sentenza 27 settembre 1990; Pres. Guidoboni, Est. Persico; imp. CompagniSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.465/466-467/468Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186395 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
ne che: a) l'art. 328 c.p.p. limita il potere-dovere del g.i.p. di
provvedere sulle richieste delle parti ai «casi previsti dalla leg ge»; b) l'art. 321 c.p.p. prevede che il giudice disponga il seque stro preventivo «a richiesta del pubblico ministero» e, quindi, non sulla richiesta delle altre parti senza il consenso del p.m. stesso; c) l'ipotesi disciplinata dall'art. 368 c.p.p., secondo cui «. . . quando, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero ritiene che non si debba disporre il sequestro richiesto
dall'interessato, trasmette la richiesta con il suo parere . . .», si riferisce alla facoltà, concessa alla persona offesa dal reato, di richiedere al p.m. (cosi come di promuovere l'incidente pro batorio: art. 394 c.p.p.) di disporre direttamente (diversamente dal caso del sequestro ex art. 321 c.p.p.) il sequestro (avente medesima finalità probatoria) di cui agli art. 253 ss. c.p.p., ove
quegli ritenga di poter accogliere la richiesta formulatagli; d) le misure cautelari, con l'eccezione dell'art. 316, 2 c.p.p., pos sono esere richieste esclusivamente dal p.m., né v'è ragione di ritenere che detta regola debba esser derogata per il caso del
sequestro preventivo, attesane anche la particolare finalità, di
impedire l'aggravamento delle conseguenze del reato o la com
missione di altri, che è tipica di uno strumento processuale la
cui utilizzazione è demandata (pur con le particolarità dettate dal nuovo codice e la previsione dell'intervento garantista del
g.i.p.) ad un organo pubblico; ritenuto, pertanto, che la norma
e il meccanismo dell'art. 368 c.p.p. debbano trovare applicazio ne per il solo caso del sequestro con finalità probatoria, ma
non in quello del sequestro preventivo, il quale — pur se suscet
tivo d'esser sollecitato, da parte della persona offesa dal reato, all'ufficio del p.m. — non può essere disposto dal g.i.p., se
non per espressa conforme richiesta di quell'organo pubblico;
per questi motivi, visti gli art. 22, 321, 328, 368 c.p.p., di
chiara non luogo a provvedere sull'istanza di sequestro di titoli
bancari presentata al p.m. in sede da R.S.N., e da quegli tra
smessa ex art. 368 c.p.p. a questo ufficio. Ordina restrituirsi
gli atti al p.m. in sede.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA; sentenza 27 settembre
1990; Pres. Guidoboni, Est. Persico; imp. Compagni.
CORTE D'APPELLO DI BOLOGNA;
Acque pubbliche e private — Tutela dall'inquinamento — Im
presa agricola — Fattispecie (Cod. civ., art. 2135; 1. 10 mag
gio 1976 n. 319, norme per la tutela delle acque dall'inquina mento, art. 3, 21; d.l. 10 agosto 1976 n. 544, proroga dei
termini di cui agli art. 15, 17 e 18 1. 10 maggio 1976 n. 319, art. 1 quater, 1. 8 ottobre 1976 n. 690, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 10 agosto 1976 n. 544, art. unico; 1. 24 dicembre 1979 n. 650, integrazioni e modifiche delle leg
gi 16 aprile 1973 n. 171 e 10 maggio 1976 n. 319, art. 17).
Competenza e giurisdizione penale — Legge regionale — Disap
plicazione — Esclusione.
Costituiscono imprese agricole, qualificabili come insediamenti
civili ex l. 319/76, i caseifici e le latterie cooperative che tra
sformano (esclusivamente) i prodotti conferiti dai soci. (1)
(1) I. - La pronuncia giunge alle stesse conclusioni di Cass. 3 aprile 1990, Monte, Foro it., 1991, li, 20, con nota di Giorgio, sul (solo) presupposto dell'operatività in seno alle diverse branche del vigente or dinamento giuridico di una nozione unitaria di impresa agricola, nel cui ambito vanno sussunte anche le cooperative di trasformazione e commercializzazione dei prodotti sociali. In proposito — come eviden ziato dagli stessi giudici emiliani — la Suprema corte si era (prima della sentenza appena citata) pronunziata in senso antitetico (cfr. i richiami sub IV nella nota cit. di Giorgio).
Va, peraltro, segnalato che secondo Cass. 18 aprile 1990, Campana, Riv. pen., 1991, 301, un caseificio gestito da una cooperativa deve qua lificarsi come insediamento produttivo, quando sussista la strumentalità
degli allevamenti dei soci rispetto alla realizzazione del prodotto sociale
(nel caso specifico, parmigiano reggiano). Quindi, quest'ultima pronun cia sembra fondata su un'opzione ermeneutica antitetica a quella accol ta dalla pronuncia in epigrafe e da Cass. 3 aprile 1990, Monte, cit.
II. - In materia, va segnalata anche una recente pronuncia di merito
(Pret. S. Ginesio 2 marzo 1989, Giur. agr. it., 1990, 696, con nota di Grimani) secondo cui va qualificato come insediamento produttivo una cooperativa finalizzata alla trasformazione dell'uva conferita dai
Il Foro Italiano — 1991.
Gli scarichi rivenienti da insediamenti civili non sono soggetti
all'obbligo dell'autorizzazione, penalmente sanzionato ex art.
21 l. 319/76 (in motivazione, viene puntualizzato che in ma
teria rileva esclusivamente la potestà normativa ed ammini
strativa delle regioni, ex art. 14 I. cit.). (2) Il giudice penale non può disapplicare la legge regionale, ritenu
ta illegittima. (3)
Con sentenza in data 9 ottobre 1989, di cui all'epigrafe, il
Pretore di Scandiano (RE) dichiarava Compagni Francesco,
propri soci. In dottrina, da ultimo, cfr. F. Giampietro, Legge Merli, leggi regionali e impresa agricola: il Supremo collegio e la Corte costi tuzionale di fronte al groviglio legislativo, in corso di pubblicazione su Cass, pen., 1991.
(2) I. - La sentenza si conforma al prevalente orientamento giuris prudenziale della Suprema corte, secondo cui — in assenza della nor mativa (integrativa) regionale predisposta nell'ambito dei piani di risa namento delle acque — i reati previsti dalla 1. 319/76 si configurano come «propri» dei titolari degli insediamenti produttivi: cfr. i richiami contenuti nella nota a Pret. Asola 2 febbraio 1989, Foro it., 1990, II, 221, cui adde Cass. 22 giugno 1988, Bua, Riv. pen., 1990, 161. Peral
tro, la tesi contraria è stata riaffermata prima da Cass. 20 febbraio
1990, Armuzzi, massimata id., 1991, 187 e poi, più recentemente, dalle sezioni unite con una pronuncia inedita (v. Il Sole-24 Ore del 20 giugno 1991).
II. - Per la verità, occorre evidenziare che contrariamente a quanto opinato dalla corte d'appello felsinea, la regione Emilia-Romagna ha
predisposto una organica regolamentazione degli scarichi rivenienti da insediamenti «civili» (con le leggi 7/83, 13/84 e 42/86), prevedendo sanzioni (solo) amministrative — ex art. 11 1. reg. 28 novembre 1986 n. 42 — in relazione all'apertura senza autorizzazione di «nuovi» scari chi (tra i quali, anche quelli rivenienti dalle cooperative agricole, di cui all'art. 2 1. reg. 23 marzo 1984 n. 13). In tal modo, però, secondo Pret. Reggio-Emilia, sez. distaccata Montecchio Terme, ord. 1° feb braio 1991, Noi & l'Ambiente, 1991, IC-CI, il legislatore regionale avrebbe indebitamente — ex art. 25 e 117 Cost. — «rimosso» la disposizione penale statale di cui all'art. 21 1. 319/76, si da giustificare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 1. reg. cit., conseguentemente sollevata. Diversamente dal pretore reggiano, Cass. 6 aprile 1990, Gian
ferrari, Riv. pen., 1991, 301, ha opinato che, non potendo una legge regionale integrare o ridurre l'ambito della legge penale dello Stato, la normativa sanzionatoria amministrativa regionale, in realtà, rafforza
quella nazionale penale in materia di tutela delle acque dall'inquina mento (nel caso di specie, trattavasi di leggi regionali integrative del l'art. 25 1. 319/76). Sulla legislazione in materia d'inquinamento idrico della regione Emilia-Romagna, cfr. Inquinamento idrico tra Stato e re
gioni - L'esperienza dell'Emilia-Romagna, a cura di P. Giampietro, Bologna, 1986.
III. - Cass. 10 ottobre 1987, Ciardi, richiamata nella sentenza in epi grafe, è riportata in Foro it., 1988, II, 363, con nota di Carofiglio.
(3) I. - La sentenza si riporta alle conclusioni di Corte cost. 14 giu gno 1990, n. 285 [Azienditalia 1990, 274, con nota favorevole di Bar
boni; Corriere giur., 1990, 1014, con nota favorevole di Felicetti; Giust.
civ., 1990, I, 2449, con nota critica di Annunziata e favorevole di
M.S.R.; Foro amm., 1990, 2267, con nota di Iannotta; in argomento cfr. anche Conso, La giustizia costituzionale nel 1990, in Foro it., 1991, V, 114 e 152] che ha annullato Cass. 14 novembre 1989, Predieri, Riv.
pen., 1990, 873. Con quest'ultimo arresto erano state «disapplicate» — ex art. 5 1.
20 marzo 1865 n. 2248, ali. E — le tre citate leggi (in tema di inquina mento idrico) della regione Emilia-Romagna, perché ritenute costituzio nalmente illegittime, come già opinato da Cass. 10 dicembre 1985, Ga
nassi, Foro it., Rep. 1987, voce Acque pubbliche, n. 190. La regione Emilia-Romagna ha, quindi, reagito alla seconda «bocciatura» della sua
legislazione da parte dell'organo di legittimità, con il conseguente favo revole responso della Corte costituzionale. In argomento, cfr. ampia mente Giampietro, op. cit.
II. - Sui limiti della legislazione regionale in subiecta materia, cfr., da
ultimo, Cass. 20 febbraio 1990, Armuzzi, cit., secondo cui le regioni pos sono prevedere soltanto un abbassamento dei limiti di accettabilità dei re flui e non anche un innalzamento oltre i limiti indicati nella legge penale.
III. - Nella sentenza in epigrafe viene — tra l'altro — affermato che il giudice penale deve applicare una legge regionale, «salvo sollevare conflitto di attribuzione, ove ne ravvisi gli estremi». Per la verità, nella sentenza citata 285/90, la Corte costituzionale ha evidenziato che —
di fronte ad una legge regionale reputata costituzionalmente illegittima — il giudice penale può (al più) sollevare questione di legittimità costi tuzionale (e non un conflitto di attribuzione ex art. 134 Cost., su cui cfr. Pizzorusso, Garanzie costituzionali, in Commentario della Costi
tuzione a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 131 ss.). IV. - Sui limiti costituzionali della legislazione regionale in materia
penale, cfr. Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 43, Foro it., 1990, I, 1454, cui adde, da ultimo, nello stesso senso, Corte cost. 20 maggio 1991, n. 213, G.U., la s.s., 29 maggio 1991, n. 21, 18.
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PARTE SECONDA
presidente della latteria sociale Molinazza di Casalgrande, soc.
coop, r.l., responsabile della contravvenzione all'art. 21 1. 319/76,
per aver effettuato scarichi nel canale Secchia, e cioè in acque
pubbliche, senza autorizzazione.
Negava il pretore che detto scarico di stabilimento caseario
fosse assimilabile a quelli delle abitazioni civili (insediamenti ci vili) ma che invece fosse da considerare produttivo, poiché la
delibera del comitato interministeriale 8 maggio 1980 e la 1. reg.
Emilia-Romagna 7/83 (art. 6) si riferiscono alle imprese agrico le tout court o alle imprese agricole che trasformano parte del
loro prodotto come attività accessoria, mentre il caseificio in
questione costituisce autonoma attività imprenditoriale, distinta
dall'attività agricola dei singoli soci. Il presidente, secondo la
prima sentenza, non aveva presentato domanda di autorizzazione.
In realtà, esaminando attentamente gli allegati al rapporto dei carabinieri si evincono dati diversi:
— il 7 novembre 1983 il Compagni denunciava al sindaco
10 scarico in atto, che avveniva dopo la sosta in fossa di decan
tazione; — il 3 agosto 1983 aveva già inoltrato domanda di autorizza
zione allo scarico, ma nel questionario regionale allegato quali ficava (con una crocetta) lo stabilimento come . . . insediamen
to produttivo; — l'Azienda gas acqua consorziale, nelle sue fatture-bollette,
qualifica, peraltro, l'utenza come . . . civile.
Appellava il difensore, incentrando le doglianze sulla qualifi cazione dell'attività della cooperativa e sulla previsione speciale del citato art. 6 1. reg. 29 gennaio 1983 n. 7, modificata dalla
1. reg. 21 marzo 1984 n. 13, secondo il quale articolo nella clas
se C sono inserite le imprese agricole ivi comprese le cooperati ve .. . che abbiano date caratteristiche.
Poiché viene devoluto soltanto tale punto di diritto, e il p.m. non ha impugnato, nonostante i difformi dati rilevati nella do
cumentazione, come già spiegato, questa corte deve soltanto pren dere in esame la questione se la latteria presieduta dal Compa
gni realizzi ai sensi di legge un insediamento civile per il quale non occorreva l'autorizzazione (pacifico risultando che si con
troverte soltanto sullo scarico di acque di lavaggio di attività
casearia e cioè della trasformazione del solo latte conferito dai
soci). Invero, non risulta prospettata ovvero emergente dagli atti
alcuna questione di parametri di scarico, poiché l'equiparazione tra classifica agricola e civile potrebbe consentirsi solo a parità di natura quantitativa e qualitativa dello scarico (sul punto, cfr.
Cass. 10 ottobre 2987, Gardi, Foro it., 1988, II, 363). Cosi delimitata la materia del decidere si deve rilevare: — questa corte con ripetute pronunzie ha ritenuto che il rea
to in rubrica sia reato proprio di titolare di insediamento pro duttivo che non si può estendere al titolare di insediamento civi
le, secondo quanto affermato da Cass. 23 maggio 1983, Ca
priotti (id., Rep. 1984, voce Acque pubbliche, n. 179) trattandosi
di materia riservata alle regioni (cfr. App. Bologna 14 novem
bre 1988, n. 3601, Artidi), che dunque possono compiere, nei
limiti della loro potestà normativa, anche scelte classificatorie
delle varie attività produttive (cfr. App. Bologna 16 maggio 1990, n. 1834, Fontanelli ed altri), ed in effetti le norme citate tengo no presente il rilievo della cooperazione agricola emiliano
romagnola; — non può essere estesa la previsione sanzionatoria della 1.
319/76, dettata per gli insediamenti produttivi a quelli civili,
poiché è la stessa legge che all'art. 14 ha demandato alle regioni ordinarie tale competenza legislativa autonoma (cfr. App. Bo
logna 12 giugno 1990, n. 2434, Ferrari); — la Corte costituzionale, con sentenza 14 giugno 1990, n.
285, risolvendo il conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la regio ne Emilia-Romagna, ha dichiarato che non spetta al giudice pe nale ordinario di disapplicare le leggi regionali 7/83, 13/84 e
42/86 dell'Emilia-Romagna e quindi ha annullato la sentenza
Cass. 12 dicembre 1989, n. 2734, che aveva disapplicato dette
norme regionali per aver interferito nella materia penale riser
vata allo Stato.
Nella parte motiva della sentenza costituzionale, che riscon
tra un errore in iudicando nella pronuncia della Cassazione,
per aver disapplicato direttamente la legge regionale senza solle
vare conflitto di attribuzioni, si richiama l'orientamento della
Cassazione contrario a riconoscere natura civile all'insediamen
to delle cooperative agricole, in forza della citata legge regiona le, mentre il difensore appellante assai opportunamente fa nota
re che tutta la legislazione societaria e tributaria equipara le
11 Foro Italiano — 1991.
cooperative agricole alle imprese agricole, e che la diversa veste
di persona giuridica non fa cambiare la natura agricola dell'at
tività, che i soci avrebbero potuto svolgere singolarmente come
persone, pur con maggiori oneri e minori risorse organizzative
(contra: Cass. 25 novembre 1987, n. 11860, Gatti, che esclude
l'analogia tra norme civilistiche, amministrative e fiscali e nor
me anti-inquinamento per la definizione di impresa agricola). Da che si illumina la ratio delle scelte della regione Emilia
Romagna nell'emanare le disposizioni ricordate, che il giudice
penale deve applicare, salvo sollevare conflitto di attribuzioni, ove ne ravvisi gli estremi, il che non si ritiene.
Nel caso di specie, infine, poiché il competente sindaco di
Casalgrande fin dal 1983 fu ritualmente informato con la de
nuncia dello scarico, non ricorrono ulteriori adempimenti e il
caso può definirsi con la piena assoluzione dell'imputato, poi ché il fatto non è previsto come reato.
TRIBUNALE DI CASSINO; sentenza 11 aprile 1991; Pres. Ur
bano, Est. M. Capurso; imp. Salvatore.
TRIBUNALE DI CASSINO;
Giudizio penale (atti preliminari del) — Liste testimoniali —
Deposito — Termini (Cod. proc. pen., art. 468). Giudizio penale (atti preliminari del) — Liste testimoniali —
Estremi (Cod. proc. pen., art. 468).
I sette giorni liberi rilevanti ai fini del deposito, a pena di inam
missibilità, delle liste testimoniali, devono essere computati con riguardo alla data fissata per il dibattimento dal decreto
che dispone il giudizio, a nulla rilevando un eventuale rinvio
disposto dal giudice dibattimentale in sede di atti intro
duttivi. (1) Le «circostanze su cui deve vertere l'esame», che le parti hanno
l'onere di indicare nelle liste testimoniali, devono presentare un minimo di specificità, e non possono consistere in formule del tutto generiche, avulse da qualsiasi riferimento ai fatti storici relativi alla vicenda processuale. (2)
Fatto e diritto. — Con decreto in data 21 febbraio 1990 il
g.i.p. disponeva procedersi al giudizio immediato nei confronti
di Luciano Salvatore, opponente avverso il decreto penale del
9 gennaio 1990, con il quale era stato condannato alla pena di lire 400.000 di ammenda per i reati di cui in epigrafe.
All'odierno dibattimento il p.m. procedeva all'esposizione dei
fatti posti a base della contestazione e, all'esito, chiedeva l'am
missione di prova testimoniale.
La difesa indicava i fatti che intendeva provare, chiedendo, a propria volta, l'ammissione di prova documentale.
(1) Non constano precedenti editi. La decisione si fonda sul rilievo che il rinvio del processo — essenzialmente limitato, nell'attuale siste
ma, alle ipotesi di cui agli art. 486 e 487 c.p.p. — si appalesa, come sottolineato in motivazione, quale «circostanza imprevedibile» che non
può surrettiziamente dar luogo ad una sorta di restituzione nel termine
per il deposito della lista testimoniale: la funzione di discovery cui ob bedisce tale onere delle parti risulterebbe, infatti, turbata ove si consen tisse uno «straripamento» dei termini in esito a modificazioni acciden tali e non preventivabili delle dinamiche del rapporto. Esigenze di cer tezza e, in ultima analisi, di ossequio ai principi di lealtà e probità delle parti in un sistema a ispirazione accusatoria inducono, dunque, a considerare non valicabile — salvo, ovviamente, il peculiare meccani smo dell'art. 175 c.p.p. — il termine dei sette giorni liberi anteriori alla data dell'udienza dibattimentale quale risulta dal decreto che dispo ne il giudizio.
(2) Il principio per il quale l'indicazione delle circostanze deve essere
specifica, che scaturisce dalla funzione di discovery assegnata al deposi to delle liste, è stato già adeguatamente sottolineato dalla giurispruden za di merito: cfr. Trib. Salerno, ord. 9 marzo 1990, Arch, nuova proc. peri., 1990, 266; Pret. S. Angelo di Brolo 7 giugno 1990, ibid., 594; Trib. Venezia, ord. 11 ottobre 1990, ibid., 577; Assise Cassino, ord. 18 giugno 1990, id., 1991, 93. In dottrina, cfr., tra gli altri, Bonetto, in Commento aI nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia
vario, Torino, 1991, V, sub art. 468, 43; Kostoris, in Codice di proce dura penale. Commentario coordinato da Giarda, Milano, 1990, III, sub art. 468, 1050.
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