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sentenza 3 giugno 1993; Giud. Bellentani; imp. CorradiniSource: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.179/180-185/186Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188453 .
Accessed: 28/06/2014 08:59
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PARTE SECONDA
Il tribunale, decidendo sulla opposizione formulata dai difen
sori in merito al contenuto ed ai limiti della deposizione del
teste Vallone Maurizio; ritenuto che la opposizione ha per oggetto la facoltà per il
teste di deporre in merito alla attività investigativa da lui svolta,
con esclusione di ogni riferimento ad atti ed indagini cui non abbia direttamente e personalmente partecipato;
considerato che nel concetto di attività investigativa devono
essere compresi anche la raccolta e la elaborazione di notizie, informative ed ogni altro elemento, sul conto del soggetto o
dei soggetti indagati, esistente agli atti dell'ufficio di apparte nenza del teste e che pertanto anche su tali aspetti della indagi ne il teste stesso è legittimato a deporre;
che comunque restano salvi i poteri delle parti, e quelli d'uf
ficio del giudice, di chiedere e di disporre eventualmente l'esa
me dei testi e delle fonti di riferimento ai sensi dell'art. 195 c.p.p.;
rilevato, infine, che la nozione di redazione dei documenti,
consultabili da parte del teste ai sensi dell'art. 499 c.p.p., non
può essere intesa con esclusivo riferimento alla materiale stesu
ra dell'atto, dovendo invece comprendere ogni attività di parte
cipazione alla indagine le cui risultanze sono poi trasfuse nel
documento che si chiede di potere consultare;
per questi motivi, rigetta la opposizione formulata dalla dife
sa e dispone procedersi oltre nell'esame del teste Vallone.
un'area di applicabilità del congegno che va oltre il formale rapporto di 'appartenenza autografa' dello scritto al suo autore.
Una razionale estensione del tenore dell'art. 499, 5° comma, c.p.p. appare, peraltro, proposta anche da chi, nel tracciare le condizioni per l'uso dello scritto to refresh memory, ha sottolineato come esso debba essere stato «redatto o verificato dal teste contemporaneamente ai fatti in questione» (Frigo, in Commento al nuovo codice di procedura pena le coordinato da Chiavario, Torino, 1991, V, sub art. 499, 269). Non
si è, tuttavia, mancato di ribadire che «certe dilatazioni e smagliature, consentite dalla prassi, di questa regola hanno talora compromesso in modo rimarchevole il principio di oralità»: cosi, ad esempio, in ordine alla possibilità di utilizzare allo scopo documenti 'derivati' da altri do cumenti (ibid., nota 28).
Per taluni problemi pratici postisi in ordine alla consultazione di do
cumenti redatti dal teste in aiuto alla memoria, cfr., di recente, Trib. Lecce 18 febbraio 1993 e 19 gennaio 1993, Foro it., 1993, II, 450, con nota di richiami. [G. Di Chiara]
PRETURA DI ROVERETO; sentenza 3 giugno 1993; Giud. Bel
lentani; imp. Corradini.
PRETURA DI ROVERETO;
Vilipendio — Vilipendio delle istituzioni costituzionali e delle
forze armate dello Stato — Reato — Esclusione — Fattispe cie (Cod. pen., art. 290).
L'art. 290 c.p. non ha assunto ad oggetto della propria tutela
i valori ideologici che si riferiscono alle istituzioni in esso in
dicate, ma il prestigio delle predette istituzioni, in considera
zione dell'essenzialità dei compiti loro affidati, rispetto ad espressioni di biasimo aventi il carattere dell'offesa gratuita; ne deriva che si riconfigura esercizio di libertà di manifesta zione del pensiero — e non violazione della norma penale — nell'espressione di una critica alle istituzioni avente i carat
teri della pertinenza e della continenza formale (nella specie, è stato escluso il carattere vilipendioso di una mozione, pre sentata in una riunione del consiglio comunale di Rovereto, nella parte in cui si affermava: «L'esercito è un'istituzione assurda, una istituzione pericolosa che assume la violenza co
me logica nei rapporti tra le persone. I giovani non hanno
nulla da imparare dal servizio di leva, è un anno sciupato in maniera frustrante ed in occupazioni ridicole»). (1)
(1) I. - La sentenza, al fine di verificare il carattere vilipendioso di alcune espressioni indirizzate contro le forze armate, proce
II Foro Italiano — 1994.
Corrado Corradini è stato tratto a giudizio dal procuratore della repubblica di Rovereto per rispondere del reato previsto e punito dall'art. 290 c.p. «per aver vilipeso le forze armate
dello Stato con espressioni di disprezzo e di discredito, ledendo
ne il prestigio nella riunione consiliare del consiglio comunale del 18 gennaio 1991, dicendo : «L'esercito è un'istituzione as
surda, una istituzione pericolosa che assume la violenza come
logica nei rapporti tra le persone. I giovani non hanno nulla
da imparare dal servizio di leva, è un anno sciupato in maniera
frustrante ed in occupazioni ridicole».
L'istruttoria dibattimentale è consistita nell'acquisizione di do
cumenti e nell'escussione dei testi m.llo Carlo Rossi e prof. Fa
brizio Rosera.
Non sono stati ammessi gli altri testimoni indicati dalle parti
per inammissibilità del capitolato di prova, dovendo gli uni — i testimoni citati dalla difesa — deporre sulla diffusione in Ita
lia e nel mondo dell'ideologia pacifista e sulle iniziative non violente sviluppatesi in ambito locale e nazionale a seguito, del
l'esplosione della c.d. guerra del Golfo, l'altro — il gen. Ber
de — attraverso due coordinate — all'analisi del rapporto tra l'art. 290 c.p. e il diritto di critica: l'attenzione, in primo luogo, è focalizzata sulla ricerca di una interpretazione della fattispecie incriminatrice con forme ai valori costituzionali e, in particolare, al principio della libertà di manifestazione del pensiero; riconosciuta la legittimità della norma, affiora l'esigenza di definirne il campo di operatività mediante l'indivi duazione delle note che distinguono la figura del vilipendio dalla criti ca. Il problema della costituzionalità dell'art. 290 c.p. è stato oggetto di numerosi contributi da parte della dottrina che, sul punto, si è divi
sa, formando, in tal modo, due cori di opposte vedute. Una prima cerchia di autori propugna la compatibilità dell'art. 290 c.p. con il prin cipio costituzionale della libertà di espressione. Diverse sono le motiva zioni addotte a sostegno dell'assunto. Taluni ritengono che la libertà di manifestazione del pensiero, per quanto ampiamente ed efficacemen te garantita dalla Costituzione, sia, tuttavia, soggetta ai limiti previsti dallo stesso legislatore costituzionale. Al fine di giustificare la tutela
penale delle forze armate si qualifica «essenziale» l'attività da esse svol ta per il mantenimento dell'unità e dell'incolumità dello Stato, aggan ciando tale interpretazione all'art. 87, 9° comma, Cost, che attribuisce il comando delle forze armate all'organo rappresentativo dell'unità na
zionale, ossia al capo dello Stato. Nel senso della legittimità dell'art. 290 c.p. deporrebbe, altresì, l'art. 52 Cost, che, definendo «sacro» il
dovere, imposto ad ogni cittadino, di difendere la patria, rivela l'inten zione del costituente di collocare le forze armate su un piano particolar mente elevato e degno di rispetto (Campisi, / reati di vilipendio, Pado
va, 1968, 118 ss.). Un diverso filone dottrinale ammette la coesistenza delle norme in
parola facendo leva sulla autonomia dei concetti di critica e vilipendio. Criticare significa «sottoporre ad esame fatti, notizie, dottrine, istitu zioni ed opere dell'ingegno per determinare il loro grado di verità, cer
tezza, funzionalità, bontà anziché accettarle cosi come vengono propo ste»; il vilipendio, invece si sostanzia in affermazioni denigratorie rivol te a compromettere il senso di fiducia e di rispetto dei cittadini verso
gli organi costituzionali (cosi Ferrante, Il reato di vilipendio: problemi e falsi problemi, in Giur. merito, 1976, II, 201; v. altresì, Bianchi, Teorie antiche e teorie nuove in materia di vilipendio, in Giust. pen., 1954, II, 420 ss.; Mazzanti, Vilipendio: nozione autonoma ed unitaria, id., 1958, II, 997 ss.; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, voi.
IV, 4a ed., Torino, 1961, 546 ss.; Colantuono Scuto, Vilipendio del
governo e diritto di critica, in Giust. pen., 1967, I, 1323 ss.). Una ulteriore opinione giunge a negare in radice qualunque problema
di compatibilità, qualificando il vilipendio come una «esplosione emoti va» che fuoriesce dai limiti logici che circoscrivono l'estensione dell'a rea delle manifestazioni di pensiero (Fois, Principi costituzionali e libe ra manifestazione del pensiero, 1957, 114 ss.; Delitala, I limiti giuridi ci della libertà di stampa, in Iustitia, 1959, 392 ss.; Bettiol, Sui limiti
penalistici alla libertà di manifestazione del pensiero, in Riv. it. dir.
eproc. pen., 1965, 641 ss.; Manera, Osservazioni in tema di vilipendio alle forze armate, in Giust. pen., 1974, II, 377 ss.).
L'orientamento fin qui delineato presta il fianco — secondo l'indiriz zo interpretativo che auspica la radicale eliminazione delle incriminazio ni di vilipendio implicanti una inaccettabile compressione della libertà di espressione — ad una serie di obiezioni: è «insufficiente» constatare che alcune istituzioni godono di una tutela costituzionale per dedurne un limite al diritto di manifestazione del pensiero, dovendosi, piuttosto, dimostrare la preminenza del bene tutelato sulle esigenze di libertà; in secondo luogo, la distinzione tra critica e vilipendio — riconoscendo la legittimità della critica colta e consapevole e vietando la critica incol ta — si traduce in una discriminazione volta a limitare il dibattito sulle istituzioni alla cerchia delle élites (Fiore, I reati di opinione, Padova, 1972, 114 ss.; per l'abrogazione delle figure criminose imperniate sul concetto di vilipendio, v. anche Conso, Contro i reati di vilipendio, in Indice pen., 1970, 545 ss.; Fiandaca - Musco, Diritto penale. Parte
speciale, vol. 1, Bologna, 1988, 74 ss.).
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GIURISPRUDENZA PENALE
toncin citato dalla pubblica accusa — dovendo deporre sulla
ritenuta lesività per il prestigio delle forze armate delle frasi
pronunciate dal Corradini per le quali si procede in questa sede.
In particolare, per quanto concerne quest'ultima testimonianza
si rileva che nel disposto dell'art. 290 c.p. le istituzioni tutelate
sono considerate impersonalmente, senza riguardo alle singole
persone che le rappresentano o costituiscono: ne consegue che
non essendo il gen. Berntocin persona offesa del delitto in esa
me, del tutto inammissibili e inconferenti sono le sue valutazio
ni sul carattere vilipendioso della condotta tenuta dall'imputato. Il Corradini ha reso spontanee dichiarazioni.
Terminata l'istruttoria, le parti hanno concluso chiedendo,
rispettivamente, il pubblico ministero la condanna dell'imputa
to a mesi sei di reclusione senza benefici, il difensore l'assolu
zione con formula piena. All'esito del dibattimento emerge l'innocenza dell'imputato,
che deve conseguentemente assolversi dal reato a lui ascritto
con formula «perché il fatto non sussiste».
Questo processo trae origine da una mozione presentata dal
La Corte costituzionale — intervenuta ripetutamente sulla questione — ha costantemente escluso l'illegittimità dell'art. 290 c.p., enunciando
i seguenti principi: a) la libertà di manifestazione del pensiero trova — oltre quello costituzionalmente espresso del buon costume — altri
limiti scaturenti dalla necessità di tutelare beni parimenti garantiti dalla
Costituzione tra i quali il prestigio del governo, dell'ordine giudiziario e delle forze armate (con specifico riferimento a queste ultime è ritenu
to significativo l'inserimento, nell'art. 52 Cost., dell'aggettivo «sacro»);
b) in un regime democratico sono ammesse critiche, anche severe alle
istituzioni dello Stato; c) il reato di vilipendio si configura allorché la
manifestazione sia diretta a negare ogni rispetto, credito, fiducia all'i
stituzione e sia idonea ad indurre i destinatari al disprezzo delle istitu
zioni o alla disobbedienza (Corte cost. 30 gennaio 1974, n. 20, Foro
it., 1974, I, 600; cfr., altresì, ord. 19 giugno 1974, n. 180, id., Rep.
1975, voce Vilipendio, n. 2 e Giur. costit., 1974, 1620; ord. 19 giugno
1974, n. 183, Foro it., Rep. 1975, voce cit., nn. 3-5 e Giur. costit.,
1974, 1624; sent. 16 gennaio 1975, n. 7, Foro it., 1975, I, 545; ord.
26 giugno 1975, n. 168, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1 e Giur. costit.,
1975, 1444). Il Pretore di Rovereto, prendendo le mosse dalle indicazioni offerte
dalla Corte costituzionale, adotta una soluzione sensibile al contempe ramento dei diversi interessi in conflitto: il bene giuridico protetto dal
l'art. 290 c.p. — che non deve essere identificato nei valori ideologici che si riferiscono alle istituzioni ma, piuttosto, nel prestigio di queste — non è tutelato dalla norma penale in quanto valore assoluto, ma
solo in quanto venga leso da abusi del diritto di critica. In tale ottica
non si può sostenere che alle forze armate sia attribuita, dall'art. 52,
Cost., una tutela prevalente rispetto a quella riconosciuta, dall'art. 21
della Carta fondamentale, al diritto di libera manifestazione del pensie ro. Ne discende, quale corollario, che le censure alle istituzioni possono essere prese in considerazione ai fini penali soltanto quando, varcato
il limite del dissenso, decampano nel disprezzo, nel ludibrio, nella con
tumelia. II. - La seconda questione con cui deve misurarsi l'indagine è costi
tuita, appunto, dalla identificazione degli elementi atti a far assumere
ad una manifestazione di pensiero la peculiare colorazione del vilipen dio. Tramontata, con l'entrata in vigore della Costituzione, l'epoca in
cui qualsiasi critica astrattamente idonea a scalfire il prestigio degli or
gani dello Stato veniva sussunta nello schema del delitto di vilipendio, la giurisprudenza ha tracciato una linea di demarcazione tra il diritto
di critica ed il vilipendio penalmente perseguibile: in un regime demo
cratico sono ammesse critiche, anche severe, aspre e vivaci alle istituzio
ni purché si svolgano nell'ambito e nei limiti di un civile dibattito; quando,
tuttavia, la censura si concretizza in manifestazioni di disprezzo, dileg
gio, contumelia non può più parlarsi di mera critica ma di condotta
vilipendiosa delle istituzioni repubblicane (Cass. 17 ottobre 1977, Tata
rella, Foro it., 1978, II, 371; tra le numerose pronunzie in tal senso,
cfr. Cass. 26 giugno 1953, Cervelli, id., Rep. 1954, voce cit., nn. 10-13;
sez. un. 14 novembre 1958, De Matteis, id., Rep. 1959, voce cit., n.
5 e Giust. pen., 1959, II, 642; 13 maggio 1966, Denari, Foro it., 1967,
II, 548 e Giust. pen., 1967, II, 1323, con nota di Colantuono Scuto;
23 giugno 1967, Marrocco, Foro it., Rep. 1968, voce cit., nn. 5, 6;
20 ottobre 1975, Mangani, id., Rep. 1976, voce cit., n. 2; 24 novembre
1976, Briganti, id., Rep. 1978, voce cit., n. 9 e Cass. pen., 1978, 700;
25 marzo 1977, May, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 1; 30 maggio
1977, Di Francesco, id., Rep. 1978, voce cit., n. 10; 29 giugno 1977,
Venza, ibid., n. 11; 1° febbraio 1978, Salviucci, ibid., n. 12; nella giuri
sprudenza di merito, v. Assise Massa 10 maggio 1983, id., 1984, II,
458; Assise app. Trento 28 maggio 1990, id., Rep. 1992,. voce cit.,
n. 2 e Giur. merito, 1992, 948, con nota di Pettenati). Il confine che separa la critica dal vilipendio, chiaro e netto nella
Il Foro Italiano — 1994.
Corradini, consigliere del consiglio comunale di Rovereto, nella
riunione del 28 gennaio 1991, con cui si impegnava l'ammini
strazione comunale a sollecitare il parlamento italiano a dar corso
alla riforma della legge sull'obiezione di coscienza al servizio
militare e la giunta comunale a fornire informazioni ai giovani di leva sul c.d. servizio civile, alternativo al servizio militare.
In questa mozione — la cui riproduzione magnetofonica, ac
quisita dal m.llo Rossi presso il segretariato del comune su in
carico del procuratore della repubblica, è stata prodotta e inse
rita agli atti — l'argomento della riforma dell'obiezione di co
scienza era svolto in stretta connessione con il tema della guerra del Golfo, «letta» con conferma delle tragedie provocate dall'e
sistenza dell'apparato militare e dalla mancata adesione ad un
progetto di totale rifiuto della violenza nei rapporti interpersonali. Da tale mozione è stato estrapolato il passo relativo all'eser
cito, che ha costituito oggetto della presente impugnazione. L'iter logico giuridico per la valutazione delle espressioni in
criminate si avvia, a giudizio di questo pretore, dall'indicazione
offerta dalla Corte costituzionale che in più occasioni è stata
sua enunciazione teorica, si rivela estremamente labile ed incerto allor
ché si tratta di verificare in concreto la rilevanza penale di una censura:
l'affermazione a tenore della quale la critica è lecita sino a quando non trasmodi nella contumelia, infatti, risulta vaga ed inappagante per
l'interprete chiamato ad accertare, caso per caso, se l'espressione abbia
leso il bene protetto dalla norma. Nella sentenza in epigrafe l'organo
giudicante avverte il bisogno di individuare alcuni parametri a cui anco
rare il giudizio sull'attitudine vilipendiosa delle manifestazioni in conte
stazione: espellendo dalla nozione di vilipendio la critica alle istituzioni, contraddistinta dai caratteri della pertinenza e della continenza forma
le, il pretore richiama i principi elaborati dalla giurisprudenza per circo
scrivere l'efficacia scriminante del diritto di critica nel reato di diffama
zione (la giurisprudenza ha più volte ribadito che i limiti del diritto
di critica sono gli stessi del diritto di cronaca; cfr. Cass. 25 marzo 1982,
Giardina, Foro it., Rep. 1983, voce Ingiuria e diffamazione, n. 10 e
Riv. pen., 1982, 963; 7 ottobre 1987, Alexis, Foro it., Rep. 1988, voce
cit., n. 22 e Riv. pen., 1988, 854; 23 ottobre 1987, Buti, Foro it., Rep.
1989, voce cit., n. 16; 20 gennaio 1992, Carrubba, id., Rep. 1992, voce
cit., n. 41 e Giur. it., 1992, II, 704; più di recente, tuttavia, v. Cass.
16 aprile 1993, Barile, Foro it., 1994, II, 94 con nota di Tesauro e
Tramontano, che sostiene la tesi della diversa capacità scriminante del
diritto di critica rispetto al diritto di cronaca, nel senso che il primo è necessariamente fondato sulla manifestazione di una opinione che trova
unico limite nell'interesse pubblico o sociale della critica; nella giuris
prudenza di merito, cfr. Trib. Roma 24 maggio 1985 e 22 novembre
1985, id., 1987, II, 253, con nota di Dallacasa; Trib. Trento 9 maggio
1986, ibid., 66; Trib. Milano 12 gennaio 1987, ibid., 612; Trib. Teramo
23 novembre 1988, id., Rep. 1991, voce cit., nn. 17-19, e P.Q.M., 1990, fase. 3, 91; Trib. Monza 15 maggio 1989, Foro it., Rep. 1990, voce
cit., n. 25 e Giur. merito, 1990, 120, con nota di Vincenti; G.i.p. Trib. Torino 6 giugno 1991, Foro it., Rep. 1992, voce cit., n. 48 e
Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 1217, con nota di Pelissero; Trib.
Firenze 16 novembre 1991, Foro it., 1993, II, 324; Trib. Venezia 10
marzo 1992, id., 1992, II, 705, con nota di Flora). Dall'analisi del
panorama giurisprudenziale emerge che già in passato, per verificare
se una frase, una parola, una invettiva rientrasse o meno nella sfera
della previsione normativa di cui all'art. 290 c.p., assumevano un risal
to centrale le caratteristiche formali del discorso. Frequenti, nella casi stica giudiziaria, sono le decisioni nelle quali si fa esplicito riferimento:
alla dignità e alla compostezza con le quali vanno discusse le opposte
opinioni (Trib. Genova 24 novembre 1950, id., Rep. 1951, voce Vili
pendio, nn. 31, 32 e Giust. pen., 1951, II, 416); alla «veste esteriore»
conferita alla critica (Cass. 26 marzo 1952, Daniele, Foro it., Rep. 1952, voce cit., nn. 13-17 e 26 giugno 1953, cit.); alla correttezza del linguag
gio (Cass. 26 giugno 1953, D'Agata, id., Rep. 1954, voce cit., nn. 14-17); alla impostazione critica e al tono generale (Assise Cosenza 10 dicembre
1958, id., Rep. 1959, voce cit., n. 7); alla grossolanità o alla volgarità dell'offesa (Cass. 6 maggio 1959, Chinello, id., Rep. 1960, voce cit., nn. 7-10 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 949, con nota di Bognetti).
Parte della dottrina (Fiore, 1 reati di opinione, cit.) ha, tuttavia, rilevato l'incoerente applicazione di siffatti principi osservando che sot
to il vigore del codice Zanardelli si ravvisavano gli estremi del reato
anche in censure certamente non grossolane o volgari (ad esempio, è
stato assunto nella fattispecie incriminatrice il mero inneggiare alla ca
duta del governo: v. Cass. 27 gennaio 1928, Gengaroli, Foro it., 1928,
II, 134). La contestata discrepanza si riscontra, altresì, nella giurisprudenza
degli anni cinquanta (qualificati «anni d'oro» del vilipendio): numerose
pronunzie, infatti, riconducevano all'alveo del vilipendio espressioni prive di quelle caratteristiche che, alla stregua dei principi in astratto enun
ciati dalla giurisprudenza, avrebbero dovuto, invece, contraddistinguere le condotte vilipendiose (secondo Cass. 26 marzo 1952, cit., costituisce
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PARTE SECONDA
investita dalla questione di legittimità dell'art. 290 c.p. in rela
zione ai parametri costituzionali degli art. 3, 21 e 25 Cost. (Corte
cost., ord. 30 gennaio 1974, n. 20, Foro it., 1974, I, 600; 19 giugno 1974, n. 180, id., Rep. 1975, voce Vilipendio, n. 2; 19 giugno 1974, n. 183, id., Rep. 1974, voce cit., nn. 3-5; 16 gen naio 1975, n. 7, id., 1975, I, 545, anche in relazione agli articoli
da 101 a 110, 112 Cost.; 26 giugno 1975, n. 168, id., Rep. 1975, voce cit., n. 1; 8 luglio 1975, n. 188, id., 1975, I, 2418).
Con tali pronunce la corte, escludendo l'illegittimità del di
sposto normativo in esame sotto i profili addotti, ha indicato
ai giudici di merito la possibilità di una interpretazione dell'art.
290 c.p. conforme ai valori costituzionali primari del nostro
ordinamento, in particolare al fondamentale principio di libertà
di manifestazione del pensiero espresso dall'art. 21 Cost.
Secondo questo pretore siffatta interpretazione consiste nel
l'escludere che la norma penale in esame abbia assunto ad og
getto della propria tutela i valori ideologici che si riferiscono
alle istituzioni in essa indicate, e nel ritenere che il bene a prote zione del quale è stato posto lo strumento penale sia il prestigio delle predette istituzioni, in considerazione dell'essenzialità dei
compiti loro affidati, rispetto ad espressioni di biasimo aventi
il carattere dell'offesa gratuita.
Quindi c'è esercizio di libertà di manifestazione del pensiero — e non violazione della norma penale — nell'espressione di
una critica alle istituzioni menzionate dall'art. 290 c.p. — sia
intese come valori astratti, sia intese nel loro concreto operare — avente i caratteri della pertinenza e della continenza formale
(conf. Assise Massa 10 maggio 1983, est. Cappiello, id., 1984,
II, 458, che nell'escludere la sussistenza del delitto di vilipendio nella diffusione di un bollettino contenente articoli critici del
l'ordinamento penitenziario, sottolinea come tali scritti attenga no ad argomenti «di dolorosa attualità, agitati e discussi nelle
sedi più varie»). Questi criteri, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in
merito alla scriminante dell'esercizio del diritto di critica nel
reato di diffamazione a mezzo stampa, debbono essere richia
mati anche nella fattispecie in esame quali indicatori della legit timità di un'espressione di biasimo nei confronti delle istituzioni.
Infatti le istituzioni elencate nell'art. 290 c.p. non sono tute
late della norma penale in quanto valori assoluti, ma in quanto
vengano lese da abusi del diritto di critica trasmodanti nell'of
fesa gratuita, fine a se stessa (in questo senso Cass. 1° febbraio
1978, Salviucci, id., Rep. 1979, voce cit., n. 6). Tale interpreta zione è la sola conforme ai valori costituzionali, non potendosi
vilipendio affermare che il governo è dei Cippico e dei Brusadelli, soste
nendo, in tal modo, che del governo fanno parte complici del primo, inquisito per evasioni fiscali e del secondo, imputato di gravi reati co
muni; per Cass. 11 ottobre 1954, Slompo, id., Rep. 1955, voce cit., n. 49, sussiste il reato nel fatto di chi in luogo pubblico urli «abbasso l'Italia», non essendo necessario che la manifestazione sia specifica o che susciti turbamento; per Cass. 12 novembre 1954, Bersani, ibid., nn. 28-30, integra il reato il fatto di raffigurare in un cartellone l'atto violento ed ingiustificato di un militare dell'arma dei carabinieri che
spara quasi a bruciapelo contro un pacifico dimostrante; per Cass. 15
gennaio 1958, Maccarone, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 4-11 e Giusi,
pen., 1958, II, 996, il precetto penale è violato dalle espressioni rivolte al presidente del consiglio di essere «in relazione con la mafia» e di avere «concesso un salvacondotto al bandito Pisciotta»; per Assise app. Brescia 17 ottobre 1953, id., Rep. 1954, voce cit., nn. 32-34 e Corti Brescia e Venezia, 1954, 442, integra il reato l'accusa al governo di non democraticità e di intolleranza politica).
Con specifico riferimento alle forze armate, si è affermato che ricor re la figura delittuosa: nella distribuzione di volantini contenenti le frasi «l'esercito fa parte di una società repressiva in tutte le sue espressioni (. . .) l'obbedienza che si impone all'esercito può giustificare ogni cri mine» (Cass. 29 settembre 1976, Verzegnassi, Foro it., Rep. 1977, voce
cit., n. 8 e Riv. pen., 1977, 478); nell'accusa rivolta alle forze armate di individualismo, di arrivismo, di dare esecuzione ad ordini insignifi canti e contraddittori, di picchiare selvaggiamente durante le manifesta zioni operaie e studentesche (Cass. 13 aprile 1977, Leoni, Foro it., Rep. 1977, voce cit., nn. 10-12 e Giust. pen., 1977, II, 550); nell'accusa ri volta alle forze armate di essere al servizio dei padroni e dei loro inte ressi nonché arma di ricatto politico contro la classe operaia, rendendo si strumenti delle classi dominanti per reprimere le lotte operaie ed ucci dere sulle pubbliche piazze (Cass. 11 gennaio 1977, Paoli, Foro it., Rep. 1977, voce cit., nn. 14, 15 e Giust. pen., 1977, II, 618).
Accanto al criterio della continenza — nella decisione in epigrafe —
assurge ad indice rivelatore della liceità della espressione, la pertinenza
Il Foro Italiano — 1994.
sostenere, senza incorrere in violazione della Carta costituzio
nale, che le disposizioni dell'art. 52 Cost, in tema di servizio
militare e di ordinamento delle forze armate valgono ad attri
buire a queste ultime una tutela prevalente rispetto a quella ap
prontata dal nostro ordinamento al diritto di libera manifesta
zione del pensiero.
Quest'ultimo è infatti fondamentale libertà riconosciuta ai cit
tadini — ed anche agli stranieri e agli apolidi — strettamente
connessa con la libertà personale di cui all'art. 13 Cost, e aven
te la propria fonte nell'art. 2 Cost., norma che, unitamente ai
successivi art. 3 e 4, precisa i principi fondamentali relativi ai
rapporti tra cittadino e Stato, delineando la stessa forma di Sta
to dell'Italia contemporanea.
Pertanto, non ogni manifestazione di critica viola il disposto
penale, bensì' le sole espressioni che non osservino il limite della
pertinenza e della continenza formale.
È alla luce di questi principi che le frasi estrapolate dalla mo
zione presentata da Corrado Corradini il 28 gennaio 1993 deb
bono essere valutate per verificarne la presunta illiceità penale. Sotto il profilo della pertinenza, ovvero della non gratuità
della critica, vanno tenuti presenti l'occasione nel quale la frase
incriminata è stata pronunciata, la qualità e la formazione cul
turale della persona che l'ha proferita, il contesto nel quale si
è inserito l'intervento dell'imputato. Tali espressioni sono state pronunciate in una sede politica
(riunione del consiglio comunale di Rovereto); nell'ambito di
un'iniziativa volta a sollecitare le assemblee legislative alla ap
provazione della riforma dell'obiezione di coscienza al servizio
militare; di una persona — legata ai propri elettori da un preci so mandato — che presta piena adesione all'ideologia pacifista.
In sede di dichiarazioni spontanee, il Corradini ha percorso le tappe fondamentali della propria formazione culturale e «po litica» in senso lato, dal rifiuto del servizio militare alla c.d.
obiezione fiscale e all'esperienza di volontariato nei paesi in via
di sviluppo. Ha altresì' esposto la propria fiducia nell'avvento
di un mondo pacifico e pacificato, spiegando quale disorienta
mento e angoscia abbia suscitato in lui, come in tanti altri che
condividevano la medesima «utopia», l'esplosione della guerra nel Golfo e l'invio di contingenti militari italiani.
Il clima acceso, di vivace dialettica e di accorati appelli alla
pace da parti di ampi e svariati settori dell'opinione pubblica,
può essere ricostruito tramite la nostra memoria storica, appar tenendo ad un passato molto recente. Lo stesso Corradini e
il prof. Rasera — sentito invero su quanto avvenuto nella riu
e non gratuità che deve essere valutata tenendo presente: l'occasione nella quale la frase è stata profferita, la qualità e la formazione cultura le dell'agente, il contesto nel quale è inserito l'intervento. In giurispru denza siffatti parametri sono stati utilizzati, talvolta, per escludere l'e lemento psicologico del delitto (v. Assise app. Perugia 25 gennaio 1963, Foro it., Rep. 1964, voce cit., n. 4 e Arch, pen., 1964, II, 272, a tenore della quale l'erronea convinzione della liceità di argomentazioni grave mente polemiche od offensive, derivata da incompleta esperienza di vi ta e della lotta politica, a causa dell'età giovanile, esclude il dolo); in altre occasioni per far luce sull'equivocità dell'azione (v. Assise Pavia 23 marzo 1972, Foro it., Rep. 1972, voce cit., n. 5 e Giur. it., 1972, II, 577, secondo la quale le circostanze di tempo, di luogo e di persona possono chiarire se la rimozione della bandiera, quale atto di spostarla dal luogo dove è esposta, realizzi una manifestazione denigratoria e lesiva del prestigio riconosciuto a quel simbolo). Si registrano, al con
tempo, pronunzie di segno opposto per le quali sarebbe indifferente l'occasione nella quale è stato commesso il delitto (v. Cass. 11 giugno 1953, Franconi, Foro it., Rep. 1953, voce cit., n. 16, che reputa i moti vi e l'occasione della condotta elementi capaci di incidere esclusivasmente sulla configurabilità delle circostanze attenuanti o aggravanti, ovvero ai fini della commisurazione della pena).
Nella formulazione del giudizio sulla pertinenza delle manifestazioni di pensiero la decisione si ispira, infine, ad altri due principi: il primo è additato nella finalità perseguita dall'agente che, nel caso in esame, in tenda sensibilizzare l'opinione pubblica e l'amministrazione comunale. La validità di questo parametro è contestata da un monolitico orienta mento giurisprudenziale che giudica assolutamente irrilevante il fine che ha mosso l'autore del fatto (ad esempio, Cass. 24 novembre 1976, cit.; Assise app. Trento 28 maggio 1990, cit.). L'ultima circostanza su cui si radica il convincimento della non gratuità delle espressioni è costituita dal fatto che le stesse fossero condivise da ampi settori dell'opinione pub blica. La rispondenza in sentimenti largamente diffusi nell'opinione pub blica del contenuto di manifestazioni che trascendono i limiti di una criti ca lecita è valsa anche in passato ad escludere gli estremi del reato (Assise app. Bari 28 maggio 1975, id., 1975, II, 319). [G. Bongiorno].
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GIURISPRUDENZA PENALE
nione consiliare 28 gennaio 1993 cui ebbe a partecipare in quali tà di consigliere — hanno comunque accennato a tale momen
to, fornendo alcuni utili elementi per la rievocazione dello stes
so visto dalla parte dei movimenti pacifisti. Va pertanto escluso
che le espressioni pronunciate dal Corradini fossero gratuite; al contrario, erano funzionali alla sensibilizzazione dell'opinio ne pubblica e in particolare volte a sollecitare l'amministrazione
comunale ad assumere gli impegni in precedenza indicati nei
confronti del parlamento. Trattavasi di frasi profferite dal Cor
radini in qualità di membro di un organo politico, tenuto in
base al rapporto di rappresentanza ad esprimere le opinioni di
ripudio della guerra e dello strumento militare condivise dai pro
pri elettori.
Tali espressioni si inserivano in un discorso articolato, nel
quale venivano manifestate idee sostenute da ampi settori del
l'opinione pubblica: non è per esempio contestabile che l'opi nione negativa del Corradini sull'utilità del servizio di leva sia
propria di tutti coloro che decidono di non prestare il servizio
militare e di formulare domanda di ammissione al c.d. servizio
civile, il quale, si noti, è riconosciuto e disciplinato da una legge dello Stato.
Quanto al profilo della continenza formale, il Corradini ha
espresso una critica dura ma in termini corretti, senza trasmo
dare nella volgarità o nell'insulto.
Il suo pensiero si è manifestato in termini seri, meditati e
critici, del tutto privi di accenti dileggiatori (nel medesimo sen
so si pronuncia Cass. 20 ottobre 1975, Mangani, id., Rep. 1976, voce cit., n. 2, stabilendo che «il delitto di vilipendio è escluso
quando si tratti di mere critiche o censure ancorché aspre e vi
vaci, ma non quando tali critiche si concretino in manifestazio
ni di dileggio attraverso espressioni volgari e contumeliose).
Parimenti, i contenuti delle frasi incriminate non hanno atti
tudine vilipendiosa, costituendo manifestazione di un dissenso
«politico» inquadrabile nello schema del diritto costituzional
mente garantito dalla libera manifestazione del pensiero: se, co
me è stato sostenuto in dottrina, unico elemento non controver
so della nozione di vilipendio è il suo significato di «tenere a
vile», le espressioni incriminate sono del tutto prive di tale atti
tudine dileggiatoria. Esse, nell'ambito del più articolato ragionamento svolto dal
Corradini nel quale solo possono correttamente essere intese,
indicando nell'istituzione militare un'entità avente una chiara
valenza negativa, ma che comunque costituisce un polo dialetti
co con il quale confrontarsi giorno dopo giorno fino all'auspi cata abolizione di ogni forma di violenza e di ogni struttura
che, per la sola esistenza, implica l'accettazione di tale violenza
ed il rischio sempre presente della sua manifestazione.
Quindi nessun dileggio, nessuna manifestazione di disprezzo: al contrario considerazione attenta di un'istituzione che, nel si
stema di valori accolto dal Corradini, è la prima antagonista
perché espressione di quella cultura di violenza e di morte a
cui uomini come l'odierno imputato tendono a sostituire una
cultura di pace e di rapporti armoniosi tra i popoli e le nazioni.
Il pubblico ministero nella sua requisitoria ha obiettato che
le frasi incriminate potrebbero trovare giustificazione come ma
nifestazione di dissenso solo in uno Stato militarista, quale non
è l'odierno Stato italiano.
Tale considerazioni non pare però condivisibile.
L'opposizione manifestata dai dissenzienti nei confronti delle
istituzioni può essere più o meno radicale a seconda della ade
sione maggiore e minore al quadro di riferimento alternativo
cui si ispirano tali minoranze; né può limitarsi, la fondamentale
libertà sancita dall'art. 13 Cost, argomentando che determinate
manifestazioni di critica non sono giustificate alla luce dell'o
dierno sistema democratico.
Vanno infatti condivise le argomentazioni espresse in una sen
tenza di non luogo a procedere per il reato di cui all'art. 414
c.p., in relazione ad un episodio avvenuto anch'esso ai tempi
della guerra del Golfo (istigazione a commettere il reato di di
serzione militare con il mezzo della stampa): «Pare infatti tal
volta che non una norma primaria e inviolabile consenta la libe
ra espressione, ma una concessione graziosa, accordata bensì
anche ai critici e ai dissenzienti, però solo a patto che non si
discostino da un quadro di riferimento i cui limiti sono segnati dall'insieme dei valori che in un dato momento sono ritenuti
— spesso arbitrariamente — accolti dall'intera comunità; men
tre per chi travalica tali limiti dall'intera comunità; mentre per
Il Foro Italiano — 1994.
chi travalica tali limiti non vi è semplicemente il dissenso —
unica reazione legittima nei confronti di chi esercita un diritto — ma la condanna morale, l'emarginazione o addirittura, la
repressione (sentenza g.i.p. presso il Tribunale di Reggio Emi
lia, n. 43 del 21 marzo 1991, giud. Fanile, imp. Vacondio
Amedeo). Per tutte le argomentazioni dianzi esposte Corrado Corradini
va pertanto mandato assolto del reato contestatogli con formu
la «perché il fatto non sussiste».
PRETURA DI MONZA; sentenza 15 maggio 1993; Giud. Man
zi; imp. Gar latti ed altri.
PRETURA DI MONZA;
Abbandono o interruzione di pubblici uffici o servizi — Inter
ruzione di servizio pubblico — Sciopero degli avvocati — Fat
tispecie (Cod. pen., art. 340; I. 12 giugno 1990 n. 146, norme
sull'esercizio del diritto di sciopero nei sevizi pubblici essen
ziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzio
nalmente tutelati. Istituzione della commissione di garanzia dell'attuazione della legge).
Premesso che la l. 12 giugno 1990 n. 146 detta norme sull'eser
cizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, e tra questi include i processi penali con imputati in stato di
detenzione, rispondono del reato di turbativa di un servizio
pubblico essenziale, ex art. 340 c.p., i difensori che, allo sco
po di protestare contro l'emanazione di un provvedimento
legislativo ritenuto lesivo dei diritti della difesa, abbiano scio
perato, astenendosi dalle udienze, senza il rispetto delle for me e dei termini prescritti dalla suddetta legge, causando l'in
terruzione di processi con imputati in carcere. (1)
(1) La sentenza afferma, per la prima volta, la illiceità dello sciopero
degli avvocati quando provochi la interruzione di processi penali con
imputati in carcere. Quest'ultima circostanza attribuisce, a giudizio del
Pretore di Monza, rilevanza penale alla c.d. «astensione dalle udienze», forma estrema ma ormai diffusa di protesta e di pressione della catego ria forense.
La Corte di cassazione aveva avuto, sotto la vigenza del vecchio codi
ce di rito, occasione di affermare che «l'astensione degli avvocati, che
è esercizio di un diritto garantito dalla Costituzione, non comporta con
seguenze pregiudizievoli per gli imputati in stato di custodia cautelare; ne deriva che l'astensione del difensore dal patrocinio (. . .) non può valere quale richiesta di sospensione dei termini della custodia cautelare
(. . .)» (Cass. 16 maggio 1986, Autiero, Foro it., Rep. 1987, voce Li
bertà personale dell'imputato, n. 89; vedi anche Cass. 5 giugno 1986,
Matronè, ibid., nn. 87, 88). Con l'entrata in vigore del nuovo codice di rito, ferma restando la
ritenuta legittimità dell'astensione degli avvocati, la giurisprudenza del
la Cassazione, in ordine alla sospensione dei termini di custodia caute
lare, matura un diverso orientamento, al quale aderiscono anche i giu dici di merito. La Suprema corte, preoccupandosi di evitare che «la
mancata assistenza legale risulti comunque premiata dal decorrere dei
termini (. . .)», ritiene giustificata la loro sospensione «ai sensi dell'art.
304, 1° comma, lett. b), nuovo c.p.p. (. . .)» (Cass., sez. I, 24 giugno
1991, Egizio, id., Rep. 1992, voce Misure cautelari personali, nn. 374,
380). Conformemente il Tribunale di Palermo: «L'ipotesi del rinvio del
dibattimento a causa dell'adesione dei difensori all'astensione dalla udien
za proclamata dalla locale camera penale trova disciplina nell'art. 304, 1° comma, lett. b), c.p.p.; tale norma, indipendentemente dalla ragione
(adesione allo sciopero) che è stata alla base della mancata partecipa zione dei difensori alle udienze, prevede, di diritto, la sospensione dei
termini di durata massima di custodia cautelare (. . .)» (Trib. Palermo
21 gennaio 1992, ibid., nn. 382, 383). Nella fattispecie concreta, l'interruzione di processi penali con impu
tati detenuti è stata qualificata turbativa di un servizio pubblico essen
ziale, ipotesi criminosa prevista dall'art. 340 c.p. La premessa di que sta qualificazione va ricercata nel collegamento, operato dal pretore, tra la norma penale e la 1. 12 giugno 1990 n. 146 che detta le regole
per un corretto esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali «(. . .) volti a garantire il godimento dei diritti della persona,
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