sentenza 24 settembre 1991; Giud. ind. prel. VetroneSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.257/258-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185943 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
Non si condivide l'assioma secondo cui «l'art. 22, ultimo com
ma, 1. 28 febbraio 1985 n. 47 non richiede alcun controllo di
legalità della concessione in sanatoria in conformità al principio
per cui in materia urbanistica ed edilizia il giudice penale cono
sce dell'invalidità dell'atto concessorio e autorizzativo solo se
l'illegittimità degli stessi sia elemento presente nella norma . . .»
(Cass., sez. Ili, 22 giugno 1987, Spagnoletti, Foro it., Rep. 1988, voce Edilizia e urbanistica, n. 640), ritenendosi invece che il
sindacato del giudice penale sull'idoneità della forma abilitante
scelta dal comune per sanare in concreto un determinato abuso
costituisce un necessario vaglio di legalità di un atto dalla cui
applicazione discendono diretti effetti sulla procedibilità dell'a
zione penale. In altre parole, senza ricorrersi al potere di disap
plicazione dell'atto amministrativo illegittimo ai sensi dell'art.
5 ali. E 1. 2248/1865, il giudice penale ben può conoscere l'in
validità del provvedimento amministrativo, autorizzatorio e con
cessorio, di sanatoria perché da tale operazione non consegue un'estensione della norma incriminatrice a casi non espressa mente contemplati dalla legge ma l'omessa maturazione di una
causa estintiva del reato.
Operazione di controllo che attiene all'esatta verifica della
sostanziale (e quindi illegittima) insorgenza di una nuova situa
zione giuridica idonea a trasferire l'abuso dall'ambito dell'ille
cito a quello del lecito anche a fini penali. Pur senza doversi procedere a vera e propria disapplicazione
dell'atto illegittimo, deve quindi ammettersi la censurabilità del
l'autorizzazione in sanatoria da parte del giudice penale in sede
di giudizio per reato edilizio tutte le volte che appare palese l'erronea riconduzione amministrativa dei lavori sotto un regi me astrattamente inidoneo alla loro abitazione, per doversi ap
plicare il regime concessorio.
Per quanto sopra già apprezzato in fatto, ritiene questo pre tore che il provvedimento abilitante in sanatoria in concreto
rilasciato dal comune di Firenze doveva rivestire la forma della
concessione e non già quella dell'autorizzazione. Non può, quin
di, attestarsi nel merito che il fatto non è previsto dalla legge come reato, da una parte, né ritenersi formalmente maturata
la causa estintiva del rilascio di concessione in sanatoria ai sensi
dell'art. 22 1. 47/85, per essere stata rilasciata solo autorizzazio
ne in sanatoria, dall'altro.
Rilevato che la fattispecie in esame non è disciplinata dal
l'art. 22 1. 47/85, che ha attribuito efficacia estintiva del reato
alla sola concessione in sanatoria nell'ovvio presupposto che per le opere soggette a sola autorizzazione non si applicano le nor
me incriminatrici edilizie (cfr. art. 10 1. 47/85), si pone a questo
proposito il problema se la diversa qualificazione giuridica del
l'intervento abusivo operata dal giudice rispetto all'amministra
zione comunale implichi, pur di fronte all'attestazione di con
formità sostanziale dei lavori alle previsioni di piano, la perse
guibilità degli autori. Ritiene il giudicante che l'autorizzazione in sanatoria testé men
zionata sia idonea a produrre l'estinzione del reato prevista dal
l'art. 22, ultimo comma, 1. 47/85, ancorché tale norma ricon
netta l'effetto estintivo al rilascio di concessione in sanatoria — e non anche all'autorizzazione — e l'intervento eseguito deb
ba ritenersi soggetto a concessione anziché ad autorizzazione.
Scopo della nuova disciplina della sanatoria è quello di far
si che, previo accertamento di conformità delle opere eseguite abusivamente con le prescrizioni urbanistiche, l'autorità comu
nale eserciti la propria funzione di controllo, anche se successi
vo, mediante il rilascio dei necessari provvedimenti abilitativi
alla costruzione.
Tale apprezzamento di conformità dell'opera alle previsioni di piano (art. 13 1. 47/85) produce l'effetto amministrativo di
ricondurre formalmente nell'assetto urbanistico territoriale, pro
grammato dal comune, l'opera non difforme sostanzialmente
dalla stessa pianificazione. Se tale è il principio sancito dall'art. 13 1. cit., è fuor di dub
bio che non rileva la veste assunta formalmente dal provvedi mento sanante adottato dalla pubblica amministrazione, atteso
che quest'ultima, esercitando i propri poteri di controllo di con
formità ed avuti i positivi pareri degli ogani preposti alla tutela
storico-artistica, ha ritenuto l'opera idonea sostanzialmente ad
essere ricompresa nel tessuto territoriale.
In base al principio dell'ammissibilità dell'analogia in bonam
partem, applicabile anche a questa particolare causa estintiva
del reato nell'ambito di una direttiva generale dell'ordinamento
Il Foro Italiano — 1992.
volta a reintegrare nel tessuto territoriale gli abusi meramente
formali, può attribuirsi efficacia estintiva del reato, tutte le vol
te che il procedimento di rilascio sia preceduto dai necessari
previ nulla osta degli enti preposti alla tutela dei vincoli esisten
ti, anche alla semplice autorizzazione in sanatoria, ove l'autori
tà comunale abbia ritenuto sufficiente tale strumento per atte
stare la conformità alla disciplina urbanistica dell'opera formal
mente abusiva.
Conseguentemente, qualora il pretore ritenga soggetti a con
cessione edilizia i lavori abusivamente eseguiti per i quali è stata
rilasciata autorizzazione in sanatoria, qualificandoli diversamente
dall'autorità comunale, cioè come ristrutturazione edilizia anzi
ché come restauro, ben può attribuire effetto estintivo del reato
anche alla semplice autorizzazione attribuendo all'abilitazione
postuma comunale le qualità sostanziali della concessione, ove
ne ricorrano gli indefettibili presupposti. Con ciò non si perpe tra un'ammissibile censura di merito dell'atto amministrativo
da parte dell'a.g.o., perché i provvedimenti abilitanti all'attività
edilizia, siano essi preventivi o successivi, hanno natura vincola
ta e non discrezionale. Né, d'altro canto, il mancato pagamento del contributo di concessione in misura doppia, previsto dal
l'art. 13, 3° comma, 1. 47/85 quale condizione per il rilascio
a titolo di oblazione, preclude formalmente o sostanzialmente
l'effetto estintivo del reato allorché sia stata pagata la somma
determinata dal sindaco ai sensi del'ultimo comma dello stesso
articolo, cui è subordinata l'autorizzazione in sanatoria. Inve
ro, non potendosi imputare al cittadino l'erronea valutazione
fatta dalla pubblica amministrazione, non può certo pretendersi da parte del primo l'ottemperamento a condizioni diverse da
quelle sufficienti per l'istituto in concreto dalla seconda appli cata. Poiché il pagamento di quanto dovuto per l'autorizzazio
ne in sanatoria, soddisfacendo al maturamento delle condizioni
per detta forma di abilitazione, è sufficiente a produrre sostan
ziale effetto sanante nell'ambito di tale istituto, l'attribuzione
di effetti scriminanti a detta forma di abilitazione in via analo
gica non postula le condizioni contributive di applicabilità tipi che della concessione.
Il giudice penale, in altre parole, ove in sede di applicazione
analogica ritenga di attribuire ad un istituto gli effetti estintivi
del reato tipici di uno consimile, non può pretendere il soddi
sfacimento di condizioni contributive esclusive dall'altro, ma deve
verificare l'ottemperamento alle condizioni tipiche dell'istituto
in concreto applicato. Diversamente, imporrebbe una disciplina amministrativa diversa da quella prevista dalla legge, operando uno straripamento di potere.
La causa estintiva del rilascio della concessione in sanatoria
può, quindi, ben applicarsi analogicamente nel caso concreto
a favore dell'imputata ancorché il comune abbia rilasciato sem
plice autorizzazione in sanatoria, di per sé non considerata qua le specifica causa estintiva dei reati edilizi dall'art. 22 1. 47/85.
PRETURA DI MATERA; PRETURA DI MATERA; sentenza 24 settembre 1991; Giud.
ind. prel. Vetrone.
Competenza e giurisdizione penale — Incompetenza — G.i.p. — Forma (Cod. proc. pen., art. 22).
Il provvedimento con il quale il giudice per le indagini prelimi
nari, a seguito di richiesta di archiviazione, pronuncia la pro
pria incompetenza assume la forma della sentenza. (1)
Fatto e diritto. — Con atto depositato il 7 settembre 1991
il p.m. presso questo ufficio ha formulato richiesta di archivia
ci) Non risultano precedenti editi in termini. La dottrina ritiene, con
trariamente alla pronuncia in rassegna, che il giudice per le indagini
preliminari debba adottare la forma dell'ordinanza ai fini della declara
toria di incompetenza a seguito di richiesta di archiviazione formulata
dal pubblico ministero: cfr. Cordero, Codice di procedura penale com
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PARTE SECONDA
zione nel procedimento penale che, a lui trasmesso per compe
tenza, a seguito di scambio di missive, dal procuratore della
repubblica presso il Tribunale di Matera, è stato instaurato nei
confronti dei nominativi indicati in epigrafe, indagati in relazio
ne agli art. 595, 614, 615 bis c.p. Osserva il decidente, quanto alla prima ipotesi criminosa, che
la stessa è stata, in tesi, commessa per mezzo dello strumento
televisivo, e si è concretizzata, per l'esattezza, in un servizio
giornalistico che, realizzato dall'emittente radio-televisiva deno
minata «Trm», è stato mandato in onda nel video giornale del
la sera del 10 settembre 1990.
Il reato in questione appartiene, conseguentemente, ex art.
30, 5° comma, in relazione al precedente 4° comma, 1. 6 agosto 1990 n. 223 («disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato»), alla competenza del locale tribunale, trattandosi di
indagati tutti residenti in Matera.
Altrettanto deve affermarsi, poi, in ordine agli altri reati di
cui alla rubrica.
Per essi opera, invero, il criterio della connessione e del con
seguente spostamento di competenza, di cui agli art. 12.1, sub
b), e 15.2 c.p.p. Premesso che, a seguito della sentenza Corte cost. 8 febbraio
1991, n. 68 (la quale ha dichiarato costituzionalmente illegitti mo l'art. 233 disp. att. coord., trans, c.p.p., ed ha eliminato,
quindi, l'operatività del disposto del 3° comma dell'art. 21 1.
47/48), è oramai del tutto superato il problema, che nella specie avrebbe potuto profilarsi (art. 449.6), della diversità dei riti (di rettissimo per il reato a mezzo stampa, ordinario per gli altri), non può disconoscersi, infatti, alla luce della sommaria deliba
zione caratterizzante la presente fase procedimentale, che tali
reati son stati commessi in unità di tempo (nell'accezione di
frazione temporale più ampia della mera contestualità che al
concetto va riconosciuta; v. relazione al progetto preliminare al c.p.p.) e di luogo rispetto alla diffamazione. È mancata, in
vero, un'apprezzabile soluzione di continuità fra gli episodi in
cui i crimini tutti si son manifestati, avvinti per giunta dal lega me dell'indubbia, unica finalità che avrebbe animato gli agenti.
Deve il decidente, pertanto, dichiarare la propria incompe tenza in ordine al provvedimento di archiviazione postulato dal
requirente. La forma (art. 125 c.p.p.) della declaratoria deve esser quella
della sentenza (art. 22, 3° comma c.p.p.), nonostante la diversa
opinione manifestata, in proposito, da alcune voci dottrinarie.
Invero, non è revocabile in dubbio che, nel caso specifico, il requirente abbia individuato, dalla lettura degli atti dell'incar
to, un fatto non assolutamente indifferente per il sistema pena
le, ma astrattamente contemplabile come ipotesi di reato, su
scettibile di formare il contenuto della formulata (anche se in
maniera appena sbozzata) incolpazione. In generale, poi, è specifico che la richiesta d'archiviazione
segue la chiusura delle indagini preliminari, ossia il momento
al quale l'art. 22 c.p.p., su citato, condiziona la possibilità del
giudice di dichiararsi incompetente con sentenza.
Inequivoca è, in proposito, la lettura dell'art. 405, 1° com
ma, c.p.p., in relazione alla rubrica del titolo (l'ottavo del libro
quinto) di cui la norma fa parte, nonché quella del successivo
art. 414, 1° comma: «Dopo il provvedimento di archiviazio
ne ... il giudice autorizza la riapertura delle indagini su richie
sta del pubblico ministero motivata dall'esigenza . . .»; né a ca
so è previsto (art. 414, 2° comma, che «Quando è autorizzata
la riapertura delle indagini il pubblico ministero ...» debba pro cedere «... a nuova iscrizione a norma dell'art. 335», e frui
sca, perciò, in tal modo, di nuovi termini per una nuova fase
di investigazioni. D'altro canto, è pure da escludersi che l'intervento del giudi
ce, investito della richiesta d'archiviazione, produca effetti limi
tati soltanto (art. 22, 2° comma, c.p.p.) al provvedimento do
mandato: in tale sede, infatti, egli ha conoscenza completa de
mentato, 2a ed., Torino, 1992, sub art. 22-23, 28 s.; Macchia, in Com mentario del nuovo codice di procedura penale a cura di Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, sub art. 22, 130 s.; Pignatelli, in Com mento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989, I, sub art. 22, 145; Tranchina, / soggetti, in Siracusa no - Dalla - Galati - Tranchina - Zappaià, Manuale di diritto pro cessuale penate, Milano, 1991, I, 149.
Il Foro Italiano — 1992.
gli atti d'indagine che sono a sua disposizione e, essendo per definizione ormai terminate, alla stregua delle intenzioni del pub blico ministero (e salvo altri accadimenti: art. 554, 2° comma,
c.p.p.), le investigazioni, non esiste più la necessità di non pre cluderne il proseguimento e gli ulteriori sviluppi, ossia quella
esigenza che ha ispirato la previsione, nell'art. 22 c.p.p., della
duplicità di forme per la declaratoria d'incompatenza da parte del giudice per le indagini preliminari, ed ha indotto il legislato re a modificare l'omologa disposizione (art. 22) del progetto
preliminare del codice di rito.
PRETURA DI CAMERINO; PRETURA DI CAMERINO; sentenza 20 settembre 1991; Giud.
Iacoboni; imp. Felicioni ed altri.
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Acque destinate
al consumo umano — Requisiti di qualità — Inosservanza — Reato — Esclusione — Fattispecie (D.p.r. 24 maggio 1988
n. 236, attuazione della direttiva Cee n. 80/778, concernente
la qualità delle acque destinate al consumo umano, ai sensi
dell'art. 15 1. 16 aprile 1987 n. 183, art. 21).
Risponde del reato (residuale) di cui all'art. 21 d.p.r. 236/88
chi (anche se pubblico ufficiale), (almeno) per colpa (generica o specifica), abbia determinato l'erogazione di acqua destina
ta al consumo umano non conforme ai requisiti di qualità
previsti dal d.p.r. cit. (nella specie, il sindaco e due impiegati addetti al servizio acquedottistico comunale sono stati assolti
per l'assoluta genericità dell'addebito). (1)
(1) I. - Nella sentenza in epigrafe viene individuato l'ambito di ope ratività dell'art. 21 d.p.r. 236/88, già vagliato attentamente da Pret.
Rovigo 7 febbraio 1990, Foro it., 1991, II, 558, con nota di Giorgio.
Cosi, viene chiarito che la responsabilità penale ai sensi della detta nor ma rinviene da una condotta colposa (generica o specifica), fonte del
l'erogazione di acqua destinata al consumo umano, non conforme ai
requisiti legali di qualità; sicché — come già opinato da Pret. Rovigo 7 febbraio 1990, cit. — le prescrizioni del d.p.r. 236/88 non integrano [restrittivamente] gli esclusivi presupposti di applicabilità della norma sanzionatoria de qua. Per la verità, il p.m. d'udienza ha sostenuto che nella struttura della contravvenzione in esame sarebbe ravvisabile una condizione obiettiva di punibilità; senonché rispetto a tale (immotivata) tesi il giudicante ha osservato che l'art. 21 prevede la somministrazione al consumo di acque prive dei requisiti di qualità come evento in senso tecnico e non come elemento estraneo al processo esecutivo del reato, posto a carico dell'agente, ancorché non voluto, ex art. 44 c.p. (cfr., in proposito, Cass. 11 luglio 1967, Sugameli, id., Rep. 1968, voce Con dizione obiettiva di punibilità, nn. 2, 3).
II. - Va ricordato che l'art. 4, 6° comma, d.l. 20 gennaio 1992 n. 13 (Le leggi, 1992, I, 293) ha (apparentemente) allargato lo spettro di
applicabilità dell'art. 21 cit. nei confronti del responsabile della gestio ne dell'acquedotto, che dopo la comunicazione dell'esito delle analisi
(ai sensi dell'art. 3, 1° comma, lett. c, d.m. sanità 26 marzo 1991) non abbia adottato le misure idonee ad adeguare la qualità dell'acqua ed a prevenire l'erogazione di acqua non idonea al consumo umano. In realtà, proprio sulla base della puntuale ricostruzione ermeneutica dell'art. 21 cit. proposta dalla sentenza in epigrafe, la novità legislativa (di valore fondamentalmente «simbolico») ben poteva già essere sus sunta nell'ambito di applicabilità della (generica) norma de qua. Rima
ne, comunque, aperta la questione dei rapporti tra la nuova norma e quella dell'art. 328, 1° comma, c.p., posto che — in linea di massima — il responsabile della gestione di acquedotto costituisce (almeno) un incaricato di pubblico servizio (sulla cui attuale nozione, cfr. Cass. 9
gennaio 1991, Niglio e 19 dicembre 1990, Marchiano, Foro it., 1992, II, 29, con nota di Rapisarda).
In particolare, c'è da chiedersi se tale soggetto possa essere sanziona to per un'omissione dolosa, fonte dell'erogazione di acqua non idonea al consumo umano, ai sensi di ambedue le citate norme, ex art. 81, 1° comma, c.p.p., o se, al contrario, il delitto debba ritenersi assorbente
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