — il provvedimento
appare sprovvisto di valida motivazione sulla perico.losità, come
affermato dal pretore, eppertanto illegittimo per violazione di
legge. Per questi motivi, ecc.
II
Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — A seguito di denuncia del
l'autorità di p. s. il pretore procedeva nei confronti di Giovanni
Bagnasacco per il reato di cui in epigrafe. In esito all'istruttoria
espletata, il pretore ritiene che Giovanni Bagnasacco debba esse
re assolto dalla imputazione ascrittagli perché il fatto non sussi
ste in quanto l'ordinanza del questore di Roma in data 24 maggio
1979 con cui veniva ordinato a Giovanni Bagnasacco di recarsi
a Torino e di non far ritorno a Roma per tre anni è illegittima e
pertanto deve essere disapplicata.
Tale illegittimità scaturisce da tre vizi del provvedimento, cia
scuno dei quali, di per sé, determinante l'illegittimità stessa. Due
di tali vizi sono riconducibili al vizio di legittimità dell'atto che
si indica come eccesso di potere, il terzo è riconducibile al vizio
di violazione di legge.
Indipendentemente infatti j dalla tesi difensiva secondo la quale il provvedimento di diffida sarebbe stato determinato da ragioni
politiche (l'imputato ha dichiarato: « Il vero motivo per cui è
stato emesso il foglio di via obbligatorio mi è staio contestato a
voce da un funzionario di polizia, secondo il quale la iniziativa
mia e degli altri compagni amici di Ahmed Ali Giama per assi
curare a quest'ultimo un funerale decente costituiva una specula zione politica »), vi sono vizi del procedimento e del provvedi mento che stanno ad indicare che il potere attribuito dalla legge al questore è stato usato in modo inappropriato. Per quanto con
cerne il primo dei denunciati vizi, questo pretore ritiene che
nel caso di specie non sia stato osservato il principio del giusto
procedimento.
Con tale espressione si indica una figura sintomatica di ec
cesso di potere caratterizzata dalla mancanza di garanzie sostan
ziali di contraddittorio e di difesa dei soggetti passivi del prov
vedimento soprattutto in procedimenti di tipo sanzionatorio (co me ad esempio il procedimento disciplinare). Sotto il profilo pre
cettivo il principio deve essere cosi enunciato: il procedimento tendente ad un provvedimento che sacrifica interessi fondamen
tali deve assicurare la possibilità di difesa del soggetto passivo del provvedimento il quale perciò, anche al di fuori di una
espressa previsione di legge, deve essere messo in condizioni di
essere sentito (principio del contraddittorio).
Ora, non vi è alcun dubbio che il provvedimento di rimpatrio incida su un interesse fondamentale quale è quello della libertà
personale (e non della sola libertà di locomozione), per cui esso
può essere emanato solo con il rispetto della regola del contrad
dittorio. In altre parole il grande rilievo dell'interesse in questio ne importa che, anche al di fuori di una espressa previsione di
legge (si verserebbe altrimenti nel campo della violazione di
legge), il provvedimento di rimpatrio non possa essere preso
senza che l'interessato sia messo in condizioni di essere sentito e
senza che le sue giustificazioni siano valutate. Ciò non può non
contribuire a restituire legittimità nel nostro ordinamento ad un
provvedimento che nella sua quotidiana applicazione rischia di
apparire quale una specie di patente dell'emarginato, che, come
tale, offende in maniera profonda il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
La violazione di tale regola importa l'inosservanza del giusto
procedimento che è una figura sintomatica di eccesso di potere.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Nel caso di specie, appunto, non vi è traccia nel modulo a
stampa che contiene il provvedimento dell'avvenuta osservanza
della regola del contraddittorio. Sotto altri più specifici profili,
poi, il provvedimento è viziato.
All'esame di questi ulteriori profili di illegittimità del provve dimento del questore di Roma vanno premessi alcuni cenni sulla
portata della norma di cui all'art. 2 legge 27 dicembre 1956
n. 1423.
Secondo questo giudice la norma pone l'ordine di rimpatrio
quale punto di arrivo di un iter che si svolge in più momenti
dei quali due rappresentano attività di giudizio, o, se si vuole,
esercizio di discrezionalità tecnica, e, l'ultimo, esercizio di discre
zionalità amministrativa: 1) il primo momento è quello dell'ac
certamento circa l'appartenenza del soggetto ad una delle catego
rie di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423; 2) il secondo
momento è quello dell'accertamento della pericolosità del sogget
to; 3) il terzo momento — della discrezionalità amministrativa —
è quello in cui l'autorità dovrà, valutati gli interessi alla cui tu
tela è volto il provvedimento, stabilire se rimandare nel luogo di
residenza il soggetto, o meno.
Infatti la lettera dell'art. 2 legge citata è: « Il questore può ri
mandarvele » e non « il questore deve rimandarvele ». L'autorità
amministrativa dovrà quindi, in concreto, dar conto dell'uso del
potere discrezionale di rimpatrio e, avuto riguardo al fatto che
gli interessi principali cui è volto in astratto il provvedimento
sono quelli della sicurezza e della moralità pubblica, dovrà
motivare sul perché il soggetto passivo sia meno pericoloso in un
luogo piuttosto che in un altro.
Orbene, il provvedimento in esame sul primo punto cosi re
cita: « Visti gli atti d'ufficio da cui risulta qui senza fissa dimora,
senza alloggio e senza lavoro, per cui si ritiene che trae i mezzi
per vivere in Roma dai proventi di azioni illecite; già denun
ziato per furto ».
Questo pretore ritiene che tale enunciazione non implichi la
appartenenza ad una delle categorie di cui all'art. 1 legge 27 di
cembre 1956 n. 1423; in particolare: sulla base di quanto esposto
nel provvedimento, non si può ritenere che l'imputato fosse
ozioso e vagabondo abituale (categoria di cui al n. 1 legge 1423)
perché non vi è parola nel riportato accertamento che faccia pen sare che egli fosse abitualmente privo di lavoro per sua cattiva
volontà (va inoltre sottolineato, a questo proposito, che il questo
re avrebbe dovuto prendere in considerazione la situazione di
invalidità del Bagnasacco del quale parte di una gamba è sosti
tuita da un arto artificiale). Neppure, poi, la enunciazione ripor tata pare implicare l'appartenenza dell'interessato alla categoria di cui al n. 3 dell'art. 1 legge n. 1423; infatti fanno parte di tale
categoria « coloro che, per la condotta e il tenore di vita, debba
ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con il pro
vento di delitti...» e nell'accertamento del questore non vi è
alcun cenno al tenore di vita del Bagnasacco.
Quindi sotto il profilo in esame il provvedimento di diffida è
viziato (da violazione di legge), perché attuato nei confronti di
persona apparentemente non appartenente ad una delle catego
rie di cui all'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423, come la nor
ma di cui all'art. 2 della stessa legge impone.
Ma vi è di più: pur a ritenere che il secondo momento, quello
della pericolosità del soggetto, sia motivato per relationem con
quanto esposto a proposito del primo, poiché le condizioni di
vita attribuite al Bagnasacco avrebbero importato una sua peri
colosità per la sicurezza pubblica (sul punto il provvedimento: « accertato che è persona pericolosa per la sicurezza pubblica »),
si deve rilevare come proprio nell'esercitare il potere di discre
zionalità incidente su un fondamentale diritto di libertà (terzo
momento), il questore abbia dato una motivazione apparente; in
fatti su tale punto il modulo a stampa che contiene il provve
dimento fa riferimento al « fine di impedire l'ulteriore aggravarsi
del fenomeno della criminalità nell'ambito della capitale ».
La mera apparenza della motivazione, che in realtà è una non
motivazione, risulta chiaramente dalla circostanza che essa può es
sere applicata in tutti i casi; ora una motivazione dell'esercizio di
un potere discrezionale che è cosi generica da poter essere sem
pre riportata, non è una vera motivazione.
Inoltre questa motivazione geografica per cui in sostanza ver
rebbe ad essere tutelato maggiormente l'ordine pubblico nell'am
bito del territorio della capitale, rispetto all'ordine pubblico nelle
altre parti del territorio nazionale pare introdurre un fine diverso
rispetto a quello per cui il potere è conferito che è il fine dell'or
dine pubblico nel territorio nazionale.
Il provvedimento sul terzo punto è perciò mancante completa mente di una reale e corretta motivazione, sia per quanto riguarda l'interesse principale cui è preordinato l'atto in esame (non è spie
gato infatti perché il Bagnasacco a Roma si debba ritenere più pe ricoloso che altrove ed in particolare a Torino ove è stato rimpa
triato), sia per quanto riguarda eventuali interessi secondari ri
spetto al tipo di provvedimento (interesse al lavoro, interesse alla
libera esplicazione della personalità), che pure però si sarebbero
potuti prendere in considerazione. Pertanto anche sotto questo
terzo profilo, essendo l'atto completamente mancante di una reale
motivazione sul terzo punto, esso va considerato illegittimo >n
quanto viziato da eccesso di potere. Per questi motivi, ecc.
Ili
Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Il 31 dicembre 1977 lori
Alessandro, verso le ore 7,15, veniva sorpreso mentre dormiva in
una Fiat 124 tg. TN 134443, in località Cadine del comune di
Trento. Poiché nei suoi confronti era stato emesso ordine di rim
patrio con foglio di via obbligatorio da parte del questore di
Trento per un periodo di tre anni a decorrere dal 1° dicembre
1977, lo lori veniva arrestato. All'atto dell'arresto nella macchina
venivano ritrovati vari arnesi, tipo cesoie, chiavi, di cui al re
perto di sequestro. Interrogato in carcere dal magistrato di turno,
con l'assistenza del difensore, si procedeva alla convalida del
l'arresto dello lori il quale veniva giudicato con il rito direttissi
mo, imputato come in atti.
All'odierno dibattimento, dopo le conclusioni delle parti, la
causa è stata decisa con sentenza di cui il dispositivo è stato reso
pubblico mediante lettura. Il primo problema che bisogna affron
tare e risolvere è quello relativo alla presunta violazione del
l'ordine di rimpatrio da parte dell'imputato. La legge 27 dicem
bre 1956 n. 1423 nell'indicare, all'art. 1, le persone diffìdabili
da parte del questore, sanziona, all'art. 2, la possibilità di rimpa
triarle con foglio di via obbligatorio qualora esse siano perico lose per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità e si
trovino fuori dei luoghi di residenza, comminando, per l'ipotesi di violazione di detto ordine, l'arresto da uno a sei mesi.
L'ipotesi di reato si configura, quindi, relativamente all'esisten
za di un atto amministrativo di cui si assuma per ipotesi la viola
zione. Ciò porta, necessariamente, alla valutazione da parte del
giudice ordinario delle legittimità o meno dell'atto amministra
tivo strutturalmente legato — nella prospettiva di una sua nega
zione — alla fattispecie reato.
Ciò, naturalmente, in stretto ossequio della legge che impone
il controllo di legittimità degli atti amministrativi da parte del
giudice ordinario quando incidenter tantum, ne sia investito e,
cosa ben più rilevante, impone la disapplicazione ove per avven
tura gli atti stessi siano inficiati da vizi di legittimità. Tale prin
cipio, oltre che essere previsto dall'art. 5 legge 20 marzo 1865 n.
2248, è statuito anche nel codice penale laddove allorché all'art.
650 si punisce chiunque non osservi un provvedimento dato dal
l'autorità, si sancisce per l'appunto il diritto da parte del giudice
di sindacare la legittimità formale e sostanziale dell'atto ammi
nistrativo, rimanendo evidentemente in piedi la questione dei li
miti di tale attività.
Sotto tale aspetto non c'è dubbio che il sindacato del giudice
si estenda a tutti i vizi di legittimità escludendosi, invece, per i
vizi di merito. Il punto che fino a qualche tempo fu controverso, ri
guardante la possibilità del magistrato ordinario di portare la
propria indagine al vizio di eccesso di potere, è ora pacificamente
risolto, e a livello dottrinario, e a livello giurisprudenziale, nel
senso di ritenere perfettamente conforme ai postulati di legge
l'estensione del controllo dell'atto amministrativo sotto l'aspetto
dell'eccesso di potere (a tale proposito vedi Cass, pen., Sez. VI, 10
luglio 1976, n. 7641, che afferma per l'appunto che il controllo di
legittimità degli « atti amministrativi spettante al giudice ordina
rio si estende a tutti i vizi da cui l'atto sia inficiato sotto il pro
filo della rispondenza allo schema tipicizzato dalla legge, ivi
compreso l'eccesso di potere, con la sola limitazione relativa a
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PARTE SECONDA
ogni valutazione e apprezzamento sulla opportunità e convenien
za dell'atto medesimo »).
Esclusa, sul piano processuale, qualsiasi remora a un'indagine diretta a conoscere dei vizi di legittimità dell'atto amministrativo — che nel nostro caso è l'ordine del rimpatrio emesso dal questo re di Trento, il 1° dicembre 1977, nei confronti dell'imputato — oc
corre in concreto analizzare tale ordine ai fini di una verifica
della sua legittimità sotto l'aspetto patologico dell'eccesso di
potere.
Come già detto, l'art. 2 legge 27 dicembre 1956 n. 1423 sanci
sce la possibilità di rimpatriare le persone « pericolose per la si
curezza pubblica o per la pubblica moralità » qualora apparten
gano a una delle categorie di cui all'art. 1 di detta legge. Dal che
deriva un'ovvia conseguenza: e cioè, a parte il problema della
pericolosità o meno delle persone rimpatriabili, occorre che esse
appartengano a quelle e solo a quelle categorie. Ora, tali catego
rie essendo una semplice nomenclatura di astratte possibilità teo
riche di status, sarebbe occorso che il questore nel caso di spe
cie — e, sempre, in via generale — avesse pregiudizialmente de
finito a quali delle categorie legislativamente previste apparte nesse lo lori. Tale definizione di status, infatti non può sicura
mente essere desunta presuntivamente da una o meno esternata
« qualità » di precedenti penali, bensì va individuata, lucida
mente, criticamente e con il supporto immancabile di fatti con una
collocazione che, pur fra le incertezze e i dogmatismi di qualsiasi nomenclatura applicata alle persone, si faccia carico di tenta
tivi scrupolosi, circostanziati, di raccolta di dati, avvenimenti, cir
costanze, metodo di vita, atti a una definizione sicuramente quali
ficante. Tale operazione non è stata fatta, e, quindi, viene a cadere
uno dei presupposti teorici per l'applicazione dell'art. 2.
Ma questo appena trattato non è il punto nodale del proble
ma, se pur ne illumina i contorni. Da chiedersi, infatti, è se il
provvedimento di rimpatrio, nell'inviare al proprio comune di
residenza l'imputato perché pericoloso, abbia in qualche modo
motivato tale pericolosità.
Perché è ben chiaro che, anche a non voler ritenere per certo
che fra i compiti dell'autorità amministrativa ci sia un non trop
po identificato potere di delimitazione delle persone nelle catego rie di cui all'art. 1 legge 1956, è tuttavia pacifico che, allorché
si decida di rimpatriare le persone di cui all'art. 1 perché perico
lose, occorra necessariamente motivare tale pericolosità. La Cas
sazione sul punto è estremamente concorde. Il richiamo puro e
semplice alla circostanza che si è persona giudicata, che si è sprov
visti di lavoro e di mezzi di assistenza, non costituisce una sufficien
te motivazione del provvedimento di rimpatrio con foglio di via
obbligatorio e con diffida a non far ritorno nella città da cui si
è allontanati, poiché tali elementi... « non sono di per sé deci
sivi per giustificare ... il provvedimento di rimpatrio, per il qua le si richiede dall'art. 2 di detta legge l'ulteriore elemento della
pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica... onde il
relativo provvedimento deve essere motivato con ' riferimento alla pericolosità della persona
' (Cass. 25 luglio 1962).
Che tale motivazione, nell'ordine di rimpatrio dello lori, sia
carente è cosa che non sfugge alla lettura, per superficiale che
sia, del provvedimento che, è il caso subito di rilevare, è fatto
per «stampone», già predisposto, con l'aggiunta solo del nome e
dei precedenti penali, privo di qualsiasi fatto, circostanza, da
cui sia possibile fondatamente ritenere che l'imputato sia persona
pericolosa per la sicurezza pubblica.
A tale proposito si ribadisce come l'indagine del giudicante non si estende a censurare la valutazione da parte dell'autorità di
p. s. di una persona come pericolosa, ma si limita a non ricono
scere legittima, perché viziata da eccesso di potere, una dichiara
zione di pericolosità priva di qualsiasi presupposto motivaziona
le, carente talmente di fatti da cui possa derivare la legittima
qualificazione di persona pericolosa. Nel caso di specie, insom
ma, si è in presenza, più che di un difetto di motivazione, di una
carenza totale di motivazione che, per essere il provvedimento di rimpatrio restrittivo di diritti soggettivi, avrebbe dovuto invece
essere la più lata possibile, e la più circostanziata. Per non ripe terci e, infine, per finire, l'ordine di rimpatrio emesso dal que store di Trento è totalmente privo di qualsivoglia elemento di
motivazione sotto un duplice aspetto: difetta della dichiarazione
di una delle categorie di cui all'art. 1 della legge del 1956 entro cui
possa essere inquadrato lo lori; è totalmente carente di motiva
z;one sulla pericolosità dello lori, sicuramente non potendosi per venire a una valutazione di pericolosità sulla base degli scarsis
simi, e anzi quali nulli, elementi riscontrabili nel provvedimento.
Ciò porta, come ovvia conseguenza, a dover ritenere illegittimo l'ordine di rimpatrio e a disapplicarlo nel caso di specie, per ciò stesso dovendosi ritenere perfettamente non in contrasto con
la legge il comportamento dell'imputato che, venendo a Trento,
non ha violato sicuramente un atto che era ab initio viziato e
quindi ineseguibile. Lo lori, quindi, va assolto dal reato di cui al
capo a) dell'imputazione perché il fatto non costituisce reato.
Per quanto concerne il capo b) dell'imputazione, e cioè il pos sesso da parte dell'imputato di arnesi atti allo scasso, occorre,
anche in questo caso, una meditata intelligenza del problema giu ridico che è alla base dell'art. 707 cod. penale.
L'art. 707 nel punire chiunque, essendo stato condannato per delitto determinato da motivi di lucro o per contravvenzione con
cernente la prevenzione dei delitti contro il patrimonio, è colto
in possesso di chiavi false o di strumenti atti ad aprire e a for
zare serrature, crea un tipico reato di pericolo. Infatti la norma
ha lo scopo di impedire che il reo, essendo in possesso degli stru
menti idonei ad aprire serrature, possa servirsi degli strumenti
stessi per commettere reati determinati da motivi di lucro.
Ciò è desumibile dai motivi della lettera della legge e dalla
collocazione sistematica della norma tra gli art. 705 e 713 cod.
pen., che hanno per oggetto le contravvenzioni concernenti la pre
venzione dei delitti contro il patrimonio. Tale elemento della nor
ma dell'art. 707 cod. pen. è avallato, in sede giurisprudenziale,
da una serie di sentenze della Suprema corte, una delle quali
(Sez. V 15 aprile 1975, Scimionato, id., Rep. 1976, voce
Chiavi, grimaldelli e serrature, n. 5) afferma il principio che
« non commette reato per assoluta deficienza di pericolo, colui
che venga sorpreso nel momento in cui si sta sbarazzando di stru
menti atti allo scasso, essendo evidente che l'agente non intende
più usarli per scopi delittuosi ».
Che la norma dell'art. 707 cod. pen. vada interpretata nel senso
chf il comportamento dell'agente debba dar luogo in concreto a
una situazione di pericolo è avallato dal fatto che la disposi zione legislativa assume che l'agente debba essere colto in pos
sesso degli arnesi da scasso. La qual cosa, nell'esprimere la ne
cessità di un rapporto di attualità e di immediatezza tra il sog
getto e la cosa, sottolinea come la ratio intrinseca della norma
sia quella di punire coloro che vengono colti nell'atto di creare,
con comportamenti inequivocabili e univocamente diretti, una si
tuazione di pericolo in ordine all'oggetto giuridico tutelato, e cioè
il bene patrimoniale.
Insomma il possesso di arnesi da scasso, in tanto diviene giuri dicamente rilevante, in quanto tale possesso, per le modalità, i
tempi, i luoghi, le circostanze in cui si perfeziona, crei, nel caso
di specie, e non astrattamente, una effettiva situazione di pericolo.
Non altra potrebbe essere l'interpretazione da dare all'art. 707
cod. pen., a meno di non volersi ritenere (la qualcosa è sicura
mente da escludere abbia voluto il legislatore, e ciò proprio per
la collocazione sistematica della norma) che basta l'essere stato
condannato per delitti per motivi di lucro perché il possesso di
qualsiasi strumento astrattamente idoneo allo scasso integri l'ipo tesi di cui all'art. 707 cod. penale.
Se ciò è vero, quello che bisogna valutare, e che il giudicante ritiene di dover valutare, è se nella fattispecie si sia creata quella
situazione effettiva e storicizzata di pericolo la cui esistenza in
tegra il reato di cui all'art. 707 cod. penale.
La risposta a tale domanda non può che essere sicuramente ne
gativa, senza che per pervenire a tale conclusione occorra una
particolare e complessa attenzione.
In realtà basta rilevare, come è emerso in sede di dibattimento
e come risulta dal rapporto della guardia di p. s., che lo lori, nell'atto in cui venne scoperto, si trovava alla guida della pro
pria macchina, addormentato, verso le 7,15 di mattina, a una
distanza, come è stato detto dal teste Angel Giuliano, di circa un
chilometro dal centro abitato di Trento, sulla strada che, prove niente da Bolzano, porta a Bloggio Superiore, che è il paese di
residenza dello lori.
Come il possesso degli arnesi che si assumono essere adatti
allo scasso abbia potuto creare un'effettiva situazione di pericolo, date le circostanze di tempo e le modalità dell'arresto dell'impu
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GIURISPRUDENZA PENALE
tato, rimane domanda sicuramente senza risposta, almeno nei
limiti in cui questa voglia necessariamente essere trovata nel ri
conoscimento di una situazione di pericolo, che, nel caso di spe
cie, invece, non si è mai verificato, mancandone ogni possibilità di qualificazione giuridica.
Per tali considerazioni ritiene lo scrivente che lo lori vada
prosciolto dal reato di cui al capo b) dell'imputazione perché il
fatto posto in essere non costituisce reato.
Come conseguenza dell'assoluzione, lo lori va immediatamente
scarcerato, ove non detenuto per altra causa.
Si ordina anche il dissequestro dell'autovettura Fiat 124 tg TN 134443 che viene restituita al legittimo proprietario.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 28 maggio 1979; Pres. M.
Battaguni, Est. Viglietta; imp. Pittalis.
TRIBUNALE DI ROMA;
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Uso personale terapeu tico — Esclusione — Fattispecie (Legge 22 dicembre 1975 n.
685, disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Pre
venzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodi
pendenza, art. 80). Circostanze di reato — Attenuanti — Motivi di particolare va
lore umano e sociale — Sussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 62).
Pur in presenza di tossicodipendente che faccia uso di hashish
per evitare di ricorrere alla più dannosa eroina, non può rico
noscersi la condizione di non punibilità dell'uso personale tera
peutico nel caso di detenzione di ben 880 grammi di hashish. (1) Sussiste l'attenuante dei motivi di particolare valore umano e
sociale nel caso di tossicodipendente responsabile di detenzione
di hashish, il quale abbia fatto ricorso alla sostanza allo scopo di abbandonare l'uso della più dannosa eroina. (2)
(1) Nel senso che l'uso di droghe da parte di un tossicomane che
agisca di propria iniziativa al di fuori di ogni prescrizione medica e d'interventi curativi non può comunque essere qualificato come tera
peutico, v. Cass. 9 febbraio 1977, Longo, Foro it., Rep. 1977, voce Stupefacenti, n. 32. Cfr. anche Cass. 30 novembre 1976, Boccuni, ibid., n. 33 (tra le ipotesi di non punibilità previste dall'art. 80 della nuova legge sulla disciplina degli stupefacenti non può rientrare la detenzione di settanta grammi di hashish, dal momento che da un lato si tratta di sostanza del tutto priva di effetti curativi, gravemente dannosa alla salute, che produce fenomeni allucinatori e che deter mina in breve uno stato di dipendenza, dall'altro il suddetto quan titativo non può considerarsi modica quantità).
Sulla modica quantità, v. Cass. 3 marzo 1978, Potestà, id., 1979, II, 37, con nota di richiami.
Per altri riferimenti di giurisprudenza e dottrina, v. Trib. Firenze 6 novembre 1978, id., 1979, II, 385, con nota di richiami; Cass. 18
aprile 1977, Conversi, id., 1979, II, 131, con nota di richiami.
(2) La giurisprudenza ricorre per solito ad una nozione molto ri gorosa dei motivi di particolare valore umano e sociale. V. da ultimo Cass. 7 giugno 1978, Sgabellone, Mass. pen., 1979, 1098, 1096 (per ché possa applicarsi la circostanza non basta che i motivi del reato siano apprezzabili dal punto di vista etico e suscitino sentimenti di indulgenza, ma è necessario che essi abbiano un « particolare » valore morale, nel senso che la causa psicologica del reato corrisponda a finalità e principi che, per « la speciale densità del loro contenuto etico », siano approvati dalla coscienza dell'individuo medio e, quin di, dalla collettività organizzata). Va ancora oltre Corte assise Cuneo 31 maggio 1977, Foro it., Rep. 1978, voce Circostanze di reato, n. 55 (per l'applicazione dell'attenuante si deve pretendere, per l'esi
genza di gradazione implicita nella nozione dei motivi di particolare valore, che questi superino la media dei sentimenti umani nella co munità nazionale in un dato momento storico).
Cfr., altresì, Cass. 16 gennaio 1974, Pinelli, id., Rep. 1976, voce cit., n. 47, commentata da Albamonte, in Giusi, pen., 1975, II, 648
(i motivi di particolare valore umano e sociale sono costituiti sol
tanto da moventi spiccatamente nobili e altruistici e non già da pro positi ispirati da sentimenti egoistici e personali o da stimoli comuni:
fattispecie in tema di alterazione di stato motivata dal desiderio di dare il proprio cognome al neonato, procreato con donna coniugata, e di evitare l'eventuale azione di disconoscimento di paternità da par te del marito di questa); Cass. 25 febbraio 1976, Mamone, Foro it.,
Il Foro Italiano — 1980 — Parte II-18. .
Il Tribunale, ecc. •— Fatto. — Con rapporto giudiziario redatto il 18 maggio 1979 il ricevitore capo della circoscrizione doganale di Roma Fiumicino denunciava in stato di arresto Gianraffaele
Pittalis perché il giorno precedente, appena sbarcato dal volo AT 952 proveniente da Rabat, era stato trovato in possesso di
gr. 880 di una sostanza (occultata nel doppio fondo di una borsa) che dava la reazione tipica dell'/ias/jis/i alla prova del Narkotest.
Interrogato dal p. m., l'imputato ammetteva l'addebito, ecslu dendo però l'intenzione di far commercio della sostanza stupe facente.
Tratto a giudizio con rito direttissimo il Pittalis dimostrava documentalmente di essere titolare di una impresa di produzioni pubblicitarie, che ha svolto importanti ed apprezzati lavori per conto del ministero per gli esteri e altre amministrazioni pub bliche, organizzando mostre sulla ricerca scientifica in Italia e all'estero.
Affermava inoltre che, in conseguenza di un grave stato depres sivo originato dalle sue vicende familiari (separazione dalla mo
glie), aveva contratto l'abitudine di iniettarsi eroina, divenendo
tossicodipendente, e aveva tentato inutilmente la disintossicazione
presso l'ambulatorio dell'ufficio di igiene di via dei Riari, il
policlinico Gemelli e la clinica privata Sant'Andrea, senza tut
tavia ottenere risultati apprezzabili. Pertanto era giunto alla de
terminazione di curarsi da solo, ed era riuscito da qualche tempo ad abbandonare l'eroina, facendo uso di hashish.
Il p. m. preliminarmente chiedeva che si disponesse l'istru
zione formale per procedere a perizia sulla sostanza in sequestro; nel merito concludeva per la condanna ad anni due di reclusione
e lire 2.000.000 di multa.
La difesa sosteneva l'applicabilità dell'ipotesi di uso personale
terapeutico, ed invocava l'assoluzione con la formula prevista dall'art. 80 legge 22 dicembre 1975 n. 685.
Diritto. — Ritiene il tribunale che non sia necessaria, nel caso
di specie, alcuna perizia per determinare la natura della sostanza
in sequestro. Infatti gli accertamenti di polizia giudiziaria, pur non avendo il valore probatorio di una perizia, non sono con
testati dalla difesa, e gli elementi di convincimento che se ne
possono trarre si sommano a quelli desumibili dalla confessione
dell'imputato, consumatore assai esperto di hashish.
!È tuttavia da escludere che il [Pittalis avesse acquistato la droga a fine di spaccio. L'imputato ha provato di fruire di alti redditi,
svolgendo un lavoro socialmente utile ed apprezzato (vedi atte
stato del presidente dell'Istituto nazionale di fisica nucleare e
dichiarazioni dei redditi per gli anni 1977 e 1978), e di esser stato
dedito all'uso di stupefacenti ben più nocivi dei derivati dalla
cannabis, tentando inutilmente di curarsi presso strutture ospeda liere pubbliche e private.
L'indicazione dei ricoveri, delle cliniche e dei medici che lo
ebbero in cura è un dato preciso e facilmente riscontrabile.
Ciò premesso, si può ritenere dimostrato quanto affermato dal
Pittalis anche in relazione ai motivi che lo spinsero a far ricorso
aW'hashish.
È notoria, infatti, la situazione di grave carenza delle strutture
pubbliche che dovrebbero servire alla cura e riabilitazione dei
tossicodipendenti: in molte regioni i centri previsti dalla legge 685/75 non sono stati ancora istituiti, e in ogni caso i centri esistenti in istituzioni sanitarie regionali, comunali, enti ospeda lieri e cliniche private si limitano a ricoveri di pochissimi giorni, con somministrazione di epatoprotettori e sedativi, e alla distri
buzione ambulatoriale di metadone o sostanze simili.
Viceversa, limitandoci ad un'esposizione molto sintetica, sap
piamo, da una serie sterminata di indagini scientifiche e psico
sociologiche a) che la sindrome di astinenza da eroina scompare
dopo una settimana, e una guarigione completa può richiedere
più di sei mesi; b) che il trattamento mediante metadone, un
morfinosimile con uso non medico assai esteso e che provoca a
sua volta crisi di astinenza, è molto discusso; c) che le motiva
Rep. 1976, voce cit., n. 50 (non può dar luogo all'attenuante la ne cessità di curare una persona della propria famiglia); Cass. 24 otto bre 1973, Adduci, id., Rep. 1975, voce cit., n. 34 (la legge richiede non soltanto lo scopo di perseguire un fine socialmente utile, ma esi
ge inoltre che l'azione, nel proiettarsi nel mondo esterno, non si ri
solva in un mezzo per creare disordine e per sovvertire l'ordine e la
disciplina). Circa i dati ricordati in motivazione v. G. Arnao, Rapporto sulle
droghe, Feltrinelli, Milano, 1977.
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