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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 28 ottobre 1987; Pres. Becchino, Est. Giorgi; imp....

Date post: 30-Jan-2017
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sentenza 28 ottobre 1987; Pres. Becchino, Est. Giorgi; imp. Scallan Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 255/256-259/260 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179655 . Accessed: 28/06/2014 11:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.28 on Sat, 28 Jun 2014 11:51:57 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 28 ottobre 1987; Pres. Becchino, Est. Giorgi; imp. Scallan

sentenza 28 ottobre 1987; Pres. Becchino, Est. Giorgi; imp. ScallanSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.255/256-259/260Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179655 .

Accessed: 28/06/2014 11:51

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PARTE SECONDA

processuale. Tutti questi elementi di valutazione convergono in

fatti a rendere quanto mai credibile la ricostruzione sostanziale

della vicenda fornita dalla Ferroni.

Non si possono così non ricordare i due precedenti giudiziari che hanno visto il Tinari imputato rispettivamente davanti al Pre

tore di Amelia e al Tribunale di Terni. Entrambi i processi furo

no originati da denunce sporte nei confronti del Tinari da parte di Maria Pia Rosati e Maria Ludovica Santori precedentemente

legate al Tinari da una relazione. Senza riportare il contenuto

delle sentenze (sent. Pretore di Amelia del 22 marzo 1976 e sent.

Tribunale di Terni dell'11 dicembre 1981, confermata in secondo

grado dalla Corte d'appello di Perugia in data 15 ottobre 1982), che sono comunque agli atti, occorre sottolineare che, anche in

quelle occasioni, il Tinari si era reso protagonista di aggressioni fisiche e verbali, molestie telefoniche, appostamenti, ingiurie, mi

nacce nei confronti delle due donne. In particolare non può non

apparire illuminante la vicenda processuale conclusasi con la sen

tenza della Corte d'appello di Perugia che ha confermato la con

danna del Tinari per il reato di violenza privata ai danni di Maria

Ludovica Santori. Anche in quel processo la denuncia si riferiva

al comportamento violento e intimidatorio posto in essere dal

Tinari dopo la decisione della Santori di interrompere la relazio ne. La stessa Ferroni, nel braccio di ferro impostole dal Tinari in questo processo, ha riferito la circostanza (ampiamente con

fermata da tutti i testimoni sentiti a tale proposito) per cui il

Tinari si trasferi da Terni a Rieti a causa di una recente relazione

con una altra ragazza giovanissima che, esasperata dal suo com

portamento, lo aveva costretto ad allontanarsi da Terni. Nel leg

gere, poi, la sentenza del Tribunale di Terni, cui si è fatto riferi

mento, si riscontra una sconcertante analogia con i fatti oggetto del presente processo, tranne che per quanto riguarda la circo

stanza che in quel processo intervenne, nel corso dell'istruttoria, la remissione della querela (cosi come del resto avvenne nel pro cesso davanti al Pretore di Amelia).

Anche dopo la querela da parte del padre della Ferroni il Tina ri ha tentato in ogni modo di ottenerne la remissione (si vedano

le deposizioni rese in istruttoria e dibattimento da don Rino Ni

colò), offrendo in cambio il suo allontanamento da Rieti e mi

nacciando, altrimenti, di negare radicalmente in dibattimento le affermazioni della ragazza, oltre che, implicitamente, di rendere

pubblica la relazione che Francesca avrebbe avuto al mare con un altro ragazzo, nel luglio dell'84.

Tutto ciò è puntualmente avvenuto in dibattimento dove il Ti

nari ha toccato punte di inattendibilità davvero paradossali a pro

posito degli episodi del 2 luglio 1984 e del 9 febbraio 1985 e

ha costretto, non solo la Ferroni, ma anche la Santini e la Renzi, a umilianti e snervanti corvées processuali per rendere possibile l'accertamento di fatti che egli ha ostinatamente negato. Stupi sce, come si è detto, che tale atteggiamento processuale sia potu to apparire al Tinari conforme alle sue esigenze di difesa mentre in realtà ha impedito un qualsiasi confronto con la ragazza da

cui sarebbe potuta scaturire quell'indagine sulle motivazioni af fettive del suo comportamento e sul rispetto del suo ruolo di in

segnante, pur in una vicenda cosi emotivamente delicata, che egli, d'altra parte, ha posto come asserzioni centrali della sua difesa. In tali condizioni può solo affermarsi che la vicenda in esame ha confermato quanto già era emerso in altri procedimenti penali sull'incapacità da parte dell'imputato di affrontare una relazione affettiva e sessuale senza assumere un comportamento di violen za e di prevaricazione. Tale comportamento è idoneo, sia sogget tivamente che oggettivamente, a integrare la responsabilità per i reati ascritti ai capi di imputazione e, in particolare, ai capi d) ed f) della rubrica.

Per questi motivi va riconosciuta la responsabilità dell'imputa to per tutte le imputazioni a lui ascritte, da unificare sotto il vincolo della continuazione. (Omissis)

TRIBUNALE DI SAVONA; sentenza 28 ottobre 1987; Pres. Bec

chino, Est. Giorgi; imp. Scallan.

TRIBUNALE DI SAVONA;

Armi e materie esplodenti — Armi da guerra — Introduzione e transito nello Stato senza licenza — Reato — Fattispecie (R.d. 18 giugno 1931 n. 773, t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, art. 28; r.d. 6 maggio 1940 n. 635, regolamento per l'esecuzio ne del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, art. 38, 39, 40,

41; 1. 2 ottobre 1967 n. 895, disposizioni per il controllo delle

armi, art. 1, 2; 1. 14 ottobre 1974 n. 497, nuove norme contro la criminalità, art. 9, 10).

Il Foro Italiano — 1988.

Confisca — Armi da guerra — Introduzione nello Stato senza

licenza — Confisca — Obbligatorietà (Cod. pen., art. 240; 1.

22 maggio 1975 n. 152, disposizioni a tutela dell'ordine pubbli

co, art. 6).

Integra il reato di introduzione nello Stato senza licenza, previsto e punito dall'art. 1 l. 2 ottobre 1967 n. 895, sostituito dall'art.

9 I. 14 ottobre 1974 n. 497, la presenza, a bordo di una nave

mercantile di nazionalità straniera ormeggiata in un porto ita

liano, di armi da guerra e parti di esse in mancanza di licenza del ministro per l'interno, ivi assorbito il reato di detenzione

illegale di analogo materiale previsto e punito dall'art. 2 I.

895/67, sostituito dall'art. 10 I. 497/74. (1) È sempre obbligatoria, ai sensi dell'art. 6 l. 22 maggio 1975 n.

152, la confisca di armi da guerra ed altro materiale bellico

introdotti senza licenza nel territorio dello Stato, non potendo sene più consentire la legittimazione ai sensi dell'art. 240, ulti

mo comma, c.p. per essere il reato ormai giunto a consuma

zione. (2)

(1) La sempre più frequente constatazione della presenza di armi da

guerra ed altro materiale bellico a bordo di navi mercantili straniere in transito (vedi, da ultimo, il caso di una nave istraeliana attraccata a Por to Empedocle con armi e munizioni asseritamente destinate alla difesa

personale dell'equipaggio e quello di una nave danese attraccata nel por to di Reggio Calabria con un carico di esplosivo utilizzabile quale propel lente solido per missili, rispettivamente riportati dalla stampa quotidiana del 4 e del 5 marzo 1988) ripropone all'attenzione della giurisprudenza il problema del conflitto tra giurisdizione dello Stato della bandiera e

giurisdizione dello Stato rivierasco in ordine a reati commessi a bordo di navi mercantili straniere in acque territoriali italiane.

L'indirizzo prevalente, cui si è informata anche la sentenza surriporta ta, risolve il conflitto in base al «principio dell'evento», secondo cui pre vale la giurisdizione dello Stato della bandiera ove le conseguenze del fatto non eccedano l'ambito della comunità installata a bordo della nave, considerata come un frammento distaccato della comunità nazionale cui

appartiene il natante, mentre prevale la giurisdizione dello Stato riviera sco ove le conseguenze medesime si ripercuotano all'esterno, incidendo sulla sicurezza o su altri interessi primari della comunità territoriale. In

questo senso, oltre Cass. 30 ottobre 1969, Matrino (Foro it., Rep. 1970, voce Legge, regolamento e decreto, n. 46) e le altre sentenze citate nella decisione riportata, v. Cass. 20 settembre 1968, Skoufalos, id., 1969, II, 193, che ha confermato App. Lecce 26 giugno 1968, id., Rep. 1969, voce Reato commesso all'estero, n. 1.

In dottrina analogo orientamento è espresso da Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 1985, 103; Florio, Nazionalità della nave e legge della bandiera, Milano, 1957; Quadri, Le navi private nel diritto internazionale, Milano, 1940, 159; Ruggiero, Navi mercantili straniere e legislazione penale, in Riv. polizia, 1983, 214, il quale rileva come la presenza di armi portatili quale dotazione di bordo in funzione della difesa del natante o del mantenimento della disciplina interna non hanno sinora dato luogo ad interventi dell'autorità di polizia o dell'auto rità doganale dello Stato rivierasco sul presupposto che si trattasse di attività non interessanti quest'ultimo. L'a. richiama anche la convenzione di Ginevra sul mare territoriale e zona contigua, stipulata il 28 aprile 1958 e resa esecutiva in Italia con 1. 8 dicembre 1961 n. 1658, il cui art. 19 esclude, in generale, la giurisdizione dello Stato costiero su navi straniere in transito salvo a) che le conseguenze di una violazione si esten dano allo Stato costiero, b) che la violazione sia idonea a turbare l'ordine

pubblico dello Stato costiero o del suo mare territoriale, c) che l'assisten za delle autorità locali sia richiesta dal comandante della nave o dall'au torità consolare dello Stato della bandiera, d) che si verta in materia di repressione del traffico di stupefacenti.

Quanto, invece, ai reati commessi su navi mercantili italiane che navi

ghino al di fuori delle acque territoriali dello Stato, la giurisprudenza simmetricamente afferma, in base all'art. 4, 2° comma, c.p., il loro as

soggettamento alla giurisdizione penale italiana, fatta eccezione per i fatti delittuosi commessi a bordo di navi che si trovino in acque territoriali di un altro Stato e che abbiano riflessi sullo Stato rivierasco (Cass. 30 ottobre 1985, Abdejatif, Foro it., 1986, I, 1, con nota di Scaglione). Tuttavia, mentre Cass. 19 novembre 1981, Facchini, id., Rep. 1982, voce Reato commesso in Italia o all'estero, n. 10, ha giudicato avvenuto all'e stero, e dunque sottoposto a condizione di procedibilità ex art. 9 c.p., il reato di naufragio di nave italiana in acque territoriali straniere conse

guente ad incendio scoppiato a bordo, di cui all'art. 449 c.p., Trib. Bari 21 marzo 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 3, ha ritenuto un'analoga fattispecie rientrante nella previsione di cui all'art. 7, n. 5, c.p. in forza dell'art. 1080 c. nav. e dell'art. 1 della convenzione internazionale per l'unificazione delle regole di competenza penale in tema di abbordaggio ed altri incidenti di navigazione sottoscritta a Bruxelles il 10 maggio 1952 e resa esecutiva in Italia con 1. 25 ottobre 1977 n. 880, che attribuisce allo Stato della bandiera la giurisdizione sui reati relativi ad incidenti di navigazione, con conseguente esclusione della necessità di richiesta da

parte del ministro della giustizia. Sulla validità della norma penale nello spazio, vedi, in generale, Pa

gliaro, Legge penale nello spazio, voce dell'Encicliopedia del diritto, Mi lano, 1973, XXIII, 1054 ss.

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GIURISPRUDENZA PENALE

(Omissis). Orbene, pacifico essendo che le armi e le parti di

armi in giudiziale sequestro erano effettivamente trasportate a bor

do della motonave «Fathulkair», che le stesse provenivano ed erano dirette all'estero (secondo quanto risulta dalla documenta zione in parte sequestrata dalla guardia di finanza ed in parte successivamente prodotta dall'armatore) e, infine, che in relazio

ne a detto carico nessuna autorizzazione era stata chiesta ed otte

nuta dal competente ministero dell'interno italiano, all'attenzione

del tribunale si pongono due problemi. Sotto un primo profilo, invero, occorre chiedersi se la presenza

a bordo della nave ormeggiata nel porto di Savona di un carico

di armi da guerra integri la fattispecie dell'introduzione delle stesse

nel territorio dello Stato e, subito dopo, se la liceità di detta in

troduzione (ove si ritenga che la stessa sussista) sia o meno su

bordinata al conseguimento della relativa autorizzazione ministe

riale1.

Né ciò basta, poiché, data a tali quesiti una risposta positiva, occorre ancora accertare la sussistenza, a carico del comandante

della «Fathulkair», attuale imputato, dell'elemento soggettivo dei

Sull'introduzione nello Stato di armi da guerra od altro materiale belli

co, cfr. Rinella, Guida alla disciplina delle armi e degli esplosivi, Mag gioli, Rimini, 1985; Parisi-Ferrante, Le armi e gli esplosivi, Bucalo, Latina, 1985; Vigna-Bellagamba, Armi, munizioni, esplosivi, 1981, 124

ss.; 199; Bonito, Disciplina giuridica delle armi, Editoriale Olimpia, 1987, 86 ss.

Merita di essere qui segnalato, per affinità di materia, anche Gorlani, Riflessioni sulla repressione del commercio clandestino delle armi da guerra, in Cass, pen., 1985, 2093, il quale, annotando criticamente Cass. 19 gen naio 1984, Gamba, Foro it., Rep. 1985, voce Armi, n. 40 (secondo cui

integra il reato di cui all'art. 1 1. 895/67 il fatto del privato che ponga in vendita, dal territorio dello Stato, armi o munizioni da guerra di cui si abbia la disponibilità all'estero e destinate ad acquirenti stranieri, aven do la legge inteso punire anche la fase precontrattuale delle trattative, a prescindere da ogni riferimento di carattere «reale» con la merce), ritie ne non riconducibile alla previsione in esame l'attività commerciale svolta in territorio italiano ma avente ad oggetto cose esistenti all'estero e non destinate all'Italia, concernendo tutte le fattispecie disciplinate dalla nor ma attività esaurenti i loro effetti nel territorio nazionale e presupponenti la presenza della merce nel medesimo.

Quanto all'assorbimento, ritenuto dalla sentenza riportata, della deten zione illegale nel delitto di introduzione senza licenza nel territorio dello

Stato, concepito come fattispecie unica di reato complesso, vedi, nello stesso senso, Cass. 11 luglio 1985, Salah All' Hus, id., Rep. 1986, voce

cit., n. 95; in senso contrario, Cass. 29 giugno 1984, Nienhaus, id., Rep. 1985, voce cit., n. 117, e 24 febbraio 1983, Hameline, id., Rep. 1984, voce cit., n. 244, secondo le quali il delitto di introduzione concorre con

quelli di detenzione e porto illegali, trattandosi di fattispecie autonome

poste in funzione della tutela di beni giuridici diversi. In tema di importazione temporanea di armi comuni da sparo, v. Pret.

Sestri Ponente 20 gennaio 1984 (id., Rep. 1985, voce cit., n. 118), che ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 25 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 1. 18 aprile 1975 n. Ili, che detterebbe una norma penale in bianco facendo dipende re l'esistenza del reato dall'inosservanza di disposizioni emanate con sem

plice provvedimento amministrativo.

Degna di nota, ancorché non affrontata espressamente dalla sentenza

surriportata ma egualmente implicata dalla formulazione del capo d'im

putazione, ove si fa riferimento alla compartecipazione nel reato del lega le rappresentante della compagnia armatrice nonché della sua filiale lon

dinese, entrambi ancora da identificare, è, infine, la problematica del concorso nel delitto di introduzione illegale di armi nel territorio dello Stato di persone rimaste all'estero, affermativamente risolta da Cass. 28

giugno 1985, Arafat, id., 1986, II, 277, secondo cui, essendo il reato concorsuale un illecito unico con pluralità di autori, quando parte del suo processo causale si è verificato in Italia ad opera di taluni dei coauto

ri, esso ricade interamente sotto l'impero della legge penale italiana e si considera commesso in Italia da parte di tutti i concorrenti anche se taluno di essi sia di nazionalità straniera ed abbia agito materialmente restando all'estero. In senso conforme Cass. 23 novembre 1983, Papadi mitru, id., Rep. 1985, voce Reato commesso in Italia o all'estero, n.

3; 15 febbraio 1980, Vittor, id., Rep. 1981, voce Concorso di persone nel reato, n. 17; 30 ottobre 1972, Radici, id., Rep. 1973, voce Reato commesso in Italia o all'estero, n. 5; 23 ottobre 1972, Orlando, ibid, n. 4.

(2) In argomento, v. Cass. 1° luglio 1983, Zanardi, Foro it., Rep. 1984, voce Confisca, n. 5, secondo cui la confisca è obbligatoriamente prevista dall'art. 6 1. 152/75 per tutti i reati concernenti le armi e, quindi, anche

per condotte diverse dalla fabbricazione, uso, porto, detenzione od alie

nazione già considerate dall'art. 240, 2° comma, n. 2, c.p. (nella specie, è stata ritenuta obbligatoria la confisca di collezioni di armi comuni da

sparo o da caccia senza licenza del questore, ancorché singolarmente de

nunziate, e senza possibilità di distinguere tra le stesse limitando la confi sca alle armi eccedenti il numero di due per le armi comuni da sparo o di sei per quelle da caccia).

In dottrina, v. Germano Cortese, Erede del reo, «legge Reale» e con

fisca di armi (nota a Trib. Oristano 10 dicembre 1980, id., Rep. 1983, voce cit., n. 9), in Giur. merito, 1983, 1010.

Il Foro Italiano — 1988.

reati a lui contestati (il quale si realizza nella consapevolezza e nella volontarietà dell'introduzione delle armi nel territorio italia no e dell'assenza della prescritta autorizzazione).

Il primo quesito è di facile soluzione, ove si tenga presente che, ai sensi dell'art. 28 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, le leggi penali e quelle di polizia e sicu rezza pubblica obbligano tutti coloro che si trovano sul territorio

dello Stato; che, secondo l'art. 3, 1° comma, c.p., la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano

nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto

pubblico interno o dal diritto internazionale; che, a norma del successivo art. 4, 2° comma, dello stesso codice, agli effetti della

legge penale è «territorio dello Stato» il territorio della repubbli ca ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato e, infi

ne, che il «mare territoriale» (individuato a norma dell'art. 2 c.

nav.) è soggetto alla sovranità dello Stato.

Del resto in tal senso è il costante insegnamento della Corte

di cassazione, secondo cui «le navi mercantili di nazionalità stra

niera, in quanto si trovino nelle acque territoriali dello Stato ita

liano, sono da considerare, ai fini della legge penale, territorio

dello Stato stesso, né possono perciò godere di alcuna speciale

immunità, incontrando il potere dello Stato limiti solo per le navi

da guerra. Né può avere all'uopo rilevanza il fatto che la nave

mercantile sia adibita ad un servizio nell'interesse dello Stato, alla cui nazionalità appartiene, non potendo ciò snaturare la sua

caratteristica di nave non dello Stato, ma di privati» (Cass., sez.

II, 14 dicembre 1948, Fattori, Foro it., Rep. 1949, voce Legge, n. 106); e, ancora, «i reati commessi sulle navi mercantili stranie

re che si trovano nei porti si considerano commessi nel territorio

dello Stato» (Cass., sez. I, 17 ottobre 1960, Picone, id., Rep.

1961, voce cit., n. 57) oppure, assai significativamente, «le navi

mercantili straniere, quando entrano nel mare territoriale dello

Stato, vengono con ciò stesso a trovarsi completamente soggette alle leggi penali e di polizia dello Stato italiano per tutto ciò che

concerne l'ordine giuridico esterno, ossia per tutto ciò che, pur verificandosi a bordo, lede o mette in pericolo gli interessi di

sicurezza, di ordine, ecc. dello Stato medesimo» (Cass., sez. II, 30 ottobre 1969, Matrino, Rep. 1970, voce cit., n. 46; 15 aprile

1955, De Tommaso, id., Rep. 1956, voce Contrabbando, n. 45).

Infine, anche la normativa internazionale, e in particolare la

«convenzione di Ginevra sul mare territoriale e la zona conti

gua», siglata nel 1958 e ratificata dal nostro paese con 1. 8 dicem

bre 1961 n. 1658, nel prevedere per le navi straniere il diritto

al passaggio inoffensivo nelle acque territoriali degli Stati riviera

schi, precisa (art. 14, § 4) che il passaggio è inoffensivo «finché

non reca pregiudizio alla pace, al buon ordine o alla sicurezza

dello Stato costiero», disponendo (art. 16) che, in caso contrario, lo stesso Stato può prendere tutte le misure atte ad impedire il

passaggio. Posto che, alla luce delle citate norme e della loro costante

interpretazione giurisprudenziale, deve concludersi che la presen za di armi da guerra a bordo della motonave «Fathulkair» integri senz'altro gli estremi della introduzione delle stesse nel territorio

dello Stato, la massima da ultimo citata, unitamente al dato te

stuale (di cui si dirà appresso) consentono di rispondere positiva mente anche al secondo quesito (se, cioè, la liceità di tale intro

duzione sia subordinata al conseguimento dell'autorizzazione mi

nisteriale).

Invero, è noto che tutta la legislazione in materia di armi venu

ta, da un ventennio a questa parte, ad integrare e sostituire la

scarna normativa contenuta nel codice penale, nel t.u.l.p.s. e nel

relativo regolamento di esecuzione, ha avuto riguardo all'esigen za di consentire che le autorità statuali siano a conoscenza, in

ogni momento, del numero, della qualità e della dislocazione ter

ritoriale di armi e materiali affini, in modo da poter intervenire, in via sia di repressione che di prevenzione, a tutela dell'ordine

e della sicurezza pubblici.

Ora, non v'è chi non veda come il transito di un carico di

armi attraverso il territorio dello Stato (e tale è senz'altro, per

quanto detto sopra, il mare territoriale) debba essere sottoposto alla vigilanza ed al controllo degli organi a ciò preposti, stante

l'innegabile interesse (riconosciuto anche in sede di accordi inter

nazionali) dello Stato stesso ad essere informato della presenza

e dell'ubicazione nel suo territorio di materiale bellico, anche se

non destinato ad un soggetto operante sul predetto territorio, e

privo quindi di rilevanza dal punto di vista doganale. E infatti, a norma del combinato disposto dell'art. 28 t.u.l.p.s.,

approvato con r.d. 18 giugno 1931 n. 773, e degli art. 38, 39,

40 e 41 del relativo regolamento di esecuzione, approvato con

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PARTE SECONDA

r.d. 6 maggio 1940 n. 635, la legittimità dell'introduzione nel ter

ritorio dello Stato di armi da guerra è subordinata al consegui mento della relativa autorizzazione ministeriale.

Secondo il citato art. 28, in particolare, sono proibite la raccol

ta, la detenzione, la fabbricazione, l'importazione e l'esportazio

ne, senza licenza del ministro dell'interno, di armi da guerra o

di armi ad esse analoghe, nazionali o straniere, o di parti di esse, di munizioni, di uniformi militari o di altri oggetti destinati al l'armamento e all'equipaggiamento di forze armate nazionali o

straniere.

Gli art. 38 e 39 del regolamento al t.u.l.p.s., da parte loro,

precisano quale debba essere il contenuto delle domande intese

ad ottenere l'autorizzazione, rispettivamente, ad importare e ad

esportare materiali bellici, mentre il successivo art. 40 dispone che «le domande per il transito nello stato di materiale da guerra e le relative licenze devono contenere le indicazioni di cui agli art. 38 e 39» e, infine, l'art. 41 prevede che «la licenza per l'im

portazione, l'esportazione o per il transito di materiali da guerra dev'essere rilasciata per ogni singola spedizione».

Dall'esame delle norme sopra indicate si evince che l'ipotesi del transito di armi da guerra e affini non è stata considerata

dal legislatore come una sorta di tertium genus rispetto all'impor tazione e all'esportazione, bensì, piuttosto, come fattispecie com

plessa, costituita da una temporanea importazione e da una suc

cessiva riesportazione, la quale esige, sotto il ricordato profilo della sicurezza pubblica, cautele analoghe a quelle della importa zione definitiva.

Tali cautele non hanno nulla a che vedere con l'esigenza di

evitare l'evasione dei tributi su merci destinate al consumo inter

no dello Stato, esigenza alla quale hanno riguardo le leggi doga

nali, avendo queste ultime un diverso ambito di applicazione ed

un diverso scopo, che non vengono qui in discussione.

Sulla base delle sovraesposte considerazioni, deve ritenersi che

le citate norme di cui agli art. 28 t.u.l.p.s., 38, 39, 40 reg. t.u.l.p.s.

vengano a costituire una fattispecie criminosa che trova nell'art.

I 1. 895/67 la sua componente sanzionatoria.

In proposito va ancora rilevato che l'ultimo comma dell'art.

28 dispone che le sanzioni in esso stabilite si applicano «qualora il fatto non costituisca più grave reato» e che, all'epoca in cui

venne emanata detta norma, il «più grave reato» era rappresenta to dalla violazione dell'art. 695 c.p. (oggi sostituito, quanto alle

armi da guerra, dall'art. 1 1. 895/67) con il quale veniva punito il comportamento di colui che «senza la licenza dell'autorità, fab

brica o introduce nello Stato o esporta o pone comunque in ven

dita armi».

Sulla base di quanto detto da ultimo non può fra l'altro nep

pure accogliersi la tesi, prospettata dalla difesa, secondo cui la

condotta dell'imputato integrerebbe la contravvenzione di cui al

l'art. 28 t.u.l.p.s. (onde andrebbe sanzionata con le pene in esso

previste), e non i delitti contestati in epigrafe. (Omissis) Alla luce di quanto detto sopra, Scallan John dev'essere di

chiarato responsabile del reato di cui al capo a) dell'epigrafe, in esso assorbito quello contestatogli al capo b) della rubrica.

Senza dubbio, infatti, il delitto di introduzione nel territorio

dello Stato di materiale bellico si accompagna sempre con la de

tenzione illegale dello stesso, per cui il primo, coincidendo con

la seconda, assorbe completamente la condotta detentiva e la esau

risce, con l'effetto della configurabilità di un unico reato, quale

quello di introduzione; pertanto, qualora si tratti — come nel

caso in esame — di cittadini stranieri, di cui si giudica soltanto

la condotta criminosa susseguente all'ingresso nel territorio dello

Stato, detenzione e introduzione di materiale bellico si integrano,

per la loro coincidenza, in un solo reato complesso quale è quello di introduzione nel territorio dello Stato di armi da guerra (cfr. in tal senso, Cass. 11 luglio 1985, Salah Ali Hus, id., Rep. 1986, voce Armi, n. 95). (Omissis)

Sulla base degli art. 240 c.p. e 6 1. 22 maggio 1975 n. 152

va infine disposta la confisca delle armi e delle parti di arma

in giudiziale sequestro.

Invero, la seconda delle norme sopra citate prevede che il di

sposto del primo capoverso dell'art. 240 c.p. (ai sensi del quale è sempre ordinata la confisca delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna ed anche se le stesse

appartengono a persona estranea al reato), si applica a tutti i

reati concernenti le armi.

Alla luce di tali norme non v'è dubbio che, nel caso presente, la confisca del materiale bellico in giudiziale sequestro sia obbli

gatoria.

II Foro Italiano — 1988.

È vero che l'ultimo comma dello stesso art. 240 c.p. dispone a sua volta che non può essere ordinata la confisca delle cose,

appartenenti a persona estranea al reato, e la fabbricazione, l'u

so, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali possono es

sere consentite mediante autorizzazione amministrativa, e che, se

condo l'interpretazione giurisprudenziale, l'innovazione introdot

ta dall'art. 6 1. 152/75 non ha in alcun modo apportato modifi

cazioni e deroghe alla disposizione contenuta nell'ultimo comma

dell'art. 240 c.p. (cfr., in tal senso, Trib. Oristano 10 dicembre

1980, id., Rep. 1983, voce Confisca, n. 9), per cui potrebbe os

servarsi che l'irregolare situazione del predetto materiale sarebbe

suscettibile di essere sanata mediante la richiesta e il consegui

mento, da parte del ministro dell'interno, della licenza prescritta dall'art. 40 r.d. 635/40. Tale tesi, peraltro, deve ritenersi, a giu dizio di questo tribunale, priva di pregio, ove si tenga presente

che, nel caso in esame, la condotta costitutiva del delitto di cui

all'art. 1 1. 895/67 (e cioè l'introduzione senza licenza nel territo

rio dello Stato di armi da guerra) si è già consumata e non appa

re, quindi, più suscettibile di regolarizzazione (come potrebbe ac

cadere nel caso di una fattispecie criminosa tuttora in itinere). Da ultimo, va rilevato che nessuno dei soggetti che si assumo

no interessati al materiale bellico in giudiziale sequestro risulta

aver chiesto e conseguito dalle competenti autorità del nostro paese la prevista licenza per il transito, onde non può comunque essere

disposto il dissequestro di tale materiale.

PRETURA DI MILANO; sentenza 24 novembre 1987; Giud. Di

Lecce; imp. Calieri.

PRETURA DI MILANO;

Omicidio e lesioni personali colpose — Lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro — Guardia giurata ferita da rapinatori —

Mancata fornitura di giubbotto antiproiettile — Responsabilità del datore di lavoro (Cod. pen., art. 590; d.p.r. 27 aprile 1955

n. 547, norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, art. 377, 379).

Risponde del reato di lesione personale colposa commesso con

violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul

lavoro il titolare di un istituto di vigilanza che abbia omesso

di fornire il giubbotto antiproiettile al dipendente guardia giu rata addetto alla vigilanza presso sedi bancarie e rimasto ferito in un conflitto a fuoco con rapinatori. (1)

Con esposto-denuncia in data 7 maggio 1987 Fantinati Enzo,

dipendente, come guardia giurata, dell'istituto di vigilanza Mon

dialpol Milano, chiedeva al Pretore di Milano di procedere in

ordine alla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro e del

l'art. 590 c.p. da parte del responsabile dell'istituto per il quale lavorava quando era stato fatto segno a colpi di arma da fuoco

che gli avevano cagionato gravi lesioni.

In particolare l'esponente asseriva di aver prestato servizio «an

tirapina» dinanzi ad una agenzia bancaria privo di qualsivoglia

protezione e di essere stato ferito da ignoti durante un tentativo

di rapina. Aggiungeva che se avesse avuto in dotazione un «giub

(1) È obbligo del datore di lavoro fornire ai lavoratori mezzi personali di protezione resistenti, idonei, e appropriati ai rischi inerenti alle opera zioni eseguite; ed è pure obbligo del datore di lavoro sia imporre l'uso effettivo di tali mezzi, sia controllarne la costante idoneità (su questi pun ti, v., da ultimo, Cass. 29 settembre 1987, Maestri, inedita; 5 marzo 1987, Rossi, inedita). Nessuna meraviglia, quindi, se con la meditata decisione

qui riportata il Pretore di Milano giunge a dichiarare colpevole di lesione

personale colposa il titolare di un istituto di vigilanza che avrebbe omesso di fornire il giubbotto antiproiettile a una guardia giurata gravemente ferita da malviventi in un tentativo di rapina a una banca. Va da sé che l'obbligo di fornire protettori individuali a una guardia giurata sorge qualora la guardia giurata presti un'attività che ne comporti l'esposizione a uno specifico pericolo (paradigmatico il servizio antirapina davanti a un istituto bancario): per il diverso caso in cui all'interno di uno stabili mento industriale una guardia giurata estrae dalla fondina il revolver, e, nel maneggiare incautamente l'arma, causa l'esplosione di un colpo ferendo un'altra guardia giurata, v. Cass. 3 marzo 1987, Esposito, inedi

ta, ove si è profilata la responsabilità della sola guardia giurata. Infine, circa l'idoneità a interrompere il nesso causale, di un fatto illecito altrui eccezionale e imprevedibile, cfr., tra le più recenti, nello specifico settore

degli infortuni sul lavoro, Cass. 15 dicembre 1987, Bagnaschi, inedita; 16 ottobre 1987, Giuzzi, inedita.

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