sentenza 25 maggio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.531/532-541/542Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185994 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI ASSISE DI CALTANISSETTA; CORTE DI ASSISE DI CALTANISSETTA; sentenza 25 mag
gio 1990; Pres. ed est. Cantaro; imp. Russo ed altri.
Omicidio e infanticidio — Omicidio preterintenzionale — Rea
to — Esclusione — Fattispecie di morte di indiziato di reità
(Cod. pen., art. 584, 586).
Non costituisce «atto diretto a percuotere o a ledere» il costrin
gere un indiziato di reato, durante lo svolgimento di un inter
rogatorio condotto da ufficiali ed agenti di pubblica sicurez
za, alla forzata ingestione di acqua mista a sale, con la conse
guenza che, derivata da tale condotta la morte del soggetto
passivo, non sono ravvisabili nel fatto gli estremi del reato
di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), bensì' quelli del
la fattispecie di cui all'art. 586 c.p. (nel caso specifico, fatti specie di morte come conseguenza del delitto di tentata vio
lenza privata). (1)
(1) Il ricorso a metodi inquisitori violenti nei confronti di un indizia
to di reato (il Marino era sospettato di aver preso parte all'omicidio del commissario Montana avvenuto poche ore prima), è un fatto che, nel caso di specie, matura in una realtà sociale profondamente alterata
dalla forte presenza della criminalità mafiosa. Tale situazione, pur non
assurgendo in alcun modo a causa giustificante l'illegalità di un interro
gatorio condotto con metodi violenti (si veda a questo proposito, per le parziali analogie con il caso in epigrafe, Trib. Padova 15 luglio 1983, Foro it., 1984, II, 230 con nota di Pulitanò), costituisce comunque il contesto sociale nel quale il fatto si colloca e alla luce del quale deve
essere interpretato. In punto di diritto la decisione in rassegna si segnala per avere esclu
so la configurabilità del reato di omicidio preterintenzionale (art. 584
c.p.) ed avere, in sua vece, ritenuto applicabile la disposizione di cui
all'art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto). I. - L'elemento differenziante le due fattispecie deve ravvisarsi, se
condo una costante giurisprudenza, nella diversa qualificazione del rea
to di base risultando applicabile l'art. 586 c.p. ogni qualvolta la morte
sia conseguenza di un delitto doloso diverso dalle lesioni e dalle percos se (Cass. 23 ottobre 1987, Stimoli, Foro it., Rep. 1988, voce Reato
aberrante, n. 6; 29 marzo 1984, Goller, id., Rep. 1985, voce cit., n.
4; 10 giugno 1983, Castaldi, id., Rep. 1984, voce Omicidio, n. 30; 15
febbraio 1982, Calogero, id., Rep. 1983, voce cit., n. 60; 11 febbraio
1982, D'Alo, ibid., n. 59; 10 giugno 1981, Coppola, id., Rep. 1982, voce cit., n. 38 e voce Reato aberrante, n. 6; 8 ottobre 1981, Lacaze,
ibid., voce Omicidio, n. 40; 8 febbraio 1979, Falfelli, id., Rep. 1979, voce cit., n. 6). Tale orientamento giurisprudenziale è unanimemente
condiviso dalla dottrina penalistica (cfr. Patalano, I delitti contro la
vita, Padova, 1984, 263; Stile, Morte o lesioni come conseguenza di
altro delitto, voce dell' Enciclopedia del diritto, 1977, XXVII, 151; Co
lacci, Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, in Riv. it.
dir. e proc. pen., 1961, 1135). II. - Se, dunque, sul piano concettuale la distinzione tra i due reati
è ben marcata, maggiori problemi sorgono, sul piano pratico, allor
quando nella realizzazione del delitto doloso di base (diverso dalle per cosse e dalle lesioni) sia insita una estrinsecazione di violenza sulla
persona. Nella fattispecie di violenza privata (art. 610 c.p.) il generico riferi
mento alla violenza come mezzo di coazione della volontà del soggetto
passivo, consente di ricondurre al delitto predetto qualsiasi energia fisi
ca da cui derivi una coazione personale: costituisce, infatti, violenza rilevante ai sensi dell'art. 610 c.p. qualsiasi condotta diretta a privare coattivamente l'offeso della propria libertà di determinazione e di azio ne (Cass. 16 dicembre 1982, Bernot, Foro it., Rep. 1984, voce Violenza
privata, n. 1; 7 aprile 1982, Cruccolini, id., Rep. 1983, voce cit., n. 3). La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, qualora l'esercizio del
la violenza privata concreti di per sé il reato di lesione personale, si
determina un concorso formale di reati. A fondamento di tale assunto viene addotta la diversità dei beni giuridici tutelati: l'integrità fisica nel
reato di lesioni personali, la libertà morale in quello di violenza privata (Cass. 3 aprile 1984, Rubinacci, id., Rep. 1985, voce cit., n. 6; 9 marzo
1981, Fontana, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6; 8 novembre 1979, Pellec
chia, id., Rep. 1980, voce cit., n. 13). Un limite alla configurazione del concorso formale viene ravvisato
nella necessità che l'azione violenta fuoriesca dallo schema tipico del reato di violenza privata, e cioè che la violenza superi i limiti della costrizione necessaria a subire l'azione dell'aggressore, la quale si tra
duce inevitabilmente nell'impedimento dei liberi movimenti della vitti ma e nell'imposizione a tollerare gli atti lesivi durante la consumazione
Il Foro Italiano — 1992.
Fatto. — Il 28 luglio 1985 veniva assassinato a Palermo il
dott. Giuseppe Montana, commissario della polizia di Stato.
I carabinieri del nucleo operativo di Palermo avviavano im
mediatamente indagini su tale Marino Salvatore (che non riusci
vano a reperire), i cui congiunti escutevano, procedendo al se
questro, nel corso di perquisizioni domiciliari, di rilevanti som
me di denaro di pertinenza del Marino, in ordine alla cui
provenienza sorgevano inquietanti sospetti. Alle ore 13,30 circa del 1° agosto 1985 Marino Salvatore,
accompagnato dall'avv. Castorina (il quale, nonostante le inda
gini sul suo assistito fossero state condotte, sino a quel momen
to, in modo palese e pressante dai carabinieri, aveva preferito concordarne col dott. Cassarà la presentazione al dott. Giusep
pe Russo, dirigente di sezione della squadra mobile di Paler
del delitto di cui all'art. 582 c.p. (Cass. 15 dicembre 1983, Palmieri,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 7; nel medesimo senso, Trib. Roma 23
giugno 1971, id., Rep. 1972, voce cit., n. 13). 11 concorso formale è invece escluso nell'ipotesi in cui l'energia fisica
esplicata ai danni del soggetto passivo, al fine di coartarne la capacità di autodeterminazione, non superi la semplice percossa (Cass. 10 aprile
1981, Marocco, id., Rep. 1982, voce Lesione personale e percosse, n. 2).
Gli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati sono condivisi da
quella dottrina che ha approfondito la problematica dei rapporti inter
correnti tra i delitti di percosse, lesioni volontarie e violenza privata
(cfr. Galiani, Lesioni personali e percosse, voce dell'Enciclopedia del
diritto, 1974, XXIV, 157; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 5a ed., 1985, Vili, 786; Santoro, Violenza privata, voce dell'Enciclo
pedia forense, 1962, VII, 1047). III. - È evidente come la contestuale violazione delle disposizioni nor
mative poste a tutela della incolumità individuale e della libertà morale
del soggetto passivo renda alquanto difficile, una volta conseguitane la morte della vittima, la qualificazione giuridica dei fatti nel loro com
plesso. La soluzione di tale problema si complica ulteriormente laddove, co
me nel caso di specie, la condotta penalmente rilevante si componga di una pluralità di atti di diversa natura. Come lo stesso organo giudi cante ha accertato, ci si è trovati di fronte ad una sequela di lesioni,
percosse e atti tesi a coartare la vittima. Orbene, in base agli stessi
orientamenti della giurisprudenza prima esaminati, in linea teorica si
sarebbe potuto ravvisare nella predetta sequela di comportamenti un
concorso tra i reati di lesioni e di violenza privata, stante la diversità
dei beni rispettivamente tutelati. Ove il concorso fosse stato affermato, sarebbe stato certamente più difficile però escludere nella specie la con
figurabilità dell'omicidio preterintenzionale, considerato appunto che nel
contesto causativo dell'evento letale sarebbe rientrato, oltre alla violen
za privata, il delitto di lesioni.
In simili ipotesi riveste una importanza fondamentale l'accertamento
del nesso di causalità materiale, in base al quale è possibile individuare, nel quadro della condotta complessiva degli imputati, gli atti umani dai quali è concretamente derivata la morte: la giurisprudenza ha rite nuto applicabile la disposizione di cui all'art. 586 c.p. nel caso di una
persona affetta da disturbi cardiocircolatori che sia deceduta non per le percosse subite, ma per il trauma psichico derivatole dallo avere assi
stito alle violenze poste in essere contestualmente dagli stessi aggressori contro congiunti ed amici (Assise Salerno 19 luglio 1971, Foro it., Rep. 1972, voce Reato aberrante, nn. 9-10; Cass. 14 aprile 1982, Maccanti,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 7 e Cass. pen., 1984, 900, con nota di
Petrini). L'ambito di applicazione dell'art. 586 c.p. appare da un esame della
giurisprudenza estremamente vasto; si è configurata la responsabilità aberrante nel fatto di chi vende o comunque cede una quantità di droga ad un tossicomane, il quale deceda a causa dell'assunzione (Cass. 14
novembre 1988, Gentilini, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 3); nel fatto
di colui che, pur essendo a conoscenza delle precarie condizioni di salu te della persona offesa, tenga nei confronti della stessa un comporta mento minaccioso tale da causare la morte della vittima per insufficien
za coronarica acuta (Assise Milano 24 ottobre 1986, id., Rep. 1987, voce cit., n. 7); ed ancora, in precedenti giurisprudenziali meno recenti, nel caso di suicidio del soggetto passivo del reato di atti di libidine
(Trib. Cassino 24 gennaio 1960, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 5-8) e nel caso di morte conseguente allo stato di gravidanza di una donna affetta da disturbi cardiaci, vittima di violenza carnale presunta (Cass. 9 febbraio 1961, Veutro, id., Rep. 1961, voce cit., nn. 7, 8).
La Cassazione ha ritenuto applicabile l'art. 586 c.p. anche in ipotesi
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GIURISPRUDENZA PENALE
mo), si recava negli uffici della squadra mobile, ove veniva pre so in consegna e, stante l'ora, temporaneamente affidato al ca
pitano Gennaro Scala, comandante del nucleo operativo dei ca
rabinieri di Palermo, che colà trovavasi, essendo stato preav vertito correttamente dal dott. Cassarà. Alle ore 16,30 circa del
1° agosto 1985 il Marino veniva riaccompagnato nei locali della
squadra mobile, ove veniva interrogato; contestualmente, il con
tenuto delle sue dichiarazioni veniva sottoposto a immediati con
trolli al fine di verificarne la veridicità o meno. Dopo una so
spensione, alle ore 2,15 circa del 2 agosto 1985 veniva ripreso l'esame del Marino, condotto, alla presenza di funzionari e agenti della polizia di Stato nonché di carabinieri, nella stanza del dott.
simili a quella di specie in cui la morte o le lesioni derivino, quale
conseguenza ulteriore non voluta, da un delitto tentato (Cass. 26 no vembre 1934, Marchio, id., Rep. 1935, voce Lesione personale, nn. 75-77; 10 gennaio 1952, Soprano, id., Rep. 1952, voce Omicidio e lesioni per sonali colpose, n. 27 bis).
La riconducibilità alla sfera applicativa della norma suddetta di una
casistica tanto eterogenea è conseguenza della mancata tipizzazione, da
parte del legislatore penale, del delitto doloso dal quale derivano la
morte o le lesioni del soggetto passivo. Sotto tale profilo l'art. 586 c.p. non è esente da dubbi circa la sua legittimità costituzionale in relazione al principio, sancito dall'art. 25, 2° comma, Cost., di tassatività o suf
ficiente determinatezza della fattispecie penale (sul punto, cfr. Cane
strari, L'illecito penale preterintenzionale, Padova, 1989, 276). IV. - Oggetto dell'incriminazione ex art. 584 c.p. è l'attività diretta
alla realizzazione di uno dei delitti previsti dagli art. 581 e 582 c.p., laddove da tali atti sia derivata, quale conseguenza ulteriore non volu
ta, la morte del soggetto passivo anziché l'evento di lesioni o di percos se. «La tipicità dell'omicidio preterintenzionale viene, quindi ancorata
dalla legge alla realizzazione di una condotta intenzionalmente diretta
alla commissione di uno dei delitti citati» (cosi Pataiano, ibid., 252; nello stesso senso Pannato, Omicidio, voce del Novissimo digesto, 1965,
XI, 8730). Per quanto concerne l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art.
581 c.p., la giurisprudenza ritiene comunemente che rientri nel concetto
di percossa ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica, e che
quindi costituiscano percosse le azioni violente produttive di sensazioni
fisiche dolorose prive di alcuna conseguenza morbosa (Cass. 26 feb
braio 1981, Poi, Foro it., Rep. 1982, voce Lesione personale e percosse, n. 4; 3 marzo 1976, Marchetti, id., Rep. 1977, voce cit., n. 3; 31 gen naio 1972, Stasolla, id., Rep. 1973, voce cit., n. 5). Tali sensazioni sono state ravvisate, ad esempio, nell'impatto prodotto da un violento
getto di acqua e dal successivo lancio del secchio che la conteneva (Cass. 22 ottobre 1980, Zerbo, id., Rep. 1981, voce cit., n. 3).
Si segnala, in dottrina, l'indirizzo interpretativo che ravvisa nella sen
sazione di dolore provata dalla vittima l'evento in senso giuridico delle
pecosse, nonostante il legislatore abbia insistito, nella descrizione della
fattispecie, esclusivamente sulla condotta (cfr. Galiani, cit., 141; in senso
contrario, Manzini, cit., 171; Vannini, Delitti contro la vita e l'incolu
mità individuale, Milano, 1958, 100). L'art. 582 c.p., nel disciplinare il reato di lesione personale, indica
nell'evento-malattia l'elemento tipico della fattispecie, consentendo cosi
di ricondurre alla sfera applicativa della norma qualsiasi azione che
sia in rapporto di causalità materiale con tale evento (nella specie, l'e
sclusione del reato di lesioni, con conseguente riconoscimento della sola violenza privata tentata, è stata appunto motivata in base al rilievo
che la forzata ingestione di acqua e sale non sarebbe idonea a produrre effetti definibili «malattia»). La efficacia causale della condotta è con
dizione necessaria ma non sufficiente per la configurazione del delitto
predetto, concorrendo alla caratterizzazione del comportamento vietato
anche l'atteggiamento psicologico del reo.
Sul piano materiale la differenziazione delle figure criminose previste dagli art. 581 e 582 c.p. si fonda sulla condizione negativa dell'assenza, nel reato di percosse, della malattia che invece connota in senso positi vo il reato di lesione personale (orientamento costante in giurispruden za: Cass. 12 ottobre 1983, Ferrario, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n.
8; 30 settembre 1982, Menni, ibid., n. 4; 30 gennaio 1980, Pompa,
id., Rep. 1980, voce cit., n. 15). La determinazione dell'esatta portata del concetto di malattia divide
profondamente la giurisprudenza dalla dottrina penalistica. La giuris
prudenza è costante, infatti, nel ritenere che costituisca malattia qual siasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo umano, richia
mandosi in ciò alla relazione al progetto definitivo del codice Rocco
dove si afferma che per la legge penale «malattia è indistintamente qual siasi alterazione anatomica o funzionale, ancorché localizzata e non im
II Foro Italiano — 1992.
Russo, dal capitano Scala. Le incalzanti contestazioni del pre
detto ufficiale ponevano in palese imbarazzo il Marino, che,
crollato psicologicamente, appariva sul punto di fornire pre
ziosi elementi in ordine all'assassinio del dott. Montana. Lo
svolgimento delle indagini e degli esami testimoniali veniva seguito con vivo interesse da decine di investigatori, esasperati dalle incessanti e sanguinose aggressioni patite ad opera della
criminalità mafiosa, culminate poche ore prima in un ennesi
mo vile agguato nei confronti del dott. Montana. L'interesse
era particolarmente acuito dal diffuso convincimento che il
Marino fosse, in qualche modo, coinvolto nel criminale at
tentato.
pegnativa di condizioni organiche generali» (Relazione ministeriale sul
progetto del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale, Ro
ma, 1929, II, 379; si riportano tra le tante le seguenti pronunzie: Cass.
2 febbraio 1984, De Chirico, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 12; 14
novembre 1979, Miscia, id., Rep. 1980, voce cit., n. 3; 3 marzo 1976,
Marchetti, id., Rep. 1977, voce cit., n. 4; 21 febbraio 1969, Negri, id.,
Rep. 1969, voce cit., n. 10). Tale linea interpretativa è fortemente criticata dalla dottrina preva
lente, la quale sottolinea come, sotto il profilo medico, la nozione di malattia sia correlata all'alterazione funzionale e non alla semplice alte
razione anatomica (Baima Bollone-Zagrelbesky, Percosse e lesioni per sonali, Milano, 1975, 15 ss.; Gaiiani, cit., 144 ss.; Pannain, Lesioni
e percosse (diritto penale comune), voce del Novissimo digesto, 1963,
IX, 746; Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano,
1972, I, 67). Sono rare e costituiscono un indirizzo minoritario le deci
sioni giurisprudenziali che hanno accolto l'interpretazione del concetto di malattia proposta dalla dottrina (Trib. Ferrara 3 marzo 1977, Foro
it., 1977, II, 302; Cass. 11 luglio 1952, Mangiafico, id., Rep. 1952, voce cit., n. 18; 9 maggio 1952, Rossato, ibid., n. 17).
L'elemento soggettivo dei reati di percosse e di lesione personale può essere oggetto di una considerazione unitaria: è opinione comunemente
diffusa, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il dolo di entrambi
i reati si esaurisca nella coscienza e volontà di colpire fisicamente una
persona, e quindi di attentare alla incolumità fisica altrui (Cass. 12 no
vembre 1987, Tarondo, id., Rep. 1988, voce cit., n. 9; 11 giugno 1985,
Bellomo, id., Rep. 1986, voce cit., n. 2; 3 febbraio 1984, Dal Pozzo,
id., Rep. 1985, voce cit., n. 5; 9 giugno 1982, Masitti, id., Rep. 1983, voce cit., n. 7; 4 maggio 1979, Barcio, id., Rep. 1980, voce cit., n.
13; 15 dicembre 1978, Mocci, id., Rep. 1979, voce cit., n. 4; 16 dicem
bre 1977, Prandi, id., Rep. 1978, voce cit., n. 2; in dottrina, cfr. Man
zini, cit., 216; Pannain, cit., 758; Vannini, cit., 122). Dalla analisi delle fattispecie incriminatrici disciplinate dagli art. 581,
582 e 584 si ricava che la condotta del reato di omicidio preterintenzio nale si identifica, sotto il profilo materiale, con quella dei delitti di
percosse o di lesione personale. Poiché i suddetti reati sono a forma
libera, ben potendo la lesione o la percossa essere realizzata nei modi
più svariati, deve concludersi nel senso che costituisce caratteristica im
prescindibile dell'atto diretto a ledere o a percuotere la capacità di dan
neggiare il bene dell'incolumità individuale, cui si aggiunge la intrinseca
pericolosità dello stesso rispetto al bene della vita.
La realizzazione di una condotta cosi caratterizzata sotto il profilo
oggettivo non è però sufficiente, di per sé, ad integrare la tipicità della
fattispecie preterintenzionale, essendo necessario a questo fine che il
reo abbia agito animo laedendi (Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Lucca, 1872, I, par. 1103).
Si possono prospettare diverse ipotesi nelle quali è proprio il conte
nuto della intenzionalità dell'agente ad essere determinante per la quali ficazione giuridica della condotta: cosi nell'ipotesi di uno schiaffo in
ferto al solo fine di ingiuriare la vittima (Cass. 10 giugno 1982, Pittelli, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 4; 15 marzo 1957, De Luca, id., Rep.
1957, voce cit., n. 8; 29 giugno 1979, Gobetti, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 16; 12 marzo 1956, Fanti, id., Rep. 1956, voce cit., n. 5), ed
ancora nel caso di una spinta data ad una persona allo scopo di allonta
narla dal posto (Cass. 3 dicembre 1953, Buonsante, id., Rep. 1954,
voce cit., n. 16, che esclude in questa ipotesi il dolo di lesioni).
Negli esempi sopra riportati, la tenuità dell'offesa arrecata al bene
della integrità fisica, unitamente all'intenzione dell'agente di ledere i
beni giuridici dell'onore e della libertà morale del soggetto passivo, con sentono di ravvisare gli estremi dei reati di ingiuria e di violenza priva ta. Pertanto, in caso di morte della vittima, si deve escludere la respon sabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, configurandosi il model
lo di responsabilità aberrante delineato dall'art. 586 c.p. (cfr. Patalano,
cit., 253; Pannain, Omicidio, cit., 873; Stile, cit., 151). [G. Sceusa]
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PARTE SECONDA
Sullo sfondo di tale scenario, caratterizzato, nel più assoluto
rispetto della legalità, da un impegno spasmodico, si apriva una
fase, inizialmente nebulosa, che avrebbe trovato il suo tragico
epilogo nella morte del Marino e che solo successive indagini avrebbero consentito di ricostruire.
Alle ore 7 circa del 2 agosto 1985 il questore di Palermo dott.
Giuseppe Montesano e il dirigente della squadra mobile dott.
Francesco Pellegrino si recavano nella casa di abitazione del
procuratore della repubblica dott. Vincenzo Paino, al quale da
vano notizia della morte, per cause ancora imprecisate, del Ma
rino. Nel primo pomeriggio del 2 agosto 1985 alla segnalazione orale faceva seguito una segnalazione scritta (firmata congiun tamente dal dott. Pellegrino e dal capitano Scala), nella quale si riferiva che il Marino, momentaneamente isolato in una stan
za, era stato, dopo pochi minuti, rinvenuto mentre si dibatteva
a terra verosimilmente in preda a una crisi nervosa e, accompa
gnato immediatamente al pronto soccorso del locale ospedale
civico, vi era giunto privo di vita. Tale versione dei fatti veniva
avallata in altra segnalazione in data 2 agosto 1985, firmata
soltanto dal dott. Pellegrino, e ribadita in un rapporto giudizia rio in data 4 agosto 1985, firmato dal dott. Pellegrino. Intanto,
l'ispezione esterna consentiva di accertare la presenza sul cada
vere di evidenti segni di molteplici traumatismi esterni. Con no
ta in data 8 agosto 1985 il questore riferiva al procuratore della
repubblica di avere appreso dal dott. Michele Gagliano, funzio
nario della polizia di Stato, che il Marino alle ore 4 circa del
2 agosto 1985 era stato condotto dalla stanza del dott. Russo
in altra stanza, nella quale era stato, dapprima, ripetutamente
percosso e malmenato e, poi, costretto alla forzata ingestione di acqua e sale. Il contenuto di tale nota e l'esito degli accerta
menti medico-legali imponevano l'avvio di approfondite indagi
ni, dirette ad identificare responsabili e cause della morte del
Marino.
Alla luce delle prime risultanze il p.m. in data 9 ottobre 1985
emetteva ordine di cattura nei confronti di Russo Giuseppe, An
zalone Alfredo, Mirenda Francesco, Cicero Antonino, Branca zio Francesco, Marchese Pietro, Lercara Giuseppe, Mondo Na
tale, Guadagnolo Antimo e Wanvestraut Antonio quali respon sabili del delitto di omicidio preterintenzionale.
Sulla base delle ulteriori risultanze il p.m. in data 16 ottobre
1985 emetteva ordine di cattura con identica imputazione anche
nei confronti di Scala Gennaro, Scanio Cesare, Leccadito Da
miano, Pellegrino Francesco, Milia Giovanni, Belloni Angelo e Di Lanno Ciro; veniva, altresì', addebitato il delitto di cui
all'art. 479 c.p. allo Scala in riferimento alla segnalazione a
sua firma nonché al Pellegrino in relazione alle due segnalazio ni ed al rapporto a sua firma.
In data 28 ottobre 1985 il p.m. trasmetteva gli atti per la
formale istruzione al giudice istruttore, il quale, tra l'altro, in
data 10 gennaio 1986 emetteva mandato di cattura nei confron
ti di Tignola Angelo. Ad istruzione ultimata, il p.m. formulava le sue definitive
richieste. Gli atti venivano ritualmente depositati e decorrevano
i termini di rito anche in ordine alle proroghe chieste da alcuni difensori e concesse dal g.i.
Nel frattempo, su richiesta della procura generale della re
pubblica di Palermo, la Corte di cassazione con provvedimento del 10 marzo 1986, depositato il 14 marzo 1986, ordinava la
rimessione degli atti al g.i. di Caltanissetta, dichiarando la vali
dità degli atti già compiuti. Con ordinanza del 7 ottobre 1986 il g.i. di Caltanissetta, ac
cogliendo integralmente le richieste formulate dal p.m., ordina
va il rinvio degli attuali imputati al giudizio di questa corte di assise.
All'udienza dibattimentale tutti gli imputati ritualmente avan
zavano istanza di celebrazione del processo col rito abbreviato. Tale istanza, sorretta dal consenso del p.m., veniva accolta da
questa corte di assise. Si procedeva, in camera di consiglio, alla
discussione, nel corso della quale il p.m. e i difensori degli im
putati concludevano come in verbale.
Diritto. — Le deposizioni dei numerosi testi escussi, gli inter
rogatori resi dagli imputati, le risultanze della perizia autoptica
Il Foro Italiano — 1992.
e i rapporti in atti consentono una ricostruzione della dinamica
dei fatti ragionevolmente aderente alla realtà.
Sino alle ore 4 del 2 agosto 1985 gli investigatori, pur profon dendo uno spasmodico impegno nello svolgimento delle indagi
ni, condotte con acume ed intelligenza, avevano operato nel
più rigoroso rispetto delle norme. Era questo il momento in
cui l'intenso stress psico-fisico e il diffuso e crescente convinci
mento che il Marino fosse sul punto di cedere di fronte alle
incalzanti contestazioni e di rivelare elementi preziosi per lo svi
luppo delle indagini creavano un'atmosfera densa di tensione;
l'inopportuno scatto d'ira del Pellegrino, il quale schiaffeggiava il Marino, intimandogli di dire la verità, era il detonatore di una furente reazione a catena; il Marino veniva immediatamen
te afferrato e trascinato dalla stanza del Russo a quella del ma
resciallo Abriano, ove veniva duramente malmenato. Perentori
inviti a parlare si intercalavano alle percosse. Il Marino veniva
steso su due tavolinetti accostati e sottoposto ad una serie di
atti violenti, lesivi della sua integrità fisica. Di fronte ai persistenti dinieghi del Marino, Mondo Natale
proponeva il ricorso al trattamento con acqua e sale: aveva, in tal modo, inizio quella seconda fase, che tanto tragicamente, nel volgere di pochi minuti, si sarebbe conclusa.
Sulla base di tale sintetica ricostruzione, ritiene questa corte
di assise che, nei fatti, debbano ravvisarsi, anzitutto, gli estremi
del delitto di tentativo di violenza privata finalizzato al conse
guimento mediante uso di violenza di notizie da parte del Mari
no che, iniziato con gli schiaffi inferti dal Pellegrino, si è pro tratto con le molteplici percosse e lesioni e si è concluso con
la forzata immissione di acqua e sale nella bocca del Marino;
tale delitto, pur se, non essendo stato ritualmente contestato
agli imputati, non appare suscettibile di sanzione, ben può a
fini diversi assumere giuridica rilevanza.
A tal punto, è necessario esaminare le risultanze della perizia
autoptica. I periti hanno riferito: che la morte del Marino è
stata determinata dalla penetrazione accidentale nelle vie aeree
di un tubo e di scarsa quantità di acqua, che intenzionalmente
avrebbe dovuto essere immessa nello stomaco; che l'unica con
dizione patologica preesistente (una epimiocardite di probabile natura virale) non avrebbe potuto provocare da sola la morte
del Marino; che l'ipotesi di una morte inibitoria, conseguente alla brusca stimolazione da trauma confusivo di aree reflessoge
ne, non era compatibile con il quadro istologico polmonare e con la presenza nelle vie aeree di schiuma, prodotta in parte dalla emulsione acqua-aria-muco ed in parte dall'edema polmo
nare; che le molteplici lesioni traumatiche, riscontrate sul cada
vere, sia pure considerate nel loro complesso, da sole con mec
canismo diretto non apparivano idonee a cagionare la morte
del Marino ed erano compatibili con la sopravvivenza. Le risultanze della perizia autoptica, che, sorrette da adegua
ta e convincente motivazione, meritano di essere condivise, com
portano rilevanti conseguenze sul piano giuridico. Il tentativo di violenza privata in pregiudizio del Marino si
estrinseca in due fasi successive, pur se ininterrottamente nella
prima fase la violenza viene esercitata mediante percosse e le
sioni; nella seconda fase la violenza posta in essere mediante
la forzata immissione di acqua e sale nella bocca del Marino.
Or, se la morte del Marino fosse stata determinata da atti
diretti a percuotere o a ledere, ineccepibile sarebbe stata la con
figurazione nel fatto del delitto di cui all'art. 584 c.p.
Poiché, invece, l'evento mortale è riferibile all'adozione del trattamento con acqua e sale (finalizzato al conseguimento di
informazioni), va ravvisata nel fatto la fattispecie criminosa di
cui all'art. 586 c.p. Vero è che la nozione di «atti diretti a percuotere o a ledere»
è estremamente elastica e tale da ricomprendere le ipotesi più
disparate; ma è pur vero che vano sarebbe ogni sforzo interpre tativo tendente a configurare quale «atto diretto a percuotere o a ledere» la forzata immissione in bocca di acqua e sale, dalla
cui ingestione nello stomaco possono scaturire solo modeste con
trazioni viscerali o scariche diarroiche, assolutamente inidonee
a cagionare uno stato di malattia.
Alla luce di tali considerazioni, va mutata la qualificazione
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GIURISPRUDENZA PENALE
giuridica del fatto in esame, nel senso che debbano ravvisarvisi
gli estremi non già del reato di cui all'art. 584 c.p. bensì' del
reato di cui allo art. 586 c.p., ritenendo l'evento mortale conse
guente al tentativo di violenza privata operato in pregiudizio del Marino.
Da siffatte conclusioni consegue che la responsabilità penale in ordine alla morte del Marino va circoscritta e identificata
in capo ai soggetti, che, comunque, hanno ricoperto un ruolo
causalmente efficiente nel trattamento con acqua e sale.
Non può, anzitutto, disconoscersi la rilevanza nella vicenda
del ruolo del dott. Francesco Pellegrino, dirigente, all'epoca dei
fatti, della squadra mobile di Palermo; egli, introdottosi alle ore 4 del 2 agosto 1985, nella stanza del dott. Russo, reso edot
to delle palesi contraddizioni del Marino nel corso dell'interro
gatorio, condotto dal capitano Scala, in uno scatto d'ira schiaf
feggiava il Marino, intimandogli di rivelare la verità. Il com
portamento del Pellegrino era il detonatore, che determinava
l'esplosione della tensione, accumulatasi col trascorrere delle ore e col radicarsi del convincimento del coinvolgimento del Mari
no nel vile assassinio del dott. Montana: iniziava il brutale in
terrogatorio, inframmezzato da pugni, schiaffi e torture di ogni
genere, finalizzato al conseguimento di rivelazioni utili alla iden
tificazione degli assassini. Tali circostanze sono pacifiche, in
quanto sono state ricostruite sulla base delle concordi e univo
che dichiarazioni di testi e imputati. Incombeva sul Pellegrino, in virtù delle sue funzioni di diri
gente della squadra mobile, lungi dall'innescare col suo com
portamento una tragica reazione a catena, il dovere specifico di intervenire e di disporre l'isolamento del Marino in cella di
sicurezza, in attesa della ripresa dell'interrogatorio in condizio
ni di legalità. Il Pellegrino, inoltre, non si limitava a schiaffeg giare il Marino, ma, con la sua prolungata presenza nella stan
za del maresciallo Abriano, nella quale il Marino era stato tra
scinato dopo gli schiaffi, avallava l'illegale interrogatorio. La
presenza o meno del Pellegrino all'inizio della fase del tratta
mento con acqua e sale appare giuridicamente irrilevante, giac ché le sue funzioni di dirigente della squadra mobile gli impone vano di intervenire in modo deciso e tempestivo per impedire il tentativo di violenza privata (finalizzato ad ottenere dal Mari
no le chieste notizie mediante l'uso di una serie di atti di
violenza). La circostanza che il Pellegrino, invece, si sia allontanato,
andandosene a casa, nonostante fosse perfettamente consape vole di quel che succedeva, aggrava ulteriormente la sua posi zione e sottolinea ancor più la sua piena adesione al comporta mento irresponsabile dei suoi sottoposti.
Peraltro, va evidenziato che il doveroso intervento del Pelle
grino con l'isolamento del Marino in cella di sicurezza avrebbe
sicuramente impedito non solo la prosecuzione dell'attività cri
minosa in atto senza pause né interruzioni di sorta ma anche
la conseguente morte del Marino.
Conseguentemente, va affermata la penale responsabilità di
Pellegrino Francesco in ordine al reato di cui all'art. 586 c.p. Parimenti rilevante è il ruolo nella vicenda del dott. Giuseppe
Russo, dirigente, all'epoca dei fatti, della seconda sezione della
squadra mobile, alla quale competevano le indagini sull'assassi
nio del dott. Montana. Invero, il Marino, avuta notizia degli accertamenti sul suo conto, si presentava, previo accordo, ac
compagnato dall'avv. Giuseppe Castorina, proprio al Russo, ti
tolare della inchiesta. L'affidamento del Marino dall'avv. Ca
storina al Russo poneva quest'ultimo nella posizione di garante nei riguardi del Marino stesso. Iniziati gli atti di violenza sul
giovane, incombeva sul Russo, in virtù di tale sua posizione di garante nonché delle sue funzioni di dirigente della compe
tente sezione della squadra mobile, il dovere specifico ed impe
rioso di intervenire decisamente al fine di fare cessare gli atti
di violenza, presso i suoi sottoposti o presso il dirigente della
squadra mobile o, se necessario, presso il questore.
L'intervento del Russo avrebbe, indubbiamente, impedito la
prosecuzione e la tragica conclusione dell'illegale interrogatorio.
Ma sul Russo, parimenti che sul Pellegrino, grava la respon sabilità di un comportamento non solo meramente omissivo,
Il Foro Italiano — 1992.
pur in presenza di uno specifico dovere, ma anche pienamente
adesivo tale da configurare l'ipotesi del concorso criminoso. L'in
tento di indurre il Marino a fornire le chieste notizie, mediante
l'uso della violenza, animava il Pellegrino e il Russo al pari di tanti altri coimputati.
Inoltre, della presenza attiva e particolarmente aggressiva del Russo nella stanza del maresciallo Abriano durante tutte le fasi
del brutale interrogatorio del Marino sino a quella conclusiva
del trattamento con acqua e sale hanno riferito numerosi testi
e quasi tutti i coimputati: l'ipotesi di una congiura tendente
al coinvolgimento del Russo nella vicenda appare assolutamente
inverosimile sia perché è priva di riscontri sia perché deposizio ni e interrogatori sono sul ruolo del Russo univoci e circostanziati.
Pertanto, va affermata la penale responsabilità anche del Russo
in ordine al delitto di cui all'art. 586 c.p.
Analogo giudizio va adottato nei riguardi di Milia Giovanni.
Costui, nella fase iniziale del trattamento con acqua e sale, po stosi in piedi su una scrivania, reggeva, versandovi da una bot
tiglia acqua e sale, una delle estremità del tubo di gomma, in
trodotto nella bocca del Marino: tale circostanza, riferita da
testi e coimputati, è stata ammessa dallo stesso Milia.
Di particolare evidenza appare, anche, la responsabilità di Ci
cero Antonino, il quale, postosi a cavalcioni sul Marino, diste
so su due tavolinetti accostati, gli comprimeva ritmicamente con
le mani il torace e l'addome al fine di costringerlo a ingerire
l'acqua salata: tale circostanza non solo è stata riferita da di
versi testi e coimputati e, in particolare, con dovizia di dettagli, dal Guadagnolo e dal Wanvestratut ma è stata ammessa dallo
stesso Cicero, il quale, tuttavia, ha addotto, a giustificazione della manovra, un presunto spirito infermieristico in favore del
Marino, in difficoltà. Quello di Cicero appare mero espediente
difensivo, ove si consideri che la manovra venne effettuata mentre
sul Marino, disteso sui due tavolinetti accostati, veniva eseguito il trattamento, con acqua e sale e che solo dopo il malessere
il Marino venne immediatamente deposto a terra e soccorso.
Dalle deposizioni di quasi tutti i testi e dagli interrogatori di quasi tutti gli imputati risulta, altresì con riferimento alla
fase del trattamento con acqua e sale: che Scanio Cesare aveva
tenuto nella bocca del Marino l'imbuto, nel quale veniva versa
ta l'acqua, e, poi, aveva tenuto la testa incappucciata del Mari
no per agevolare la immissione del liquido; che Leccadito Da
miano, tra l'altro, aveva immobilizzato il braccio destro del Ma
rino per impedirne la reazione alla forzata immissione di acqua e sale; che Brancazio Francesco si era alternato con lo Scanio
nel tener ferma la testa del Marino; che Lercara Giuseppe aveva
tenuto, per un certo tempo, nella bocca del Marino prima il
tubo di plastica e poi l'imbuto; che Marchese Pietro aveva im
mobilizzato il braccio sinistro del Marino; che Di Lanno Ciro
non solo si era alternato col Marchese nella immobilizzazione
del braccio sinistro del Marino ma aveva anche procurato l'im
buto destinato a sostituire il tubo, rivelatosi inidoneo.
Peraltro, gli stessi predetti imputati hanno ammesso, pur re
stringendo entro limiti temporali esigui e pur adducendo invero simili motivazioni umanitarie in favore del Marino, la loro atti
va partecipazione alla fase del trattamento con acqua e sale nei
ruoli differenziati sopra specificati.
Pertanto, va affermata anche la penale responsabilità di Sca
nio Cesare, Leccadito Damiano, Brancazio Francesco, Lercara
Giuseppe, Marchese Pietro e Di Lanno Ciro in ordine al reato
di cui all'art. 586 c.p. La incensuratezza dei condannati, il clima di particolare ten
sione, in cui l'evento è maturato e il terrificante contesto sociale
palermitano (in cui l'assassinio di magistrati, di politici e di po liziotti impegnati nella lotta contro la criminalità mafiosa è di venuto, ormai, fatto di ordinaria amministrazione, da cui sca
turiscono solo le solite indignazioni verbali di rito in occasione
dei consueti funerali di Stato e non quegli interventi massicci
di ordine sociale, preventivo e repressivo, richiesti dalla estrema
gravità della situazione) impongono la concessione delle circo
stanze attenuanti generiche in favore di tutti i condannati: le
tante vittime innocenti (colpevoli solo di aver voluto compiere
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PARTE SECONDA
con coraggio e fermezza il loro dovere di fedeli servitori dello
Stato) portate a spalla da gran parte dei condannati, pur se
non giustificano l'illegalità del brutale interrogatorio del Mari
no (legato a personaggi di spicco della mafia palermitana), co
stituiscono, tuttavia, la sanguinante cornice, in cui l'episodio va racchiuso.
È stata, altresì', tempestivamente operata offerta reale di ri
sarcimento del danno, respinta dai congiunti del Marino.
La somma offerta (lire centomilioni) appare congrua, ove si
consideri che lo Stato concede somma di pari importo ai con
giunti delle vittime della mafia; conseguentemente, va concessa
agli offerenti la relativa circostanza attenuante.
Le due concesse circostanze attenuanti vanno dichiarate equi valenti a tutte le circostanze aggravanti.
Tenuto conto della personalità e del comportamento dei con
dannati nonché delle modalità e della gravità del fatto, appare conforme a giustizia determinare per tutti la pena base in anni
tre di reclusione.
Su detta pena va operata la riduzione di un terzo, conseguen te alla adozione del rito abbreviato.
Conseguentemente, Pellegrino Francesco, Russo Giuseppe, Mi
lia Giovanni, Cicero Antonino, Scanio Cesare, Leccadito Da
miano, Brancazio Francesco, Lercara Giuseppe, Marchese Pie
tro e Di Lanno Ciro vanno condannati alla pena di anni due
di reclusione ciascuno nonché tutti in solido al pagamento delle
spese processuali e ciascuno di essi di quelle del proprio mante
nimento in carcere durante la custodia cautelare.
Va, altresì, inflitta a ciascuno dei condannati la pena accesso
ria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni due.
Tenuto conto delle circostanze tutte di cui all'art. 133 c.p.,
presumendosi che si asterranno dal commettere ulteriori reati,
possono a tutti i condannati concedersi i benefici della sospen sione condizionale della pena della reclusione e della pena ac
cessoria nonché della non menzione della condanna.
Va dichiarato non doversi procedere nei confronti di Mondo
Natale, presunto ideatore del trattamento con acqua e sale, as
sassinato dopo il rinvio a giudizio. Va, a tal punto, esaminata la posizione del dott. Giuseppe
Sardo, funzionario della polizia di Stato. La maggior parte dei
coimputati ha riferito che il Sardo aveva colpito il Marino con
un nerbo alla pianta dei piedi in maniera talmente lieve e poco efficace da essere subito sostituito in tale opera dal Leccadito:
è questa l'unica accusa pienamente riscontrata, mossa al Sardo,
il quale ha sostenuto, senza essere smentito in modo chiaro ed
univoco da alcuno, di essersi allontanato dalla stanza del mare
sciallo Abriano e di non avere avuto percezione degli ulteriori
sviluppi della vicenda. Né può affermarsi che il Sardo avesse il dovere giuridico di
interrompere l'illecita attività in corso, in quanto tale dovere
specifico incombeva sul Pellegrino e sul Russo; peraltro, anche
un suo eventuale intervento sarebbe stato, attese le sue funzioni
ed il suo peso in seno alla squadra mobile, assolutamente inido
neo ed inefficace.
Poiché non è stata acquisita prova alcuna che il Sardo, esau rita la sua iniziale opera, abbia svolto ulteriore attività in pre
giudizio del Marino, la sua responsabilità va circoscritta nel
l'ambito di tale fase ed agli atti compiuti, ravvisandosi nel suo
comportamento l'ipotesi della desistenza volontaria.
Conseguentemente, il Sardo va ritenuto responsabile del de
litto di lesioni (che, attesa la modestissima violenza dei colpi inferti, vanno qualificate di tipo lieve) e va da tale addebito prosciolto per intervenuta amnistia.
Analoghe considerazioni e analogo giudizio vanno formulati
nei riguardi di Belloni Angelo; costui, nella fase iniziale dei mal trattamenti, si poneva a cavalcioni sulle gambe del Marino, per immobilizzarlo mentre gli si percuotevano le piante dei piedi e, non riuscendo nel suo intento, provvedeva a legargli le gam be con una corda. Non v'è prova alcuna che il Belloni abbia
spiegato nel prosieguo dei maltrattamenti altra attività; vero è
che Lercara Giuseppe ha riferito di averlo visto «a cavallo dei
piedi» del Marino durante il trattamento con acqua e sale ma
tale riferimento appare errato, ove si consideri che, pur se senza
Il Foro Italiano — 1992.
soluzione di continuità temporale, la fase delle percosse alle piante dei piedi del Marino è precedente a quella del trattamento con
acqua e sale e la presenza attiva del Belloni viene collegata,
appunto, alla prima fase e non già alla seconda; peraltro, è
pacifico che, durante la fase del trattamento con acqua e sale,
a cavalcioni sul Marino si era posto il Cicero con una ben speci fica funzione: non si comprende per quale fine contemporanea anche il Belloni, durante tale fase, avrebbe dovuto stazionare
a cavalcioni sul Marino, le cui gambe, peraltro, erano state già
legate durante la prima fase per impedirgli di sottrarsi ai colpi alle piante dei piedi.
Conseguentemente, anche la responsabilità del Belloni va cir
coscritta nell'ambito degli atti compiuti (concorso in lesioni vo
lontarie), che, attesa la loro entità, vanno ritenute lievi; solo
ad abundantiam va osservato che il Belloni, attese le sue fun
zioni di semplice agente della polizia di Stato, non avrebbe po tuto in alcun modo impedire la prosecuzione dell'attività crimi
nosa in corso.
Il delitto di lesioni volontarie lievi, di cui, per l'avvenuta de
sistenza volontaria, il Belloni va ritenuto colpevole, è estinto
per intervenuta amnistia.
Estremamente inconsistenti appaiono gli elementi acquisiti a
carico di Tignola Angelo: invero, alla di lui identificazione il giudice istruttore è pervenuto attraverso un riconoscimento fo
tografico, operato dall'agente della polizia di Stato D'Accardio
(i cui contatti col Tignola non erano certamente quotidiani), della cui efficacia probatoria è doveroso, quanto meno, dubita
re, non risultando acquisita agli atti neppure la fotografia usata
per l'esibizione.
Vero è che diversi imputati hanno addebitato ruoli attivi nel
la vicenda a un carabiniere con determinate caratteristiche fisi
che e dall'accento campano: ma non v'è prova sicura e convin
cente che detto carabiniere (attesa la presenza quella notte nei
locali della squadra mobile di diversi militari dell'arma) possa identificarsi nel Tignola. L'opportuna attività (confronti, rico
gnizioni, ecc.) nel corso della formale istruzione avrebbe fugato
qualasiasi dubbio con la identificazione del responsabile ad opera
degli accusatori.
Peraltro, il Tignola, se avesse partecipato attivamente ai mal
trattamenti in pregiudizio del Marino, difficilmente avrebbe avuto
l'opportunità di sdraiarsi comodamente e di addormentarsi su
un divano nel corridoio, subendo lo scherzo della bruciacchia
tura dei baffi con l'accendisigari da parte del capitano Scala.
Per le suesposte considerazioni, il Tignola va assolto per non
aver commesso il fatto.
Assolutamente inconsistenti sono gli elementi accusatori ad
dotti a carico del dott. Alfredo Anzalone.
Vero è che qualche coimputato ha riferito della saltuaria pre senza dell'Anzalone nella stanza del maresciallo Abriano ma
non risulta che lo stesso abbia intrapreso attività alcuna, nep
pure sotto forma di concorso o di avallo o di adesione psichica, in pregiudizio del Marino. Pur a voler ammettere che, giusta
quanto riferito dal coimputato Lercara Giuseppe, l'Anzalone
sia intervenuto presso il Russo per invitarlo a fare «trattare» dalla seconda sezione il Marino, v'è da rilevare che della nozio
ne di «trattamento» è stata operata una interpretazione ingiusti ficatamente maliziosa: invero, l'intervento dell'Anzalone ben po teva tendere a investire il Russo, dirigente della seconda sezione
della squadra mobile e titolare dell'inchiesta, della prosecuzione
degli accertamenti nell'ambito della legalità, sino a quel mo
mento non travalicato, consentendo l'allontanamento di coloro
che alle indagini non erano più interessati.
Sono, peraltro, rimaste prive del ben che minimo riscontro
le generiche accuse del capitano Scala. Né può assumere rile
vanza probatoria, in difetto di altri elementi, il comportamento tenuto dall'Anzalone in epoca successiva alla morte del Marino.
Esaurito, con esito negativo, l'esame del comportamento del
l'Anzalone sotto l'aspetto commissivo, v'è da accertare se il pre detto funzionario avesse il dovere e il potere di impedire l'ille
gale interrogatorio del Marino. Pur a voler ammettere che il
generico dovere connesso con le funzioni, rivestite dall'Anzalo
ne, di commissario della polizia di Stato e di ufficiale di po
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GIURISPRUDENZA PENALE
lizia giudiziaria, possa identificarsi con l'obbligo specifico ri
chiesto dall'art. 40, cpv., c.p. (circostanza certamente non paci
fica), un eventuale intervento dell'Anzalone, attesa la sua mo
desta anzianità di carriera ed il suo peso in seno alla squadra
mobile, sarebbe stato assolutamente inidoneo ed inefficace sia
perché il Pellegrino ed il Russo, suoi superiori gerarchici, aval lavano concretamente e attivamente l'illegale operato sia perché v'era una tensione tale da scoraggiare qualsiasi iniziativa caren
te della necessaria autorevolezza.
Alla luce di tali considerazioni, l'Anzalone va assolto per non
aver commesso il fatto.
Analoghe considerazioni vanno spiegate in ordine alla posi zione del capitano Gennaro Scala. Non esiste il minimo indizio
che lo Scala abbia posto in essere atti pregiudizievoli di sorta
nei confronti del Marino; v'è, di contro, la prova, acquisita attraverso dichiarazioni univoche e concordi di diversi coimpu
tati, di un aperto dissenso dello Scala; tale dissenso, ripetuta mente manifestato, è stato, però, espresso in forma scarsamen
te incisiva anche perché lo Scala era ospite nei locali della squa dra mobile ed aveva una semplice funzione di collaborazione
nello svolgimento delle indagini. Peraltro, il potere di interven
to dello Scala sarebbe stato circoscritto e limitato ai militari
dell'arma, presenti in numero estremamente esiguo rispetto agli
appartenenti alla polizia di Stato, e, in ogni caso, certamente
non avrebbe impedito la prosecuzione della illecita attività ed
il conseguente mortale evento.
Conseguentemente, anche lo Scala va assolto dal reato di cui
all'art. 586 c.p., cosi modificata l'originaria imputazione, per non aver commesso il fatto.
Per quel che riguarda le imputazioni di falsità ideologica, mosse
allo Scala ed al Pellegrino, osserva la corte di assise che erronea
appare la qualificazione giuridica del fatto.
Invero, la segnalazione ed il rapporto giudiziario, pur rive
stendo la natura di atti pubblici, non sono destinati di per sé
a provare la verità dei fatti esposti e a ledere la pubblica fede,
giacché, diversamente argomentando, si perverrebbe alla aber
rante conclusione che detti atti assumerebbero la natura di mez
zi di prova con la ovvia conseguenza che, ogniqualvolta che
ne venisse disattesa la veridicità, dovrebbe procedersi ex art.
479 c.p. a carico degli estensori.
La segnalazione ed il rapporto sono, invece, atti pubblici giu
diziari, la cui omissione, falsità o reticenza sono espressamente
ipotizzati e sanzionate nell'ambito dei delitti contro l'ammini
strazione della giustizia: la prevalenza del principio di specialità costituisce norma pacificamente recepita nel nostro ordinamen
to giuridico. Nella fattispecie in esame, le segnalazioni ed il rapporto, lun
gi dal rivestire natura fidefaciente, erano stati redatti, dopo una
tormentata e collegiale manipolazione in più sfere, allo scopo di orientare le indagini verso la prospettata ipotesi della acci
dentalità della morte del Marino.
La reticenza e la falsità degli atti in questione integrano, a
giudizio di questa corte di assise, gli estremi del delitto di cui
all'art. 378 c.p. e in tal senso va mutata la qualificazione giuri dica del fatto.
Poiché detti atti sono stati compilati anche allo scopo di evi
tare al Pellegrino ed allo Scala il gravissimo nocumento conse
guente alla instaurazione di un procedimento penale con preve
dibili restrizioni nella libertà personale, appare giuridicamente
corretto riconoscere la sussistenza della esimente speciale di cui
all'art. 384 c.p. in favore del Pellegrino e dello Scala, nei cui
confronti va pronunciata, limitatamente a tali fatti, sentenza
di assoluzione.
Il Foro Italiano — 1992.
TRIBUNALE DI BARI; TRIBUNALE DI BARI; sentenza 24 settembre 1991; Giud. ind.
prel. Ciccarelli; imp. Chiddo e altri.
Tributi in genere — Emissione di fatture per operazioni inesi
stenti — Contratto di «lease back» — Reato — Esclusione
(D.l. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione della
evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiun
to e per agevolare la definizione delle pendenze in materia
tributaria, art. 4; 1. 7 agosto 1982 n. 516, conversione in leg
ge, con modificazioni, del d.l. 10 luglio 1982 n. 429, art. 1).
Nello schema contrattuale della c.d. locazione finanziaria di ri
torno please back,), le singole operazioni finanziarie non sono
configurabili come inesistenti, per cui l'utilizzazione delle re
lative fatture non integra il delitto di cui all'art. 4, 1° com
ma, n. 5, l. 516/82. (1)
Svolgimento del processo. — A seguito di rapporto penale della guardia di finanza (comando di Terlizzi ) in data 10 marzo
1989, il p.m. promuoveva nei confronti di Chiddo Pasquale,
(et coeteri) indagini preliminari che si concludevano con la ri chiesta di rinvio a giudizio dei medesimi, in relazione ai reati
specificati in rubrica. All'udienza preliminare del 5 febbraio 1991 il g.i.p., rilevata
la mancata notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preli minare all'imputato Maselli Domenico, rinviava il procedimen to a nuovo ruolo.
Successivamente, all'udienza preliminare del 23 maggio 1991
il p.m. chiedeva, allo scopo di poter esaminare le voluminose
memorie difensive presentate dai difensori, di formulare le ri
chieste definitive ad una successiva udienza. Il g.i.p., considera
ta la non opposizione dei difensori, rinviava all'udienza del 24
settembre 1991 la formulazione delle richieste conclusive.
All'odierna udienza preliminare il g.i.p. provvedeva a riunire
il procedimento in esame a quello n. 1032/91 pendente nei con
fronti di Campanile Maria Annunziata per il reato di cui al
l'art. 4, 1° comma, nn. 5 e 7, 1. 516/82, rilevando evidenti
ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.
Il p.m. chiedeva il rinvio a giudizio di tutti gli imputati per i reati indicati in rubrica. I difensori chiedevano il prosciogli mento degli imputati per la insussistenza dei fatti in relazione
alla emissione ed utilizzazione delle fatture, e perché i fatti non
costituiscono reato in relazione alla emissione delle bolle di ac
compagnamento .
Rileva il g.i.p. che la valutazione del comportamento degli
imputati per la individuazione della responsabilità penale degli
stessi in riferimento ai reati di cui ai capi A), B) e C) della rubrica, richiede alcune preliminari considerazioni sulla natura
ed il tipo delle operazioni commerciali cui sono da rapportare
i fatti in esame; rendendosi necessario, in particolare, verificar
ne l'inquadramento nello schema contrattuale della c.d. loca
zione finanziaria di ritorno (lease back). Il lease back, figura
negoziale recentemente delineatasi nella pratica commerciale, è
configurabile come il contratto in base al quale un soggetto tra
sferisce ad una società finanziaria il titolo di proprietà di un
(1) Non risultano altri precedenti in ordine alla eventuale rilevanza
penale della c.d. locazione finanziaria di ritorno (lease back). Per ogni più ampio riferimento sulle caratteristiche di questo specifi
co schema contrattuale, nonché sull'orientamento interpretativo seguito in sede civilistica, v. in generale De Nova, Il «.lease back», in Riv.
it. leasing, 1987, 517 ss.; Id., Nuovi contratti, Torino, 1990, 233 ss.;
Monticelli, Il leasing, in I contratti atipici. Giurisprudenza sistematica
di diritto civile e commerciale. I contratti in generale diretto da G. Al
pa e M. Bessone, Torino, 1991, II, 1° tomo, 173 ss.; nonché Simone, «Lease back»: cronaca dì una morte annunciata, in Foro it., 1989, I,
1251 ss.
Per una più specifica considerazione dei profili di natura fiscale, v.
invece Cantelli, Natura giuridica del trattamento fiscale del contratto
di «lease back» immobiliare, in Fisco, 1989, 4972; Pacifico, «Sale and
lease back» i canoni sono deducibili?, ibid., 2385; Capolupo, Iproble mi sollevati dal «lease back», ibid., 6414.
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