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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 8 giugno 1982; Giud. S. Gallucci; imp. Vero

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sentenza 8 giugno 1982; Giud. S. Gallucci; imp. Vero Source: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp. 511/512-513/514 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23174648 . Accessed: 28/06/2014 16:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 16:21:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 8 giugno 1982; Giud. S. Gallucci; imp. Vero

sentenza 8 giugno 1982; Giud. S. Gallucci; imp. VeroSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.511/512-513/514Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174648 .

Accessed: 28/06/2014 16:21

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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PARTE SECONDA

In questo ambito rientrano i medici generici ed i pediatri ex

convenzionati con l'I.n.a.m. ed attualmente convenzionati con le

unità sanitarie locali.

In tale convenzione, pur essendo precisato che il rapporto di

lavoro che si instaura fra i medici e gli enti pubblici è un rap

porto di lavoro autonomo, vi sono numerose disposizioni che ri

conoscono a favore dei medici contributi previdenziali, un pe

riodo di ferie, diritti sindacali e fissano il divieto di esercizio

della libera professione nei confronti dei propri convenzionati.

Tali accordi configurano quello che comunemente viene definito

un rapporto di parasubordinazione. Orbene il problema relativo all'ammissibilità del diritto di scio

pero anche per questo tipo di rapporto è stato affrontato e ri

solto con due decisioni dei giudici di merito (sent. n. 1376 del

Tribunale di Torino anno 1972; sent. n. 245 anno 1973 Corte di

appello di Torino, 20 luglio 1973, id., Rep. 1975, voce Sanitario, n. 322) entrambe negative e della Suprema corte di cassazione (29

giugno 1978, n. 3278, cit.) che modificando le predette statui

zioni dei giudici di merito ha fissato il principio secondo cui sotto il profilo soggettivo il diritto di sciopero ben può essere

riconosciuto alla categoria dei medici convenzionati con l'I.n.a.m.

(oggi convenzionati con il servizio sanitario nazionale).

Ora sul piano teorico questa statuizione può anche essere ac cettata e ciò perché in realtà vi è una contrapposizione precisa tra i medici (prestatori d'opera) che possono assumere la posi zione di parte contrastante più debole nei confronti dell'ente

pubblico, per cui i primi potrebbero aspirare a modificare le con dizioni economiche e normative inerenti alla prestazione della loro

attività professionale.

Sul piano però concreto, premesso che come si è più volte pre cisato dianzi un limite coessenziale allo sciopero cioè all'asten

sione dal lavoro è la corrispettività dei sacrifici (mancata retri

buzione per chi sciopera e danno per la controparte) non si vede come possa sussistere questo requisito indispensabile nello scio

pero dei medici. In realtà costoro hanno le seguenti alternative:

a) astenersi dall'effettuare le visite mediche recedendo dalla con venzione e denunciare le inadempienze della controparte avanti

agli organi giurisdizionali competenti; b) astenersi dall'effettuare le visite, rivendicare la propria autonomia professionale e farsi

pagare le visite mediche dagli assistiti convenzionati.

Nel primo caso l'agitazione può essere considerata perfetta mente aderente alla struttura e natura del diritto di sciopero.

Nella seconda ipotesi invece, cosi' come è stato precisato dianzi, siamo al difuori dell'operatività dell'art. 40 Cost. Non vi è asten sione di lavoro, e manca il pregiudizio economico.

Ciò è puntualmente avvenuto nella fattispecie de qua: tutti gli imputati hanno preferito non denunciare la convenzione, visi tare gli assistiti convenzionati e percepire da costoro gli onorari.

Le cifre riportate nei capi di imputazione provano che i preve nuti durante l'agitazione hanno riscosso somme di danaro supe riori a quelle che avrebbero loro corrisposto le U.S.L. nn. 28 e

38 secondo la convenzione in corso: in realtà ad essi sono state

corrisposte anche tali somme.

Nella citata sentenza della Corte di cassazione nella parte fi nale è precisato che il diritto di sciopero sotto il profilo oggetti vo può essere ritenuto sussistente per i medici convenzionati

quando, in concreto, sia provato che ci sia insieme al danno per il datore di lavoro (in senso lato) anche il pregiudizio per il lavoratore che rimanga privo della controprestazione sanitaria.

Quest'ultima condizione non è venuta a giuridica esistenza

nella fattispecie de qua. La difesa ha unicamente insistito per l'applicazione nel caso

di specie dell'art. 40 Cost, ed ha peraltro chiesto in modo espli cito la non applicazione dell'art. 59 c. p. in riferimento all'art.

51 c. p. invocato.

La richiesta formulata dal difensore non ci esime però dall'esa minare se agli imputati possa applicarsi la esimente invocata al meno sotto il profilo putativo.

Analizzando però le posizioni dei singoli prevenuti si rileva che

essi hanno ritenuto di esercitare il diritto di sciopero non in

conseguenza di un erroneo presupposto di fatto, ma si sono de

terminati all'azione in virtù di una erronea interpretazione di una

norma giuridica. Orbene poiché in tal caso l'errore si è risolto nella ignoranza

della legge penale che non scusa, esso non ha giuridica rilevanza.

La Suprema corte di cassazione con sentenza 17 aprile 1974,

Campari (id., 1975, II, 329), ha ribadito questo principio in rela

zione alla violazione dell'art. 330 da parte dei vigili urbani sta

tuendo quanto segue:

« Tale decisione è giuridicamente esatta perché l'erroneo ap

prezzamento, vero o supposto, è caduto non già sulle modalità di

esercizio del diritto di sciopero garantito dall'art. 40 Cost., ma è

stato determinato, come è pacifico, dall'interpretazione circa l'ef

ficacia obbligatoria e la sussistenza dell'art. 330 c. p. che si era

inteso dare, nonostante il limite di ordine costituzionale che il

diritto di sciopero deve incontrare di fronte ad interessi di premi nente rilevanza sociale che non hanno mai cessato di essere pe nalmente protetti.

L'errore degli imputati si è pertanto risolto nell'ignoranza della

legge penale che non scusa, e di ciò è conferma la considerazio

ne che, indipendentemente dalla regolamentazione che il legisla tore vorrà dare al diritto di sciopero, il cittadino, che si avvale di

tale diritto non al di là dei limiti desumibili in modo necessario

dalla Costituzione, non è penalmente perseguibile perché il fatto

da lui commesso non è preveduto dalla legge come reato (art. 152 c. p. p.) e quindi nei suoi confronti non potrebbe mai essere

applicata l'esimente, anche se putativa, di cui all'art. 51 c. p., che

presuppone una fattispecie di reato accertata come integra dal

giudice penale ».

Si deve pertanto conclusivamente dichiarare la colpevolezza dei

prevenuti in ordine al reato loro ascritto.

Pena congrua è la seguente: giorni 20 di reclusione (p. b. giorni 30-62 bis c. p. perché gli imputati hanno tenuto una condotta pro cessuale molto leale).

Tenuto conto dei buoni precedenti penali degli imputati pare

equo commutare la pena detentiva in pena pecuniaria di tipo cor

rispondente. (Omissis).

PRETURA DI ALBA; PRETURA DI ALBA; sentenza 8 giugno 1982; Giud. S. Gal

lucci; imp. Vero.

Diritti d'autore — Composizioni musicali tutelate — Diffusione

ad opera di emittente privata locale — Autorizzazione della

S.i.a.e. — Difetto — Reato — Insussistenza (Cod. pen., art.

81; 1. 22 aprile 1941 n. 633, protezione del diritto d'autore

e di altri diritti connessi, art. 51-59, 171).

La radiodiffusione, ad opera di emittente privata locale, di mu

sica in dischi, effettuata senza autorizzazione della S.i.a.e., non

è prevista dalla legge come reato. (1)

(1) Dall'ultima sentenza riportata su queste colonne (Pret. Rimini 24 ottobre 1981, Foro it., 1982, II, 71, con nota di richiami di giuris prudenza [Pret. Rieti 11 febbraio 1981, è stata nel frattempo ripor tata in Giur. it., 1981, II, 445, e Dir. autore, 1982, 66; in Giur. me

rito, 1982, II, 416, è stata poi 'ripescata' Pret. Verona 21 marzo

1979] e dottrina {cui adds E. Santoro, Emittenti locali e diritto esclusivo di diffusione dell'opera dell'ingegno, in Città e regione, 1980, 108]), l'estenuante braccio di ferro tra S.i.a.e. ed (un settore rilevante dell') emittenza privata non sembra aver conosciuto sviluppi decisivi. Sarebbe indotto a conclusioni diverse chi si limitasse ad una ricogni zione delle riviste specializzate: infatti, la decisione su riportata si

oppone (col solo conforto di Trib. Busto Arsizio 22 dicembre 1981, Dir. autore, 1982, 62, che ritiene non perseguibile, sul piano penale, l'irradiazione, senza il consenso dell'autore, di composizioni musicali

riprodotte su dischi; il ricorso avverso detta decisione è stato dichia rato improcedibile da Cass., Sez. Ill pen., 4 maggio 1982, Deiana, ine dita. Ricordiamo, per inciso, che Cass. 6 marzo 1982, Tadolti, ibid., 293, ha annullato senza rinvio 'Pret. Cingoli 20 giugno 1980, tForo it., Rep. 1981, voce Diritti d'autore, n. 64) ad una nutrita sequenza di pro nunzie di condanna. Cfr. Pret. Napoli-Barra 22 aprile 1982, Dir. au

tore, 1982, 304; Trib. Bologna 4 febbraio 1982, ibid., 224; Trib. Sa vona 29 dicembre 1981, ibid., 223; Pret. Palestrina 14 dicembre 1981, ibid., 228; Pret. Belluno 30 ottobre 1981, ibid., 298; Pret. San Dona di Piave 5 ottobre 1981, ibid., 67; Trib. Reggio Emilia 24 giugno 1981, id., 1981, 428 (che conferma Pret. Reggio Emilia 4 dicembre 1980, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 67); Trib. Cagliari 28 marzo 1981, Dir. autore, 1981, 425; Trib. Pistoia 27 febbraio 1981, id., 1982, 54; Pret. Bergamo 9 gennaio 1981, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 66.

Senonché, il difensore delle stazioni private, Eugenio Porta, ci avverte (Radiodiffusione e diritto di autore, supplemento a L'Altra Antenna, nn. 22/23 del 12 luglio 1982, 83) che le cose non stan no cosi e che non è meno fitta la schiera di sentenze assolutorie. Ultime, in ordine di tempo, Trib. Treviso 31 maggio 1982, Zanella, inedita, che riforma Pret. Castelfranco Veneto 15 maggio 1981, Giur. merito, 1981, II, 1312, con nota di M. Fabiani, Responsabilità penale per radiodiffusione abusiva di opere dell'ingegno, e decisioni — non meglio indicate — dei Pretori di Napoli, Rovereto, Thiene, Vicenza (già confermata in sede di appello).

Da notare come il 'Pretore di Alba adombri un ulteriore argomento in pro della tesi ' innocentista ', desumendola dalla recente normativa

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GIURISPRUDENZA PENALE

Fatto e diritto. — In esito al pubblico orale dibattimento, in

terrogato l'imputato, sentita la costituita parte civile e assunte le

conclusioni della difesa della p. c., del p. m. e del difensore del

l'imputato si osserva.

Il procedimento è stato iniziato in seguito alla denuncia della S.i.a.e. la quale portava a conoscenza di questo ufficio che l'emittente locale privata « Giornale radio diffusione » diffonde

va radiofonicamente programmi musicali tutelati dalla S.i.a.e.

senza però averne pagato preventivamente i relativi diritti d'au

tore.

Non ignora questo pretore che la questione, di cui si tratta, è stata dibattuta nella quasi totalità delle preture italiane con

cludendosi con pronunce diverse.

Né sembra il caso di ripercorrere l'iter legislativo dottrinale

e giurisprudenziale che il discusso problema ha dovuto subire

ed ancora subisce.

Ritiene i! pretore che la fattispecie contestata all'imputato non

abbia rilevanza penale e quindi vada esclusa la responsabilità dello stesso.

La radiodiffusione è regolata dagli art. 51 ss. 1. 27 aprile 1941

n. 633 le cui norme prevedono nell'interesse della generalità e senza necessità di uno specifico consenso dell'autore (salvo il

pagamento dei relativi diritti) la radiodiffusione (allora in regi me di monopolio) per le quali vi sia stato il consenso dell'autore

alla registrazione su apparecchio meccanico (dischi, ecc.). Orbene a seguito della liberalizzazione delle trasmissioni via

etere su scala locale il diritto di irradiare composizioni musicali

eseguite e registrate in dischi senza il consenso dell'autore (salvo

compenso) deve ritenersi esteso anche alle emittenti private, di

guisa che la radiodiffusione di musica in dischi da parte di chiun

que effettuata senza autorizzazione della S.i.a.e. è penalmente

irrilevante, in quanto il consenso dell'autore — come già det

to — è necessario solo per le registrazioni dell'opera musicale in

disco non per la successiva radiodiffusione (salvi i diritti patri moniali da azionare in sede civile). Tale assunto oltre che ade

rente ad una interpretazione logico-storico-sistematica della legge è altresì conforme ad una concezione realistica dell'illecito pe nale la quale tenga presente i valori tutelati penalmente dalla

Costituzione. E ritiene questo pretore che la Costituzione non

prevede la sanzionabilità penale di violazioni di meri interessi

e diritti economici. A tale concezione si è ispirato il legislatore nella formulazione della 1. 24 novembre 1981 n. 689 (c. d. depe

nalizzazione) eliminando il carattere penale di fattispecie a con

tenuto illecito c. d. « formale » (cfr. art. 33). Per tali motivi è conforme a giustizia l'assoluzione perché il

fatto non è preveduto dalla legge come reato.

sulla ' depenalizzazione ". Contra, G. M. Pinna, Depenalizzazione e

difese penali del diritto d'autore, in Dir. autore, 1982, 187, 192, che

si orienta per «l'esclusione della normativa di cui all'art. 171 1. 633/ 1941 dalla depenalizzazione» e giudica «quanto mai opportutì[o] ...

il conseguente mantenimento delle sanzioni penali a carico dei con

travventori ».

PRETURA DI ROMA; PRETURA DI ROMA; sentenza 13 maggio 1982; Giud. Sel

vaggi; imp. Caruso.

Violazione di sigilli, di pubblica custodia o di sequestro — Viola

zione di sigilli — Reato — Sussistenza — Fattispecie (Cod.

pen., art. 349).

Sussiste il reato di violazione di sigilli qualora, disposto il se

questro giudiziario di opere edilizie abusive in costruzione, con apposizione di cartelli indicanti gli estremi del sequestro e le relative comminatorie di legge, venga successivamente in

trapresa la prosecuzione dei lavori edilizi abusivi. (1)

(1) In senso puntualmente conforme, Pret. Melito Porto Salvo 12

marzo 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Violazione di sigilli, n. 5. Nel

lo stesso senso sulla sufficienza di una violazione funzionale dei si

gilli: Trib. Napoli 18 maggio 1976, id., Rep. 1978, voce cit., n. 1, secondo cui l'interesse protetto dall'art. 349 c.p. è quello concernente

la tutela della « certezza » della cosa sigillata; non essendo descritta

una condotta a forma vincolata, il delitto si consuma sia con la vio

lazione materiale (distruzione, danneggiamento) dei sigilli, sia con la

violazione funzionale degli stessi (menomazione della conservazione

o della identità della cosa sigillata); Cass. 14 gennaio 1970, Tubino,

id., 1971. II, 412, con nota di richiami, per la quale ai fini della

sussistenza del reato previsto dall'art. 349 c.p. non è indispensabile la materiale distruzione, sottrazione o rimozione del sigillo, ma basta

Fatto e diritto. — Con rapporto giudiziario della polizia mu

nicipale di Roma in data 2 settembre 1980 si denunciava Caruso Fortunata Rosa per l'abusiva realizzazione di opere edilizie {ster ro di m. 11x11, muri di contenimento per un'altezza di m. 1,20 circa e nove plinti in c. a. con cordoli in conglomerato cementi zio di collegamento); in occasione dell'accertamento l'opera ve niva sottoposta a sequestro giudiziario e copia del relativo ver bale consegnata all'interessata. Successivamente venivano redatti due rapporti giudiziari per violazione dell'art. 349 c. p. susse

guenti all'accertamento di ulteriori prosecuzioni di lavori sul ma nufatto sottoposto a sequestro che, nel frattempo, aveva raggiunto le seguenti dimensioni: m. 11X11 per due piani più carpen teria predisposta per la realizzazione del piano mansarda.

Emesso nei confronti della Caruso decreto di citazione a giu dizio per sentirla rispondere dei reati in rubrica ascrittile, all'im

putata, che ammetteva gli addebiti precisando di avere terminato la casa nell'agosto del 1981, veniva — escusso come teste il F.V.U. Baini — contestata l'ulteriore prosecuzione dei lavori e l'ulteriore violazione di sigilli commesse in epoca prossima al

l'aprile 1982. Concesso all'imputata 0 richiesto termine a difesa, la stessa ammetteva all'udienza successiva di avere terminato i lavori nel dicembre 1981. All'esito p.m. e difesa concludevano come in atti.

Ritiene questo pretore pienamente provata la responsabilità del

l'imputata in ordine al reato di costruzione abusiva (confessione,

rapporti giudiziari, testimonianza Baini). Detto reato, ratione tem

poris commissi delicti, non può ritenersi compreso nel recente

provvedimento di clemenza.

Quanto al delitto contestato rileva questo pretore che non può accogliersi la tesi prospettata dalla difesa che ha chiesto deru bricarsi quello contestato nelle ipotesi previste e punite dall'art. 334 c.p. essendo il bene giuridico protetto, la ratio della norma e i comportamenti previsti diversi nelle due ipotesi, tanto che secondo la giurisprudenza della Suprema corte le due ipotesi pos sono concorrere. Ritiene invece il giudicante che nel caso di spe cie si sia realizzata integralmente la fattispecie prevista dall'art. 349 c. p.

La migliore dottrina e la giurisprudenza della Corte di cassa zione hanno da tempo chiarito che il fatto costitutivo del delitto consiste nel violare i sigilli apposti al fine di assicurare la con servazione o l'identità di una cosa.

I sigilli non sono adeguate difese materiali, ma espressioni ma teriali meramente simboliche della volontà dello Stato diretta al lo scopo di custodia.

Quindi « violazione di sigilli » significa, più che la fisica vio lazione della materia sigillante, la violazione della custodia si

gillata. Tale violazione, pertanto, si ha sia nel fatto di chi ri

muove, rompe, distrugge, ecc. la materia sigillante, sia in quello di chi frustra altrimenti la volontà manifestata con l'apposi zione dei sigilli. Non occorre insomma la distruzione di un si

gillo che comunque sia stato apposto, potendo esso essere vio lato con qualsiasi atto idoneo a rendere frustranea l'assicurazione della cosa in quanto la norma in questione tutela tanto l'inte

grità materiale quanto quella strumentale e funzionale (cfr. Cass. 3 marzo 1953, Steffenino, Foro it., Rep. 1953, voce Sigilli, n. 2;

qualsiasi atto che, eludendone la funzionalità, renda frustranea l'as sicurazione della cosa, dato che la legge tutela tanto l'integrità mate riale, quanto quella funzionale e qualitativa dei sigilli. In senso contrario alla sentenza che si riporta, Cass. 16 ottobre 1980, Zocca, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1, ha ritenuto che non costituiscono si gilli ai sensi dell'art. 349 c.p., i cartelli contenenti il divieto di pro seguire nella costruzione di opera iniziata in violazione della legge urbanistica. Per Cass. 16 novembre 1970, Pollazzi, id., Rep. 1971, voce cit., n. 3, l'oggetto della tutela penale dell'art. 349 c.p. non è la cosa assicurata dai sigilli, che il colpevole può anche lasciare intatta, bensì il mezzo assicurante costituito dai sigilli. Secondo Cass. 6 aprile 1976, Catani, id., Rep. 1977, voce cit., n. 4, non sussiste il reato previsto dall'art. 349 c.p. nel caso di prosecuzione di una co struzione edilizia, abusiva, nonostante il disposto sequestro degli at trezzi del cantiere, peraltro non sigillati. Da Cass. 14 maggio 1975, Posch, id., 1976, II, 142, con nota di richiami, è stata ritenuta la sussistenza del reato di cui all'art. 349 c.p. nel caso di violazione dei

sigilli apposti in esecuzione del sequestro giudiziario, a fini istruttori, di una costruzione abusiva. Secondo Cass. 15 dicembre 1980, Vitale, Riv. pen., 1981, 846, sussiste il reato previsto dall'art. 349 c.p. quando la costruzione prosegue nonostante il disposto sequestro del cantiere che sia stato sigillato. 'Per Cass. 18 febbraio 1977, Machetti, Foro it., Rep. 1977, voce cit., n. 2; 19 novembre 1973, Penitente, id., Rep. 1974, voce cit., n. 2, ai fini dell'art. 349 c.p., per sigillo deve inten dersi qualsiasi dispositivo o congegno, visibile o tangibile (timbro o bollo su ceralacca, strisce di carta firmate o bollate) applicato dalla

pubblica autorità su una cosa allo scopo di assicurarne la conserva zione o l'identità.

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