sentenza 27 maggio 1991; Pres. Passantino, Est. Cottone; imp. BarracoSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.103/104-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185903 .
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PARTE SECONDA
Aggiunge che il raddoppio di volumetria rispetto a quella ori
ginaria è pur sempre contenuta in ventitré metri cubi.
Col secondo motivo lamenta violazione dell'art. 165 c.p. in
relazione all'art. 7 1. 28 febbraio 1985 n. 47, per essere stata
subordinata la sospensione condizionale della pena all'adempi mento dell'obbligo della demolizione.
Il ricorso è infondato in ordine al primo motivo, mentre va
accolto in riferimento al secondo. (Omissis) Va invece accolto il secondo motivo di ricorso: non si può
subordinare la sospensione condizionale della pena alla demoli
zione dell'opera (Cass. 8 luglio 1988, Spadafora, Foro it., Rep.
1989, voce Sospensione condizionale della pena, n. 23). L'ordine di demolizione impartito dal giudice nella sentenza
di condanna non è suscettibile di passaggio in giudicato nei con
fronti della pubblica amministrazione. Quest'ultima conserva in
tegri i suoi autonomi poteri di valutazione ed autotutela nonché
di rilascio del provvedimento di sanatoria.
Né va trascurato che la nozione di giudicato è attualmente
profondamente innovata nel nuovo codice, il quale, in virtù del
l'art. 260 disp. att., è di immediata applicazione in materia.
Il giudicato penale in giudizi diversi si forma soltanto relativa
mente all'accertamento dei fatti rilevanti per la decisione nei
confronti della parte civile posta in grado di intervenire.
Né la disciplina dei reati urbanistici è sottratta alla nuova
regolamentazione, poiché «le disposizioni del codice si osserva
no nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da
leggi speciali». Subordinare, pertanto, la sospensione condizio
nale della pena alla demolizione da un lato comporta una inter
ferenza nella sfera della pubblica amministrazione non consen
tita al giudice ordinario e dall'altro determinerebbe una conse
guenza — esattamente contraria — e cioè affidare alla
discrezionalità della pubblica amministrazione medesima la rea
le attuazione di una decisione riservata al magistero penale.
CORTE D'APPELLO DI PALERMO; CORTE D'APPELLO DI PALERMO; sentenza 27 maggio 1991; Pres. Passantino, Est. Cottone; imp. Barraco.
Procedimento penale davanti ai pretore — Decreto di citazione — Omessa indicazione dell'ora di comparizione — Nullità as
soluta (Cod. proc. pen., art. 179, 555, 604).
Il decreto di citazione a giudizio davanti al pretore deve conte
nere, a pena di nullità, a norma dell'art. 555, 1° comma, lett. d), e 2° comma, c.p.p., anche l'indicazione dell'ora della
comparizione; ne consegue che la mancata specificazione del
l'ora di comparizione, risolvendosi nella omessa citazione del
l'imputato, determina una nullità assoluta ex art. 179, 1° com
ma, c.p.p. (1)
(1) Non constano precedenti. Analogamente, v., in dottrina, Cavallari, in Commento al nuovo
codice di procedura penale coordinato da Chlavario, Torino, 1990, II, 324; D'Andria, in Commento al nuovo codice, cit., 1991, V, 665; Dominioni, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, di retto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, II, 280.
Da notare che, già sotto la vigenza del codice Rocco, la dottrina e la giurisprudenza, pur in assenza di una espressa previsione normati
va, ritenevano nullo — in forza della norma generale dell'art. 185 c.p.p. del 1930 — il decreto di citazione a giudizio in cui non vi fosse (o risultasse insufficiente) l'indicazione della data o dell'ora di compari zione, v., per tutti, Rivello, in Conso-Grevi, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 1987, Vili, sub art. 412; e, in
giurisprudenza, Cass. 23 novembre 1987, Vadalà, Foro it., Rep. 1988, voce Nullità in materia penale, n. 5.
Il Foro Italiano — 1992.
Fatto e svolgimento del processo. — Con sentenza del 2 otto
bre 1990 il Pretore di Marsala dichiarava Barraco Giacomo col
pevole del delitto di lesioni personali in pregiudizio di Scirè Ni
colò — commesso in Marsala il 7 gennaio 1990 — e lo condan
nava alla pena di mesi due di reclusione, concedendo il beneficio
di cui all'art. 163 c.p.
Avverso tale sentenza il condannato proponeva appello ecce
pendo la nullità dell'impugnata sentenza (1° motivo) ed assu
mendo di avere agito in stato di legittima difesa (2° motivo).
All'odierno dibattimento il p.g. ha pronunziato le sue requi
sitorie ed il difensore dell'imputato ha esposto le difese, come
da verbale in atti.
Motivi della decisione. — È fondato il primo motivo di gra
vame, col quale l'appellante ha eccepito la nullità dell'impugna
ta sentenza (rectius: del decreto di citazione a giudizio e degli
atti successivi) sul presupposto che in detto decreto di citazione
non è stata indicata l'ora di comparizione (come può agevol
mente riscontrarsi dall'esame del decreto di citazione a giudizio
in atti). Vero è, infatti, che secondo la giurisprudenza formatasi
sotto l'impero del previgente c.p.p. la questione relativa alla
mancata indicazione dell'ora di comparizione veniva affrontata
nell'ambito della problematica attinente alla «incertezza assolu
ta... sull'autorità davanti alla quale si deve comparire» (art.
412 c.p.p. del 1930), e risolta nel senso di escludere la sussisten
za di una nullità assoluta (nel presupposto, da verificare in con
creto secondo la pratica vigente in ogni ufficio giudiziario, che
l'orario di udienza è prestabilito secondo le norme dell'ordina
mento giudiziario e reso di pubblica conoscenza mediante la
pubblicazione nella sala delle udienze).
A diversi principi è però ispirato il vigente c.p.p. del 1988
alla cui stregua il decreto che dispone il giudizio deve, a pena
di nullità, contenere anche l'indicazione dell'ora della compari
zione, come si desume, per il giudizio dinanzi al tribunale, dal
combinato disposto del 1° comma, lett. f), e del 2° comma
dell'art. 429, e per quello dinanzi al pretore dall'art. 555, 1°
comma, lett. d), e 2° comma.
Tale nullità, risolvendosi nella «omessa citazione» dell'impu
tato, è da qualificare assoluta ex art. 179, 1° comma, c.p.p.
In tal senso depongono, invero, considerazioni correlate sia
alla necessità di una corretta interpretazione del dato testuale,
sia alla ratio della norma.
Sotto il primo profilo giova premettere che, secondo la giuris
prudenza formatasi con riferimento alla disciplina di cui all'art.
185, 2° comma, c.p.p. del 1930, dovevano essere sussunte nel
l'ambito della nozione di «omessa citazione» dell'imputato tut
te le imperfezioni del decreto di citazione a giudizio che ne pre
giudicavano la funzione essenziale di vocatio in iudicium, e che
tale disciplina è stata sostanzialmente trasfusa — tranne la mo
difica attinente alla maggior estensione della rilevanza data al
l'assenza del difensore — nel vigente art. 179, 1° comma, c.p.p. Ciò posto, non può sfuggire che l'ora della comparizione è,
dal vigente c.p.p., del tutto assimilata, quanto al regime delle
nullità, alla data ed al luogo (v. anche art. 132, 2° comma,
disp. att. c.p.p.) sicché sarebbe contrario ad un corretto criterio
ermeneutico scindere, ai fini de quibus, la data ed il luogo della
comparizione (alla cui mancanza è indubbiamente ricollegabile una nullità assoluta) dal requisito di che trattasi, la cui mancan
za dovrebbe essere soggetta ad un diverso regime.
B) Sotto il secondo profilo è d'uopo precisare che la ratio
dell'assimilazione dell'ora della comparizione agli altri requisiti è da ravvisare nella considerazione che — a differenza di quan to previsto nel c.p.p. del 1930 — il decreto di citazione per il giudizio è emesso da soggetto diverso (il g.i.p. per il giudizio dinanzi al tribunale, ed il p.m. — stante l'assenza dell'udienza
preliminare — per quello dinanzi al pretore) da quello al quale è demandato il giudizio, sicché non può escludersi, quanto me
no in linea teorica, che l'ora determinata dal g.i.p. o dal p.m. non coincida con quella indicata nelle tabelle prestabilite per
l'organo giudicante secondo l'ordinamento giudiziario (si pensi, ad esempio, ad un dibattimento fissato in ora pomeridiana); donde la necessità che anche tale requisito venga — in vista
dell'attuazione del principio del contraddittorio — reso noto
all'imputato.
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GIURISPRUDENZA PENALE
In diversa direzione deve, infine rilevarsi che tale nullità, non
soggetta, quanto alle rilevabilità, ad alcun sbarramento tempo
rale, non può in alcun modo ritenersi sanata, non essendo la
parte interessata comparsa dinanzi al pretore né risultando in
alcun modo che ella abbia rinunziato a comparirvi (art. 184, 1° comma, c.p.p.).
Pertanto, ai sensi dell'art. 604, 4° comma, c.p.p., deve essere
dichiarata la nullità del provvedimento che ha disposto il giudi zio e di tutti gli atti successivi (ivi compresa l'impugnata senten
za) e gli atti vanno rimessi allo stesso pretore.
I
PRETURA DI ROVIGO; PRETURA DI ROVIGO; sentenza 13 gennaio 1992; Giud. P.
Novelli; imp. Grillini.
Lavoro (rapporto) — Inosservanze alle norme sulla sicurezza
del lavoro — Ufficiali di polizia giudiziaria delle unità sanita rie locali — Facoltà di diffida — Effetti — Condizione di procedibilità dell'azione penale — Esclusione (D.p.r. 19 mar
zo 1955 n. 520, riorganizzazione centrale e periferica del mi
nistero del lavoro e della previdenza sociale, art. 9).
La diffida impartita da funzionari ispettivi delle unità sanitarie locali con qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria per viola zioni delle norme antinfortunistiche non costituisce condizio
ne di procedibilità dell'azione penale in rapporto a tali vio
lazioni. (1)
II
PRETURA DI PARMA; sentenza 22 novembre 1991; Giud. Ami
chetti; imp. Calestani.
Lavoro (rapporto) — Inosservanze alle norme sulla sicurezza
del lavoro — Ufficiali di polizia giudiziaria delle unità sanita
rie locali — Facoltà di diffida — Effetti — Condizione di
procedibilità dell'azione penale — Esclusione (D.p.r. 19 mar
zo 1955 n. 520, art. 9).
La diffida con prescrizione rilasciata al datore di lavoro dall'uf
ficiale di polizia giudiziaria dell'unità sanitaria locale per inos servanza alle norme di legge sulla sicurezza del lavoro non
costituisce condizione di procedibilità dell'azione penale per tali inosservanze. (2)
(1-2) All'indomani della ormai celebre sentenza pronunciata nel 1990
dalla Corte di cassazione a sostegno dell'alternatività tra diffida dell'uf
ficiale di polizia giudiziaria dell'unità sanitaria locale e processo penale
per contravvenzioni alle norme sulla sicurezza del lavoro, i commenta
tori si domandarono se tale sentenza avrebbe segnato una durevole svolta
nella prassi giurisprudenziale (si allude a Cass. 9 aprile-17 maggio 1990,
Fasoli, Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro (rapporto), n. 1398: circa la
favorevole accoglienza ricevuta dalla sentenza Fasoli tra le imprese, v.
Orga, Un ripensamento delta Cassazione, a lungo atteso, sulla diffida in materia di lavoro, in Mass. giur. lav., 1991, 504 s.; Rosi, La rinasci
ta della diffida, in Dir. e pratica lav., 1990, 2607 s.; per altri commenti,
cfr., specialmente, Grillo, Unità sanitaria locale e tutela della salute
nei luoghi di lavoro: i «superpoteri» dell'ufficiale di polizia giudiziaria, in Arch, nuova proc. pen., 1991, 489 s.; Spanoher, Brevi considerazio
ni sul potere di diffida degli ispettori del lavoro, in Cass, pen., 1991, 136 s.; sulla questione, da ultimo, anche Di Marco, La tutela penale della sicurezza del lavoro ed il nuovo codice di procedura penale, in
Riv. infortuni, 1991, I, 21 s.). A questi due anni di distanza, è ormai possibile stendere un primo
bilancio delle reazioni alla sentenza Fasoli nell'ambito della magistratu ra di merito. Al momento sembra prevalere nettamente la tendenza a
respingere la tesi dell'altenatività, e, quindi, a non abbandonare l'oppo sta soluzione costantemente accolta dalla stessa Cassazione per oltre
trent'anni prima della sentenza Fasoli: v., infatti, Pret. Torino 18 luglio
Il Foro Italiano — 1992.
I
(Omissis). Venendo alle richieste della difesa avanzate in via
principale ritiene questo giudicante di non poterle condividere.
La difesa, nel motivare tali richieste, si è richiamata alla re
cente sentenza della Suprema corte, sez. Ili, 9 aprile 1990 -
17 maggio 1990, Fasoli (Foro it., Rep. 1990, voce Lavoro (rap
porto), n. 1398), con la quale i giudici della Suprema corte han
no riconosciuto espressamente alla diffida prevista dall'art. 9
d.p.r. 19 marzo 1955 n. 520 la natura di condizione di promuo vimento e prosecuzione dell'azione penale.
Tale sentenza recepisce gli orientamenti espressi da buona parte della dottrina e di una parte della giurisprudenza di merito ac
comunati nel riconoscere, per effetto del citato disposto norma
tivo, agli ispettori del lavoro (ed ora esteso al personale delle
Usi con qualifica di polizia giudiziaria dall'art. 21 1. 23 dicem
bre 1978 n. 833) il potere di scegliere, al momento dell'accerta
mento delle violazioni alle norme antinfortunistiche, tra la fa
coltà di prescrivere al datore di lavoro una rapida regolarizza zione delle violazioni e l'immediata denuncia all'autorità
giudiziaria.
1991, Dir. e pratica lav., 1991, 2538; 29 marzo 1991, Foro it., 1991, li, 393; Pret. Pistoia 11 febbraio 1991, ibid., alla cui nota si rinvia
per i riferimenti alla trentennale giurisprudenza della Cassazione capo volta dalla sentenza Fasoli.
È una tendenza che ritrova efficaci conferme sia nella sentenza della Pretura di Rovigo, sia nella sentenza della Pretura di Parma, che qui riproduciamo unitamente alla memoria illustrativa depositata nel relati vo dibattimento dalla procura della repubblica presso la pretura par mense. Da notare che la sentenza e la memoria parmensi appaiono a
maggior ragione significative, ove si rifletta che proprio la procura del la repubblica presso la Pretura di Parma, in una nota del 21 marzo 1991 inviata alle Usi del circondario, aveva fornito indicazioni in linea con l'indirizzo propugnato dalla sentenza Fasoli (di segno opposto, in
vece, una nota trasmessa alle Usi dalla procura della repubblica presso la Pretura di Torino in data 25 novembre 1991).
♦ ♦ ♦
Per una migliore informazione, si riporta la memoria illustrativa del
sostituto procuratore presso la Pretura circondariale di Parma, F. Gi
glioni.
Scopo della presente memoria illustrativa è quello di segnalare all'at
tenzione ed alla riflessione del sig. Pretore di Parma i punti salienti trattati da questo p.m. nel procedimento penale n. 912/90 a carico di
Calestani Carlo. La recente sentenza della terza sezione penale della Corte di cassazio
ne (n. 7016 del 17 maggio 1990, Fasoli, Foro it., Rep. 1990, voce Lavo
ro (rapporto), n. 1398), in tema di diffida dell'ispettore del lavoro ha
posto infatti, per la novità dell'interpretazione data all'art. 9 d.p.r. 19
marzo 1955 n. 520, una serie di problemi connessi direttamente o indi
rettamente e sui quali gioverà spendere qualche parola. La sentenza (già da qualcuno definita "clamorosa") capovolge radi
calmente il precedente orientamento della Corte di cassazione giacché in essa si afferma per l'appunto che la facoltà di diffidare il datore
di lavoro con apposita prescrizione fissando un termine per la regolariz zazione delle inadempienze riscontrate contempla una condizione per il promovimento e la prosecuzione dell'azione penale in ordine agli ille
citi accertati. L'economia dell'esposizione richiede che la trattazione degli argomenti
avvenga per brevi capitoli. 1.0) Momento consumativo nelle fattispecie omissive proprie. -1 rea
ti previsti "dalle leggi antinfortunistiche configurano, nella stragrande
maggioranza, fattispecie omissive proprie. Invero, ciò che il legislatore sanziona è appunto l'omessa adozione delle misure e/o prescrizioni, individuate mediante canoni tecnici o regole di esperienze, intese a sal
vaguardare il bene primario dell'integrità fisica e comunque la sicurezza
degli ambienti di lavoro. Tra le problematiche importanti del diritto penale del lavoro deve
essere senza dubbio annoverata quella che concerne la natura (istanta nea o permanente) dei reati omissivi propri. La questione già affrontata
dalla dottrina e dalla giurisprudenza per altri fini (prescrizione, amni
stia) merita di essere ripresa in esame se non altro, si ritiene, perché offre spunti di riflessione ancor più attuali dopo la pronuncia della
sentenza n. 7016 della terza sezione penale della Cassazione.
1.1. - Il reato omissivo proprio è per sua natura caratterizzato dal
mancato compimento da parte del soggetto di un'azione comandata dalla
norma incriminatrice e si risolve nell'inosservanza del dovere giuridico di porre in essere un determinato comportamento attivo.
Si osserva comunemente che ogni obbligo a contenuto positivo pre senta una modalità cronologica di esecuzione (un termine) eppertanto
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