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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 6 marzo 1980; Pres. Pata, Est. Campanato, P. M....

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 6 marzo 1980; Pres. Pata, Est. Campanato, P. M. Calogero; imp. Carteri ed altri

sentenza 6 marzo 1980; Pres. Pata, Est. Campanato, P. M. Calogero; imp. Carteri ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.439/440-443/444Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171606 .

Accessed: 28/06/2014 09:49

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PARTE SECONDA

È vero che, successivamente, la stessa corte, aderendo ad una richiesta proposta, in via principale, dal p. m. e, in via subordi

nata, dalla difesa, ha ritenuto opportuno sottoporre ad esame ana litico le singole scene del film per verificare se alcune di esse

potessero rompere l'armoniai dell'opera e che, essendo ripetitive di fatti intuibili ed intuiti dallo spettatore, fossero sovrabbon danti e superflue, ma è da rilevare che la corte ha specificamente

posto in rilievo che l'eventuale esclusione di talune scene dalla

pellicola sarebbe stata conseguente, non ad una « sorta di cri tica », ma piuttosto ad una vera e propria censura che è deman data dalla legge 21 aprile 1962 n. 161 ad organi amministrativi.

Ed immediatamente dopo si precisa nella sentenza che, pur non essendo consentito che l'opera cinematografica sia suscettibile di confisca una volta escluso il carattere di oscenità, non è inibito che singole scene, ritenute ripetitive e superflue, possano essere

oggetto di confisca a tutela del buon costume.

Con tale argomentazione è, pertanto, ribadita l'affermazione che l'opera cinematografica incriminata non è oscena e che, con

seguentemente, la pellicola non può essere confiscata, ma, ciò che ipiu interessa, si afferma che singole scene possono essere

confiscate a tutela del buon costume.

Al riguardo si osserva, però, che il buon costume, pur com

prendendo il pudore come sentimento di moralità sessuale, è con cetto più lato al quale, ai sensi dell'art. 6 cit. legge 21 aprile 1962 n. 161, si riferiscono gli organi amministrativi in sede preventiva, mentre le finalità della norma penale sono circoscritte all'ambito della tutela del pudore pubblico.

La corte di merito, quindi, dopo aver ancora una volta affer mato di riconoscere l'autentica artisticità dell'opera e di esclu dere il cosciente proposito nel regista e nel produttore di rap presentare l'osceno e che gli atti orribili e ripugnanti che vengono rappresentati e le nudità dei corpi sono sempre offerti alla vi sione dello spettatore con il garbo proprio dell'artista, mai in modo sguaiato e volgare, precisa poi che, però, vi sono nel. film « alcune scene, che appaiono sovrabbondanti ed inutili e che

rimanendo possono alterare quell'equilibrio ed armonia, da cui è caratterizzata l'opera ».

Da tale argomento, però, contrariamente a quanto sostiene il

p. m. ricorrente, non si può evincere che la corte d'appello abbia ritenuto tali scene del film oscene per cui avrebbe dovuto dichia rarsi l'imputato responsabile del reato ascrittogli almeno per tali

sequenze giacché, come già è stato rilevato, la corte di merito nel

giudicare l'opera nel suo complesso (comprese in essa le scene del film poi confiscate) ha espresso il giudizio che si tratta di

opera di autentica artisticità, ha escluso il proposito nel regista e nel produttore di rappresentare l'osceno ed ha precisato anche che gli atti orribili e ripugnanti (tra i quali — evidentemente —

sono da annoverare le scene sequestrate) e la nudità dei corpi sono sempre rappresentati con il garbo proprio dell'artista e mai in modo volgare e sguaiato.

Indubbiamente nelle' scene inutili e sovrabbondanti, che de nunciano la disarmonia del quadro di insieme, può ravvisarsi un effetto soverchiarne della componente deteriore, ma ciò in quan to il soverchio compiacimento (nella specie escluso dalla corte di merito) delle evocazioni oscene, la sproporzione (nella specie non dimostrata) fra le parti oscene e le rimanenti e l'inutilità delle prime possono portare a negare il valore artistico dell'opera, ma soltanto nel caso in cui l'osceno non si armonizza in una com

plessiva visione superiore ed ideale dell'opera cinematografica. Invero la corte di merito, pur affermando che vi sono nel film

alcune sequenze che appaiono sovrabbondanti ed inutili e che

possono alterare quell'equilibrio ed armonia di cui è caratteriz zata l'opera, mai ha precisato che tali scene, rimanendo nel con testo dei film, possano attribuire all'opera carattere di oscenità

perché, anzi, ha affermato il contrario osservando che, solo se

proiettate separatamente, non possono più considerarsi riscattate

dall'osceno, riconoscendo implicitamente che tali sequenze non

possano portare a negare il valore artistico dell'opera.

È inesatto, poi, l'assunto del p. m. ricorrente che il prevenuto sia stato assolto dal reato ascrittogli, limitatamente alle scene del film poi sequestrate, perché era incorso in errore di fatto deri vante dal nullaosta ministeriale che aveva inciso sull'elemento

intenziohale, giacché a tale conclusione è pervenuto il p. m. alla udienza ma non la corte d'appello.

Infatti, come precisato più volte, il Grimaldi è stato assolto con formula ampia perché la corte ha ritenuto che il film pro dotto fosse un'opera d'arte e la corte di merito ha fatto cenno a detta causa di non punibilità in relazione alle scene di cui ve niva disposta la confisca, ma nel caso che queste venissero uti lizzate separatamente, e precisando, nel contempo, che il fatto che fossero passate al vaglio della commissione di censura non

poteva valere come causa di non punibilità.

Pertanto l'assoluzione del Grimaldi è stata pronunciata perché è stato attribuito all'opera cinematografica il riconoscimento di

opera d'arte e, conseguentemente, non era consentita la confisca né della pellicola né di parti di essa.

Il film, quale opera del pensiero, non può essere annoverato tra le cose delle quali la fabbricazione, l'uso, il porto, la deten zione o l'alienazione costituisce reato e di cui, ai sensi dell'art.

240, n. 2, cod. pen., debba essere disposta la confisca in ogni caso e, cioè, anche in caso di assoluzione.

Conseguentemente il film, avendo in sé il connaturale carattere di illiceità che la norma richiede per l'adozione obbligatoria di tale misura di sicurezza, può essere confiscato soltanto con la sentenza di condanna che ne accerti l'illiceità perché offende il

pudore. Come già è stato posto in rilievo la corte di merito ha avver

tito l'incongruenza dell'adozione della confisca malgrado l'asso luzione dell'imputato con la formula ampia stante l'accertata artisticità del film ed ha precisato che tale misura di sicurezza veniva adottata per ragioni di opportunità, non dipendenti da un

giudizio critico, ma piuttosto dall'esercizio della facoltà di cen sura demandata dalla legge n. 161 del 1962 alle competenti com missioni. E che la corte di merito abbia effettivamente disposto la confisca esercitando un potere di censura attribuito dalla legge soltanto alle apposite commissioni trova riscontro nella circo stanza già posta in rilievo che la stessa corte ha ritenuto di poter adottare un siffatto provvedimento a tutela del « buon costume »

per quelle scene che fossero eventualmente e solo nella forma oscene.

Osserva questa corte che il vizio logico-giuridico del ragiona mento posto a base dell'adozione della confisca è insito nel giu dizio di opportunità a tutela del buon costume per cui si è rite nuto di disporre la confisca del film, cioè di un giudizio che è

proprio delle commissioni di censura e che, nel piano della tu tela penale e nell'interesse del bene collettivo del buon costume, può portare soltanto ad adottare il mezzo di prevenzione del se questro del film che può essere disposto dal p. m. ai sensi del l'art. 337 cod. proc. penale.

Ma tale strumento di prevenzione, adottato in base al sospetto di oscenità dell'opera, come già affermato dalla Corte costitu zionale con la sentenza n. 82 del 1975 (Foro it., 1975, I, 1047), non ha più ragione di essere e va quindi revocato se la decisione emessa dal giudice abbia accertato la assenza di antigiuridicità nella condotta dell'imputato e la non oscenità del bene seque strato.

^Infatti, a seguito di una sentenza di assoluzione con formula

piena, vengono meno i presupposti che giustificarono l'adozione della misura cautelare ed il film deve essere restituito all'avente diritto per l'attuazione del diritto di manifestazione del pensiero garantito dall'art. 21 Cost.

Pertanto il ricorso del p. m. va rigettato, mentre, in accogli mento del ricorso dell'imputato, l'impugnata sentenza va annul lata senza rinvio, per violazione di legge, limitatamente alla di sposta confisca, che va eliminata.

B<\r questi motivi, ecc.

CORTE D'ASSISE DI PADOVA; sentenza 6 marzo 1980; Pres.

Pata, Est. Campanaio, P. M. Calogero; imp. Carteri ed altri.

CORTE D'ASSISE DI PADOVA;

Personalità dello Stato (delitti contro la) — Attentato contro i diritti politici del cittadino — Pubblico concorso per assistente universitario di ruolo — Partecipazione — Impedimento — In

ganno o minaccia — Sussistenza del reato (Cod. pen., art. 294).

Integra gli estremi del delitto di attentato ad un diritto politico del cittadino il comportamento dei membri della commissione

giudicatrice volto ad impedire, mediante inganno o minaccia, la partecipazione di un candidato ad un pubblico concorso per posti di assistente universitario di ruolo. (1)

(1) Non risultano precedenti in termini costituendo, anzi, la sen tenza il primo caso di applicazione dell'art. 294 cod. penale. In giuris prudenza vedi, comunque, Trib. Lucca 18 giugno 1953, Foro it., Rep. 1953, voce Sciopero, n. 22, ove, partendo dall'assunto che lo sciopero attuato per fini non economici esorbita dai limiti indicati nell'art. 40 Cost., si è affermato che non commette il delitto di attentato ad un diritto politico dej cittadino, mancando l'ingiustizia del male minac ciato, il datore di lavoro che diffidi i propri dipendenti dal partecipare ad uno sciopero politico, pena l'applicazione delle sanzioni discipli

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GIURISPRUDENZA PENALE

La Corte, ecc. — Il giorno 21 giugno 1978 il dott. Antonio Scuccimarra si presentava spontaneamente alla procura di Pa dova per denunciare un fatto verificatosi presso l'istituto di

neurochirurgia dell'Università di Padova risoltosi a suo danno,

per il quale presentava anche formale atto di querela.

Assumeva lo Scuccimarra che, laureatosi in medicina e chi

rurgia nel 1973 presso l'Università di Bologna con il massimo dei voti e la lode, specializzatosi nel 1977 presso l'Università di Padova in neurochirurgia con 70./70, ottenendo l'incarico di assi stente universitario presso la predetta cattedra di cui era titolare il prof. Pietro Frugoni, e confermato in detto incarico fino al 27 aprile 1978, veniva ammesso al concorso per l'attribuzione del posto di ruolo che copriva come incaricato, concorso il cui esame scritto era stato fissato per il giorno 27 aprile 1978 ad ore 9.

La commissione d'esame risultava composta dal prof. Frugoni in qualità di presidente, prof. Simone Rigotti (direttore della cli nica neurologica) in qualità di membro estraneo all'istituto; prof. Alessandro Carteri in qualità di membro e segretario, aiuto del l'istituto di neurochirurgia. Poiché da alcuni anni il prof. Frugoni non operava più, era il prof. A. Carteri ad avere i più diretti contatti con lo Scuccimarra in sala operatoria oltre che nel re

parto donne, di cui il Carteri era responsabile ed ài quale il de nunciale era stato assegnato.

Nei giorni precedenti al concorso, a dire dello Scuccimarra, il

prof. Carteri gli suggeriva di non presentarsi al concorso, poiché allo stesso intendeva partecipare il dott. Gerosa, contrattista pres so lo stesso istituto, che a suo avviso sarebbe stato sicuramente

prescelto, sia perché in possesso di più « titoli », sia perché la cosa era già stata decisa.

Lo Scuccimarra, ritenendo di vantare nei confronti del Ge rosa una maggiore anzianità di servizio nel reparto e quindi un

punto di preferenza nei confronti dell'altro concorrente e, spin to dalla necessità di trovare una sistemazione definitiva per sé e la propria famiglia (era già sposato ed in attesa di un figlio), dal momento che non partecipando al concorso sarebbe decaduto automaticamente dall'incarico di assistente, resisteva di fronte ai

ripetuti dissuadenti interventi del prof. Carteri e ribadiva la sua

originaria intenzione. Ciò provocava, a suo dire, una dura rea zione da parte del suo «superiore» che il giorno prima del

l'espletamento del concorso, verso le ore 11, durante una pausa del lavoro, nell'anticamera della sala operatoria, e subito dopo nel ripostiglio attiguo alla sala ove lo faceva entrare, minacciava di' scacciarlo dall'istituto, se si fosse presentato a sostenere gli esami del concorso che in ogni caso avrebbe perduto. Di queste minacce si confidava con il prof. Iraci, altro aiuto dell'istituto e l'archivista N. Rampazzo.

Riferiva ancora il dott. Scuccimarra che già in precedenti oc casioni e precisamente per due concorsi a posti ospedalieri, uno

nari previste dal contratto collettivo; cfr., inoltre, App. Milano 14 maggio 1971, id., Rep. 1971, voce Personalità dello Stato (delitti contro la), n. 8, ove si è stabilito che la pretesa violazione di accordi interconfederali in tema di elezione della commissione interna non può essere configurata come impedimento all'esercizio di un diritto politico ai sensi dell'art. 294 cod. penale.

In dottrina cfr. De Mauro, Attentato contro i diritti politici dei cittadini, voce del Nuovo digesto, Torino, 1937, I, 1079; Id., Di ritti politici dei cittadini (delitti contro i), voce del Novissimo digesto, Torino, 1960, V, 735; Meranghini, Attentato contro i diritti politici del cittadino, voce dell'Enciclopedia del diritto, Milano, 1950, III, 973; nonché, nella trattatistica e nella manualistica, vedi per tutti Man zini, Trattato di diritto penale italiano, IV edizione aggiornata a cura di P. Nuvolone e G. D. Pisapia, Torino, 1961, IV, 575 e Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, VII edizione aggiornata a cura di L. Conti, Milano, 1977, II, 961; cfr. altresì, per qualche specifico accenno all'art. 294 cod. pen., Bricola, Progetti di riforma parziale del codice penale-, che sia la volta buona?, in Qualegiusti zia, 1970, 4, 93. Ai fini dell'interpretazione della fattispecie di cui all'art. 294 cod. pen: può essere, inoltre, utile far riferimento anche alla dottrina che ha affrontato il problema della definizione del con cetto di « diritto politico » rilevante ai sensi dell'art. 8 cod. pen.: sul punto è sufficiente segnalare, nell'ambito del dibattito dottrinale più recente, Capalozza, Appunti per una sistemazione scientifica del concetto di « politica » del reato, in Scritti giuridico-penali, Padova, 1962, 176; E. Gallo, Problematica di un profilo unitario del delitto politico nell'unificazione del diritto europeo, in Prospettive per un di ritto penale europeo, Padova, 1968, 345; Pisani, Delitto politico, estra dizione, diritto d'asilo, in Dir. internaz., 1970, II, 213; Nuvolone, Delitto politico e diritto d'asilo, in Indice pen., 1970, 172; Marinelli, Il delitto politico, in Arch, pen., 1976, 81; A. Cassese, in Commen tario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1975, 549; nonché di prossima pubblicazione, Panagia, Il delitto poli tico nel sistema penale italiano, e Mazzacuva, Commento sub art. 26, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca.

tenutosi a Padova nel dicembre 1977 e l'altro a Pescara nel mar zo del 1978, era stato sconsigliato dal prof. Carteri a concorrervi.

In entrambi i casi era risultato perdente, sia pure per uno solo punto nel primo caso, ma di avere saputo che i vincitori anche allora erano, già predestinati.

Nel proseguire il suo racconto il dott. Scuccimarra asseriva ancora di essersi presentato la mattina del 27 aprile 1978 alle ore 8.15 nei locali della direzione dell'istituto di neurochirurgia, attendendo nel corridoio e nella cosiddetta « sala rossa » l'arrivo della commissione. Alle ore 8.30 sopraggiungeva il dott. Gerosa al quale rivolgeva alcune frasi pungenti, poiché lo vedeva impe gnato a leggere dei fogli manoscritti e temeva gli fosse già stato comunicato in anticipo il titolo del tema della prova scritta.

Verso le ore 8.40 arrivava il prof. Carteri che, senza salutarlo, si avvicinava al Gerosa con il quale parlava sottovoce. Subito dopo, insieme, uscivano dalla stanza, si portavano nello studio del docente e quindi nella vicina biblioteca, ove rimaneva il solo Gerosa.

Mentre lo Scuccimarra si trovava in attesa della commissione veniva avvicinato dalla segretaria Elena Seneca per il ricovero urgente di una paziente. Faceva presente che, pur risultando essere di guardia, aveva chiesto di venire sostituito dal dott. Trincia, in quanto era in attesa di sostenere gli esami del con corso. La Seneca avvicinava allora il prof. Carteri che era ap pena uscito dalla biblioteca per sottoporgli il caso.

Successivamente, prima delle ore 9, sempre lo Scuccimarra, in attesa nel corridoio della direzione o nelle sue immediate adia cenze, scambiava qualche parola con il prof. Mingrino ed il Iraci, nonché il dott. Iavicoli ed a tutti manifestava la propria intenzione di partecipare al. concorso.

Verso le ore 9,30, dietro suggerimento del prof. Iraci che, entrato in biblioteca aveva notato il dott. Gerosa intento a scri vere per cui arguiva che il concorso fosse cominciato, consta tava di persona, alla presenza anche del dott. Iavicoli, tale cir costanza e chiedeva la testimonianza della Seneca e del dott. Licata.

Nel reparto « dozzinanti » rintracciava il prof. Carteri cui fa ceva, in modo concitato e risentito, le proprie rimostranze per essere stato escluso dal concorso. Questi lo invitava a calmarsi, promettendo di metterlo in pari. Entrambi si portavano nei lo cali della direzione e dal suo studio il prof. Carteri telefonava alla segreteria dell'ufficio concorsi dell'università.

Quindi il dott. Scuccimarra si recava all'ingresso dell'istituto, dove rimaneva in attesa del prof. Frugoni che sopraggiungeva verso le ore 9.45. Indossava un soprabito e portava una borsa.

Questi, di fronte alle irregolarità denunciate, asseriva di es sere stato informato che lo Scuccimarra aveva rinunciato a parte cipare al concorso e aggiungeva che in ogni caso lo avrebbe perso, ma di essere disposto ad annullarlo, anche se per tale comportamento « a maggior ragione » glielo avrebbe fatto per dere.

A questo punto il dott. Scuccimarra lasciava l'istituto. Dal prof. Mingrino ricevava il consiglio di stare a riposo per qual che tempo, e per tale ragione presentava un certificato medico a giustificazione della sua assenza. Pur essendosi profilata la pos sibilità di una certa sistemazione nell'istituto, verso la fine di maggio anche tale speranza naufragava e solo verso la fine del 1978 riusciva ad ottenere un incarico retribuito presso l'ospe dale civile di Reggio Calabria, dove si era trasferito e dove l'ave va raggiunto la moglie, costretta a lasciare il posto di infermiera.

In seguito alla denuncia di cui innanzi, confermata nelle parti essenziali dalle

' deposizioni del prof. Iraci, del dott. Iavicoli,

della Seneca venivano sequestrati tutti gli atti e documenti re lativi al concorso in oggetto ed inviata comunicazione giudiziaria agli imputati per i suindicati reati. (Omissis)

Resta, infine, l'esame circa la configurazione del delitto di cui all'art. 294 e la riconducibilità allo stesso della fattispecie con creta che è oggetto del processo.

La difesa di Carteri ha sostenuto che l'applicazione della nor ma non può essere dilatata oltre i limiti previsti dal legislatore nel momento in cui fu posta. Richiamando la teoria del Manzini si assume essere detto reato delitto politico non solo perché ricompieso fra i delitti contro la personalità dello Stato, ma per ché lesivo nel contempo di un interesse politico del cittadino e dello Stato.

Diritto politico del cittadino deve intendersi quello che gli spetta uti civis, come cittadino al di là di requisiti o caratteri stiche diverse, per cui certamente è diritto politico quello di voto, di petizione, di elettorato attivo e passivo, di referendum, ma non quello di partecipazione a pubblici concorsi che impon gono il possesso di determinati requisiti. Il diritto a partecipare

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PARTE SECONDA

ad un pubblico concorso può ritenersi un diritto pubblico sog gettivo, ma non diritto politico in senso stretto, la cui viola zione impedisca il funzionamento della vita politica e costitui sca un attacco alla personalità dello Stato.

Va innanzitutto precisato che la norma giuridica va interpre tata secondo i criteri informatori dell'ordinamento quale si è venuto configurando attraverso le continue trasformazioni negli anni e ciò per poter superare i contrasti insanabili che talora

scaturirebbero dal confronto di norme diverse a seconda che

queste abbiano o meno seguito l'evoluzione dei tempi. In particolare non potrà mai la norma restare ancorata alla

ratio del legislatore quando questa ratio contrasti con i principi posti alla base dell'ordinamento costituzionale, ma dovrà infor marsi a questi fondamentali criteri, riempiendosi dei suoi nuovi contenuti.

L'art. 294 è compreso fra le norme contemplate nel titolo I

del libro II del codice penale «Dei delitti contro la personalità dello Stato » e costituisce l'unico articolo del capo III (dei de litti contro i diritti politici del cittadino).

Questa classificazione si distaccava dal codice penale Zanardelli

che inquadrava il reato fra quelli contro le libertà politiche, tute lando un interesse autonomo ed inviolabile del cittadino che la dottrina liberale dell'epoca configurava come un soggetto ori

ginario di diritti di fronte allo Stato, non già come strumento della volontà dello Stato, elargitore di diritti politici attraverso l'esercizio dei quali si attua la personalità stessa dello Stato, co me voluto dal codice Rocco.

Il progetto di legge del 1950 avente come oggetto un nuovo codice penale, disciplinando un'ipotesi analoga a quella rego lata dall'art. 294 cod. pen., la poneva fra i delitti contro le li bertà costituzionali.

Certamente inquadrando la norma nell'ambiente storico-poli tico in cui nacque, è possibile spiegare la sua collocazione, e l'individuazione dell'oggetto della tutela che è la personalità del lo Stato sia pure attraverso la garanzia dei diritti politici.

Con l'entrata in vigore della Costituzione e la necessità conse

guente di operare una rivalutazone del dettato normativo, una tale classificazione appare decisamente in contrasto con i mutati

rapporti cittadino-Stato, quali scaturiscono dai nuovi principi re

golatori dello Stato democratico. La norma deve trovare una sua ratio che sani tale contrasto riplasmando la propria fisionomia ed allargando qualitativamente e quantitativamente la sua orbita di applicazione secondo il moderno concetto di diritto politico.

Questi diritti sono nell'ordinamento costituzionale delle facoltà autonome ed inviolabili che permettono al cittadino di concorrere

all'organizzazione ed al funzionamento dello Stato.

Non vanno confusi né con le pubbliche funzioni, né con i di ritti di libertà: nell'esercizio di una pubblica funzione il citta dino esplica un diritto appartenente allo Stato, mentre nei diritti

politici il cittadino realizza prevalentemente un proprio interesse. I diritti di libertà (di pensiero, di riunione ecc.) infine non at

tengono alla partecipazione dèi cittadino all'attività dello Stato. Fra i diritti politici vanno certamente ricompresi quelli con

templati nel titolo IV della parte I della Costituzione.

Mentre la dottrina è d'accordo nel ricomprendere in detta ca

tegoria il diritto di elettorato attivo e passivo, di petizione e

quelli di cui agli art. 71 e 75 Cost., maggiori perplessità vi sono nel considerare diritto politico quello di accedere ai pubblici uffici attraverso pubblici concorsi (art. 51), non parendo cosi evidente in tale attività la diretta partecipazione alla vita poli tica dello Stato.

Va detto subito che l'ordinamento della Repubblica è infor mato al principio d'uguaglianza, che costituisce uno dei cardini della democrazia, unitamente al diritto di partecipazione diretta o per rappresentanza al governo della cosa pubblica.

Non vi è dubbio che tale principio trovi applicazione per l'eser cizio del diritto elettorale attivo e passivo. Ma, poiché non tutti gli uffici statali sono uffici elettivi, è evidente la necessità che la Costituzione prevedesse espressamente l'eguaglianza anche per l'ammissione ai pubblici uffici non elettivi. È anche comprensibile che la legge possa richiedere per certi uffici determinate condi zioni di idoneità professionale, fisica, ecc. che non intaccano af fatto il predetto principio, perché sono dettate unicamente da esigenze obiettive e di pubblico interesse in relazione all'orga nizzazione ed ai compiti dei vari uffici dello Stato e degli enti ausiliari.

L'utilizzo del pubblico concorso come mezzo di accesso ai pubblici uffici consente la scelta dei candidati in condizioni di parità ed attraverso la valutazione dei loro meriti. Con tale si stema si garantisce da una parte il migliore espletamento delle funzioni pubbliche per mezzo di persone scelte fra le più idonee,

ma soprattutto il rispetto del principio di uguaglianza che costi tuisce — cosi come formulato all'art. 3 Cost. >— uno dei cardini dello Stato democratico.

I titoli preferenziali che a volte sono previsti dalla legge a fa vore di alcune categorie o per i soggetti che si trovino in ben precisate condizioni non alterano la configurazione di questo principio, perché costituiscono dei correttivi alle disparate pos sibilità di realizzazione dei cittadini, favorendo un'uguaglianza sostanziale che tende a rimuovere gli ostacoli che si frappongono avanti ai più deboli.

Conseguentemente il rispetto del principio di uguaglianza co stituisce uno dei modi operativi dello Stato democratico ed un mezzo irrinunciabile per la sua realizzazione in termini evolutivi.

La violazione del diritto sancito dall'art. 51 Cost, non solo viola un preciso interesse del cittadino, che attraverso il pub blico concorso realizza la possibilità di accedere ad uffici dello Stato o dei suoi enti ausiliari in condizioni di eguaglianza con altri cittadini forniti di analoghi requisiti, ma anche colpisce la personalità dello Stato nella sua moderna configurazione demo cratica, impedendone la realizzazione nel modo previsto dai suoi principi fondamentali.

Le suesposte considerazioni unitamente al fatto che l'accesso ai pubblici concorsi consente l'ingresso in uffici connessi all'or ganizzazione ed al funzionamento di attività di pubblico inte resse, consente di configurare come politico il diritto di cui al l'art. 51 Cost., da cui consegue la riferibilità dello stesso alla tu tela di cui all'art. 294 cod. penale.

Nel caso di specie per la ricostruzione di fatto emersa dal pro cesso, non vi è dubbio che l'anticipazione dell'orario della pro va d'esame, operata con le modalità già illustrate, ha costituito inganno, che è stato diretto a conculcare un diritto politico dello Scuccimarra.

Non è necessaria la scienza speciale da parte dell'imputato che il diritto di cui il reo si propone di violare la libertà di eser cizio sia un diritto politico: questo è l'oggetto della tutela pe nale e quindi un eventuale errore in relazione alla natura giu ridica di tale diritto non costituisce esimente, giacché altrimenti si perverrebbe all'invalidazione della norma penale. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI PADOVA; c TRIBUNALE DI PADOVA; ordinanza 3 maggio 1980; Giud. Palombarini; imp. Del Re ed altri.

LiDerta personale dell'imputato — Custodia preventiva — Ter mini — Prolungamento per effetto del d. 1. n. 625/1979 — Questione manifestamente infondata di costituzionalità —

Applicabilità — Condizioni — Questione non manifestamen te infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 13, 25, 27; cod. proc. pen., art. 272; d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica, art. 10, 11; legge 6 febbraio 1980 n. 15, conver sione in legge con modificazioni del d. 1. 15 dicembre 1979 n. 625, art. unico).

È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 13, 2° e 3r comma, 27, 2° comma, Cost., la questione di costituzionalità dell'art. 10 d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito, con mo difiche, in legge 6 febbraio 1980 n. 15, che prevede il prolun gamento di un terzo dei termini massimi della custodia pre ventiva per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, nonché per quelli previsti dall'art. 416 cod. pen. e per quelli indicati nell'art. 165 ter cod. proc. penale. (1)

Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di costituzionalità del l'art. 11 d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, convertito in legge 6 febbraio 1980 n. 15, nella parte in cui prevede l'applicabilità dell'aumento dei termini massimi della custodia preventiva in trodotta per taluni delitti dall'art. 10 stesso d. /., ai procedi menti in corso alla data di entrata in vigore del d. in rife rimento agli art. 3, 1° comma, 13, 1°, 2° e 5° comma, 25, 2° comma, e 27, 2° comma, Cost. (2)

(1-2) La Corte di cassazione con sent. 19 marzo 1980, Musone (Fo ro it., 1980, II, 217, con esauriente nota di richiami) ha ritenuto che le disposizioni più restrittive in materia di durata della custodia pre ventiva introdotte con d.l. n. 625/1979 convertito in legge n. 15/1980, non si applicano nei confronti di coloro i quali, prima dell'entrata in

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