sentenza 25 giugno 1980; Giud. Fornace; imp. ArnaldiSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.559/560-565/566Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171624 .
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PARTE SECONDA
duce profitti altissimi per i suoi autori e danni irreparabili per la comunità sociale.
Per quanto riguarda la posizione di Anna Maria Fini, Antonio
Maria Fini, Maddalena Fini, i quali pure hanno dato corso al
procedimento lottizzatorio, va rilevato, sia che gli atti cui loro
sono intervenuti non sono atti attraverso cui si è realizzata la
lottizzazione, quindi la necessaria volontà dell'atto, non può es
sere considerata volontà del reato, sia che essi hanno tenuto un
comportamento improntato ad una estrema attenzione fin dal
l'inizio della vicenda, chiedendo nel corso di essa anche il con
siglio di persone esperte nello specifico campo giuridico. Per
tanto deve ritenersi che il loro comportamento, che pur ha avuto
rilievo causale nella vicenda, sia stato assolutamente incolpevo
le; essi, pertanto, devono essere assolti perché il fatto non co
stituisce reato.
Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI RIVAROLO CANAVESE; sentenza 25 giugno
1980; Giud. Fornace; imp. Arnaldi. PRETURA DI RIVAROLO CANAVESE;
Sciopero, serrata e boicottaggio — Esercente di ristorante —
Sospensione dell'attività per protesta contro l'introduzione del
la ricevuta fiscale — Responsabilità penale — Sussistenza (Cod.
pen., art. 504, 505; legge 10 maggio 1976 n. 249, conversione
in legge con modifiche del d. 1. 18 marzo 1976 n. 46 concer
nente misure urgenti in materia tributaria, art. 8).
Commette il reato di serrata l'esercente di caffè-ristorante che
aderisce alla sospensione dell'attività indetta dalla categoria
professionale di appartenenza, per costringere la pubblica au
torità a modificare (mediante la riduzione delle pene pecu niarie e la graduale introduzione dei nuovi adempimenti) il
provvedimento che impone, ai titolari di ristoranti, l'obbligo
di rilasciare la ricevuta fiscale (il pretore, essendo emerso nel
corso del dibattimento che l'azione intrapresa dal prevenuto era stata organizzata a Torino, ha disposto la trasmissione di
copia degli atti alla procura della Repubblica per l'inizio del
l'azione penale nei confronti dei capi organizzatori della ser
rata). (1)
(1) In senso contrario v. Pret. Padova 9 dicembre 1964, Foro it.,
Rep. 1965, voce Sciopero, n. 18: agli imputati era stata contestata la
violazione dell'art. 505 cod. pen. per avere, quali titolari di bar, chiu
so i loro locali 24 ore per protesta contro i gravami fiscali e la vir
gente regolamentazione giuridica del settore, e il pretore ne aveva as
solto uno per non aver commesso il fatto e gli altri perché il fatto
non costituiva reato. Nel prosieguo della medesima vicenda Trib. Pa
dova, ord. 13 gennaio 1966 (riportata su Le leggi, 1966, appendice n.
5, 256) aveva sollevato questione di costituzionalità sulla quale si pro nunciò Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 141 (Foro it., 1968, I, 8, con nota di richiami e annotata da vari autori cit. in nota a Corte
cost. n. 222/1975 cit. infra) secondo cui postoché la sola serrata per protesta, effettuata per ragioni estranee alla disciplina del lavoro, è
incriminata dall'art. 505 cod. pen., è infondata la questione di costi
tuzionalità di questa disposizione nella parte relativa al datore di la
voro che soltanto per protesta sospende in 'tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende od uffici, in riferimento agli art. 35 e
39 Cost. Pret. Pistoia, ord. 22 marzo 1978, id., 1979, II, 175, ha ritenuto
non manifestamente infondata la questione di costituzionalità del
l'art. 505 cod. pen., nella parte in cui configura come illecito penale l'adesione di piccoli imprenditori con lavoratori dipendenti alla so
spensione dal lavoro indetta dalla categoria professionale di apparte
nenza, costituita prevalentemente da piccoli imprenditori senza dipen denti, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost.
In motivazione di Pret. Rivarolo Canavese è richiamata Corte cost.
17 luglio 1975, n. 222 (id., 1975, I, 1569, con nota di richiami) che
ha ritenuto illegittimo, per violazione dell'art. 40 Cost., l'art. 506
cod. pen. (serrata di esercenti di piccole industrie o commerci) in re
lazione all'art. 505 dello stesso codice, nella parte in cui punisce la
sospensione dal lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di pic cole aziende industriali o commerciali che non hanno lavoratori alle
loro dipendenze. Sull'art. 506 cod. pen. v. Pret. Pisa 20 giugno 1973, id., 1973, II,
349, secondo cui non commettono il reato di serrata gli esercenti di aziende commerciali che, non avendo lavoratori alle proprie dipen denze, sospendono la loro attività per protesta contro un provvedi mento prefettizio sui prezzi. Nello stesso senso, da ultimo, Pret. To lentino 20 dicembre 1975, id., Rep. 1977, voce cit., n. 27, con rife rimento ad un provvedimento del comitato provinciale prezzi; la sen
tenza è annotata da T. Padovani, Serrata di piccoli esercenti ed eser
cizio del diritto di sciopero, in Giur. it., 1977, II, 539. In dottrina, da ultimo, v. Pera, Diritto del lavoro. Padova, 1980.
315 ss. Nel senso che non configura il reato di serrata la sospensione dell'at
Il Pretore, ecc. — Fatto e diritto. — Con rapporto del 21 feb
braio 1980 i carabinieri di Volpiano riferivano quanto segue: « Rapporto giudiziario: circa lo sciopero proclamato dalla Fe
derazione italiana esercenti per il giorno 15 febbraio 1980 a ca
rattere nazionale dei ristoranti, pizzerie e alberghi per protesta contro l'introduzione delle ricevute fiscali da parte del ministro
delle finanze. In ordine a quanto richiesto da codesta pretura con suo messaggio senza numero datato 16 febbraio u. s., si
comunica: che i sottonotati esercizi pubblici ubicati nella giu risdizione di questo comando, nella data 15 febbraio 1980, hanno
aderito allo sciopero indetto dalla federazione in oggetto segnata e per i motivi indicati in rubrica: ristorante Cacciatori, gestito da Arnaldi Domenico, nato a Borghetto d'Arrascia il 24 novembre
1941, residente in Volpiano via Torino n. 34, munito di licenza
di pubblico esercizio cat. IV/A 10/79 rilasciata dal comune di
Volpiano il 6 luglio 1979, in sostituzione quella n. 11 A/76-32 del
5 gennaio 1976 ».
In data 28 febbraio 1980 il comando stazione carabinieri di
Volpiano riferiva che il titolare del ristorante Cacciatori di Vol
piano aveva alle proprie dipendenze un lavoratore. Questo pre tore emetteva decreto di citazione nei confronti di Arnaldi Do
menico al quale contestava il reato di cui in epigrafe alla pre sente.
Nel corso dell'odierno dibattimento; previo interrogatorio del
l'imputato veniva escusso come teste l'avv. Bologna Sebastiano
direttore dell'E.p.a.t. Indi il p. m. ed il difensore del prevenuto concludevano come
in atti.
Per una esauriente e precisa definizione tecnico-giuridica del
fatto contestato all'imputato è necessario qui richiamare alcune
valutazioni espresse dalla Corte costituzionale nelle sentenze che
hanno esaminato le questioni di legittimità costituzionale degli art. 504 e 505 cod. penale.
Riportiamo qui di seguito alcuni stralci della sentenza n. 123
del 13/28 dicembre 1962 (Foro it., 1963, I, 5) e della sentenza
n. 141 del 12/15 dicembre 1967 (id., 1968, I, 8): « In proposito è da ricordare che, come si è prima rilevato,
lo sciopero di cui all'art. 40 è legittimo solo quando sia rivolto
a conseguire fini di carattere economico, secondo quanto si può
desumere, fra l'altro, dalla collocazione del medesimo sotto il
titolo III della I parte della Costituzione, che si intitola appunto ai rapporti economici. È tuttavia da chiarire che la tutela con
cessa a tali rapporti non può rimanere circoscritta alle sole
rivendicazioni di indole meramente salariale, ma si estende a
tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavora
tori che trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo
stesso. Ciò precisato, e passando all'esame della questione sol
levata in ordine all'art. 504, è da ritenere che le sanzioni ivi
comminate non si rendono applicabili nel caso di scioperi pro mossi per fini economici. Ciò appare chiaro, perché discende
dall'interpretazione prima data all'art. 330 — con il quale l'art.
504 deve essere coordinato — nell'ipotesi che la pretesa degli
scioperanti (sempreché essi rientrino nella categoria degli ad
detti ai pubblici servizi dei quali si è parlato) si faccia valere di
fronte alla pubblica autorità che assume la qualità di parte del rap
porto di lavoro, allo scopo di ottenere che la disciplina di quest'ul timo venga modificata a favore dei dipendenti. Rinviando al seguito l'esame del punto se ad uguale conclusione possa giungersi an
che quando lo sciopero sia effettuato da lavoratori non dipen denti dall'ente pubblico, a scopo di solidarietà, è qui da osser
vare come l'opinione accolta trova conferma quando si metta
a confronto l'art. 504 con il precedente art. 503. Infatti la diffe
renziazione operata dal legislatore penale fra l'ipotesi della ge nerica pressione esercitata sulla pubblica autorità e quella di
sciopero politico mostra come la pressione stessa debba apprez zarsi diversamente secondo che venga effettuata allo scopo di
ottenere provvedimenti che attengono all'indirizzo generale del
governo (e quindi senza alcun collegamento con l'ipotesi dell'art.
40) o invece altri i quali, per essere suscettibili di incidere in
modo diretto sul settore del lavoro subordinato e sul rapporto che disciplina quest'ultimo, possono giovarsi della tutela costi
tuzionale ».
Sent. n. 141: «Ad avviso della corte per risolvere tale dubbio
occorre por mente al sistema normativo nel quale l'art. 505 cod.
pen. si inserisce: più precisamente al sistema ora in vigore quale
tività di panificazione allorché questa sia divenuta non più remunera
tiva a causa del prezzo calmierato del pane v. Pret. Cava dei Tirreni
12 marzo 1976, Foro it., 1976, II, 131; nello stesso senso a quanto risulta dalla massima riportata id.. Rep. 1976, voce cit., n. 24, l'inedita
Cass. 5 novembre 1975, Zoppo. Sulla ricevuta fiscale v., per qualche riferimento, A. Casertano,
La ricevuta fiscale, in Legislazione e giur. trib., 1979, 598.
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GIURISPRUDENZA PENALE
risulta a seguito della sentenza n. 29 del 1960 (id., 1960, I, 709). La scomparsa dall'ordinamento dell'art. 502 cod. pen. — ispi rato come in quella occasione la corte ebbe ad accertare, ai
principi corporativi inconciliabili con i nuovi principi costitu zionali — ha fatto venir meno la illiceità penale della serrata
per fini contrattuali, e di ciò l'interprete non può non tener conto nella ricostruzione od individuazione dei precetti conte nuti in tutte le altre norme penali che la contemplano. Ciò con sente di attribuire all'art. 505 cod. pen., nella parte qui con
siderata, un significato restrittivo che — senza che in alcun modo sia violata la lettera della legge (la quale, giova ripeterlo, nulla dice in proposito) — trova giustificazione in un ordina mento nel quale la serrata posta in essere nell'ambito del rap porto di lavoro e per influire sulla disciplina di esso è penal mente lecita. Si può concludere, perciò, che dalla previsione at tuale dell'art. 505 cod. pen. esula la serrata attuata per protesta contro fatti che a quel rapporto si riferiscano.
« Una volta riconosciuto che l'art. 505 cod. pen. incrimina solo la serrata per protesta che venga effettuata per ragioni estranee alla disciplina del lavoro, la questione di legittimità appare non fondata.
« Tuttavia proprio l'intima connessione fra l'una e l'altra sta a dimostrare che l'azione sindacale deve essere definita nei ter mini che alla sua funzione sono coessenziali (cfr., a proposito dello sciopero, sent. n. 123 del 1962) e che vanno precisati nel
quadro dei rapporti fra datori di lavoro e lavoratori; con la con
seguenza che ad esso ed alla sua tutela costituzionale appaiono/ estranei tutti quei comportamenti che non si collochino nell'am bito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi l'opinione del
giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe essere lecita ' ogni qual volta sia diretta al conseguimento di un fine econo
mico connesso con l'attività aziendale '.
«Vero è che nella sentenza n. 123 del 1962 questa corte ha ri
tenuto che il diritto di sciopero è legittimamente esercitabile in
funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme rac chiuse sotto il titolo terzo della parte prima della Costituzione. Ma è da considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie provvidenze ivi previste ineriscano tutte alla quali fica del soggetto come lavoratore, laddove ' il fine economico
connesso con l'attività aziendale ' va collegato all'interesse del
soggetto considerato come imprenditore: in funzione, cioè, di
un'attività che non rientra nella garanzia offerta dall'art. 39 Cost. ».
Da un'attenta lettura di questi brani contenuti nelle menzio
nate sentenze si può trarre la seguente enunciazione: la liceità
penale della serrata è limitata alla sola ipotesi in cui la stessa
sia posta in essere nell'ambito del rapporto di lavoro e per in
fluire sulla disciplina di tale rapporto. La Corte costituzionale, con esplicito riferimento all'art. 39
Cost., ha invece escluso la liceità della serrata ogni qualvolta sia
diretta al conseguimento di un fine economico comunque con
nesso all'attività aziendale.
Questo indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale è
stato peraltro ribadito nella sentenza n. 222 del 17 luglio 1975
(id., 1975, I, 1569) ove è stato statuito quanto segue: « Sulla
base delle considerazioni che precedono ed in conformità a
quanto già statuito in tema di sciopero per finalità economiche, deve ritenersi lecita la sospensione del lavoro attuata dai piccoli esercenti per protesta contro fatti o provvedimenti incidenti sul
contenuto economico della loro attività aziendale, poiché questa, nel cas.o qui in discussione di esercenti senza lavoratori subor
dinati, si identifica e coincide interamente con l'attività soggettiva e personale di questa speciale categoria di lavoratori autonomi
i cui interessi trovano ampia protezione nelle norme racchiuse nel
titolo del terzo, parte prima, della Costituzione. « L'art. 506 cod. pen., che in relazione all'art. 505 dello stesso
codice reprime questa legittima forma di autotutela, va quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art.
40 Cost, che riconosce il diritto di sciopero. Pronuncia questa che dispensa la corte dall'esame degli altri dedotti motivi d'inco
stituzionalità. « Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 506, in relazione all'art. 505, cod. pen., nella parte in cui punisce la sospensione del lavoro effettuata per
protesta dagli esercenti di piccole aziende industriali o commer
ciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza ».
In questa pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato la
liceità della sospensione del lavoro attuata dai piccoli esercenti
contro fatti o provvedimenti incidenti sul contenuto economico
della loro attività aziendale, in quanto ha definito costoro lavo
ratori autonomi, ai quali spetta il diritto di sciopero ai sensi
dell'art. 40 Cost. L'episodio contestato al prevenuto deve essere
esaminato alla luce delle citate enunciazioni.
Orbene è pacifico in punto di fatto che l'imputato ha aderito all'iniziativa intrapresa dalla Federazione italiana pubblici eser cizi ed ha tenuto chiuso il suo ristorante nel giorno 15 febbraio 1980 affiggendo all'ingresso il seguente manifesto: « Questo eser cizio resta chiuso il 15 febbraio e il 1° marzo.
Per ottenere: — semplificazione della ricevuta fiscale — graduale introduzione dei nuovi adempimenti — sanzioni non sproporzionate e medioevali ».
Il prevenuto ha dichiarato di avere condiviso le ragioni esposte nel citato manifesto ed in particolare di avere compiuto la ser rata poiché in tal modo intendeva ottenere che la disciplina giu ridica relativa alla compilazione della fattura fosse semplificata.
Prima di valutare le implicazioni di carattere giuridico di un siffatto comportamento è opportuno riferire per sommi capi la cosiddetta vicenda della ricevuta fiscale.
Con l'art. 8 legge 10 maggio 1976 n. 249 fu sancito che: « Art. 8 - Con decreti del ministro per le finanze può essere
stabilito nei confronti di determinate categorie di contribuenti
dell'imposta sul valore aggiunto l'obbligo di rilasciare apposita ricevuta fiscale per ogni operazione per la quale è obbligatoria l'emissione della fattura. L'obbligo può essere imposto anche per limitati periodi di tempo in relazione alle esigenze di controllo
dell'applicazione del tributo.
« Con i medesimi decreti sono determinati le caratteristiche della ricevuta fiscale e le modalità per il rilascio nonché tutti gli altri
adempimenti atti ad assicurare l'osservanza dell'obbligo di cui al precedente comma.
« I decreti non potranno entrare in vigore prima di tre mesi dalla pubblicazione di essi nella Gazzetta ufficiale della Repub blica italiana.
« In caso di omesso o irregolare rilascio della ricevuta si ap plica la pena pecuniaria prevista dall'art. 47 d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, e successive modificazioni ».
In data 13 ottobre 1979 fu emesso un decreto del ministro delle finanze in esecuzione di quanto prescritto dal menzionato art. £, che disciplinò le caratteristiche della ricevuta fiscale e le relative modalità di rilascio da parte di determinate categorie di contribuenti.
I destinatari di questa norma (alberghieri e titolari di pub blici esercizi) attraverso la loro federazione esternarono la loro
perplessità e critiche in ordine alla funzionalità del meccanismo
predisposto per il rilascio della ricevuta fiscale.
I rilievi avanzati dalle predette categorie ed esposti in confe renze stampa e su organi di informazione, furono ritenuti in
parte esatti dal competente ministero delle finanze che emise in data 7 gennaio 1980 e 18 gennaio 1980 i seguenti decreti:
« D. m. 7 gennaio 1980: Modificazione al d. m. 13 ottobre 1979, concernente caratteristiche della ricevuta fiscale e relative mo dalità di rilascio da parte di determinate categorie di contribuenti.
Art. 1 - L'art. 3 d. m. 13 ottobre 1979 è sostituito dal seguente: « I documenti di cui ai precedenti articoli, preventivamente in testati al soggetto numeratore, devono essere numerati e bollati, su richiesta scritta, dall'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto secondo le disposizioni di cui all'art. 40 d. pres. 26 ottobre 1972 n. 633, e successive modificazioni, o da uno degli uffici del re
gistro della provincia in cui è situato l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto competente; l'ufficio del registro che ha effettuato la numerazione e la bollatura deve, entro trenta giorni, darne comunicazione all'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto della
provincia; l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto prende nota in apposito registro partitario con l'indicazione della data della
richiesta, della serie e dei numeri iniziale e finale, dei documenti bollati direttamente nonché di quelli bollati presso gli uffici del
registro ». « Art. 2 - Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo
a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della
Repubblica italiana ».
D.m. 18 gennaio 1980: «Nuove norme per la stampa e la vendita della ricevuta fiscale.
Art. unico: I documenti di cui agli art. 1 e 2 d. m. 13 ottobre
1979, che stabilisce le caratteristiche della ricevuta fiscale e le
relative modalità di rilascio da parte di determinate categorie di
contribuenti, possono essere emessi utilizzando stampati, sostan zialmente conformi agli allegati A e B dello stesso decreto e con
numerazione progressiva per documento anche con l'adozione di
prefissi alfabetici di serie predisposti dalle tipografie autorizzate dal ministro delle finanze a norma dell'art. 11 d. m. 29 novembre
1978, recante norme di attuazione delle disposizioni di cui al
d. pres. 6 ottobre 1978 n. 627, concernente l'introduzione del
l'obbligo di emissione del documento di accompagnamento dei
beni viaggianti.
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PARTE SECONDA
La fornitura degli stampati è effettuata direttamente dalle ti
pografie autorizzate ovvero dai rivenditori autorizzati dal com
petente ufficio dell'imposta sul valore aggiunto a norma dell'art. 3
del citato d. m. 13 ottobre 1979 sostituito dall'art. 1 d. m. 7 gen naio 1980. Si applicano le disposizioni di cui ai comma 3", 4", 5° e 6° dell'art. 10 del citato d. m. 29 novembre 1978.
Gli estremi dell'autorizzazione alle tipografie devono essere in
dicati su ciascuno degli stampati di cui al 1° comma, unitamente
ai dati identificativi della tipografia. Per la conservazione dei documenti previsti dal presente de
creto si applicano le disposizioni contenute nell'art. 4 del citato
d. m. 13 ottobre 1979».
Infine il predetto ministero emanò una serie di circolari espli cative della predetta normativa (n. 134 del 16 novembre 1979;
nn. 3-9-13-18-19 del 31 gennaio e del 13 e 14 febbraio 1980).
È superfluo per la nostra indagine analizzare le singole dispo sizioni citate, qui preme ribadire che le critiche espresse dalle
organizzazioni delle categorie destinatarie dell'obbligo della rice
vuta fiscale furono recepite nei menzionati decreti ministeriali
e circolari.
Rimaneva un solo problema da risolvere: la modifica dell'ul
timo comma del più volte citato art. 8 legge n. 249 in quanto le
pene previste per la inosservanza della disciplina della ricevuta
fiscale erano irrisorie (da lire cinquanta mila a lire duecento
mila). Pertanto il ministro Reviglio (finanze) di concerto con il mi
nistro Morlino (grazia e giustizia) il 13 novembre 1979 presentò alla Camera un disegno di legge nel quale sono rese esplicite le
finalità della norma.
« Nel quadro di tale rinvigorita ed efficace azione di lotta alle
evasioni, ai cui fini appunto è stato previsto l'obbligo del rilascio
della ricevuta fiscale, appare necessario disegnare più compiu tamente la disciplina dello strumento sanzionatorio in una pro
spettiva di controlli estesi anche ai soggetti destinatari delle
operazioni da cui la ricevuta fiscale, volta a volta, trae occasione.
Sembra altresì necessario stabilire autonome previsioni che
diano rilievo alla pena pecuniaria, in uno a sanzioni accessorie
incidenti sull'attività stessa del contribuente trasgressore e per
ciò di particolare idoneità a prevenire evasioni ulteriori ».
Contro il predetto provvedimento si appuntarono le critiche
aspre dei rappresentanti degli esercenti pubblici servizi i quali
organizzarono una serie di manifestazioni culminate con la pro
clamazione della serrata per i giorni 15 febbraio e 1° marzo.
Gli esercizi pubblici rimasero chiusi il 15 febbraio. La stessa
manifestazione di protesta non fu più attuata il 1° marzo in
quanto il Parlamento apportò delle modifiche al testo predispo
sto dal ministro delle finanze.
Riportiamo qui di seguito i due testi a confronto; quello mi
nisteriale e quello approvato dalla Camera.
ART. UNICO
L'ultimo comma dell'art. 8
della legge 10 maggio 1976 n.
249 è sostituito dai seguenti:
In caso di mancata emissione
della ricevuta o di emissione del
documento stesso con indica
zione del corrispettivo in mi
sura inferiore a quella reale,
quando tale indicazione è pre
scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire duecentomila
ad un milione. La pena è ri
dotta ad un quarto se la rice
vuta, pur essendo stata emessa, non è consegnata al destina
tario.
Al destinatario della ricevuta
fiscale che, a richiesta degli or
gani accertatori nel luogo del
la prestazione o nelle immedia
te adiacenze, non è in grado di
esibire la ricevuta o la esibisce
con la indicazione del corri
spettivo inferiore a quello rea
le, quando tale indicazione è
prescritta, si applica la pena
pecuniaria da lire diecimila a lire sessantamila.
ART. 1
L'ultimo comma dell'art. 8
della legge 10 maggio 1976 n.
249, è sostituito dai seguenti:
In caso di mancata emissione
della ricevuta o di emissione del
documento stesso con indica
zioni del corrispettivo in mi
sura inferiore a quella reale,
quando tale indicazione è pre
scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire duecentomila
a lire novecentomila. La pena è
ridotta ad un quarto se la ri
cevuta, pur essendo stata e
messa, non è consegnata al de
stinatario.
Al destinatario della ricevuta
fiscale che, a richiesta degli or
gani accertatori nel luogo della
prestazione o nelle immediate
adiacenze, non è in grado di
esibire la ricevuta o la esibisce
con l'indicazione del corrispet tivo inferiore a quello reale,
quando tale indicazione è pre scritta, si applica la pena pe cuniaria da lire diecimila a lire
quarantacinquemila.
Per ogni altra violazione del
le disposizioni contenute nei
decreti di cui al secondo com
ma, si applica la pena pecu niaria da lire ventimila a lire
duecentomila.
Per le violazioni previste dal
presente articolo non operano le disposizioni del 2° e 3° com
ma dell'art. 8 della legge 7 gen naio 1929 n. 4. Per le stesse
violazioni è consentito al tra
sgressore di pagare all'ufficio
dell'imposta sul valore aggiun to competente una somma ri
spettivamente pari ad un se
sto e ad un terzo del massimo, mediante versamento entro i
quindici giorni ovvero dal se
dicesimo al sessantesimo gior no successivi alla data di no
tifica del relativo verbale di
constatazione. Il pagamento e
stingue l'obbligazione relativa
alla pena pecuniaria nascente
dalla violazione.
Qualora siano state accerta
te definitivamente, a séguito di
constatazioni avvenute in tem
pi diversi più violazioni del
l'obbligo di emettere la ricevu
ta fiscale, commesse in giorni diversi, l'autorità amministrati
va competente su proposta del
l'ufficio dell'imposta sul valo
re aggiunto, dispone per un pe riodo non inferiore a tre giorni e non superiore ad un mese la
chiusura dell'esercizio dell'at
tività svolta. Nei casi di viola
zi ni di particolare gravità il
provvedimento può essere di
sposto prima che l'accertamen
to delle violazioni diventi defi
nitivo.
Agli effetti del precedente comma si tiene conto anche
delle violazioni per le quali è
intervenuto il procedimento di
cui al 7° comma.
All'accertamento delle viola
zioni provvedono la guardia di
finanza e gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto. Le relative
sanzioni sono applicate dall'uf
ficio dell'imposta sul valore ag
giunto nella cui circoscrizione
si trova il domicilio fiscale del
contribuente tenuto ad emet
tere la ricevuta fiscale.
La ricevuta fiscale è esente
dall'imposta di bollo.
Per ogni altra violazione del
le disposizioni contenute nei
decreti di cui al secondo com
ma, si applica la pena pecu niaria da lire ventimila a lire
duecentomila.
Per le violazioni previste nel
4°, 5°, 6° comma, è consentito
al trasgressore di pagare all'uf
ficio dell'imposta sul valore ag
giunto competente una somma
rispettivamente pari ad un sesto
ed ad un terzo del massimo, mediante versamento entro i
quindici giorni ovvero dal se
dicesimo al sessantesimo giorno successivo alla data di notifica
del relativo verbale di constata
zione. Il pagamento estingue
l'obbligazione relativa alla pena
pecuniaria nascente dalla vio
lazione.
Qualora siano state accertate
definitivamente, a seguito di
constatazioni avvenute in tem
pi diversi tre distinte violazio
ni dell'obbligo di emettere la
ricevuta fiscale, commesse in
giorni diversi nel corso di un, quinquennio, l'autorità ammi
nistrativa competente dispone,
per un periodo non inferiore a
tre giorni e non superiore ad
un mese conformemente alla
proposta dell'ufficio dell'impo sta sul valore aggiunto, la so
spensione della licenza o della
autorizzazione all'esercizio del
l'attività svolta.
Agli effetti del precedente comma si tiene conto anche
delle violazioni per le quali è
intervenuto il procedimento di
cui al 7° comma.
All'accertamento delle viola
zioni provvedono la guardia di
finanza e gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto. Le relative
sanzioni sono applicate dall'uffi
cio dell'imposta sul valore ag
giunto nella cui circoscrizione
si trova il domicilio fiscale del
contribuente tenuto ad emet
tere la ricevuta fiscale.
Chiunque forma in tutto o
in parte, o altera stampati, do
cumenti o registri previsti nei
decreti di cui al secondo com
ma e ne fa uso, o consente ad
altri che ne facciano uso, al
fine di escludere le disposizioni della presente legge nonché
quelle degli stessi decreti, è
punito con la reclusione da sei
mesi a tre anni. Alla medesima
pena soggiace chi, senza essere
concorso nella falsificazione dei
documenti, ne fa uso agli stessi
fini.
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GIURISPRUDENZA PENALE
ART. 2
Per le violazioni commesse
dalla data di entrata in vigore della presente legge sino al 30
giugno 1980 le pene pecunia rie indicate nella prima parte del primo capoverso dell'art. 1
sono ridotte ad un sesto e con
riferimento a tale ammontare
si determina la riduzione pre
vista nella seconda parte dello
stesso capoverso. Sono altresì
ridotte ad un sesto, per le vio
lazioni commesse sino alla pre detta data, le pene pecuniarie
previste dal terzo capoverso dello stesso articolo.
Per le violazioni commesse
dal 1° luglio al 31 dicembre
1980 le pene pecuniarie indi
cate nella prima parte del pri mo capoverso dell'art. 1 sono
ridotte ad un quarto e con ri
ferimento a tale ammontare si
determina la riduzione prevista nella seconda parte dello stes
so capoverso. La stessa ridu
zione si applica alle pene pe
cuniarie, per le violazioni com
messe nello stesso periodo pre viste dal terzo capoverso del
lo stesso articolo.
La pena pecuniaria prevista nel secondo capoverso dell'art.
1 non si applica alle violazioni
commesse dalla data di entrata
in vigore della presente legge sino al 30 settembre 1980
per le violazioni commesse dal
la data del 1° ottobre al 31 di
cembre 1980 la stessa pena pe cuniaria è ridotta a metà.
Le disposizioni del quinto ca
poverso dell'art. 1 hanno ef
fetto dal 1° gennaio 1980.
Le violazioni alle disposizioni previste nel r-2°-3° capoverso dell'art. 1 commesse sino al 31 dicembre 1980 non si compu tano ai fini dell'applicazione del le sanzioni, previste nel citato
quinto capoverso dell'art. 1.
ART. 3
La presente legge entra in
vigore il giorno successivo a
quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale ».
Esaminando i due testi normativi appare evidente che nel testo definitivo approvato dalla Camera è stata introdotta una
disciplina con una gradualità nell'attuazione dei nuovi adempi menti ed un ritardo alla entrata in vigore delle sanzioni ivi
previste. Coloro che avevano organizzato la serrata per i giorni 15
febbraio e 1° marzo avevano proclamato in modo esplicito che intendevano ottenere: à) graduale introduzione dei nuovi adem
pimenti; b) sanzioni non sproporzionate e medioevali. La lettura dei due testi normativi dianzi riportati ci consente
di evidenziare la perfetta coincidenza tra le finalità esposte nel menzionato manifesto ed il risultato finale del testo approvato dalla Camera nel quale tali scopi sono stati del tutto recepiti.
La rinuncia alla serrata del 1° marzo dopo la formulazione del nuovo testo normativo è una ulteriore riprova della esattezza del nostro rilievo.
Alla luce delle suesposte considerazioni si può quindi con buon fondamento assumere che: a) il Parlamento italiano ha modificato il testo normativo predisposto dal ministro delle fi
nanze sotto la coazione della serrata attuata dai destinatari della
legge e sotto la minaccia di una ulteriore serrata; b) gli autori
della serrata hanno posto in essere questa manifestazione con lo
scopo dichiarato di costringere il 'Parlamento ad approvare una
legge meno gravosa per essi sul piano delle sanzioni pecuniarie e di ordine amministrativo (chiusura del locale).
Costoro hanno contestato al Parlamento il diritto di fissare con
legge l'importo delle sanzioni amministrative per le violazioni
alla disciplina della ricevuta fiscale e di determinare l'epoca del
l'entrata in vigore della legge. Il problema della semplificazione della ricevuta fiscale, al
quale hanno fatto riferimento il prevenuto ed il teste escusso,
non era oggetto del progetto ministeriale dianzi riportato: que sto problema era già stato risolto prima del 15 febbraio 1980
con i menzionati decreti ministeriali.
Le ragioni uniche e fondamentali della serrata del 15 febbraio
e del 1° marzo erano: a) la riduzione delle pene pecuniarie,
b) la graduazione nel tempo dell'entrata in vigore della legge. Questa attività è stata finalizzata per costringere il Parlamento
a modificare il testo normativo predisposto dal ministro delle
finanze.
L'imputato ha aderito con piena consapevolezza alla predetta serrata attuata per le finalità sopra esposte.
In questa azione intrapresa dall'imputato e dagli altri non
si può cogliere alcun riferimento alla disciplina del rapporto di
lavoro: e pertanto, secondo il chiaro insegnamento della Corte
costituzionale, è da escludere la liceità della serrata posta in
essere dal prevenuto. Per le ragioni sopra esposte, nella condotta di costui si ravvi
sano gli elementi di carattere oggettivo e soggettivo del reato
ascrittogli.
L'imputato ha chiuso il locale il giorno 15 febbraio e ha cosi'
sospeso il lavoro.
Costui, come più volte riferito dianzi, ha agito con la piena
consapevolezza di operare in sintonia con coloro che avevano
organizzato la serrata degli esercizi in tutto il paese con le fina
lità esposte nel manifesto che il prevenuto ha affisso all'ingresso del suo locale; vi è stata cioè nel prevenuto la consapevolezza di operare per costringere il Parlamento ad introdurre una di
sciplina giuridica meno gravosa per gli esercenti per quanto concerne le sanzioni pecuniarie ed amministrative.
Pertanto si deve dichiarare la colpevolezza del prevenuto in
ordine al suddetto reato.
Pena congrua è la seguente: Giorni 15 di reclusione (pena base gg. 20 - 62 bis cod. pen.
in quanto l'imputato ha tenuto una condotta processuale molto
leale).
L'imputato incensurato è meritevole dei benefici di cui agli
art. 163, 175 cod. penale. Nel corso del dibattimento è emerso che l'azione intrapresa
dal prevenuto è stata organizzata a Torino, pertanto è necessario
che copia degli atti siano trasmessi al sig. procuratore della Re
pubblica di Torino per l'inizio dell'azione penale nei confronti
dei capi organizzatori della serrata e ciò ai sensi degli art. 444
cod. proc. pen. e 511 cod. proc. penale. Per questi motivi, visti gli art. 483, 487, 488 cod. proc. pen.,
dichiara l'imputato colpevole del reato ascrittogli e con le atte
nuanti generiche lo condanna alla pena di gg. 15 di reclusione,
al pagamento delle spese rocessuali e tasse di sentenza visti gli
art. 163, 175 cod. pen.; ordina la sospensione condizionale della
pena e la non menzione della condanna sul certificato del casel
lario giudiziale per anni cinque; ordina che copia degli atti sia
trasmessa al procuratore della Repubblica di Torino in ordine
alla violazione degli art. 504 e 511 cod. penale.
I
PRETURA DI PAVIA; sentenza 18 giugno 1980; Giud. L. De
Angelis; imp. Morellini. PRETURA DI PAVIA;
Lavoro (rapporto) — Lavoro a domicilio — Natura subordinata
— Fattispecie (Cod. civ., art. 2094; legge 18 dicembre 1973 n.
877, nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio, art. 1).
Devono essere ritenuti lavoratori subordinati a domicilio i pre
statori d'opera che si limitino ad assemblare pezzi già tagliati
e secondo modelli predisposti da azienda produttrice di capi
di abbigliamento e, quindi, a confezionarli, inserendosi in tal
modo in pieno, sia pure nella fase terminale, nel processo pro
duttivo di tale azienda che abbia anche il potere di control
lare la perfetta corrispondenza dei capi consegnati dai lavo
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