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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 25 giugno 1980; Giud. Fornace; imp. Arnaldi

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sentenza 25 giugno 1980; Giud. Fornace; imp. Arnaldi Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 559/560-565/566 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171624 . Accessed: 25/06/2014 00:32 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.176 on Wed, 25 Jun 2014 00:32:03 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 25 giugno 1980; Giud. Fornace; imp. ArnaldiSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.559/560-565/566Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171624 .

Accessed: 25/06/2014 00:32

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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PARTE SECONDA

duce profitti altissimi per i suoi autori e danni irreparabili per la comunità sociale.

Per quanto riguarda la posizione di Anna Maria Fini, Antonio

Maria Fini, Maddalena Fini, i quali pure hanno dato corso al

procedimento lottizzatorio, va rilevato, sia che gli atti cui loro

sono intervenuti non sono atti attraverso cui si è realizzata la

lottizzazione, quindi la necessaria volontà dell'atto, non può es

sere considerata volontà del reato, sia che essi hanno tenuto un

comportamento improntato ad una estrema attenzione fin dal

l'inizio della vicenda, chiedendo nel corso di essa anche il con

siglio di persone esperte nello specifico campo giuridico. Per

tanto deve ritenersi che il loro comportamento, che pur ha avuto

rilievo causale nella vicenda, sia stato assolutamente incolpevo

le; essi, pertanto, devono essere assolti perché il fatto non co

stituisce reato.

Per questi motivi, ecc.

PRETURA DI RIVAROLO CANAVESE; sentenza 25 giugno

1980; Giud. Fornace; imp. Arnaldi. PRETURA DI RIVAROLO CANAVESE;

Sciopero, serrata e boicottaggio — Esercente di ristorante —

Sospensione dell'attività per protesta contro l'introduzione del

la ricevuta fiscale — Responsabilità penale — Sussistenza (Cod.

pen., art. 504, 505; legge 10 maggio 1976 n. 249, conversione

in legge con modifiche del d. 1. 18 marzo 1976 n. 46 concer

nente misure urgenti in materia tributaria, art. 8).

Commette il reato di serrata l'esercente di caffè-ristorante che

aderisce alla sospensione dell'attività indetta dalla categoria

professionale di appartenenza, per costringere la pubblica au

torità a modificare (mediante la riduzione delle pene pecu niarie e la graduale introduzione dei nuovi adempimenti) il

provvedimento che impone, ai titolari di ristoranti, l'obbligo

di rilasciare la ricevuta fiscale (il pretore, essendo emerso nel

corso del dibattimento che l'azione intrapresa dal prevenuto era stata organizzata a Torino, ha disposto la trasmissione di

copia degli atti alla procura della Repubblica per l'inizio del

l'azione penale nei confronti dei capi organizzatori della ser

rata). (1)

(1) In senso contrario v. Pret. Padova 9 dicembre 1964, Foro it.,

Rep. 1965, voce Sciopero, n. 18: agli imputati era stata contestata la

violazione dell'art. 505 cod. pen. per avere, quali titolari di bar, chiu

so i loro locali 24 ore per protesta contro i gravami fiscali e la vir

gente regolamentazione giuridica del settore, e il pretore ne aveva as

solto uno per non aver commesso il fatto e gli altri perché il fatto

non costituiva reato. Nel prosieguo della medesima vicenda Trib. Pa

dova, ord. 13 gennaio 1966 (riportata su Le leggi, 1966, appendice n.

5, 256) aveva sollevato questione di costituzionalità sulla quale si pro nunciò Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 141 (Foro it., 1968, I, 8, con nota di richiami e annotata da vari autori cit. in nota a Corte

cost. n. 222/1975 cit. infra) secondo cui postoché la sola serrata per protesta, effettuata per ragioni estranee alla disciplina del lavoro, è

incriminata dall'art. 505 cod. pen., è infondata la questione di costi

tuzionalità di questa disposizione nella parte relativa al datore di la

voro che soltanto per protesta sospende in 'tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende od uffici, in riferimento agli art. 35 e

39 Cost. Pret. Pistoia, ord. 22 marzo 1978, id., 1979, II, 175, ha ritenuto

non manifestamente infondata la questione di costituzionalità del

l'art. 505 cod. pen., nella parte in cui configura come illecito penale l'adesione di piccoli imprenditori con lavoratori dipendenti alla so

spensione dal lavoro indetta dalla categoria professionale di apparte

nenza, costituita prevalentemente da piccoli imprenditori senza dipen denti, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost.

In motivazione di Pret. Rivarolo Canavese è richiamata Corte cost.

17 luglio 1975, n. 222 (id., 1975, I, 1569, con nota di richiami) che

ha ritenuto illegittimo, per violazione dell'art. 40 Cost., l'art. 506

cod. pen. (serrata di esercenti di piccole industrie o commerci) in re

lazione all'art. 505 dello stesso codice, nella parte in cui punisce la

sospensione dal lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di pic cole aziende industriali o commerciali che non hanno lavoratori alle

loro dipendenze. Sull'art. 506 cod. pen. v. Pret. Pisa 20 giugno 1973, id., 1973, II,

349, secondo cui non commettono il reato di serrata gli esercenti di aziende commerciali che, non avendo lavoratori alle proprie dipen denze, sospendono la loro attività per protesta contro un provvedi mento prefettizio sui prezzi. Nello stesso senso, da ultimo, Pret. To lentino 20 dicembre 1975, id., Rep. 1977, voce cit., n. 27, con rife rimento ad un provvedimento del comitato provinciale prezzi; la sen

tenza è annotata da T. Padovani, Serrata di piccoli esercenti ed eser

cizio del diritto di sciopero, in Giur. it., 1977, II, 539. In dottrina, da ultimo, v. Pera, Diritto del lavoro. Padova, 1980.

315 ss. Nel senso che non configura il reato di serrata la sospensione dell'at

Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Con rapporto del 21 feb

braio 1980 i carabinieri di Volpiano riferivano quanto segue: « Rapporto giudiziario: circa lo sciopero proclamato dalla Fe

derazione italiana esercenti per il giorno 15 febbraio 1980 a ca

rattere nazionale dei ristoranti, pizzerie e alberghi per protesta contro l'introduzione delle ricevute fiscali da parte del ministro

delle finanze. In ordine a quanto richiesto da codesta pretura con suo messaggio senza numero datato 16 febbraio u. s., si

comunica: che i sottonotati esercizi pubblici ubicati nella giu risdizione di questo comando, nella data 15 febbraio 1980, hanno

aderito allo sciopero indetto dalla federazione in oggetto segnata e per i motivi indicati in rubrica: ristorante Cacciatori, gestito da Arnaldi Domenico, nato a Borghetto d'Arrascia il 24 novembre

1941, residente in Volpiano via Torino n. 34, munito di licenza

di pubblico esercizio cat. IV/A 10/79 rilasciata dal comune di

Volpiano il 6 luglio 1979, in sostituzione quella n. 11 A/76-32 del

5 gennaio 1976 ».

In data 28 febbraio 1980 il comando stazione carabinieri di

Volpiano riferiva che il titolare del ristorante Cacciatori di Vol

piano aveva alle proprie dipendenze un lavoratore. Questo pre tore emetteva decreto di citazione nei confronti di Arnaldi Do

menico al quale contestava il reato di cui in epigrafe alla pre sente.

Nel corso dell'odierno dibattimento; previo interrogatorio del

l'imputato veniva escusso come teste l'avv. Bologna Sebastiano

direttore dell'E.p.a.t. Indi il p. m. ed il difensore del prevenuto concludevano come

in atti.

Per una esauriente e precisa definizione tecnico-giuridica del

fatto contestato all'imputato è necessario qui richiamare alcune

valutazioni espresse dalla Corte costituzionale nelle sentenze che

hanno esaminato le questioni di legittimità costituzionale degli art. 504 e 505 cod. penale.

Riportiamo qui di seguito alcuni stralci della sentenza n. 123

del 13/28 dicembre 1962 (Foro it., 1963, I, 5) e della sentenza

n. 141 del 12/15 dicembre 1967 (id., 1968, I, 8): « In proposito è da ricordare che, come si è prima rilevato,

lo sciopero di cui all'art. 40 è legittimo solo quando sia rivolto

a conseguire fini di carattere economico, secondo quanto si può

desumere, fra l'altro, dalla collocazione del medesimo sotto il

titolo III della I parte della Costituzione, che si intitola appunto ai rapporti economici. È tuttavia da chiarire che la tutela con

cessa a tali rapporti non può rimanere circoscritta alle sole

rivendicazioni di indole meramente salariale, ma si estende a

tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavora

tori che trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo

stesso. Ciò precisato, e passando all'esame della questione sol

levata in ordine all'art. 504, è da ritenere che le sanzioni ivi

comminate non si rendono applicabili nel caso di scioperi pro mossi per fini economici. Ciò appare chiaro, perché discende

dall'interpretazione prima data all'art. 330 — con il quale l'art.

504 deve essere coordinato — nell'ipotesi che la pretesa degli

scioperanti (sempreché essi rientrino nella categoria degli ad

detti ai pubblici servizi dei quali si è parlato) si faccia valere di

fronte alla pubblica autorità che assume la qualità di parte del rap

porto di lavoro, allo scopo di ottenere che la disciplina di quest'ul timo venga modificata a favore dei dipendenti. Rinviando al seguito l'esame del punto se ad uguale conclusione possa giungersi an

che quando lo sciopero sia effettuato da lavoratori non dipen denti dall'ente pubblico, a scopo di solidarietà, è qui da osser

vare come l'opinione accolta trova conferma quando si metta

a confronto l'art. 504 con il precedente art. 503. Infatti la diffe

renziazione operata dal legislatore penale fra l'ipotesi della ge nerica pressione esercitata sulla pubblica autorità e quella di

sciopero politico mostra come la pressione stessa debba apprez zarsi diversamente secondo che venga effettuata allo scopo di

ottenere provvedimenti che attengono all'indirizzo generale del

governo (e quindi senza alcun collegamento con l'ipotesi dell'art.

40) o invece altri i quali, per essere suscettibili di incidere in

modo diretto sul settore del lavoro subordinato e sul rapporto che disciplina quest'ultimo, possono giovarsi della tutela costi

tuzionale ».

Sent. n. 141: «Ad avviso della corte per risolvere tale dubbio

occorre por mente al sistema normativo nel quale l'art. 505 cod.

pen. si inserisce: più precisamente al sistema ora in vigore quale

tività di panificazione allorché questa sia divenuta non più remunera

tiva a causa del prezzo calmierato del pane v. Pret. Cava dei Tirreni

12 marzo 1976, Foro it., 1976, II, 131; nello stesso senso a quanto risulta dalla massima riportata id.. Rep. 1976, voce cit., n. 24, l'inedita

Cass. 5 novembre 1975, Zoppo. Sulla ricevuta fiscale v., per qualche riferimento, A. Casertano,

La ricevuta fiscale, in Legislazione e giur. trib., 1979, 598.

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GIURISPRUDENZA PENALE

risulta a seguito della sentenza n. 29 del 1960 (id., 1960, I, 709). La scomparsa dall'ordinamento dell'art. 502 cod. pen. — ispi rato come in quella occasione la corte ebbe ad accertare, ai

principi corporativi inconciliabili con i nuovi principi costitu zionali — ha fatto venir meno la illiceità penale della serrata

per fini contrattuali, e di ciò l'interprete non può non tener conto nella ricostruzione od individuazione dei precetti conte nuti in tutte le altre norme penali che la contemplano. Ciò con sente di attribuire all'art. 505 cod. pen., nella parte qui con

siderata, un significato restrittivo che — senza che in alcun modo sia violata la lettera della legge (la quale, giova ripeterlo, nulla dice in proposito) — trova giustificazione in un ordina mento nel quale la serrata posta in essere nell'ambito del rap porto di lavoro e per influire sulla disciplina di esso è penal mente lecita. Si può concludere, perciò, che dalla previsione at tuale dell'art. 505 cod. pen. esula la serrata attuata per protesta contro fatti che a quel rapporto si riferiscano.

« Una volta riconosciuto che l'art. 505 cod. pen. incrimina solo la serrata per protesta che venga effettuata per ragioni estranee alla disciplina del lavoro, la questione di legittimità appare non fondata.

« Tuttavia proprio l'intima connessione fra l'una e l'altra sta a dimostrare che l'azione sindacale deve essere definita nei ter mini che alla sua funzione sono coessenziali (cfr., a proposito dello sciopero, sent. n. 123 del 1962) e che vanno precisati nel

quadro dei rapporti fra datori di lavoro e lavoratori; con la con

seguenza che ad esso ed alla sua tutela costituzionale appaiono/ estranei tutti quei comportamenti che non si collochino nell'am bito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi l'opinione del

giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe essere lecita ' ogni qual volta sia diretta al conseguimento di un fine econo

mico connesso con l'attività aziendale '.

«Vero è che nella sentenza n. 123 del 1962 questa corte ha ri

tenuto che il diritto di sciopero è legittimamente esercitabile in

funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme rac chiuse sotto il titolo terzo della parte prima della Costituzione. Ma è da considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie provvidenze ivi previste ineriscano tutte alla quali fica del soggetto come lavoratore, laddove ' il fine economico

connesso con l'attività aziendale ' va collegato all'interesse del

soggetto considerato come imprenditore: in funzione, cioè, di

un'attività che non rientra nella garanzia offerta dall'art. 39 Cost. ».

Da un'attenta lettura di questi brani contenuti nelle menzio

nate sentenze si può trarre la seguente enunciazione: la liceità

penale della serrata è limitata alla sola ipotesi in cui la stessa

sia posta in essere nell'ambito del rapporto di lavoro e per in

fluire sulla disciplina di tale rapporto. La Corte costituzionale, con esplicito riferimento all'art. 39

Cost., ha invece escluso la liceità della serrata ogni qualvolta sia

diretta al conseguimento di un fine economico comunque con

nesso all'attività aziendale.

Questo indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale è

stato peraltro ribadito nella sentenza n. 222 del 17 luglio 1975

(id., 1975, I, 1569) ove è stato statuito quanto segue: « Sulla

base delle considerazioni che precedono ed in conformità a

quanto già statuito in tema di sciopero per finalità economiche, deve ritenersi lecita la sospensione del lavoro attuata dai piccoli esercenti per protesta contro fatti o provvedimenti incidenti sul

contenuto economico della loro attività aziendale, poiché questa, nel cas.o qui in discussione di esercenti senza lavoratori subor

dinati, si identifica e coincide interamente con l'attività soggettiva e personale di questa speciale categoria di lavoratori autonomi

i cui interessi trovano ampia protezione nelle norme racchiuse nel

titolo del terzo, parte prima, della Costituzione. « L'art. 506 cod. pen., che in relazione all'art. 505 dello stesso

codice reprime questa legittima forma di autotutela, va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art.

40 Cost, che riconosce il diritto di sciopero. Pronuncia questa che dispensa la corte dall'esame degli altri dedotti motivi d'inco

stituzionalità. « Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti

mità costituzionale dell'art. 506, in relazione all'art. 505, cod. pen., nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro effettuata per

protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commer

ciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza ».

In questa pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato la

liceità della sospensione del lavoro attuata dai piccoli esercenti

contro fatti o provvedimenti incidenti sul contenuto economico

della loro attività aziendale, in quanto ha definito costoro lavo

ratori autonomi, ai quali spetta il diritto di sciopero ai sensi

dell'art. 40 Cost. L'episodio contestato al prevenuto deve essere

esaminato alla luce delle citate enunciazioni.

Orbene è pacifico in punto di fatto che l'imputato ha aderito all'iniziativa intrapresa dalla Federazione italiana pubblici eser cizi ed ha tenuto chiuso il suo ristorante nel giorno 15 febbraio 1980 affiggendo all'ingresso il seguente manifesto: « Questo eser cizio resta chiuso il 15 febbraio e il 1° marzo.

Per ottenere: — semplificazione della ricevuta fiscale — graduale introduzione dei nuovi adempimenti — sanzioni non sproporzionate e medioevali ».

Il prevenuto ha dichiarato di avere condiviso le ragioni esposte nel citato manifesto ed in particolare di avere compiuto la ser rata poiché in tal modo intendeva ottenere che la disciplina giu ridica relativa alla compilazione della fattura fosse semplificata.

Prima di valutare le implicazioni di carattere giuridico di un siffatto comportamento è opportuno riferire per sommi capi la cosiddetta vicenda della ricevuta fiscale.

Con l'art. 8 legge 10 maggio 1976 n. 249 fu sancito che: « Art. 8 - Con decreti del ministro per le finanze può essere

stabilito nei confronti di determinate categorie di contribuenti

dell'imposta sul valore aggiunto l'obbligo di rilasciare apposita ricevuta fiscale per ogni operazione per la quale è obbligatoria l'emissione della fattura. L'obbligo può essere imposto anche per limitati periodi di tempo in relazione alle esigenze di controllo

dell'applicazione del tributo.

« Con i medesimi decreti sono determinati le caratteristiche della ricevuta fiscale e le modalità per il rilascio nonché tutti gli altri

adempimenti atti ad assicurare l'osservanza dell'obbligo di cui al precedente comma.

« I decreti non potranno entrare in vigore prima di tre mesi dalla pubblicazione di essi nella Gazzetta ufficiale della Repub blica italiana.

« In caso di omesso o irregolare rilascio della ricevuta si ap plica la pena pecuniaria prevista dall'art. 47 d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, e successive modificazioni ».

In data 13 ottobre 1979 fu emesso un decreto del ministro delle finanze in esecuzione di quanto prescritto dal menzionato art. £, che disciplinò le caratteristiche della ricevuta fiscale e le relative modalità di rilascio da parte di determinate categorie di contribuenti.

I destinatari di questa norma (alberghieri e titolari di pub blici esercizi) attraverso la loro federazione esternarono la loro

perplessità e critiche in ordine alla funzionalità del meccanismo

predisposto per il rilascio della ricevuta fiscale.

I rilievi avanzati dalle predette categorie ed esposti in confe renze stampa e su organi di informazione, furono ritenuti in

parte esatti dal competente ministero delle finanze che emise in data 7 gennaio 1980 e 18 gennaio 1980 i seguenti decreti:

« D. m. 7 gennaio 1980: Modificazione al d. m. 13 ottobre 1979, concernente caratteristiche della ricevuta fiscale e relative mo dalità di rilascio da parte di determinate categorie di contribuenti.

Art. 1 - L'art. 3 d. m. 13 ottobre 1979 è sostituito dal seguente: « I documenti di cui ai precedenti articoli, preventivamente in testati al soggetto numeratore, devono essere numerati e bollati, su richiesta scritta, dall'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto secondo le disposizioni di cui all'art. 40 d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, e successive modificazioni, o da uno degli uffici del re

gistro della provincia in cui è situato l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto competente; l'ufficio del registro che ha effettuato la numerazione e la bollatura deve, entro trenta giorni, darne comunicazione all'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto della

provincia; l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto prende nota in apposito registro partitario con l'indicazione della data della

richiesta, della serie e dei numeri iniziale e finale, dei documenti bollati direttamente nonché di quelli bollati presso gli uffici del

registro ». « Art. 2 - Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo

a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della

Repubblica italiana ».

D.m. 18 gennaio 1980: «Nuove norme per la stampa e la vendita della ricevuta fiscale.

Art. unico: I documenti di cui agli art. 1 e 2 d. m. 13 ottobre

1979, che stabilisce le caratteristiche della ricevuta fiscale e le

relative modalità di rilascio da parte di determinate categorie di

contribuenti, possono essere emessi utilizzando stampati, sostan zialmente conformi agli allegati A e B dello stesso decreto e con

numerazione progressiva per documento anche con l'adozione di

prefissi alfabetici di serie predisposti dalle tipografie autorizzate dal ministro delle finanze a norma dell'art. 11 d. m. 29 novembre

1978, recante norme di attuazione delle disposizioni di cui al

d. pres. 6 ottobre 1978 n. 627, concernente l'introduzione del

l'obbligo di emissione del documento di accompagnamento dei

beni viaggianti.

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PARTE SECONDA

La fornitura degli stampati è effettuata direttamente dalle ti

pografie autorizzate ovvero dai rivenditori autorizzati dal com

petente ufficio dell'imposta sul valore aggiunto a norma dell'art. 3

del citato d. m. 13 ottobre 1979 sostituito dall'art. 1 d. m. 7 gen naio 1980. Si applicano le disposizioni di cui ai comma 3", 4", 5° e 6° dell'art. 10 del citato d. m. 29 novembre 1978.

Gli estremi dell'autorizzazione alle tipografie devono essere in

dicati su ciascuno degli stampati di cui al 1° comma, unitamente

ai dati identificativi della tipografia. Per la conservazione dei documenti previsti dal presente de

creto si applicano le disposizioni contenute nell'art. 4 del citato

d. m. 13 ottobre 1979».

Infine il predetto ministero emanò una serie di circolari espli cative della predetta normativa (n. 134 del 16 novembre 1979;

nn. 3-9-13-18-19 del 31 gennaio e del 13 e 14 febbraio 1980).

È superfluo per la nostra indagine analizzare le singole dispo sizioni citate, qui preme ribadire che le critiche espresse dalle

organizzazioni delle categorie destinatarie dell'obbligo della rice

vuta fiscale furono recepite nei menzionati decreti ministeriali

e circolari.

Rimaneva un solo problema da risolvere: la modifica dell'ul

timo comma del più volte citato art. 8 legge n. 249 in quanto le

pene previste per la inosservanza della disciplina della ricevuta

fiscale erano irrisorie (da lire cinquanta mila a lire duecento

mila). Pertanto il ministro Reviglio (finanze) di concerto con il mi

nistro Morlino (grazia e giustizia) il 13 novembre 1979 presentò alla Camera un disegno di legge nel quale sono rese esplicite le

finalità della norma.

« Nel quadro di tale rinvigorita ed efficace azione di lotta alle

evasioni, ai cui fini appunto è stato previsto l'obbligo del rilascio

della ricevuta fiscale, appare necessario disegnare più compiu tamente la disciplina dello strumento sanzionatorio in una pro

spettiva di controlli estesi anche ai soggetti destinatari delle

operazioni da cui la ricevuta fiscale, volta a volta, trae occasione.

Sembra altresì necessario stabilire autonome previsioni che

diano rilievo alla pena pecuniaria, in uno a sanzioni accessorie

incidenti sull'attività stessa del contribuente trasgressore e per

ciò di particolare idoneità a prevenire evasioni ulteriori ».

Contro il predetto provvedimento si appuntarono le critiche

aspre dei rappresentanti degli esercenti pubblici servizi i quali

organizzarono una serie di manifestazioni culminate con la pro

clamazione della serrata per i giorni 15 febbraio e 1° marzo.

Gli esercizi pubblici rimasero chiusi il 15 febbraio. La stessa

manifestazione di protesta non fu più attuata il 1° marzo in

quanto il Parlamento apportò delle modifiche al testo predispo

sto dal ministro delle finanze.

Riportiamo qui di seguito i due testi a confronto; quello mi

nisteriale e quello approvato dalla Camera.

ART. UNICO

L'ultimo comma dell'art. 8

della legge 10 maggio 1976 n.

249 è sostituito dai seguenti:

In caso di mancata emissione

della ricevuta o di emissione del

documento stesso con indica

zione del corrispettivo in mi

sura inferiore a quella reale,

quando tale indicazione è pre

scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire duecentomila

ad un milione. La pena è ri

dotta ad un quarto se la rice

vuta, pur essendo stata emessa, non è consegnata al destina

tario.

Al destinatario della ricevuta

fiscale che, a richiesta degli or

gani accertatori nel luogo del

la prestazione o nelle immedia

te adiacenze, non è in grado di

esibire la ricevuta o la esibisce

con la indicazione del corri

spettivo inferiore a quello rea

le, quando tale indicazione è

prescritta, si applica la pena

pecuniaria da lire diecimila a lire sessantamila.

ART. 1

L'ultimo comma dell'art. 8

della legge 10 maggio 1976 n.

249, è sostituito dai seguenti:

In caso di mancata emissione

della ricevuta o di emissione del

documento stesso con indica

zioni del corrispettivo in mi

sura inferiore a quella reale,

quando tale indicazione è pre

scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire duecentomila

a lire novecentomila. La pena è

ridotta ad un quarto se la ri

cevuta, pur essendo stata e

messa, non è consegnata al de

stinatario.

Al destinatario della ricevuta

fiscale che, a richiesta degli or

gani accertatori nel luogo della

prestazione o nelle immediate

adiacenze, non è in grado di

esibire la ricevuta o la esibisce

con l'indicazione del corrispet tivo inferiore a quello reale,

quando tale indicazione è pre scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire diecimila a lire

quarantacinquemila.

Per ogni altra violazione del

le disposizioni contenute nei

decreti di cui al secondo com

ma, si applica la pena pecu niaria da lire ventimila a lire

duecentomila.

Per le violazioni previste dal

presente articolo non operano le disposizioni del 2° e 3° com

ma dell'art. 8 della legge 7 gen naio 1929 n. 4. Per le stesse

violazioni è consentito al tra

sgressore di pagare all'ufficio

dell'imposta sul valore aggiun to competente una somma ri

spettivamente pari ad un se

sto e ad un terzo del massimo, mediante versamento entro i

quindici giorni ovvero dal se

dicesimo al sessantesimo gior no successivi alla data di no

tifica del relativo verbale di

constatazione. Il pagamento e

stingue l'obbligazione relativa

alla pena pecuniaria nascente

dalla violazione.

Qualora siano state accerta

te definitivamente, a séguito di

constatazioni avvenute in tem

pi diversi più violazioni del

l'obbligo di emettere la ricevu

ta fiscale, commesse in giorni diversi, l'autorità amministrati

va competente su proposta del

l'ufficio dell'imposta sul valo

re aggiunto, dispone per un pe riodo non inferiore a tre giorni e non superiore ad un mese la

chiusura dell'esercizio dell'at

tività svolta. Nei casi di viola

zi ni di particolare gravità il

provvedimento può essere di

sposto prima che l'accertamen

to delle violazioni diventi defi

nitivo.

Agli effetti del precedente comma si tiene conto anche

delle violazioni per le quali è

intervenuto il procedimento di

cui al 7° comma.

All'accertamento delle viola

zioni provvedono la guardia di

finanza e gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto. Le relative

sanzioni sono applicate dall'uf

ficio dell'imposta sul valore ag

giunto nella cui circoscrizione

si trova il domicilio fiscale del

contribuente tenuto ad emet

tere la ricevuta fiscale.

La ricevuta fiscale è esente

dall'imposta di bollo.

Per ogni altra violazione del

le disposizioni contenute nei

decreti di cui al secondo com

ma, si applica la pena pecu niaria da lire ventimila a lire

duecentomila.

Per le violazioni previste nel

4°, 5°, 6° comma, è consentito

al trasgressore di pagare all'uf

ficio dell'imposta sul valore ag

giunto competente una somma

rispettivamente pari ad un sesto

ed ad un terzo del massimo, mediante versamento entro i

quindici giorni ovvero dal se

dicesimo al sessantesimo giorno successivo alla data di notifica

del relativo verbale di constata

zione. Il pagamento estingue

l'obbligazione relativa alla pena

pecuniaria nascente dalla vio

lazione.

Qualora siano state accertate

definitivamente, a seguito di

constatazioni avvenute in tem

pi diversi tre distinte violazio

ni dell'obbligo di emettere la

ricevuta fiscale, commesse in

giorni diversi nel corso di un, quinquennio, l'autorità ammi

nistrativa competente dispone,

per un periodo non inferiore a

tre giorni e non superiore ad

un mese conformemente alla

proposta dell'ufficio dell'impo sta sul valore aggiunto, la so

spensione della licenza o della

autorizzazione all'esercizio del

l'attività svolta.

Agli effetti del precedente comma si tiene conto anche

delle violazioni per le quali è

intervenuto il procedimento di

cui al 7° comma.

All'accertamento delle viola

zioni provvedono la guardia di

finanza e gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto. Le relative

sanzioni sono applicate dall'uffi

cio dell'imposta sul valore ag

giunto nella cui circoscrizione

si trova il domicilio fiscale del

contribuente tenuto ad emet

tere la ricevuta fiscale.

Chiunque forma in tutto o

in parte, o altera stampati, do

cumenti o registri previsti nei

decreti di cui al secondo com

ma e ne fa uso, o consente ad

altri che ne facciano uso, al

fine di escludere le disposizioni della presente legge nonché

quelle degli stessi decreti, è

punito con la reclusione da sei

mesi a tre anni. Alla medesima

pena soggiace chi, senza essere

concorso nella falsificazione dei

documenti, ne fa uso agli stessi

fini.

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GIURISPRUDENZA PENALE

ART. 2

Per le violazioni commesse

dalla data di entrata in vigore della presente legge sino al 30

giugno 1980 le pene pecunia rie indicate nella prima parte del primo capoverso dell'art. 1

sono ridotte ad un sesto e con

riferimento a tale ammontare

si determina la riduzione pre

vista nella seconda parte dello

stesso capoverso. Sono altresì

ridotte ad un sesto, per le vio

lazioni commesse sino alla pre detta data, le pene pecuniarie

previste dal terzo capoverso dello stesso articolo.

Per le violazioni commesse

dal 1° luglio al 31 dicembre

1980 le pene pecuniarie indi

cate nella prima parte del pri mo capoverso dell'art. 1 sono

ridotte ad un quarto e con ri

ferimento a tale ammontare si

determina la riduzione prevista nella seconda parte dello stes

so capoverso. La stessa ridu

zione si applica alle pene pe

cuniarie, per le violazioni com

messe nello stesso periodo pre viste dal terzo capoverso del

lo stesso articolo.

La pena pecuniaria prevista nel secondo capoverso dell'art.

1 non si applica alle violazioni

commesse dalla data di entrata

in vigore della presente legge sino al 30 settembre 1980

per le violazioni commesse dal

la data del 1° ottobre al 31 di

cembre 1980 la stessa pena pe cuniaria è ridotta a metà.

Le disposizioni del quinto ca

poverso dell'art. 1 hanno ef

fetto dal 1° gennaio 1980.

Le violazioni alle disposizioni previste nel r-2°-3° capoverso dell'art. 1 commesse sino al 31 dicembre 1980 non si compu tano ai fini dell'applicazione del le sanzioni, previste nel citato

quinto capoverso dell'art. 1.

ART. 3

La presente legge entra in

vigore il giorno successivo a

quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale ».

Esaminando i due testi normativi appare evidente che nel testo definitivo approvato dalla Camera è stata introdotta una

disciplina con una gradualità nell'attuazione dei nuovi adempi menti ed un ritardo alla entrata in vigore delle sanzioni ivi

previste. Coloro che avevano organizzato la serrata per i giorni 15

febbraio e 1° marzo avevano proclamato in modo esplicito che intendevano ottenere: à) graduale introduzione dei nuovi adem

pimenti; b) sanzioni non sproporzionate e medioevali. La lettura dei due testi normativi dianzi riportati ci consente

di evidenziare la perfetta coincidenza tra le finalità esposte nel menzionato manifesto ed il risultato finale del testo approvato dalla Camera nel quale tali scopi sono stati del tutto recepiti.

La rinuncia alla serrata del 1° marzo dopo la formulazione del nuovo testo normativo è una ulteriore riprova della esattezza del nostro rilievo.

Alla luce delle suesposte considerazioni si può quindi con buon fondamento assumere che: a) il Parlamento italiano ha modificato il testo normativo predisposto dal ministro delle fi

nanze sotto la coazione della serrata attuata dai destinatari della

legge e sotto la minaccia di una ulteriore serrata; b) gli autori

della serrata hanno posto in essere questa manifestazione con lo

scopo dichiarato di costringere il 'Parlamento ad approvare una

legge meno gravosa per essi sul piano delle sanzioni pecuniarie e di ordine amministrativo (chiusura del locale).

Costoro hanno contestato al Parlamento il diritto di fissare con

legge l'importo delle sanzioni amministrative per le violazioni

alla disciplina della ricevuta fiscale e di determinare l'epoca del

l'entrata in vigore della legge. Il problema della semplificazione della ricevuta fiscale, al

quale hanno fatto riferimento il prevenuto ed il teste escusso,

non era oggetto del progetto ministeriale dianzi riportato: que sto problema era già stato risolto prima del 15 febbraio 1980

con i menzionati decreti ministeriali.

Le ragioni uniche e fondamentali della serrata del 15 febbraio

e del 1° marzo erano: a) la riduzione delle pene pecuniarie,

b) la graduazione nel tempo dell'entrata in vigore della legge. Questa attività è stata finalizzata per costringere il Parlamento

a modificare il testo normativo predisposto dal ministro delle

finanze.

L'imputato ha aderito con piena consapevolezza alla predetta serrata attuata per le finalità sopra esposte.

In questa azione intrapresa dall'imputato e dagli altri non

si può cogliere alcun riferimento alla disciplina del rapporto di

lavoro: e pertanto, secondo il chiaro insegnamento della Corte

costituzionale, è da escludere la liceità della serrata posta in

essere dal prevenuto. Per le ragioni sopra esposte, nella condotta di costui si ravvi

sano gli elementi di carattere oggettivo e soggettivo del reato

ascrittogli.

L'imputato ha chiuso il locale il giorno 15 febbraio e ha cosi'

sospeso il lavoro.

Costui, come più volte riferito dianzi, ha agito con la piena

consapevolezza di operare in sintonia con coloro che avevano

organizzato la serrata degli esercizi in tutto il paese con le fina

lità esposte nel manifesto che il prevenuto ha affisso all'ingresso del suo locale; vi è stata cioè nel prevenuto la consapevolezza di operare per costringere il Parlamento ad introdurre una di

sciplina giuridica meno gravosa per gli esercenti per quanto concerne le sanzioni pecuniarie ed amministrative.

Pertanto si deve dichiarare la colpevolezza del prevenuto in

ordine al suddetto reato.

Pena congrua è la seguente: Giorni 15 di reclusione (pena base gg. 20 - 62 bis cod. pen.

in quanto l'imputato ha tenuto una condotta processuale molto

leale).

L'imputato incensurato è meritevole dei benefici di cui agli

art. 163, 175 cod. penale. Nel corso del dibattimento è emerso che l'azione intrapresa

dal prevenuto è stata organizzata a Torino, pertanto è necessario

che copia degli atti siano trasmessi al sig. procuratore della Re

pubblica di Torino per l'inizio dell'azione penale nei confronti

dei capi organizzatori della serrata e ciò ai sensi degli art. 444

cod. proc. pen. e 511 cod. proc. penale. Per questi motivi, visti gli art. 483, 487, 488 cod. proc. pen.,

dichiara l'imputato colpevole del reato ascrittogli e con le atte

nuanti generiche lo condanna alla pena di gg. 15 di reclusione,

al pagamento delle spese rocessuali e tasse di sentenza visti gli

art. 163, 175 cod. pen.; ordina la sospensione condizionale della

pena e la non menzione della condanna sul certificato del casel

lario giudiziale per anni cinque; ordina che copia degli atti sia

trasmessa al procuratore della Repubblica di Torino in ordine

alla violazione degli art. 504 e 511 cod. penale.

I

PRETURA DI PAVIA; sentenza 18 giugno 1980; Giud. L. De

Angelis; imp. Morellini. PRETURA DI PAVIA;

Lavoro (rapporto) — Lavoro a domicilio — Natura subordinata

— Fattispecie (Cod. civ., art. 2094; legge 18 dicembre 1973 n.

877, nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio, art. 1).

Devono essere ritenuti lavoratori subordinati a domicilio i pre

statori d'opera che si limitino ad assemblare pezzi già tagliati

e secondo modelli predisposti da azienda produttrice di capi

di abbigliamento e, quindi, a confezionarli, inserendosi in tal

modo in pieno, sia pure nella fase terminale, nel processo pro

duttivo di tale azienda che abbia anche il potere di control

lare la perfetta corrispondenza dei capi consegnati dai lavo

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