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sentenza 5 aprile 1990; Giud. ind. prel. Piccian; imp. MogliaSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.111/112-113/114Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186325 .
Accessed: 28/06/2014 09:58
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PARTE SECONDA
saria all'accatastamento. Trascorsi i 36 mesi si prescrive l'even
tuale diritto al conguaglio o al rimborso spettante. Pertanto, la prescrizione introdotta dal d.l. menzionato opera soltanto se
l'amministrazione ha richiesto somme a conguaglio. Questa corte
ha affermato il principio sopra enunziato nella sentenza 14 feb
braio 1989 (sez. Ili, ric. P.m. c/ Forino) precisando che il ter mine di 36 mesi fissato dall'art. 35 non incide sull'efficacia del
termine biennale e potrà assumere rilevanza solo nel caso che, entro e non oltre il biennio di cui all'art. 35, 12° comma, sia
stato effettivamente richiesto dal sindaco il versamento di som
me a conguaglio. E, poiché nel caso di specie non risulta che
siano state richieste somme a conguaglio, è da concludere per la non operatività del termine prescrizionale di 36 mesi.
Diversamente opinando bisognerebbe ritenere che la causa
estintiva dell'oblazione possa operare ancorché la somma corri
sposta non sia identica a quella fissata dalla legge sol perché vi sia inerzia della pubblica amministrazione cui la legge de
manda il compito di accertare la congruità delle somme versate.
In tal caso la causa estintiva verrebbe ad operare ad libitum
dell'interessato concorrente l'inerzia della pubblica amministra
zione, il che equivarrebbe a dire che il giudice penale sarebbe
vincolato non tanto alla decisione di merito assunta dall'autori
tà amministrativa ma alla pretesa dell'interessato per il mancato
controllo della pubblica amministrazione.
Pertanto, nel caso in esame, in carenza della richiesta di con
guaglio rivolta dal sindaco alla Robustelli, il reato a questa ad
debitato non può essere dichiarato estinto per oblazione, non
essendovi prova che quanto da lei versato a titolo di oblazione,
corrisponde a quanto da lei dovuto.
In accoglimento del ricorso del procuratore generale la sen
tenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione del
Tribunale di Salerno.
TRIBUNALE DI PIACENZA; sentenza 5 aprile 1990; Giud.
ind. prel. Piccian; imp. Moglia.
TRIBUNALE DI PIACENZA;
Udienza preliminare — Sentenza di non luogo a procedere —
Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 425).
Il requisito dell'evidenza, richiesto dall'art. 425 c.p.p. ai fini dell'emissione di una sentenza di non luogo a procedere, è
presente non solo quando vi è una prova positiva dell'inno
cenza dell'imputato, ma anche quando, in negativo e attra
verso l'azione della difesa, viene a cadere ogni elemento di
accusa. (1)
Il p.m., con richiesta depositata in data 5 gennaio 1990, chie
deva il rinvio a giudizio di Moglia Giancarlo, imputato del de
litto specificato in epigrafe. Il g.i.p. fissava l'udienza prelimina re, nel corso della quale si costituiva parte civile Gobbi Luigi; terminata la discussione, il g.i.p., ex art. 422 c.p.p., invitava
le parti ad approfondire alcuni aspetti dell'elemento accusato
rio: l'imputato chiedeva l'audizione di un consulente tecnico,
prova che veniva ammessa. Dopo l'assunzione del consulente
tecnico ammesso, p.m. e difensori formulavano ed illustravano
le rispettive conclusioni.
Ritiene questo g.i.p. che, all'esito dell'udienza preliminare, debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Moglia Giancarlo in ordine al reato ascrittogli
perché il fatto non costituisce reato. Per comprendere a fondo
(1) Analogamente, v. Trib. Campobasso 19 gennaio 1990, Difesa pe nale, 1990, fase. 27, 69; Trib. Siracusa 5 marzo 1990, ibid., 77.
Sull'argomento, v., in dottrina, Conti-Macchia, Il nuovo processo penale. Lineamenti della riforma, Roma, 1989, 103; Dominioni, Chiu sura delle indagini preliminari, in AA.VV., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, 1989, 161; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 1989, 161; Neppi
Modona, in Conso-Grevi, Profili del nuovo codice di procedura pena le, Padova, 1990, 280.
Il Foro Italiano — 1991.
i motivi che inducono questo giudice alla cennata conclusione
è preliminarmente necessario spendere qualche parola sulla fun
zione dell'udienza preliminare e sui limiti dei poteri riservati
al g.i.p. all'esito della stessa udienza. In proposito è noto che
nella sua prima pratica attuazione l'istituto dell'udienza preli minare non si è rivelato, cosi come forse ci si aspettava, un
adeguato filtro delle richieste avanzate dal p.m. in modo tale
da assolvere ad una funzione di deflazione del dibattimento.
Infatti l'art. 425 c.p.p. presuppone, ai fini dell'emissione di una
sentenza di non luogo a procedere, l'evidenza che il fatto non
sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto
non costituisce reato; la giurisprudenza e la dottrina dominanti
hanno subito osservato che, proprio per la necessità del requisi to dell'evidenza, il g.i.p., anche in presenza di insufficienza del
la prova di colpevolezza dell'imputato, dovrà inevitabilmente
rinviare a giudizio laddove al p.m., nella medesima situazione, è data la possibilità di richiedere l'archiviazione (art. 125 disp. att.). Si è anche osservato che l'udienza preliminare deve essere
il filtro delle accuse azzardate; che il g.i.p. dovrà controllare
il corretto esercizio, da parte del p.m., dell'azione penale ma
che l'udienza preliminare non potrà trasformarsi in un pregiu
dizio, cioè in un giudizio precedente al momento in cui esso
deve avvenire, che è il momento del dibattimento. Se tutto que sto è vero, ritiene il giudicante che il discorso meriti un appro fondimento: è bene riflettere su come debba essere inteso il re
quisito dell'evidenza richiesto dall'art. 425 c.p.p. Vi può essere
infatti una situazione in cui l'accusa si fondi su un tema di
prova «incompleto»: il termine che compare nell'art. 422, 1°
comma, c.p.p. sembra alludere all'ipotesi in cui l'imputazione formulata dal p.m. sia corredata da un sostegno probatorio mi
nimo, non adeguatamente approfondito e che, se invece lo fos
se, potrebbe subito, eventualmente, far pervenire all'evidenza
dell'innocenza dell'imputato. Ritiene il giudicante, in altri ter mini, che un quadro probatorio incompleto è qualcosa di meno
di uno insufficiente (quest'ultimo basterebbe però per disporre il rinvio a giudizio): sarà il g.i.p., attraverso una prudente valu
tazione caso per caso, a ritenere se si versi nell'una o nell'altra
situazione. Quando però il g.i.p. ritenga che l'accusa non è fon
data su un adeguato sostegno probatorio potrà e dovrà interve
nire perché l'accusa è azzardata, non vi è un corretto esercizio
dell'azione penale. In una situazione del genere il g.i.p. non
ha il potere di supplire alle carenze istruttorie delle parti, ma
potrà indicare «i temi nuovi o incompleti sui quali si rende ne
cessario acquisire informazioni ai fini della decisione»; le parti potranno allora (per esse l'indicazione del giudice costituisce so
lo un onere e non un obbligo) produrre documenti, chiedere
l'audizione di testimoni e di consulenti tecnici. . . (art. 422, 1° comma, c.p.p.). Può accadere che nessuna delle parti aderi
sca all'invito del giudice: in questo caso l'elemento di accusa, sebbene incompleto, rimane ed il giudice, sia perché non vi è
l'evidente prova dell'innocenza dell'imputato sia perché l'ele
mento probatorio potrà evolversi nell'ambito della dialettica di
battimentale, dovrà, a parere di questo g.i.p., disporre il rinvio
a giudizio. Può anche accadere che il p.m. non si attivi laddove
la difesa lo faccia, eliminando la fondatezza dello scarsissimo
elemento di accusa. Ritiene questo g.i.p. che in una situazione
del genere si possa e si debba pervenire ad una sentenza di non
luogo a procedere: si vuol dire che l'evidenza dell'innocenza
dell'imputato si ha non solo quando vi è una prova positiva in tal senso ma anche quando, in negativo, ed anche attraverso
l'azione della difesa, viene a cadere ogni elemento di accusa.
Attraverso questa interpretazione l'udienza preliminare pare
possa recuperare, sia pure in parte, le sue funzioni, individuate
nella relazione al progetto preliminare del nuovo codice, di de
congestione del sistema attraverso la deflazione del dibattimen
to, di economia processuale, di garanzia del diritto di difesa
dell'imputato, per il quale è importante evitare il rinvio a giudi zio con la conseguente e penalizzante pubblicità del dibattimento.
Applicando i criteri interpretativi appena esposti, questo g.i.p. ritiene che nella fattispecie in esame debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non costitui
sce reato.
Il p.m. ha chiesto il rinvio a giudizio del Moglia per il delitto di calunnia perché questi con denuncia ai carabinieri di Piacen
za in data 27 dicembre 1985 esponeva: — di aver ricevuto l'avviso da parte della Banca popolare
commercio industria che in data 31 dicembre 1985 sarebbero
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GIURISPRUDENZA PENALE
scaduti due effetti cambiari sottoscritti da Moglia Giancarlo in
favore di Gobbi Luigi e dell'importo, ciascuno di lire 1.000.000; — di non aver però mai emesso cambiali per tali somme e
con tali scadenze in favore di Gobbi Luigi; — di essersi recato presso l'istituto bancario e di aver riscon
trato che la firma apposta sulle cambiali non era sua.
Ciò premesso, il Moglia concludeva: «Evidentemente tale Gob
bi Luigi o altri hanno apposto la firma a mio nome con lo
scopo di arrecarmi pregiudizio». Il p.m. in data 5 gennaio 1990 ha chiesto il rinvio a giudizio
del Moglia per il delitto di calunnia evidenziando l'acquisizione delle seguenti fonti di prova: «Documentazione in atti da cui
appare che la firma esistente sui titoli è analoga a quella appo sta dal Moglia su vari atti (querela, p.v. di interrogatorio, ecc.). Il sostegno probatorio dell'accusa, dal quale il p.m. deduceva
una volontà calunniatrice del Moglia nei confronti del Gobbi, è parso a questo g.i.p. minimo, non adeguatamente approfon dito: la visione della firma degli effetti cambiari e di quella ap posta sugli altri atti indicati dal p.m. non induceva questo giu dice alle stesse conclusioni del p.m. Nel corso dell'udienza pre
liminare, terminata la discussione, il giudicante ha allora
«segnalato alle parti la necessità di chiarire maggiormente l'a
spetto relativo all'autenticità o meno delle firme di Giancarlo
Moglia apposte sugli effetti cambiari in discussione».
Il p.m. si riservava di chiedere una perizia grafica al giudice del dibattimento; la difesa del Moglia chiedeva l'audizione del
consulente tecnico di parte dr. Mulazzi che, con una relazione
in data 6 febbraio 1990 (che veniva prodotta) escludeva che le
firme apposte sugli effetti cambiari in discussione fossero di
pugno dell'imputato.
Questo giudice ammetteva le prove richieste dalla difesa ed
in una successiva udienza in data 5 aprile 1990 procedeva al
l'audizione del dr. Mulazzi che confermava e chiariva le conclu
sioni cui era pervenuto nella sua relazione.
Ritiene il giudicante che le conclusioni del c.t. dr. Mulazzi, siano precise, esaurienti ed immuni da vizi logici: esse, pertan
to, possono considerarsi attendibili, avendo la difesa completa mente inficiato il minimo sostegno probatorio su cui si reggeva
l'accusa, si impone allora la pronuncia di una sentenza di non
luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato.
I
TRIBUNALE DI GENOVA; ordinanza 30 novembre 1989; Giud.
ind. prel. Fenizia.
TRIBUNALE DI GENOVA;
Parte civile — Incidente probatorio — Costituzione — Inam
missibilità (Cod. proc. pen., art. 79, 401). Incidente probatorio — Perizia — Nomina di consulente tecni
co della persona offesa — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art. 225, 401).
Perizia in materia penale — Assistenza del consulente tecnico
all'esame delle parti ed all'assunzione di prove — Esclusione
(Cod. proc. pen., art. 228, 230).
È inammissibile la costituzione di parte civile per l'incidente
probatorio. (1) La persona offesa dal reato ha diritto di nominare un proprio
consulente tecnico per la perizia svolta in sede di incidente
probatorio. (2) Soltanto il perito, e non anche il consulente tecnico, può essere
autorizzato ad assistere all'esame delle parti ed all'assunzione
di prove. (3)
(1-2, 4) Entrambe le ordinanze in rassegna — prive di precedenti edi
ti — muovono dalla considerazione della stretta analogia, quanto a for
me ed efficacia dell'attività istruttoria che vi si svolge, tra dibattimento
ed incidente probatorio. Del pari identica sembra l'esigenza pratica alla
base delle due decisioni, intese giustamente ad assicurare alla persona offesa dal reato la possibilità di difendersi adeguatamente, mediante
un proprio consulente tecnico, anche nello svolgimento della perizia in
sede di incidente. La seconda decisione, però, nel farsi carico di tale
esigenza, spinge l'analogia sino all'estremo e, ritenuto che l'incidente
Il Foro Italiano — 1991.
II
PRETURA DI SASSARI; ordinanza 1° marzo 1990; Giud. ind. prel. Brianda; ind. Giannini ed altri.
Parte civile — Incidente probatorio — Costituzione — Ammis
sibilità (Cod. proc. pen., art. 79, 401).
È ammissibile la costituzione di parte civile per l'incidente pro batorio. (4)
probatorio costituisca fase dibattimentale inserita nelle indagini prelimi nari, ammette che la persona offesa vi si contituisca parte civile (con la conseguente pienezza di facoltà processuali proprie di questa); men tre la prima si limita ad inferire da quella analogia la semplice possibili tà, per la persona offesa, di nominare un proprio consulente tecnico ove l'incidente consista in una perizia.
G. Frigo, Il consulente tecnico della difesa nel nuovo processo pena le, in Cass, pen, 1988, 2187, esclude la possibilità della partecipazione della parte civile come tale all'incidente probatorio, sul presupposto che
questo si svolge prima del dies a quo utile per la sua costituzione nel
processo (che l'art. 79 c.p.p. indica nell'udienza preliminare), ed osser va che nel corso delle indagini preliminari — fase nella quale l'incidente
probatorio si inserisce — una costituzione di parte civile non sarebbe
concepibile, non essendovi ancora stato neppure esercizio dell'azione
penale (ciò che il pubblico ministero farà, in uno dei modi indicati nel l'art. 405, soltanto a chiusura delle indagini). Che la costituzione di
parte civile sia riservata alla fase propriamente processuale, successiva all'esercizio dell'azione penale, e quindi preclusa nel corso delle indagi ni preliminari, è affermazione incontroversa in dottrina (cfr. F. Corde
rò, Codice di procedura penale commentato, Utet, Torino, 1990, 94; R. Li Vecchi, Parte offesa e parte danneggiata: un dualismo ancora irrisolto dal legislatore, in Riv. pen., 1990, 403; N. Carulli-G. Esposito C. Massa-A. Palumbo, Lineamenti del nuovo processo penale, Jovene,
Napoli, 1989, 43; G. Conti-A. Macchia, Il nuovo processo penale, Buffetti, Roma, 1989, 34; G. Ichino, in Commentario del nuovo codi ce di procedura penale diretto da E. Amodio e O. Dominioni, Giuffrè, Milano, 1989, I, 469, che espressamente si riferisce anche all'incidente
probatorio; M. Nobili, La nuova procedura penale, Clueb, Bologna, 1989, 203 , 208).
La relazione al progetto preliminare del nuovo codice (in Le leggi, 1988, 2415) dà atto della discussione svoltasi in seno alla commissione sull'eventualità di consentire la costituzione di parte civile per l'inciden te probatorio; indica, alla fine, il motivo della scelta per la soluzione
negativa nell'«esigenza di non gravare oltre misura la fase delle indagini preliminari» con «la partecipazione all'incidente probatorio di soggetti diversi dal pubblico ministero, dall'imputato e dalla persona offesa».
Proprio in base alla considerazione che la persona offesa non può costituirsi parte civile prima dell'udienza preliminare e fino a quel mo mento non può, pertanto, qualificarsi parte, E. Sacchettini, La tutela
degli interessi civili nel nuovo processo penale, Pirola, Milano, 1990,
70, esclude altresì — non senza qualche incertezza — che essa abbia
facoltà di nominare un suo consulente tecnico in relazione alla perizia da svolgersi mediante incidente probatorio: vi osterebbe il disposto del
l'art. 225, 1° comma, secondo il quale detta facoltà è riservata, oltre che al pubblico ministero, alle sole «parti private». Dà invece per scon
tata la soluzione opposta Frigo, ibid.
La relazione al progetto preliminare, se sulle prime sembra offrire
argomenti alla tesi negativa, affermando che «la persona offesa resta . . .
puntualmente distinta dalla parte privata e nei suoi confronti non tro vano applicazione le norme che a questa si riferiscono» (Le leggi, cit.,
2423), dà poi anch'essa per scontato che «i poteri della persona offe sa ... si estendono sino a ricomprendere la facoltà ... di nominare un difensore anche al fine di assistere all'incidente probatorio (con l'e
ventualità, in caso di perizia, di nominare un proprio consulente tecni
co)» (ibid., 2426). In effetti, la persona offesa verrebbe a trovarsi, ove non le fosse
riconosciuta la facoltà in questione, in una posizione di evidente e grave menomazione di garanzia. Menomazione incomprensibile se paragonata alle ampie possibilità — ivi compresa quella di nominare un suo consu
lente tecnico — che le vengono assicurate nello svolgimento degli analo
ghi «accertamenti tecnici non ripetibili» dinanzi al pubblico ministero
(art. 360). A seguire la tesi negativa, inoltre, si determinerebbero seri problemi
nel coordinamento con l'art. 404, il quale opportunamente esclude che
la sentenza penale di assoluzione basata su una prova assunta mediante
incidente probatorio cui il danneggiato non sia stato posto in grado di partecipare esplichi, nei confronti di quest'ultimo, l'efficacia di cui
all'art. 652 nel giudizio civile o amministrativo di danno. È evidente
che l'art. 404 si riferisce al caso in cui il danneggiato coincida con la
persona offesa, essendo solo quest'ultima — e non anche il danneggia to in quanto tale — legittimata a partecipare all'incidente probatorio e posta in grado di farlo mediante l'avviso di cui all'art. 398, 3° com ma. Ne deriva che, con la notifica di detto avviso, il danneggiato-persona
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