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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo...

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sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 531/532-541/542 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185994 . Accessed: 25/06/2014 08:06 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.121 on Wed, 25 Jun 2014 08:06:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altri

sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.531/532-541/542Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185994 .

Accessed: 25/06/2014 08:06

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PARTE SECONDA

CORTE DI ASSISE DI CALTANISSETTA; CORTE DI ASSISE DI CALTANISSETTA; sentenza 25 mag

gio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altri.

Omicidio e infanticidio — Omicidio preterintenzionale — Rea

to — Esclusione — Fattispecie di morte di indiziato di reità

(Cod. pen., art. 584, 586).

Non costituisce «atto diretto a percuotere o a ledere» il costrin

gere un indiziato di reato, durante lo svolgimento di un inter

rogatorio condotto da ufficiali ed agenti di pubblica sicurez

za, alla forzata ingestione di acqua mista a sale, con la conse

guenza che, derivata da tale condotta la morte del soggetto

passivo, non sono ravvisabili nel fatto gli estremi del reato

di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), bensì' quelli del

la fattispecie di cui all'art. 586 c.p. (nel caso specifico, fatti specie di morte come conseguenza del delitto di tentata vio

lenza privata). (1)

(1) Il ricorso a metodi inquisitori violenti nei confronti di un indizia

to di reato (il Marino era sospettato di aver preso parte all'omicidio del commissario Montana avvenuto poche ore prima), è un fatto che, nel caso di specie, matura in una realtà sociale profondamente alterata

dalla forte presenza della criminalità mafiosa. Tale situazione, pur non

assurgendo in alcun modo a causa giustificante l'illegalità di un interro

gatorio condotto con metodi violenti (si veda a questo proposito, per le parziali analogie con il caso in epigrafe, Trib. Padova 15 luglio 1983, Foro it., 1984, II, 230 con nota di Pulitanò), costituisce comunque il contesto sociale nel quale il fatto si colloca e alla luce del quale deve

essere interpretato. In punto di diritto la decisione in rassegna si segnala per avere esclu

so la configurabilità del reato di omicidio preterintenzionale (art. 584

c.p.) ed avere, in sua vece, ritenuto applicabile la disposizione di cui

all'art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto). I. - L'elemento differenziante le due fattispecie deve ravvisarsi, se

condo una costante giurisprudenza, nella diversa qualificazione del rea

to di base risultando applicabile l'art. 586 c.p. ogni qualvolta la morte

sia conseguenza di un delitto doloso diverso dalle lesioni e dalle percos se (Cass. 23 ottobre 1987, Stimoli, Foro it., Rep. 1988, voce Reato

aberrante, n. 6; 29 marzo 1984, Goller, id., Rep. 1985, voce cit., n.

4; 10 giugno 1983, Castaldi, id., Rep. 1984, voce Omicidio, n. 30; 15

febbraio 1982, Calogero, id., Rep. 1983, voce cit., n. 60; 11 febbraio

1982, D'Alo, ibid., n. 59; 10 giugno 1981, Coppola, id., Rep. 1982, voce cit., n. 38 e voce Reato aberrante, n. 6; 8 ottobre 1981, Lacaze,

ibid., voce Omicidio, n. 40; 8 febbraio 1979, Falfelli, id., Rep. 1979, voce cit., n. 6). Tale orientamento giurisprudenziale è unanimemente

condiviso dalla dottrina penalistica (cfr. Patalano, I delitti contro la

vita, Padova, 1984, 263; Stile, Morte o lesioni come conseguenza di

altro delitto, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1977, XXVII, 151; Co

lacci, Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1961, 1135). II. - Se, dunque, sul piano concettuale la distinzione tra i due reati

è ben marcata, maggiori problemi sorgono, sul piano pratico, allor

quando nella realizzazione del delitto doloso di base (diverso dalle per cosse e dalle lesioni) sia insita una estrinsecazione di violenza sulla

persona. Nella fattispecie di violenza privata (art. 610 c.p.) il generico riferi

mento alla violenza come mezzo di coazione della volontà del soggetto

passivo, consente di ricondurre al delitto predetto qualsiasi energia fisi

ca da cui derivi una coazione personale: costituisce, infatti, violenza rilevante ai sensi dell'art. 610 c.p. qualsiasi condotta diretta a privare coattivamente l'offeso della propria libertà di determinazione e di azio ne (Cass. 16 dicembre 1982, Bernot, Foro it., Rep. 1984, voce Violenza

privata, n. 1; 7 aprile 1982, Cruccolini, id., Rep. 1983, voce cit., n. 3). La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, qualora l'esercizio del

la violenza privata concreti di per sé il reato di lesione personale, si

determina un concorso formale di reati. A fondamento di tale assunto viene addotta la diversità dei beni giuridici tutelati: l'integrità fisica nel

reato di lesioni personali, la libertà morale in quello di violenza privata (Cass. 3 aprile 1984, Rubinacci, id., Rep. 1985, voce cit., n. 6; 9 marzo

1981, Fontana, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6; 8 novembre 1979, Pellec

chia, id., Rep. 1980, voce cit., n. 13). Un limite alla configurazione del concorso formale viene ravvisato

nella necessità che l'azione violenta fuoriesca dallo schema tipico del reato di violenza privata, e cioè che la violenza superi i limiti della costrizione necessaria a subire l'azione dell'aggressore, la quale si tra

duce inevitabilmente nell'impedimento dei liberi movimenti della vitti ma e nell'imposizione a tollerare gli atti lesivi durante la consumazione

Il Foro Italiano — 1992.

Fatto. — Il 28 luglio 1985 veniva assassinato a Palermo il

dott. Giuseppe Montana, commissario della polizia di Stato.

I carabinieri del nucleo operativo di Palermo avviavano im

mediatamente indagini su tale Marino Salvatore (che non riusci

vano a reperire), i cui congiunti escutevano, procedendo al se

questro, nel corso di perquisizioni domiciliari, di rilevanti som

me di denaro di pertinenza del Marino, in ordine alla cui

provenienza sorgevano inquietanti sospetti. Alle ore 13,30 circa del 1° agosto 1985 Marino Salvatore,

accompagnato dall'avv. Castorina (il quale, nonostante le inda

gini sul suo assistito fossero state condotte, sino a quel momen

to, in modo palese e pressante dai carabinieri, aveva preferito concordarne col dott. Cassarà la presentazione al dott. Giusep

pe Russo, dirigente di sezione della squadra mobile di Paler

del delitto di cui all'art. 582 c.p. (Cass. 15 dicembre 1983, Palmieri,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 7; nel medesimo senso, Trib. Roma 23

giugno 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 13). 11 concorso formale è invece escluso nell'ipotesi in cui l'energia fisica

esplicata ai danni del soggetto passivo, al fine di coartarne la capacità di autodeterminazione, non superi la semplice percossa (Cass. 10 aprile

1981, Marocco, id., Rep. 1982, voce Lesione personale e percosse, n. 2).

Gli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati sono condivisi da

quella dottrina che ha approfondito la problematica dei rapporti inter

correnti tra i delitti di percosse, lesioni volontarie e violenza privata

(cfr. Galiani, Lesioni personali e percosse, voce dell'Enciclopedia del

diritto, 1974, XXIV, 157; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 5a ed., 1985, Vili, 786; Santoro, Violenza privata, voce dell'Enciclo

pedia forense, 1962, VII, 1047). III. - È evidente come la contestuale violazione delle disposizioni nor

mative poste a tutela della incolumità individuale e della libertà morale

del soggetto passivo renda alquanto difficile, una volta conseguitane la morte della vittima, la qualificazione giuridica dei fatti nel loro com

plesso. La soluzione di tale problema si complica ulteriormente laddove, co

me nel caso di specie, la condotta penalmente rilevante si componga di una pluralità di atti di diversa natura. Come lo stesso organo giudi cante ha accertato, ci si è trovati di fronte ad una sequela di lesioni,

percosse e atti tesi a coartare la vittima. Orbene, in base agli stessi

orientamenti della giurisprudenza prima esaminati, in linea teorica si

sarebbe potuto ravvisare nella predetta sequela di comportamenti un

concorso tra i reati di lesioni e di violenza privata, stante la diversità

dei beni rispettivamente tutelati. Ove il concorso fosse stato affermato, sarebbe stato certamente più difficile però escludere nella specie la con

figurabilità dell'omicidio preterintenzionale, considerato appunto che nel

contesto causativo dell'evento letale sarebbe rientrato, oltre alla violen

za privata, il delitto di lesioni.

In simili ipotesi riveste una importanza fondamentale l'accertamento

del nesso di causalità materiale, in base al quale è possibile individuare, nel quadro della condotta complessiva degli imputati, gli atti umani dai quali è concretamente derivata la morte: la giurisprudenza ha rite nuto applicabile la disposizione di cui all'art. 586 c.p. nel caso di una

persona affetta da disturbi cardiocircolatori che sia deceduta non per le percosse subite, ma per il trauma psichico derivatole dallo avere assi

stito alle violenze poste in essere contestualmente dagli stessi aggressori contro congiunti ed amici (Assise Salerno 19 luglio 1971, Foro it., Rep. 1972, voce Reato aberrante, nn. 9-10; Cass. 14 aprile 1982, Maccanti,

id., Rep. 1984, voce cit., n. 7 e Cass. pen., 1984, 900, con nota di

Petrini). L'ambito di applicazione dell'art. 586 c.p. appare da un esame della

giurisprudenza estremamente vasto; si è configurata la responsabilità aberrante nel fatto di chi vende o comunque cede una quantità di droga ad un tossicomane, il quale deceda a causa dell'assunzione (Cass. 14

novembre 1988, Gentilini, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 3); nel fatto

di colui che, pur essendo a conoscenza delle precarie condizioni di salu te della persona offesa, tenga nei confronti della stessa un comporta mento minaccioso tale da causare la morte della vittima per insufficien

za coronarica acuta (Assise Milano 24 ottobre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 7); ed ancora, in precedenti giurisprudenziali meno recenti, nel caso di suicidio del soggetto passivo del reato di atti di libidine

(Trib. Cassino 24 gennaio 1960, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 5-8) e nel caso di morte conseguente allo stato di gravidanza di una donna affetta da disturbi cardiaci, vittima di violenza carnale presunta (Cass. 9 febbraio 1961, Veutro, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 7, 8).

La Cassazione ha ritenuto applicabile l'art. 586 c.p. anche in ipotesi

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GIURISPRUDENZA PENALE

mo), si recava negli uffici della squadra mobile, ove veniva pre so in consegna e, stante l'ora, temporaneamente affidato al ca

pitano Gennaro Scala, comandante del nucleo operativo dei ca

rabinieri di Palermo, che colà trovavasi, essendo stato preav vertito correttamente dal dott. Cassarà. Alle ore 16,30 circa del

1° agosto 1985 il Marino veniva riaccompagnato nei locali della

squadra mobile, ove veniva interrogato; contestualmente, il con

tenuto delle sue dichiarazioni veniva sottoposto a immediati con

trolli al fine di verificarne la veridicità o meno. Dopo una so

spensione, alle ore 2,15 circa del 2 agosto 1985 veniva ripreso l'esame del Marino, condotto, alla presenza di funzionari e agenti della polizia di Stato nonché di carabinieri, nella stanza del dott.

simili a quella di specie in cui la morte o le lesioni derivino, quale

conseguenza ulteriore non voluta, da un delitto tentato (Cass. 26 no vembre 1934, Marchio, id., Rep. 1935, voce Lesione personale, nn. 75-77; 10 gennaio 1952, Soprano, id., Rep. 1952, voce Omicidio e lesioni per sonali colpose, n. 27 bis).

La riconducibilità alla sfera applicativa della norma suddetta di una

casistica tanto eterogenea è conseguenza della mancata tipizzazione, da

parte del legislatore penale, del delitto doloso dal quale derivano la

morte o le lesioni del soggetto passivo. Sotto tale profilo l'art. 586 c.p. non è esente da dubbi circa la sua legittimità costituzionale in relazione al principio, sancito dall'art. 25, 2° comma, Cost., di tassatività o suf

ficiente determinatezza della fattispecie penale (sul punto, cfr. Cane

strari, L'illecito penale preterintenzionale, Padova, 1989, 276). IV. - Oggetto dell'incriminazione ex art. 584 c.p. è l'attività diretta

alla realizzazione di uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 c.p., laddove da tali atti sia derivata, quale conseguenza ulteriore non volu

ta, la morte del soggetto passivo anziché l'evento di lesioni o di percos se. «La tipicità dell'omicidio preterintenzionale viene, quindi ancorata

dalla legge alla realizzazione di una condotta intenzionalmente diretta

alla commissione di uno dei delitti citati» (cosi Pataiano, ibid., 252; nello stesso senso Pannato, Omicidio, voce del Novissimo digesto, 1965,

XI, 8730). Per quanto concerne l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art.

581 c.p., la giurisprudenza ritiene comunemente che rientri nel concetto

di percossa ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica, e che

quindi costituiscano percosse le azioni violente produttive di sensazioni

fisiche dolorose prive di alcuna conseguenza morbosa (Cass. 26 feb

braio 1981, Poi, Foro it., Rep. 1982, voce Lesione personale e percosse, n. 4; 3 marzo 1976, Marchetti, id., Rep. 1977, voce cit., n. 3; 31 gen naio 1972, Stasolla, id., Rep. 1973, voce cit., n. 5). Tali sensazioni sono state ravvisate, ad esempio, nell'impatto prodotto da un violento

getto di acqua e dal successivo lancio del secchio che la conteneva (Cass. 22 ottobre 1980, Zerbo, id., Rep. 1981, voce cit., n. 3).

Si segnala, in dottrina, l'indirizzo interpretativo che ravvisa nella sen

sazione di dolore provata dalla vittima l'evento in senso giuridico delle

pecosse, nonostante il legislatore abbia insistito, nella descrizione della

fattispecie, esclusivamente sulla condotta (cfr. Galiani, cit., 141; in senso

contrario, Manzini, cit., 171; Vannini, Delitti contro la vita e l'incolu

mità individuale, Milano, 1958, 100). L'art. 582 c.p., nel disciplinare il reato di lesione personale, indica

nell'evento-malattia l'elemento tipico della fattispecie, consentendo cosi

di ricondurre alla sfera applicativa della norma qualsiasi azione che

sia in rapporto di causalità materiale con tale evento (nella specie, l'e

sclusione del reato di lesioni, con conseguente riconoscimento della sola violenza privata tentata, è stata appunto motivata in base al rilievo

che la forzata ingestione di acqua e sale non sarebbe idonea a produrre effetti definibili «malattia»). La efficacia causale della condotta è con

dizione necessaria ma non sufficiente per la configurazione del delitto

predetto, concorrendo alla caratterizzazione del comportamento vietato

anche l'atteggiamento psicologico del reo.

Sul piano materiale la differenziazione delle figure criminose previste dagli art. 581 e 582 c.p. si fonda sulla condizione negativa dell'assenza, nel reato di percosse, della malattia che invece connota in senso positi vo il reato di lesione personale (orientamento costante in giurispruden za: Cass. 12 ottobre 1983, Ferrario, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n.

8; 30 settembre 1982, Menni, ibid., n. 4; 30 gennaio 1980, Pompa,

id., Rep. 1980, voce cit., n. 15). La determinazione dell'esatta portata del concetto di malattia divide

profondamente la giurisprudenza dalla dottrina penalistica. La giuris

prudenza è costante, infatti, nel ritenere che costituisca malattia qual siasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo umano, richia

mandosi in ciò alla relazione al progetto definitivo del codice Rocco

dove si afferma che per la legge penale «malattia è indistintamente qual siasi alterazione anatomica o funzionale, ancorché localizzata e non im

II Foro Italiano — 1992.

Russo, dal capitano Scala. Le incalzanti contestazioni del pre

detto ufficiale ponevano in palese imbarazzo il Marino, che,

crollato psicologicamente, appariva sul punto di fornire pre

ziosi elementi in ordine all'assassinio del dott. Montana. Lo

svolgimento delle indagini e degli esami testimoniali veniva seguito con vivo interesse da decine di investigatori, esasperati dalle incessanti e sanguinose aggressioni patite ad opera della

criminalità mafiosa, culminate poche ore prima in un ennesi

mo vile agguato nei confronti del dott. Montana. L'interesse

era particolarmente acuito dal diffuso convincimento che il

Marino fosse, in qualche modo, coinvolto nel criminale at

tentato.

pegnativa di condizioni organiche generali» (Relazione ministeriale sul

progetto del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale, Ro

ma, 1929, II, 379; si riportano tra le tante le seguenti pronunzie: Cass.

2 febbraio 1984, De Chirico, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 12; 14

novembre 1979, Miscia, id., Rep. 1980, voce cit., n. 3; 3 marzo 1976,

Marchetti, id., Rep. 1977, voce cit., n. 4; 21 febbraio 1969, Negri, id.,

Rep. 1969, voce cit., n. 10). Tale linea interpretativa è fortemente criticata dalla dottrina preva

lente, la quale sottolinea come, sotto il profilo medico, la nozione di malattia sia correlata all'alterazione funzionale e non alla semplice alte

razione anatomica (Baima Bollone-Zagrelbesky, Percosse e lesioni per sonali, Milano, 1975, 15 ss.; Gaiiani, cit., 144 ss.; Pannain, Lesioni

e percosse (diritto penale comune), voce del Novissimo digesto, 1963,

IX, 746; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano,

1972, I, 67). Sono rare e costituiscono un indirizzo minoritario le deci

sioni giurisprudenziali che hanno accolto l'interpretazione del concetto di malattia proposta dalla dottrina (Trib. Ferrara 3 marzo 1977, Foro

it., 1977, II, 302; Cass. 11 luglio 1952, Mangiafico, id., Rep. 1952, voce cit., n. 18; 9 maggio 1952, Rossato, ibid., n. 17).

L'elemento soggettivo dei reati di percosse e di lesione personale può essere oggetto di una considerazione unitaria: è opinione comunemente

diffusa, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il dolo di entrambi

i reati si esaurisca nella coscienza e volontà di colpire fisicamente una

persona, e quindi di attentare alla incolumità fisica altrui (Cass. 12 no

vembre 1987, Tarondo, id., Rep. 1988, voce cit., n. 9; 11 giugno 1985,

Bellomo, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2; 3 febbraio 1984, Dal Pozzo,

id., Rep. 1985, voce cit., n. 5; 9 giugno 1982, Masitti, id., Rep. 1983, voce cit., n. 7; 4 maggio 1979, Barcio, id., Rep. 1980, voce cit., n.

13; 15 dicembre 1978, Mocci, id., Rep. 1979, voce cit., n. 4; 16 dicem

bre 1977, Prandi, id., Rep. 1978, voce cit., n. 2; in dottrina, cfr. Man

zini, cit., 216; Pannain, cit., 758; Vannini, cit., 122). Dalla analisi delle fattispecie incriminatrici disciplinate dagli art. 581,

582 e 584 si ricava che la condotta del reato di omicidio preterintenzio nale si identifica, sotto il profilo materiale, con quella dei delitti di

percosse o di lesione personale. Poiché i suddetti reati sono a forma

libera, ben potendo la lesione o la percossa essere realizzata nei modi

più svariati, deve concludersi nel senso che costituisce caratteristica im

prescindibile dell'atto diretto a ledere o a percuotere la capacità di dan

neggiare il bene dell'incolumità individuale, cui si aggiunge la intrinseca

pericolosità dello stesso rispetto al bene della vita.

La realizzazione di una condotta cosi caratterizzata sotto il profilo

oggettivo non è però sufficiente, di per sé, ad integrare la tipicità della

fattispecie preterintenzionale, essendo necessario a questo fine che il

reo abbia agito animo laedendi (Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Lucca, 1872, I, par. 1103).

Si possono prospettare diverse ipotesi nelle quali è proprio il conte

nuto della intenzionalità dell'agente ad essere determinante per la quali ficazione giuridica della condotta: cosi nell'ipotesi di uno schiaffo in

ferto al solo fine di ingiuriare la vittima (Cass. 10 giugno 1982, Pittelli, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 4; 15 marzo 1957, De Luca, id., Rep.

1957, voce cit., n. 8; 29 giugno 1979, Gobetti, id., Rep. 1980, voce

cit., n. 16; 12 marzo 1956, Fanti, id., Rep. 1956, voce cit., n. 5), ed

ancora nel caso di una spinta data ad una persona allo scopo di allonta

narla dal posto (Cass. 3 dicembre 1953, Buonsante, id., Rep. 1954,

voce cit., n. 16, che esclude in questa ipotesi il dolo di lesioni).

Negli esempi sopra riportati, la tenuità dell'offesa arrecata al bene

della integrità fisica, unitamente all'intenzione dell'agente di ledere i

beni giuridici dell'onore e della libertà morale del soggetto passivo, con sentono di ravvisare gli estremi dei reati di ingiuria e di violenza priva ta. Pertanto, in caso di morte della vittima, si deve escludere la respon sabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, configurandosi il model

lo di responsabilità aberrante delineato dall'art. 586 c.p. (cfr. Patalano,

cit., 253; Pannain, Omicidio, cit., 873; Stile, cit., 151). [G. Sceusa]

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PARTE SECONDA

Sullo sfondo di tale scenario, caratterizzato, nel più assoluto

rispetto della legalità, da un impegno spasmodico, si apriva una

fase, inizialmente nebulosa, che avrebbe trovato il suo tragico

epilogo nella morte del Marino e che solo successive indagini avrebbero consentito di ricostruire.

Alle ore 7 circa del 2 agosto 1985 il questore di Palermo dott.

Giuseppe Montesano e il dirigente della squadra mobile dott.

Francesco Pellegrino si recavano nella casa di abitazione del

procuratore della repubblica dott. Vincenzo Paino, al quale da

vano notizia della morte, per cause ancora imprecisate, del Ma

rino. Nel primo pomeriggio del 2 agosto 1985 alla segnalazione orale faceva seguito una segnalazione scritta (firmata congiun tamente dal dott. Pellegrino e dal capitano Scala), nella quale si riferiva che il Marino, momentaneamente isolato in una stan

za, era stato, dopo pochi minuti, rinvenuto mentre si dibatteva

a terra verosimilmente in preda a una crisi nervosa e, accompa

gnato immediatamente al pronto soccorso del locale ospedale

civico, vi era giunto privo di vita. Tale versione dei fatti veniva

avallata in altra segnalazione in data 2 agosto 1985, firmata

soltanto dal dott. Pellegrino, e ribadita in un rapporto giudizia rio in data 4 agosto 1985, firmato dal dott. Pellegrino. Intanto,

l'ispezione esterna consentiva di accertare la presenza sul cada

vere di evidenti segni di molteplici traumatismi esterni. Con no

ta in data 8 agosto 1985 il questore riferiva al procuratore della

repubblica di avere appreso dal dott. Michele Gagliano, funzio

nario della polizia di Stato, che il Marino alle ore 4 circa del

2 agosto 1985 era stato condotto dalla stanza del dott. Russo

in altra stanza, nella quale era stato, dapprima, ripetutamente

percosso e malmenato e, poi, costretto alla forzata ingestione di acqua e sale. Il contenuto di tale nota e l'esito degli accerta

menti medico-legali imponevano l'avvio di approfondite indagi

ni, dirette ad identificare responsabili e cause della morte del

Marino.

Alla luce delle prime risultanze il p.m. in data 9 ottobre 1985

emetteva ordine di cattura nei confronti di Russo Giuseppe, An

zalone Alfredo, Mirenda Francesco, Cicero Antonino, Branca zio Francesco, Marchese Pietro, Lercara Giuseppe, Mondo Na

tale, Guadagnolo Antimo e Wanvestraut Antonio quali respon sabili del delitto di omicidio preterintenzionale.

Sulla base delle ulteriori risultanze il p.m. in data 16 ottobre

1985 emetteva ordine di cattura con identica imputazione anche

nei confronti di Scala Gennaro, Scanio Cesare, Leccadito Da

miano, Pellegrino Francesco, Milia Giovanni, Belloni Angelo e Di Lanno Ciro; veniva, altresì', addebitato il delitto di cui

all'art. 479 c.p. allo Scala in riferimento alla segnalazione a

sua firma nonché al Pellegrino in relazione alle due segnalazio ni ed al rapporto a sua firma.

In data 28 ottobre 1985 il p.m. trasmetteva gli atti per la

formale istruzione al giudice istruttore, il quale, tra l'altro, in

data 10 gennaio 1986 emetteva mandato di cattura nei confron

ti di Tignola Angelo. Ad istruzione ultimata, il p.m. formulava le sue definitive

richieste. Gli atti venivano ritualmente depositati e decorrevano

i termini di rito anche in ordine alle proroghe chieste da alcuni difensori e concesse dal g.i.

Nel frattempo, su richiesta della procura generale della re

pubblica di Palermo, la Corte di cassazione con provvedimento del 10 marzo 1986, depositato il 14 marzo 1986, ordinava la

rimessione degli atti al g.i. di Caltanissetta, dichiarando la vali

dità degli atti già compiuti. Con ordinanza del 7 ottobre 1986 il g.i. di Caltanissetta, ac

cogliendo integralmente le richieste formulate dal p.m., ordina

va il rinvio degli attuali imputati al giudizio di questa corte di assise.

All'udienza dibattimentale tutti gli imputati ritualmente avan

zavano istanza di celebrazione del processo col rito abbreviato. Tale istanza, sorretta dal consenso del p.m., veniva accolta da

questa corte di assise. Si procedeva, in camera di consiglio, alla

discussione, nel corso della quale il p.m. e i difensori degli im

putati concludevano come in verbale.

Diritto. — Le deposizioni dei numerosi testi escussi, gli inter

rogatori resi dagli imputati, le risultanze della perizia autoptica

Il Foro Italiano — 1992.

e i rapporti in atti consentono una ricostruzione della dinamica

dei fatti ragionevolmente aderente alla realtà.

Sino alle ore 4 del 2 agosto 1985 gli investigatori, pur profon dendo uno spasmodico impegno nello svolgimento delle indagi

ni, condotte con acume ed intelligenza, avevano operato nel

più rigoroso rispetto delle norme. Era questo il momento in

cui l'intenso stress psico-fisico e il diffuso e crescente convinci

mento che il Marino fosse sul punto di cedere di fronte alle

incalzanti contestazioni e di rivelare elementi preziosi per lo svi

luppo delle indagini creavano un'atmosfera densa di tensione;

l'inopportuno scatto d'ira del Pellegrino, il quale schiaffeggiava il Marino, intimandogli di dire la verità, era il detonatore di una furente reazione a catena; il Marino veniva immediatamen

te afferrato e trascinato dalla stanza del Russo a quella del ma

resciallo Abriano, ove veniva duramente malmenato. Perentori

inviti a parlare si intercalavano alle percosse. Il Marino veniva

steso su due tavolinetti accostati e sottoposto ad una serie di

atti violenti, lesivi della sua integrità fisica. Di fronte ai persistenti dinieghi del Marino, Mondo Natale

proponeva il ricorso al trattamento con acqua e sale: aveva, in tal modo, inizio quella seconda fase, che tanto tragicamente, nel volgere di pochi minuti, si sarebbe conclusa.

Sulla base di tale sintetica ricostruzione, ritiene questa corte

di assise che, nei fatti, debbano ravvisarsi, anzitutto, gli estremi

del delitto di tentativo di violenza privata finalizzato al conse

guimento mediante uso di violenza di notizie da parte del Mari

no che, iniziato con gli schiaffi inferti dal Pellegrino, si è pro tratto con le molteplici percosse e lesioni e si è concluso con

la forzata immissione di acqua e sale nella bocca del Marino;

tale delitto, pur se, non essendo stato ritualmente contestato

agli imputati, non appare suscettibile di sanzione, ben può a

fini diversi assumere giuridica rilevanza.

A tal punto, è necessario esaminare le risultanze della perizia

autoptica. I periti hanno riferito: che la morte del Marino è

stata determinata dalla penetrazione accidentale nelle vie aeree

di un tubo e di scarsa quantità di acqua, che intenzionalmente

avrebbe dovuto essere immessa nello stomaco; che l'unica con

dizione patologica preesistente (una epimiocardite di probabile natura virale) non avrebbe potuto provocare da sola la morte

del Marino; che l'ipotesi di una morte inibitoria, conseguente alla brusca stimolazione da trauma confusivo di aree reflessoge

ne, non era compatibile con il quadro istologico polmonare e con la presenza nelle vie aeree di schiuma, prodotta in parte dalla emulsione acqua-aria-muco ed in parte dall'edema polmo

nare; che le molteplici lesioni traumatiche, riscontrate sul cada

vere, sia pure considerate nel loro complesso, da sole con mec

canismo diretto non apparivano idonee a cagionare la morte

del Marino ed erano compatibili con la sopravvivenza. Le risultanze della perizia autoptica, che, sorrette da adegua

ta e convincente motivazione, meritano di essere condivise, com

portano rilevanti conseguenze sul piano giuridico. Il tentativo di violenza privata in pregiudizio del Marino si

estrinseca in due fasi successive, pur se ininterrottamente nella

prima fase la violenza viene esercitata mediante percosse e le

sioni; nella seconda fase la violenza posta in essere mediante

la forzata immissione di acqua e sale nella bocca del Marino.

Or, se la morte del Marino fosse stata determinata da atti

diretti a percuotere o a ledere, ineccepibile sarebbe stata la con

figurazione nel fatto del delitto di cui all'art. 584 c.p.

Poiché, invece, l'evento mortale è riferibile all'adozione del trattamento con acqua e sale (finalizzato al conseguimento di

informazioni), va ravvisata nel fatto la fattispecie criminosa di

cui all'art. 586 c.p. Vero è che la nozione di «atti diretti a percuotere o a ledere»

è estremamente elastica e tale da ricomprendere le ipotesi più

disparate; ma è pur vero che vano sarebbe ogni sforzo interpre tativo tendente a configurare quale «atto diretto a percuotere o a ledere» la forzata immissione in bocca di acqua e sale, dalla

cui ingestione nello stomaco possono scaturire solo modeste con

trazioni viscerali o scariche diarroiche, assolutamente inidonee

a cagionare uno stato di malattia.

Alla luce di tali considerazioni, va mutata la qualificazione

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GIURISPRUDENZA PENALE

giuridica del fatto in esame, nel senso che debbano ravvisarvisi

gli estremi non già del reato di cui all'art. 584 c.p. bensì' del

reato di cui allo art. 586 c.p., ritenendo l'evento mortale conse

guente al tentativo di violenza privata operato in pregiudizio del Marino.

Da siffatte conclusioni consegue che la responsabilità penale in ordine alla morte del Marino va circoscritta e identificata

in capo ai soggetti, che, comunque, hanno ricoperto un ruolo

causalmente efficiente nel trattamento con acqua e sale.

Non può, anzitutto, disconoscersi la rilevanza nella vicenda

del ruolo del dott. Francesco Pellegrino, dirigente, all'epoca dei

fatti, della squadra mobile di Palermo; egli, introdottosi alle ore 4 del 2 agosto 1985, nella stanza del dott. Russo, reso edot

to delle palesi contraddizioni del Marino nel corso dell'interro

gatorio, condotto dal capitano Scala, in uno scatto d'ira schiaf

feggiava il Marino, intimandogli di rivelare la verità. Il com

portamento del Pellegrino era il detonatore, che determinava

l'esplosione della tensione, accumulatasi col trascorrere delle ore e col radicarsi del convincimento del coinvolgimento del Mari

no nel vile assassinio del dott. Montana: iniziava il brutale in

terrogatorio, inframmezzato da pugni, schiaffi e torture di ogni

genere, finalizzato al conseguimento di rivelazioni utili alla iden

tificazione degli assassini. Tali circostanze sono pacifiche, in

quanto sono state ricostruite sulla base delle concordi e univo

che dichiarazioni di testi e imputati. Incombeva sul Pellegrino, in virtù delle sue funzioni di diri

gente della squadra mobile, lungi dall'innescare col suo com

portamento una tragica reazione a catena, il dovere specifico di intervenire e di disporre l'isolamento del Marino in cella di

sicurezza, in attesa della ripresa dell'interrogatorio in condizio

ni di legalità. Il Pellegrino, inoltre, non si limitava a schiaffeg giare il Marino, ma, con la sua prolungata presenza nella stan

za del maresciallo Abriano, nella quale il Marino era stato tra

scinato dopo gli schiaffi, avallava l'illegale interrogatorio. La

presenza o meno del Pellegrino all'inizio della fase del tratta

mento con acqua e sale appare giuridicamente irrilevante, giac ché le sue funzioni di dirigente della squadra mobile gli impone vano di intervenire in modo deciso e tempestivo per impedire il tentativo di violenza privata (finalizzato ad ottenere dal Mari

no le chieste notizie mediante l'uso di una serie di atti di

violenza). La circostanza che il Pellegrino, invece, si sia allontanato,

andandosene a casa, nonostante fosse perfettamente consape vole di quel che succedeva, aggrava ulteriormente la sua posi zione e sottolinea ancor più la sua piena adesione al comporta mento irresponsabile dei suoi sottoposti.

Peraltro, va evidenziato che il doveroso intervento del Pelle

grino con l'isolamento del Marino in cella di sicurezza avrebbe

sicuramente impedito non solo la prosecuzione dell'attività cri

minosa in atto senza pause né interruzioni di sorta ma anche

la conseguente morte del Marino.

Conseguentemente, va affermata la penale responsabilità di

Pellegrino Francesco in ordine al reato di cui all'art. 586 c.p. Parimenti rilevante è il ruolo nella vicenda del dott. Giuseppe

Russo, dirigente, all'epoca dei fatti, della seconda sezione della

squadra mobile, alla quale competevano le indagini sull'assassi

nio del dott. Montana. Invero, il Marino, avuta notizia degli accertamenti sul suo conto, si presentava, previo accordo, ac

compagnato dall'avv. Giuseppe Castorina, proprio al Russo, ti

tolare della inchiesta. L'affidamento del Marino dall'avv. Ca

storina al Russo poneva quest'ultimo nella posizione di garante nei riguardi del Marino stesso. Iniziati gli atti di violenza sul

giovane, incombeva sul Russo, in virtù di tale sua posizione di garante nonché delle sue funzioni di dirigente della compe

tente sezione della squadra mobile, il dovere specifico ed impe

rioso di intervenire decisamente al fine di fare cessare gli atti

di violenza, presso i suoi sottoposti o presso il dirigente della

squadra mobile o, se necessario, presso il questore.

L'intervento del Russo avrebbe, indubbiamente, impedito la

prosecuzione e la tragica conclusione dell'illegale interrogatorio.

Ma sul Russo, parimenti che sul Pellegrino, grava la respon sabilità di un comportamento non solo meramente omissivo,

Il Foro Italiano — 1992.

pur in presenza di uno specifico dovere, ma anche pienamente

adesivo tale da configurare l'ipotesi del concorso criminoso. L'in

tento di indurre il Marino a fornire le chieste notizie, mediante

l'uso della violenza, animava il Pellegrino e il Russo al pari di tanti altri coimputati.

Inoltre, della presenza attiva e particolarmente aggressiva del Russo nella stanza del maresciallo Abriano durante tutte le fasi

del brutale interrogatorio del Marino sino a quella conclusiva

del trattamento con acqua e sale hanno riferito numerosi testi

e quasi tutti i coimputati: l'ipotesi di una congiura tendente

al coinvolgimento del Russo nella vicenda appare assolutamente

inverosimile sia perché è priva di riscontri sia perché deposizio ni e interrogatori sono sul ruolo del Russo univoci e circostanziati.

Pertanto, va affermata la penale responsabilità anche del Russo

in ordine al delitto di cui all'art. 586 c.p.

Analogo giudizio va adottato nei riguardi di Milia Giovanni.

Costui, nella fase iniziale del trattamento con acqua e sale, po stosi in piedi su una scrivania, reggeva, versandovi da una bot

tiglia acqua e sale, una delle estremità del tubo di gomma, in

trodotto nella bocca del Marino: tale circostanza, riferita da

testi e coimputati, è stata ammessa dallo stesso Milia.

Di particolare evidenza appare, anche, la responsabilità di Ci

cero Antonino, il quale, postosi a cavalcioni sul Marino, diste

so su due tavolinetti accostati, gli comprimeva ritmicamente con

le mani il torace e l'addome al fine di costringerlo a ingerire

l'acqua salata: tale circostanza non solo è stata riferita da di

versi testi e coimputati e, in particolare, con dovizia di dettagli, dal Guadagnolo e dal Wanvestratut ma è stata ammessa dallo

stesso Cicero, il quale, tuttavia, ha addotto, a giustificazione della manovra, un presunto spirito infermieristico in favore del

Marino, in difficoltà. Quello di Cicero appare mero espediente

difensivo, ove si consideri che la manovra venne effettuata mentre

sul Marino, disteso sui due tavolinetti accostati, veniva eseguito il trattamento, con acqua e sale e che solo dopo il malessere

il Marino venne immediatamente deposto a terra e soccorso.

Dalle deposizioni di quasi tutti i testi e dagli interrogatori di quasi tutti gli imputati risulta, altresì con riferimento alla

fase del trattamento con acqua e sale: che Scanio Cesare aveva

tenuto nella bocca del Marino l'imbuto, nel quale veniva versa

ta l'acqua, e, poi, aveva tenuto la testa incappucciata del Mari

no per agevolare la immissione del liquido; che Leccadito Da

miano, tra l'altro, aveva immobilizzato il braccio destro del Ma

rino per impedirne la reazione alla forzata immissione di acqua e sale; che Brancazio Francesco si era alternato con lo Scanio

nel tener ferma la testa del Marino; che Lercara Giuseppe aveva

tenuto, per un certo tempo, nella bocca del Marino prima il

tubo di plastica e poi l'imbuto; che Marchese Pietro aveva im

mobilizzato il braccio sinistro del Marino; che Di Lanno Ciro

non solo si era alternato col Marchese nella immobilizzazione

del braccio sinistro del Marino ma aveva anche procurato l'im

buto destinato a sostituire il tubo, rivelatosi inidoneo.

Peraltro, gli stessi predetti imputati hanno ammesso, pur re

stringendo entro limiti temporali esigui e pur adducendo invero simili motivazioni umanitarie in favore del Marino, la loro atti

va partecipazione alla fase del trattamento con acqua e sale nei

ruoli differenziati sopra specificati.

Pertanto, va affermata anche la penale responsabilità di Sca

nio Cesare, Leccadito Damiano, Brancazio Francesco, Lercara

Giuseppe, Marchese Pietro e Di Lanno Ciro in ordine al reato

di cui all'art. 586 c.p. La incensuratezza dei condannati, il clima di particolare ten

sione, in cui l'evento è maturato e il terrificante contesto sociale

palermitano (in cui l'assassinio di magistrati, di politici e di po liziotti impegnati nella lotta contro la criminalità mafiosa è di venuto, ormai, fatto di ordinaria amministrazione, da cui sca

turiscono solo le solite indignazioni verbali di rito in occasione

dei consueti funerali di Stato e non quegli interventi massicci

di ordine sociale, preventivo e repressivo, richiesti dalla estrema

gravità della situazione) impongono la concessione delle circo

stanze attenuanti generiche in favore di tutti i condannati: le

tante vittime innocenti (colpevoli solo di aver voluto compiere

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PARTE SECONDA

con coraggio e fermezza il loro dovere di fedeli servitori dello

Stato) portate a spalla da gran parte dei condannati, pur se

non giustificano l'illegalità del brutale interrogatorio del Mari

no (legato a personaggi di spicco della mafia palermitana), co

stituiscono, tuttavia, la sanguinante cornice, in cui l'episodio va racchiuso.

È stata, altresì', tempestivamente operata offerta reale di ri

sarcimento del danno, respinta dai congiunti del Marino.

La somma offerta (lire centomilioni) appare congrua, ove si

consideri che lo Stato concede somma di pari importo ai con

giunti delle vittime della mafia; conseguentemente, va concessa

agli offerenti la relativa circostanza attenuante.

Le due concesse circostanze attenuanti vanno dichiarate equi valenti a tutte le circostanze aggravanti.

Tenuto conto della personalità e del comportamento dei con

dannati nonché delle modalità e della gravità del fatto, appare conforme a giustizia determinare per tutti la pena base in anni

tre di reclusione.

Su detta pena va operata la riduzione di un terzo, conseguen te alla adozione del rito abbreviato.

Conseguentemente, Pellegrino Francesco, Russo Giuseppe, Mi

lia Giovanni, Cicero Antonino, Scanio Cesare, Leccadito Da

miano, Brancazio Francesco, Lercara Giuseppe, Marchese Pie

tro e Di Lanno Ciro vanno condannati alla pena di anni due

di reclusione ciascuno nonché tutti in solido al pagamento delle

spese processuali e ciascuno di essi di quelle del proprio mante

nimento in carcere durante la custodia cautelare.

Va, altresì, inflitta a ciascuno dei condannati la pena accesso

ria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni due.

Tenuto conto delle circostanze tutte di cui all'art. 133 c.p.,

presumendosi che si asterranno dal commettere ulteriori reati,

possono a tutti i condannati concedersi i benefici della sospen sione condizionale della pena della reclusione e della pena ac

cessoria nonché della non menzione della condanna.

Va dichiarato non doversi procedere nei confronti di Mondo

Natale, presunto ideatore del trattamento con acqua e sale, as

sassinato dopo il rinvio a giudizio. Va, a tal punto, esaminata la posizione del dott. Giuseppe

Sardo, funzionario della polizia di Stato. La maggior parte dei

coimputati ha riferito che il Sardo aveva colpito il Marino con

un nerbo alla pianta dei piedi in maniera talmente lieve e poco efficace da essere subito sostituito in tale opera dal Leccadito:

è questa l'unica accusa pienamente riscontrata, mossa al Sardo,

il quale ha sostenuto, senza essere smentito in modo chiaro ed

univoco da alcuno, di essersi allontanato dalla stanza del mare

sciallo Abriano e di non avere avuto percezione degli ulteriori

sviluppi della vicenda. Né può affermarsi che il Sardo avesse il dovere giuridico di

interrompere l'illecita attività in corso, in quanto tale dovere

specifico incombeva sul Pellegrino e sul Russo; peraltro, anche

un suo eventuale intervento sarebbe stato, attese le sue funzioni

ed il suo peso in seno alla squadra mobile, assolutamente inido

neo ed inefficace.

Poiché non è stata acquisita prova alcuna che il Sardo, esau rita la sua iniziale opera, abbia svolto ulteriore attività in pre

giudizio del Marino, la sua responsabilità va circoscritta nel

l'ambito di tale fase ed agli atti compiuti, ravvisandosi nel suo

comportamento l'ipotesi della desistenza volontaria.

Conseguentemente, il Sardo va ritenuto responsabile del de

litto di lesioni (che, attesa la modestissima violenza dei colpi inferti, vanno qualificate di tipo lieve) e va da tale addebito prosciolto per intervenuta amnistia.

Analoghe considerazioni e analogo giudizio vanno formulati

nei riguardi di Belloni Angelo; costui, nella fase iniziale dei mal trattamenti, si poneva a cavalcioni sulle gambe del Marino, per immobilizzarlo mentre gli si percuotevano le piante dei piedi e, non riuscendo nel suo intento, provvedeva a legargli le gam be con una corda. Non v'è prova alcuna che il Belloni abbia

spiegato nel prosieguo dei maltrattamenti altra attività; vero è

che Lercara Giuseppe ha riferito di averlo visto «a cavallo dei

piedi» del Marino durante il trattamento con acqua e sale ma

tale riferimento appare errato, ove si consideri che, pur se senza

Il Foro Italiano — 1992.

soluzione di continuità temporale, la fase delle percosse alle piante dei piedi del Marino è precedente a quella del trattamento con

acqua e sale e la presenza attiva del Belloni viene collegata,

appunto, alla prima fase e non già alla seconda; peraltro, è

pacifico che, durante la fase del trattamento con acqua e sale,

a cavalcioni sul Marino si era posto il Cicero con una ben speci fica funzione: non si comprende per quale fine contemporanea anche il Belloni, durante tale fase, avrebbe dovuto stazionare

a cavalcioni sul Marino, le cui gambe, peraltro, erano state già

legate durante la prima fase per impedirgli di sottrarsi ai colpi alle piante dei piedi.

Conseguentemente, anche la responsabilità del Belloni va cir

coscritta nell'ambito degli atti compiuti (concorso in lesioni vo

lontarie), che, attesa la loro entità, vanno ritenute lievi; solo

ad abundantiam va osservato che il Belloni, attese le sue fun

zioni di semplice agente della polizia di Stato, non avrebbe po tuto in alcun modo impedire la prosecuzione dell'attività crimi

nosa in corso.

Il delitto di lesioni volontarie lievi, di cui, per l'avvenuta de

sistenza volontaria, il Belloni va ritenuto colpevole, è estinto

per intervenuta amnistia.

Estremamente inconsistenti appaiono gli elementi acquisiti a

carico di Tignola Angelo: invero, alla di lui identificazione il giudice istruttore è pervenuto attraverso un riconoscimento fo

tografico, operato dall'agente della polizia di Stato D'Accardio

(i cui contatti col Tignola non erano certamente quotidiani), della cui efficacia probatoria è doveroso, quanto meno, dubita

re, non risultando acquisita agli atti neppure la fotografia usata

per l'esibizione.

Vero è che diversi imputati hanno addebitato ruoli attivi nel

la vicenda a un carabiniere con determinate caratteristiche fisi

che e dall'accento campano: ma non v'è prova sicura e convin

cente che detto carabiniere (attesa la presenza quella notte nei

locali della squadra mobile di diversi militari dell'arma) possa identificarsi nel Tignola. L'opportuna attività (confronti, rico

gnizioni, ecc.) nel corso della formale istruzione avrebbe fugato

qualasiasi dubbio con la identificazione del responsabile ad opera

degli accusatori.

Peraltro, il Tignola, se avesse partecipato attivamente ai mal

trattamenti in pregiudizio del Marino, difficilmente avrebbe avuto

l'opportunità di sdraiarsi comodamente e di addormentarsi su

un divano nel corridoio, subendo lo scherzo della bruciacchia

tura dei baffi con l'accendisigari da parte del capitano Scala.

Per le suesposte considerazioni, il Tignola va assolto per non

aver commesso il fatto.

Assolutamente inconsistenti sono gli elementi accusatori ad

dotti a carico del dott. Alfredo Anzalone.

Vero è che qualche coimputato ha riferito della saltuaria pre senza dell'Anzalone nella stanza del maresciallo Abriano ma

non risulta che lo stesso abbia intrapreso attività alcuna, nep

pure sotto forma di concorso o di avallo o di adesione psichica, in pregiudizio del Marino. Pur a voler ammettere che, giusta

quanto riferito dal coimputato Lercara Giuseppe, l'Anzalone

sia intervenuto presso il Russo per invitarlo a fare «trattare» dalla seconda sezione il Marino, v'è da rilevare che della nozio

ne di «trattamento» è stata operata una interpretazione ingiusti ficatamente maliziosa: invero, l'intervento dell'Anzalone ben po teva tendere a investire il Russo, dirigente della seconda sezione

della squadra mobile e titolare dell'inchiesta, della prosecuzione

degli accertamenti nell'ambito della legalità, sino a quel mo

mento non travalicato, consentendo l'allontanamento di coloro

che alle indagini non erano più interessati.

Sono, peraltro, rimaste prive del ben che minimo riscontro

le generiche accuse del capitano Scala. Né può assumere rile

vanza probatoria, in difetto di altri elementi, il comportamento tenuto dall'Anzalone in epoca successiva alla morte del Marino.

Esaurito, con esito negativo, l'esame del comportamento del

l'Anzalone sotto l'aspetto commissivo, v'è da accertare se il pre detto funzionario avesse il dovere e il potere di impedire l'ille

gale interrogatorio del Marino. Pur a voler ammettere che il

generico dovere connesso con le funzioni, rivestite dall'Anzalo

ne, di commissario della polizia di Stato e di ufficiale di po

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Page 7: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altri

GIURISPRUDENZA PENALE

lizia giudiziaria, possa identificarsi con l'obbligo specifico ri

chiesto dall'art. 40, cpv., c.p. (circostanza certamente non paci

fica), un eventuale intervento dell'Anzalone, attesa la sua mo

desta anzianità di carriera ed il suo peso in seno alla squadra

mobile, sarebbe stato assolutamente inidoneo ed inefficace sia

perché il Pellegrino ed il Russo, suoi superiori gerarchici, aval lavano concretamente e attivamente l'illegale operato sia perché v'era una tensione tale da scoraggiare qualsiasi iniziativa caren

te della necessaria autorevolezza.

Alla luce di tali considerazioni, l'Anzalone va assolto per non

aver commesso il fatto.

Analoghe considerazioni vanno spiegate in ordine alla posi zione del capitano Gennaro Scala. Non esiste il minimo indizio

che lo Scala abbia posto in essere atti pregiudizievoli di sorta

nei confronti del Marino; v'è, di contro, la prova, acquisita attraverso dichiarazioni univoche e concordi di diversi coimpu

tati, di un aperto dissenso dello Scala; tale dissenso, ripetuta mente manifestato, è stato, però, espresso in forma scarsamen

te incisiva anche perché lo Scala era ospite nei locali della squa dra mobile ed aveva una semplice funzione di collaborazione

nello svolgimento delle indagini. Peraltro, il potere di interven

to dello Scala sarebbe stato circoscritto e limitato ai militari

dell'arma, presenti in numero estremamente esiguo rispetto agli

appartenenti alla polizia di Stato, e, in ogni caso, certamente

non avrebbe impedito la prosecuzione della illecita attività ed

il conseguente mortale evento.

Conseguentemente, anche lo Scala va assolto dal reato di cui

all'art. 586 c.p., cosi modificata l'originaria imputazione, per non aver commesso il fatto.

Per quel che riguarda le imputazioni di falsità ideologica, mosse

allo Scala ed al Pellegrino, osserva la corte di assise che erronea

appare la qualificazione giuridica del fatto.

Invero, la segnalazione ed il rapporto giudiziario, pur rive

stendo la natura di atti pubblici, non sono destinati di per sé

a provare la verità dei fatti esposti e a ledere la pubblica fede,

giacché, diversamente argomentando, si perverrebbe alla aber

rante conclusione che detti atti assumerebbero la natura di mez

zi di prova con la ovvia conseguenza che, ogniqualvolta che

ne venisse disattesa la veridicità, dovrebbe procedersi ex art.

479 c.p. a carico degli estensori.

La segnalazione ed il rapporto sono, invece, atti pubblici giu

diziari, la cui omissione, falsità o reticenza sono espressamente

ipotizzati e sanzionate nell'ambito dei delitti contro l'ammini

strazione della giustizia: la prevalenza del principio di specialità costituisce norma pacificamente recepita nel nostro ordinamen

to giuridico. Nella fattispecie in esame, le segnalazioni ed il rapporto, lun

gi dal rivestire natura fidefaciente, erano stati redatti, dopo una

tormentata e collegiale manipolazione in più sfere, allo scopo di orientare le indagini verso la prospettata ipotesi della acci

dentalità della morte del Marino.

La reticenza e la falsità degli atti in questione integrano, a

giudizio di questa corte di assise, gli estremi del delitto di cui

all'art. 378 c.p. e in tal senso va mutata la qualificazione giuri dica del fatto.

Poiché detti atti sono stati compilati anche allo scopo di evi

tare al Pellegrino ed allo Scala il gravissimo nocumento conse

guente alla instaurazione di un procedimento penale con preve

dibili restrizioni nella libertà personale, appare giuridicamente

corretto riconoscere la sussistenza della esimente speciale di cui

all'art. 384 c.p. in favore del Pellegrino e dello Scala, nei cui

confronti va pronunciata, limitatamente a tali fatti, sentenza

di assoluzione.

Il Foro Italiano — 1992.

TRIBUNALE DI BARI; TRIBUNALE DI BARI; sentenza 24 settembre 1991; Giud. ind.

prel. Ciccarelli; imp. Chiddo e altri.

Tributi in genere — Emissione di fatture per operazioni inesi

stenti — Contratto di «lease back» — Reato — Esclusione

(D.l. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione della

evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiun

to e per agevolare la definizione delle pendenze in materia

tributaria, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, conversione in leg

ge, con modificazioni, del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 1).

Nello schema contrattuale della c.d. locazione finanziaria di ri

torno please back,), le singole operazioni finanziarie non sono

configurabili come inesistenti, per cui l'utilizzazione delle re

lative fatture non integra il delitto di cui all'art. 4, 1° com

ma, n. 5, l. 516/82. (1)

Svolgimento del processo. — A seguito di rapporto penale della guardia di finanza (comando di Terlizzi ) in data 10 marzo

1989, il p.m. promuoveva nei confronti di Chiddo Pasquale,

(et coeteri) indagini preliminari che si concludevano con la ri chiesta di rinvio a giudizio dei medesimi, in relazione ai reati

specificati in rubrica. All'udienza preliminare del 5 febbraio 1991 il g.i.p., rilevata

la mancata notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preli minare all'imputato Maselli Domenico, rinviava il procedimen to a nuovo ruolo.

Successivamente, all'udienza preliminare del 23 maggio 1991

il p.m. chiedeva, allo scopo di poter esaminare le voluminose

memorie difensive presentate dai difensori, di formulare le ri

chieste definitive ad una successiva udienza. Il g.i.p., considera

ta la non opposizione dei difensori, rinviava all'udienza del 24

settembre 1991 la formulazione delle richieste conclusive.

All'odierna udienza preliminare il g.i.p. provvedeva a riunire

il procedimento in esame a quello n. 1032/91 pendente nei con

fronti di Campanile Maria Annunziata per il reato di cui al

l'art. 4, 1° comma, nn. 5 e 7, 1. 516/82, rilevando evidenti

ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.

Il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio di tutti gli imputati per i reati indicati in rubrica. I difensori chiedevano il prosciogli mento degli imputati per la insussistenza dei fatti in relazione

alla emissione ed utilizzazione delle fatture, e perché i fatti non

costituiscono reato in relazione alla emissione delle bolle di ac

compagnamento .

Rileva il g.i.p. che la valutazione del comportamento degli

imputati per la individuazione della responsabilità penale degli

stessi in riferimento ai reati di cui ai capi A), B) e C) della rubrica, richiede alcune preliminari considerazioni sulla natura

ed il tipo delle operazioni commerciali cui sono da rapportare

i fatti in esame; rendendosi necessario, in particolare, verificar

ne l'inquadramento nello schema contrattuale della c.d. loca

zione finanziaria di ritorno (lease back). Il lease back, figura

negoziale recentemente delineatasi nella pratica commerciale, è

configurabile come il contratto in base al quale un soggetto tra

sferisce ad una società finanziaria il titolo di proprietà di un

(1) Non risultano altri precedenti in ordine alla eventuale rilevanza

penale della c.d. locazione finanziaria di ritorno (lease back). Per ogni più ampio riferimento sulle caratteristiche di questo specifi

co schema contrattuale, nonché sull'orientamento interpretativo seguito in sede civilistica, v. in generale De Nova, Il «.lease back», in Riv.

it. leasing, 1987, 517 ss.; Id., Nuovi contratti, Torino, 1990, 233 ss.;

Monticelli, Il leasing, in I contratti atipici. Giurisprudenza sistematica

di diritto civile e commerciale. I contratti in generale diretto da G. Al

pa e M. Bessone, Torino, 1991, II, 1° tomo, 173 ss.; nonché Simone, «Lease back»: cronaca dì una morte annunciata, in Foro it., 1989, I,

1251 ss.

Per una più specifica considerazione dei profili di natura fiscale, v.

invece Cantelli, Natura giuridica del trattamento fiscale del contratto

di «lease back» immobiliare, in Fisco, 1989, 4972; Pacifico, «Sale and

lease back» i canoni sono deducibili?, ibid., 2385; Capolupo, Iproble mi sollevati dal «lease back», ibid., 6414.

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