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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 9 gennaio 1980; Pres. M. Battaglini, Est....

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sentenza 9 gennaio 1980; Pres. M. Battaglini, Est. Viglietta; imp. D'Ippoliti Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 701/702-703/704 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171659 . Accessed: 28/06/2014 10:41 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.90 on Sat, 28 Jun 2014 10:41:44 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sentenza 9 gennaio 1980; Pres. M. Battaglini, Est. Viglietta; imp. D'Ippoliti

sentenza 9 gennaio 1980; Pres. M. Battaglini, Est. Viglietta; imp. D'IppolitiSource: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.701/702-703/704Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171659 .

Accessed: 28/06/2014 10:41

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ma dalle stesse dichiarazioni rese dall'imputato dinanzi al tribunale l'allevamento, di mille suini secondo la contestazione o di cinquecento secondo l'imputato, si trova in un fondo, di circa 60 pertiche milanesi corrispondenti a 36.000 metri qua drati circa, dimensioni queste da sole sufficienti ad escludere che nel caso in esame la coltivazione del fondo possa avere qual che nesso con l'allevamento del bestiame posto che il numero dei capi in ogni caso eccede le potenzialità quantitative e qua litative del fondo di procurare nutrimento agli animali e d'al tra parte lo sterco prodotto da questi non viene utilizzato per concimare il terreno ma è scaricato nella fognatura comunale.

Con il quarto motivo d'appello II C dell'atto 15 marzo 1979 si solleva la questione di costituzionalità della legge n. 48 del 1974 della regione Lombardia per contrasto con gli art. 117 e 121 Cost, senza specificare né le norme specifiche della legge regionale né i motivi dell'allegato contrasto sicché il tribunale, che l'ufficio non ha rilevato sospetti d'incostituzionalità, non

può che dichiarare tale motivo inammissibile. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 9 gennaio 1980; Pres. M.

Battagline Est. Viglietta; imp. D'Ippoliti.

TRIBUNALE DI ROMA;

Imputabilita — Cronica intossicazione da stupefacenti — Vizio

parziale di niente — Sussistenza — Estremi — Fattispecie (Cod.

pen., art. 89, 95). Misure di sicurezza — Cronica intossicazione da stupefacenti —

Assegnazione a una casa di cura e di custodia — Implicita soppressione (Cod. pen., art. 219).

Per la sussistenza del vizio parziale di mente da cronica intossi cazione da sostanze stupefacenti occorre uno stato di tossico mania profondamente radicato nella personalità, mentre non è richiesta la irreversibilità della tossicomania, né la prevalenza della sintomatologia fisica (sindrome di astinenza) su quella

psichica (spinta a nuova assunzione di stupefacenti) (nella

specie, si trattava di tossicodipendente da eroina, di grado ele

vato, in stato di intossicazione cronica, ma non irreversibile, con capacità di intendere e di volere grandemente scemata in relazione alla necessità di procurarsi l'eroina). (1)

La misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e di custodia per i tossicodipendenti da sostanze stupefacenti è stata implicitamente soppressa dalle nuove disposizioni sul

l'equiparazione del trattamento sanitario fra infermi e semi

infermi di mente, sull'abolizione dei manicomi giudiziari, sulla ristrutturazione di tutti i trattamenti sanitari obbligatori, non ché sulla cura e sulla riabilitazione dei tossicomani durante la detenzione preventiva o definitiva. (2)

Il Tribunale, ecc. — Fatto. — Con rapporto giudiziario redatto il 16 febbraio 1979 la squadra mobile presso la questura di Roma denunziava in stato di fermo giudiziario Maurizio D'Ippoliti, ri tenendolo responsabile di rapina continuata pluriaggravata in dan no di Ornella Petriacci, Erminia Mariotti, Marina Miani e Letizia

Porreca, commessa il 12 febbraio 1979.

'(1) Non risultano precedenti specifici della Cassazione sulla intossi cazione cronica da sostanze stupefacenti. La giurisprudenza è costante nel senso che il vizio parziale di mente può sussistere anche in man canza di una malattia mentale tipica inquadrata nella classificazione delle infermità mentali (psicosi), ma è pur sempre necessario che il vizio parziale di mente discenda da uno stato morboso dipendente da un'alterazione patologica clinicamente accertabile, di sicura consisten za e tale da scemare grandemente la capacità di intendere e di volere (Cass. 8 novembre 1977, Ragnoli, Foro it., Rep. 1978, voce Imputa bilità, n. 5; 14 febbario 1977, Raso, ibid., n. 3; 4 maggio 1976, De Luca, id.-; Rep. 1977, voce cit., n. 4).

(2) Secondo Cass. 14 dicembre 1977, Chitarrini, Foro it., Rep. 1978, voce Misure di sicurezza, n. 6, la misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa di cura e di custodia non è incompatibile con la legge 22 dicembre 1975 n. 685 che prevede la facoltà per il giudice di emettere decreto di ricovero in ospedale e di affidamento ai centri medici pre visti dall'art. 90 detta legge, di persone dedite all'uso di sostanze stu

pefacenti. Cass. 26 novembre 1973, Luccisano, id., Rep. 1975, voce

cit., n. 31, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 220, 1° e 3° comma, cod. pen., in ri ferimento all'art. 27, 3° comma, Cost.

In dottrina, Fassone, Proposta per un diverso trattamento della

seminfermità mentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 581; Padovani, L'ospedale psichiatrico giudiziario e la tutela costituzionale della sa

lute, in Tommaso Natale, 1978, 861, e in Busnelli e Breccia, Tu tela della salute e diritto privato, Milano, 1978.

Precisava il rapporto che due giovani si erano presentati nel

l'appartamento sito in borgo Pio n. 10, ove le persone offese eser citavano la prostituzione, e con la minaccia di due pistole si fa cevano consegnare denaro e gioielli per un importo complessivo di lire 2.000.000. Tutte e quattro le donne riconoscevano nella foto segnaletica del D'Ippoliti uno dei rapinatori. L'imputato si

protestava innocente, dichiarando, tuttavia, di essere tossicodi

pendente di grado elevato, ed era tratto a giudizio direttissimo. Nel corso del dibattimento rendeva, peraltro, piena confessione.

Con ordinanza del 15 marzo 1979, il tribunale, ritenuta la ne cessità di accertare se l'intossicazione da sostanze stupefacenti di cui era affetto il D'Ippoliti, fosse cronica e, eventualmente, escludesse o grandemente scemasse la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, disponeva l'istruzione formale. Nel corso dell'istruzione conseguente, con rapporto del 26 giugno 1979 la direzione della casa circondariale di Rebibbia denunciava il prevenuto anche per resistenza e lesioni in danno dell'agente di custodia Giuseppe Di Lorenzo.

Tratto nuovamente a giudizio, l'imputato ha ribadito la sua confessione in ordine ai capi A) e fi), e non ha fornito alcuna

spiegazione in relazione alle altre due imputazioni. Il p. m. ha chiesto la condanna del D'Ippoliti ad anni tre mesi sei di reclu sione e lire 250.000 di multa, e ad una misura di sicurezza deten tiva. La difesa ha invocato la prevalenza delle attenuanti generi che e della seminfermità di mente, e la condanna ai minimi della

pena. Dritto. — In tema di responsabilità, il riconoscimento fotogra

fico delle quattro persone offese, il riconoscimento poi avvenuto nel primo dibattimento e la successiva confessione dell'imputato esimono il tribunale da ogni ulteriore esame delle risultanze in

ordine ai capi A e B.

Viceversa, particolare attenzione merita, per i problemi che

solleva, la perizia psichiatrica in atti. Il perito ha infatti ritenuto che il D'Ippoliti, tossicodipendente da eroina di grado elevato al momento del delitto, versava in stato di intossicazione cronica, ma non irreversibile, e aveva una capacità di intendere e di vo

lere grandemente scemata, in relazione alla necessità di procu rarsi l'eroina; ha affermato, infine, che essendo, in termini pro babilistici, sfavorevole la prògnosi di reversibilità della condizio

ne di -tossicomane, si può affermare la pericolosità sociale del

periziato, in relazione alla commissione di altri reati per procu rarsi eroina.

È da rilevare che l'infermità cui si fa riferimento nella perizia

è, esattamente, lo stato di tossicomania profondamente radicato

nella personalità del D'Ippoliti. Peraltro, il giudizio di cronicità

non coincide con quello di « irreversibilità », perché, mentre da

un punto di vista strettamente fisico la dipendenza da eroina

viene meno in pochissime settimane; la dipendenza psichica è

molto forte e, nel caso di specie, difficilmente superabile senza « mezzi coercitivi ».

Il giudizio sulla riversibilità, tuttavia, viene formulato (e non

può certo farsene carico al perito) in termini probabilistici: gli eroinomani al livello del periziato riescono a smettere l'uso di

eroina solo nel 15-20 % dei casi. A ciò è correlato il giudizio di

pericolosità. Il caso in esame che, si badi bene, interessa un numero assai

rilevante di imputati presenta obiettive discrasie con tutta l'ela borazione giurisprudenziale in materia di cronica intossicazione.

Infatti, secondo la giurisprudenza della Suprema corte, l'art. 95

cod. pen., che rende applicabile le disposizioni di cui agli art. 88

e 89 cod. pen., va interpretato nel senso che la cronica intossi

cazione debba aver cagionato vere e proprie psicopatie più o

meno gravi, che permangono anche indipendentemente dalle cri

si conseguenti all'ingestione delle sostanze. La casistica è, pe raltro, limitatissima, e occorre quindi far riferimenti al vizio di

mente, che deve però presentare i caratteri della cronicità, e

cioè della permanenza e, tendenzialmente, dell'irreversibilità.

Tuttavia, l'equiparazione degli effetti della cronica intossicazione

da alcool o da sostanze stupefacenti non è neppure ipotizzabile sul piano scientifico.

Tutti gli oppiacei, in generale, non provocano effetti persi stenti indefinitamente, ma uno stato di malessere fisico di forte

intensità (sindrome di astinenza) che però scompare dopo due-tre

settimane, e disturbi epatici non rilevantissimi. Persistente è solo,

quando la tossicomania è profondamente radicata, la spinta psi chica a nuove assunzioni di stupefacenti. Purtuttavia, non appare dubitabile che la tossicomania, valutata nell'interazione dei suoi

aspetti fisici e psichici, sia malattia cronica ancorché non irre

versibile in senso assoluto, ma, solo in termini statistici e nei

quattro quinti dei casi. Tale concetto di cronicità ben può atta

gliarsi alla situazione descritta dall'art. 95 cod. pen., che non ri

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PARTE SECONDA

chiede la irreversibilità, né la prevalenza della sintomatologia fi

sica su quella psichica. Va quindi concessa l'attenuante prevista dall'art. 89 cod. pen.,

da reputare prevalente sulle contestate aggravanti.

Tenuto conto di tutti gli elementi previsti dall'art. 133 cod. pen., e in particolare i reiterati precedenti penali e l'oggettiva gravità

dell'episodio, pena equa appare la reclusione nella misura di

anni quattro mesi sei di reclusione, lire 450.000 di multa, ri

dotta di un terzo per la seminfermità mentale. I criteri sopraindi cati (tenuto altresì conto di un precedente per detenzione di

armi ed uno per lesioni) sconsigliano la concessione delle atte

nuanti generiche. Per quanto riguarda le imputazioni contestate ai capi C) e D),

la responsabilità dell'imputato è egualmente provata dal rappor to della deposizione del Di Lorenzo e dall'assenza di ogni tenta

tivo di giustificazione. Peraltro, per la particolarissima natura

dell'intossicazione da eroina sopra descritta, quando i reati furo

no commessi; il D'Ippolito era completamente disintossicato sul

piano fisico, e non può, quindi, applicarsi l'art. 95 in relazione

all'art. 89 cod. pen. ai capi C e D. È infatti noto (e chiarito nella

perizia) che il meccanismo causale creato dalla tossicomania

è in larga parte determinato dalla spinta ad evitare i disturbi

della sindrome di astinenza, attraverso una nuova assunzione di

eroina. Con la disintossicazione si interrompe tale spinta, pur re

siduando una spinta psicologica all'assunzione della droga che

però non integra, di per sé sola, la intossicazione cronica.

La pena da irrogare per il più grave delitto (resistenza), tenuto

conto di tutti gli elementi indicati all'art. 133, e in particolare della non rilevante gravità dei fatti, è la reclusione per mesi sei.

È poi di tutta evidenza che la continuazione potrà operare solo

tra i capi A) e B) e i capi C) e D), essendoci una nettissima

distinzione, sotto l'aspetto finalistico, tra i due episodi. La pena

irrogata per il delitto di rapina va quindi aumentata di cinque mesi per il porto e la detenzione delle armi, e quella irrogata per la resistenza va elevata di un mese per le lesioni.

La condanna comporta, per legge, l'obbligo del pagamento del le spese processuali e di custodia preventiva.

Resta da esaminare un grave problema di coordinamento le

gislativo. Nel sistema originario del codice penale si faceva un tratta

mento differenziato al prosciolto per vizio totale di mente, al

quale, per presunzione legale di pericolosità, andava applicata la misura di sicurezza del manicomio giudiziario, e al condannato a pena diminuita (per infermità psichica o cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti) che deve essere, invece, ri

coverato in una casa di cura e custodia (art. 219 e 222 cod. pe nale). E questo, ancorché, come è ovvio, la giurisprudenza abbia

ritenuto che la differenza tra vizio parziale e totale di mente è di carattere prevalentemente quantitativa (Cass., Sez. I, 16 maggio 1961, Milicia, Foro it., Rep. 1961, voce Imputabilità, n. 14).

Emergono, qui, tutte le contraddizioni di un sistema che pre tende di cumulare i due aspetti dell'afflittività e della detenzione del colpevole, con le esigenze di cura, in uno stesso istituto, sta bilendo presunzioni legali di pericolosità, e senza alcun fonda mento scientifico.

Il malato di mente, nel codice, è sempre visto come un indi viduo pericoloso, da isolare dalla collettività, indipendentemente dal valore sintomatico dello stesso fatto-reato, con assoluta preva lenza delle esigenze di « difesa della collettività » su quelle di cura del paziente, conformemente alla visione ideologico-scientifì ca dell'epoca, tutta centrata su di un'impostazione « custodialista »

in cui il ricovero coatto era sempre giustificato, in modo mistifi

cante, come una necessità terapeutica.

Tale visione non è, oggi, più sostenibile. La moderna psichia tria ha pesantemente ridimensionato i pregiudizi precedenti in materia di malattie mentali, attraverso un lungo processo che ha

portato prima alla liberalizzazione degli ospedali psichiatrici, poi allo smantellamento — salvo il regime transitorio — degli ospe dali stessi.

Tale processo ha avuto significative conseguenze nella materia in esame. Con sentenza del 23 aprile 1974, n. 110 (id., 1974, I, 1558), la Corte ciostituzionale ha dichiarato la parziale illegitti mità dell'art. 207 cod. pen., ammettendo la possibilità di revoca

anticipata della misura di sicurezza detentiva e la Cass. (Sez. I 24 marzo 1977, Narciso, id., Rep. 1978, voce cit., n. 31) ha am messo che, in taluni casi, ciò possa avvenire prima ancora del l'inizio dell'esecuzione della misura di sicurezza.

C'è, quindi, il riconoscimento che, anche nel sistema delle mi sure di sicurezza, la c. d. sicurezza sociale non possa prevalere sul

diritto alla salute del cittadino, condannato o prosciolto. Inotre, e non pare osservazione da poco, il manicomio giudi

ziario non esiste più nel nostro ordinamento, essendo stato dap

prima trasformato in ospedale psichiatrico giudiziario con legge 26 luglio 1975 n. 354, presso il quale può essere istituita una sezione per l'espiazione della misura di sicurezza della casa di

cura e custodia, riducendo, quindi, a sostanziale unità i due

istituti.

Inoltre, la legge 22 dicembre 1975 n. 685, all'art. 85 prevede che

i detenuti, anche in espiazione di pena, abitualmente dediti al

l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope, han

no diritto di ricevere le cure mediche e l'assistenza necessaria a

scopo di riabilitazione, nei reparti carcerari opportunamente at

trezzati, che vengono inseriti nel sistema dei centri istituiti dalla

legge. C'è dunque una disciplina organica delle tossicodipen denze che non lascia spazi vuoti, riguardando l'accertamento e

la cura in tutti i casi, e la casa di cura e custodia (sostanzial mente sezione dell'ospedale psichiatrico giudiziario) non ha più alcuna ragione d'essere, se non quella afflittiva.

Infine, la legge 13 maggio 1978 n. 180, parzialmente trasfusa

nella legge 23 dicembre 1978 n. 833 (che istituisce il servizio sa nitario nazionale), ha sempre subordinato il trattamento sanita

rio obbligatorio ad esigenze terapeutiche urgenti — con l'obbli

go di ricercare il consenso del ricoverando anche in tali casi —

e, all'art. 11, ha abrogato ogni norma incompatibile con tale si

stema. Riteniamo, quindi, che il coordinamento tra tali norme, che da un lato equiparano, quanto a trattamento sanitario, l'in

fermo e il seminfermo di mente, dall'altro aboliscono il manico mio giudiziario e ristrutturano tutti i trattamenti sanitari obbli

gatori, e, infine, stabiliscono — con carattere di norma speciale —

con la cura e riabilitazione dei tossicomani debba avvenire du rante la carcerazione (preventiva o definitiva) abbiano implici tamente soppresso la misura di sicurezza della casa di cura e cu stodia per i tossicodipendenti.

Per questi motivi, ecc.

I

PRETURA DI LAGONEGRO; sentenza 10 ottobre 1980; Giud.

E. Ferrara; Canterucci e altri.

PRETURA DI LAGONEGRO;

Radiotelevisione — Emittenti private — Nozione di « ambito lo

cale dell'emissione » — Reato — Insussistenza (D. pres. 29 mar zo 1973 n. 156, t. u. delle disposizioni legislative in materia posta le, di bancoposta e di telecomunicazioni, art. 183, 195; legge 14

aprile 1975 n. 103, nuove norme in materia di diffusione radio

fonica e televisiva, art. 45).

Non eccede l'ambito locale, entro cui è lecito l'esercizio di im

pianti radiotelevisivi privati, e non integra, pertanto, gli estremi del reato di cui agli art. 183 e 195 t. u. 156/1973 la diffusione di segnali televisivi su scala regionale (nella specie, era stato attivato — in territorio lucano — un ripetitore, che però, per sue caratteristiche tecniche, era idoneo a ritrasmettere i pro

grammi di una emittente partenopea in un'area territoriale — Sa

pri — posta all'estremo confine della regione campana). (1)

(1-2) In materia di emittenza privata continua a vigere — complice il legislatore, con la sua rigida adesione alla « consegna del silenzio »

(a dispetto dei vocalismi in cui si cimentano, periodicamente, gli ad detti ai lavori: « Subito la legge per le radio e le TV locali » è il ti tolo emblematico di un breve resoconto su un fresco convegno mila nese ne « Il Popolo » del 23 ottobre 1980) — quello che Henri Sou leau suole definire, con espressione felice, il « diritto positivo giu risprudenziale ». Ciò vale, in particolare, per la controversa nozione di ambito locale, entro cui si ritiene lecito, alla luce dell'ormai celebre Corte cost. 202/1976, Foro it., 1976, I, 2066, l'esercizio d'impresa ra diotelevisiva in difetto di apposita concessione (ma salva sempre —

avverte la recentissima Cass., Sez. un., 1° ottobre 1980, n. 5336, id., 1980, I, 2391, con nota di richiami e osservazioni di R. Pardolesi —

l'indeclinabile necessità di un'autorizzazione, di competenza del mini stero delle poste, all'uso della frequenza: senonché, la via del proce dimento autorizzatorio è resa impraticabile dall'assenza di un adeguato piano generale di ripartizione dei canali disponibili: impasse, questo, che ha indotto almeno una delle associazioni di settore, l'Anti [cfr. L'altra antenna dell'I 1 ottobre 1980], a ipotizzare una soluzione di ri piego, e cioè un nullaosta ministeriale rilasciato sulla base del « cen simento » e della « verifica di compatibilità » tra utilizzatori).

Come si ricorderà, i giudici della Consulta avevano inteso anco rare quella formula a « ragionevoli parametri d'ordine geografico, ci vico, socio-economico, che consentano di circoscrivere una limitata ed omogenea zona di utenza, senza peraltro eccessive restrizioni, tali da vanificare l'esercizio dell'impresa». Un primo tentativo di tradurre ta le direttiva in un precetto regolamentare fu effettuato da Pret. Genova, ord. 18 aprile 1978, Foro it., 1978, II, 381, che — in mancanza di meglio — si affidò al labile parametro della linea ideale dell'orizzonte. La presa di posizione fu però smentita, in sede di giudizio di primo

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