sezione distaccata di Noci; sentenza 8 novembre 1990; Giud. Labellarte; imp. PutignanoSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.181/182-185/186Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186342 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
occupazione abusiva di stabilimenti ad opera dei lavoratori non
ritiene possibile il ricorso ad un ordine di sgombero ex art. 219
c.p.p. La difesa, sulla base di documenti contenuti nel fascicolo del
procedimento penale iniziato dal pretore Croci, successivamen
te all'esecuzione dell'ordine di sgombero, nei confronti degli ope ranti e della proprietà (procedimento recentemente archiviato), ha stigmatizzato il comportamento delle autorità comunali, di
polizia e giudiziaria in ordine alla vicenda del Leoncavallo, po nendo in rilievo il comportamento equivoco del comune, i fatti
di giustizia risolti nei corridoi con la presunta connivenza del
Psi ed in particolare ponendo l'accento sulla circostanza che
solo quando l'area fu formalmente acquistata dal gruppo Ca
bassi la vecchia vicenda si sbloccò e l'esecuzione dello sgombe ro fu agevolmente ottenuta, scavalcando il competente commis
sariato di p.s. «Lambrate», grazie a contatti diretti col questore e col prefetto. La difesa ha anche posto l'accento sulla disponi bilità attuale del comune di acquistare l'area, da destinare in
parte a scopi sociali, pagandola a pieno prezzo di mercato.
Le circostanze, che proverebbero per chi ancora non lo sa
pesse che la c.d. giustizia alternativa spesso prevale su quella
ufficiale, fanno sentire un senso di amarezza alle persone che
ancora credono alle istituzioni. Tuttavia non ritiene il collegio
possano avere incidenza diretta sulla sussistenza della scrimi
nante putativa di cui all'art. 4 d.1.1. 283/44, soprattutto perché non erano note agli imputati. Ed invero la stessa difesa ha con
fessato di averle apprese durante il dibattimento attraverso l'e
same dell'incarto processuale pretorile del quale il collegio ave
va richesto la trasmissione in visione.
Tuttavia, la condotta equivoca e contraddittoria del comune
che, relativamente ad epoche meno recenti, non era ignota ai
giovani del Leoncavallo e che non poteva non avere generato
aspettative, se non può dar fondamento ad alcuna scriminante
può invece avere rilievo ai fini della sussistenza delle attenuanti
di cui agli art. 62 bis e 62, n. 1, c.p. delle quali il collegio ritiene i prevenuti meritevoli.
Non è difficile ammettere che l'occupazione del vecchio sta
bilimento ed il suo perdurare furono determinati dalla scarsa
considerazione che l'autorità comunale ha sempre manifestato
per le aspirazioni sociali dei giovani. A Milano difettano centri sociali alternativi agli «oratori» e
circoli parrocchiali o ai circoli di partito. Ed il comune ha spes so trovato comodo non scoraggiare le occupazioni (soprattuto
quando le conseguenze venivano sopportate dai privati) crean
do delle strutture sociali adeguate. Si è spesso, come nella spe
cie, equivocamente limitato a porre vincoli sulla libera utilizza
bilità delle proprietà occupate, vincoli che per la loro infeconda
durata e per le contraddittorietà — sintomatiche della mancan
za di una reale volontà politica — oltre a creare occasioni di
contrasti sociali non potevano reggere al vaglio di un giudice
che non fosse condizionato dai problemi di ordine pubblico e
dalla ritenuta giustezza di istanze sociali inappagate.
L'equivocità del comportamento dell'autorità comunale nei
confronti del centro Leoncavallo è emersa in tutta la sua evi
denza durante l'esame dell'assessore Lamzone il quale, pur sa
pendo di dovere essere interrogato sulle vicende del Leoncaval
lo, ha mostrato, non si sa quanto deliberatamente, di essere
poco informato, è stato estremamente impreciso ed equivoco,
giungendo a riferire all'anno 1989 la decisione del Consiglio di Stato, di ben tre anni prima, che toglieva ogni vincolo alla
libera utilizzazione da parte della proprietà degli edifici occupa
ti e giungendo ad affermare che il comune, con discutibile pras
si, suole bloccare il c.d. silenzio-assenso con il semplice parere
della commissione edilizia eventualmente notificato alla parte
e senza adottare, sia pure in un ragionevole lasso di tempo,
una regolare delibera.
L'interrogatorio degli imputati — ma in realtà più che di un
interrogatorio si è trattato di un colloquio — ed il sopralluogo
al centro Leoncavallo sono stati molto utili al collegio per avere
una visione realistica e diretta di una fascia sociale diversa da
quella in senso lato borghese dai cui ranghi in buona parte pro
viene la magistratura e nella quale si muovono i suoi compo
II Foro Italiano — 1991.
nenti. Senza fare ricorso ad espressioni equivoche quali «cultu
ra diversa», è certamente un dato di fatto che i giovani del
Leoncavallo, che i mass media hanno sempre rappresentato co
me un elemento di turbativa del tessuto sociale e di pericolo
per la pacifica convivenza (lo stesso termine di «autonomi»,
che viene usato per qualificarli, viene spesso riferito a supposte attività di terrorismo o di fiancheggiamento di terroristi o di
gruppi anarchici), si presentano come persone non ancora rea
lizzate, con problemi di adattamento familiare e sociale e che
come tali bisognano di un contesto nel quale si manifesti un
aiuto reciproco a superare le difficoltà di inserimento sociale.
Ed all'uopo appare evidente la necessità e l'utilità di appre stare dei centri dove i giovani si sentano a loro agio con giovani che abbiano gli stessi problemi e possano, nella reciproca com
prensione, migliorarsi e rendersi pronti ad un proficuo inseri
mento nel consorzio sociale attivo. Centri di questo genere, del
genere del Leoncavallo, sono utili per evitare che il senso di
rivolta e la virtuale carica di violenza dei giovani disadattati
li indirizzi verso la comune criminalità o l'uso degli stupefacenti. Il sopralluogo al «Leoncavallo» ha consentito al collegio di
avere un'idea, anche se approssimativa, delle attività culturali
e ricreative che nel centro si svolgono e la cui utilità sociale
giustificherebbe una concreta attività di sostegno economico e
morale da parte delle autorità.
In questa ottica, pur riconoscendosi l'eccessività della con
dotta di resistenza se valutata rispetto al possibile raggiungi mento del fine che avrebbe dovuto proporsi e pur riconoscen
dosi l'estrema pericolosità conseguente all'apprestamento ed al
l'uso delle molotov, non pare al collegio azzardato concedere
ai prevenuti la circostanza attenuante dell'avere agito per moti
vi di particolare valore morale e sociale. La giovane età e/o
lo stato di incensuratezza di quasi tutti gli imputati consiglia altresì' la concessione delle attenuanti generiche. (Omissis)
PRETURA DI BARI; sezione distaccata di Noci; sentenza 8
novembre 1990; Giud. Labellarte; imp. Putignano.
PRETURA DI BARI;
Legge penale — Successione di leggi — Reato permanente —
Disciplina — Fattispecie (Cod. pen., art. 2, 81; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei suoli, art. 17; 1. 28
febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attivi
tà urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie, art. 20).
Il reato permanente, ove la permanenza si protragga sotto il
vigore di una legge successiva più sfavorevole, va scisso in
due reati corrispondenti ai due periodi dell'arco temporale
in cui si è snodata l'attività illecita e unificati sotto il vincolo
della continuazione, non essendovi stata alcuna soluzione di
continuità tra i due episodi ed essendo stato unico l'intento
dell'agente di violare la normativa edilizia (fattispecie di co
struzione abusiva iniziata sotto il vigore della l. 10/77 e pro
trattasi anche a seguito dell'emanazione della l. 47/85). (1)
(1) La tesi contenuta in massima si discosta dall'orientamento più volte ribadito dalla Cassazione, secondo cui nel reato permanente, ove
il reato si protragga sotto l'impero di una legge successiva, è quest'ulti ma che trova applicazione ancorché più severa della precedente, posto che è sotto il suo vigore che il reato deve intendersi commesso: cfr.
sent. 11 aprile 1983, Grifo, Foro it., Rep. 1985, voce Legge penale, n. 7 e Cass, pen., 1985, 381, con nota di Palla; 14 marzo 1984,
Germani, id., 1986, 741, con nota di Gazzaniga; 14 novembre 1985,
Dell'Aquila, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 6. Nella dottrina, in sen
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PARTE SECONDA
Fatto e diritto. — Con rapporto del 22 ottobre 1986 dei vigili urbani di Noci, scaturito da un esposto a firma di trentaquattro
promittenti acquirenti di appartamenti realizzati in base alla nor
mativa della edilizia agevolata convenzionata, Putignano Adiu
to, costruttore degli immobili, veniva denunciato a questo pre tore per violazione della normativa edilizia ed urbanistica.
Si procedeva, pertanto, penalmente nei confronti dell'impu tato per i reati al medesimo in rubrica ascritti e, in sede istrut
toria, veniva disposta una perizia al fine di determinare il tipo e l'entità degli abusi, peraltro rilevanti e commessi durante un
arco temporale che va dall'11 gennaio 1983 al marzo 1986. Il
perito, espletato l'incarico, depositava una corposissima rela
zione, assai dettagliata e svolta con precisione e completezza. In data 12 marzo 1988 veniva emesso mandato di compari
zione e l'imputato compariva per rendere interrogatorio, prote stando la propria innocenza, ed affermando che le opere realiz
zate erano conformi alle concessioni edilizie, indicate in rubrica.
Regolarmente citato per il dibattito l'imputato non compari va senza addurre alcun legittimo impedimento, sicché veniva
dichiarato contumace. Indi compiuta l'istruttoria dibattimenta
le, p.m. e difesa concludevano come da verbale in atti.
Osserva il giudicante che le risultanze processuali consentono
di ritenere ampiamente provata la penale responsabilità del Pu
tignano in ordine al reato continuato ascrittogli. Occorre, però,
preliminarmente esaminare l'eccezione di prescrizione sollevata
dalla difesa.
L'eccezione è fondata. I reati contestati sono stati, per come
si evince dal dispositivo, unificati sotto il vincolo della conti
nuazione.
Vi è, infati, una ragione tecnico-giuridica che ha indotto que sto pretore ad elevare due distinti capi di accusa.
Si sono succedute, nel periodo indicato in rubrica, due leggi in materia edilizia: la 1. 28 gennaio 1977 n. 10, in vigore fino
al 16 marzo 1985 e la I. 28 febbraio 1985 n. 47, in vigore dal
17 marzo 1985 e tuttora vigente.
so conforme, v. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, 8a ed. a cura di L. Conti, Milano, 1980, 93; Marini, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, 142; Bettiol-Pettoello Mantovani, Di ritto penale, Padova, 1986, 172; Mantovani, Diritto penale, Padova, 1988, 126; Gatto, Reato permanente e successione di leggi, in Arch,
pen., 1960, II, 35. Ma la soluzione predetta non è incontroversa. Nella giurisprudenza
di merito si segnala in senso contrario Pret. Carinola 11 novembre 1971, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 9 e Giur. merito, 1975, II, 54, con nota adesiva di Patalano, secondo la quale nell'ipotesi di reato perma nente il tempo del commesso reato ex art. 2 c.p. va riferito al momento iniziale e non a quello finale in cui cessa la permanenza: tale tesi viene,
appunto, motivata con l'intento di far valere il principio del favor rei
rispetto ad un preconcetto assunto dogmatico circa il momento consu mativo del reato permanente. Mentre nella prassi applicativa risulta iso
lata, una simile soluzione ha un certo seguito in seno alla dottrina: cfr. (ohe a Patalano, cit.) Siniscalco, «Tempus commissi delicti», reato
permanente e successione di leggi penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 1100 ss.; Musco, Coscienza dell'illecito, colpevolezza ed irretroat
tività, id., 1982, 794; più di recente, cfr. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Padova, 1988, 104 s., cui si rinvia per un ampio quadro riassuntivo dell'intera problematica.
La tesi della scindibilità del reato permanente in più illeciti riconduci bili alle diverse leggi che eventualmente si susseguono nel tempo, soste nuta nella decisione in epigrafe, rappresenta invece un terzo modello di soluzione che può trovare un precedente in Pret. Biella 6 maggio 1960, Foro it., Rep. 1960, voce Armi, n. 19 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 1235 (nella specie trattavasi di un'ipotesi di detenzione abu siva di armi protrattasi nel passaggio da una normativa eccezionale ad una normativa comune); cfr. pure Morvidi, L'ultrattività della legge penale e il reato permanente, in Arch, pen., 1958, II, 352. Per una critica di questa impostazione, cfr. Patalano, cit., 59, il quale ne con testa la compatibilità con l'unicità del reato permanente e ravvisa una
possibile violazione del ne bis in idem sostanziale. È da segnalare che la sentenza riportata, non solo ritiene scindibile
il reato permanente nel senso anzidetto, ma ipotizza altesi che tra le
fattispecie separate possa implicitamente intercorrere il nesso della con tinuazione. Si tratta di un assunto però contestato dalla dottrina mag gioritaria, la quale tende anzi a rimarcare i caratteri differenziali tra reato continuato e reato permanente: cfr., di recente, Rampioni, cit., 53 ss. e letteratura ivi citata.
Il Foro Italiano — 1991.
I principi, in tema di successione delle leggi penali nel tempo codificati dall'art. 2 c.p., hanno imposto la scissione in due
periodi dell'arco temporale attraverso cui si è snodata l'attività
illecita, tanto più che la seconda legge citata ha notevolmente
inasprito il trattamento sanzionatorio. La Suprema corte, anzi,
segue un indirizzo che questo pretore non condivide (anche la
dottrina è critica sul punto). Posto che i reati di cui alle leggi 10/77 e 47/85 hanno caratte
re permanente (Cass. 12 maggio 1983, n. 437; 15 giugno 1983, n. 5712 e molte altre) la Suprema corte ha stabilito che, in rela
zione al fenomeno della successione delle leggi penali nel tem
po, nel reato permanente, se la permanenza continua sotto il
vigore di una legge successiva, è questa che deve essere applica ta anche se più severa (Cass., sez. I, 11 aprile 1983, Grifo, Foro
it., Rep. 1985, voce Legge penale, n. 7; sez. II 14 marzo 1984, sez. Ili; 23 marzo 1982, n. 3163).
Anche aderendo a tale orientamento, la prescrizione comin
cerebbe a decorrere, nella specie dal marzo 1986, atteso che
l'art. 158 c.p. equipara, quanto a termine iniziale di prescrizio
ne, la permanenza alla continuazione. Infatti, la prescrizione decorre dal giorno della cessazione della permanenza o della
continuazione.
Anche in questo caso per quello che si dirà di qui a poco, il reato non sarebbe prescritto.
Va evidenziato, comunque, che, nell'ipotesi di legge successi
va meno favorevole, vi è chi, in applicazione del principio del
favor rei, ritiene applicabile la legge più favorevole vigente al
l'epoca dell'inizio della permanenza (dottrina) e chi — invece — segue l'orientamento della Suprema corte più restrittivo.
Pare al giudicante che — pur riconoscendo che il reato per manente non è di regola scindibile (Cass. 2866/81) — la scissio
ne si impone in quanto ne consegue una soluzione più favore
vole al reo. Diversamente opinando, la legge successiva, meno
favorevole, sarebbe retroattiva in violazione dell'art. 2 c.p. Per contro, la tesi più garantista (Pret. Carinola 11 novembre
1971, id., Rep. 1975 voce cit., n. 9) non considera che la legge successiva meno favorevole non può non trovare applicazione con riferimento al comportamento tenuto sotto il suo vigore.
Del resto, con riguardo alla successione di leggi ordinarie a
leggi eccezionali in tema di reati permanenti (detenzione armi
nel dopoguerra) autorevole dottrina ha patrocinato la tesi della
scindibilità, derivandone una soluzione più favorevole al reo.
È evidente l'unicità di disegno criminoso non essendovi stata
alcuna soluzione di continuità tra i due episodi ed essendo stato
unico l'intento dell'agente di violare la normativa edilizia.
Ciò trova conferma nel fatto che, se la legge vigente nel pe riodo considerato fosse stata una sola, sarebbe stato contestato
un solo reato.
Ciò premesso, va evidenziato che l'art. 158 c.p. stabilisce che
il termine della prescrizione decorre, per il reato continuato dal
giorno in cui è cessata la continuazione. Tale regola è applicabi le anche nell'ipotesi in cui il vincolo della continuazione, non
enunciato nella formale contestazione, sia individuato successi
vamente con la sentenza (Cass., sez. V, 7 giugno 1984, Cigoli
no, id., Rep. 1985, voce Prescrizione penale, n. 16). La giurispruenza della Suprema corte, a sezioni unite, ha evi
denziato che per stabilire il tempo necessario all'operatività del
la prescrizione, deve prescindersi dalla continuazione; ciascun
reato si prescrive nel tempo stabilito dalla legge, ma la decor
renza di tale termine rimane fissata al momento della cessazio
ne della continuazione (Cass., sez. un., 10 ottobre 1981, Cassi
nari, id., 1983, II, 9). La Suprema corte ha anche stabilito che
tale principio opera solo con riferimento al termine iniziale e
non anche con riguardo alla durata del tempo necessario per la prescrizione (Cass., sez. VI, 9 giugno 1975; sez. V 12 feb
braio 1979 e molte altre). Ciò significa che, fermo restando il
fatto che il termine iniziale decorre dalla cessazione della conti
nuazione, con riferimento a ciascun reato il tempo di prescri zione è quello fissato dalla legge.
In altre parole se, ad es., vi è un primo reato che si prescrive in tre anni ed un secondo reato che si prescrive in cinque anni, il primo reato si prescrive — a decorrere dalla cessazione della
continuazione — in tre anni, a nulla rilevando che il secondo
reato si prescrive in un termine maggiore.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Pertanto, per entrambi i reati uniti dal vincolo di cui all'art.
81 c.p. il termine iniziale di decorrenza della prescrizione è uni
co (ed è quello di cessazione della continuazione: nella specie
corrispondente alla data di consumazione del secondo reato), ma ciascun reato si prescrive a partire da questa data nel termi
ne fissato dalla legge. Nella specie, il termine iniziale della prescrizione è il marzo
1986. Né si pone il problema della diversità di termini finali giacché entrambi i reati si prescrivono in tre anni ex art. 157, 1° comma, n. 5, c.p.
Il reato continuato sisarebbe prescritto nel marzo 1989, ma,
poiché in data 12 marzo 1988 è stato emesso mandato di com
parizione, il termine ha cominciato a decorrere nuovamente pro
lungandosi della metà ex art. 160 c.p. Si giunge cosi al settem
bre 1990 (4 anni e 6 mesi pari a tre anni + un anno e 6 mesi). Il reato, però, non si è prescritto nel settembre 1990 per la
seguente ragione. L'art. 44 1. 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce che, dalla data
di entrata in vigore della legge stessa (17 marzo 1985) fino alla
scadenza dei termini fissati dall'art. 35 (in tema di procedimen to di sanatoria) sono sospesi i procedimenti penali. Il termine
di cui all'art. 35 è stato più volte prorogato, da ultimo con
il d.l. 12 gennaio 1988 n. 2 convertito in 1. 13 marzo 1988 n.
68 che ha fissato il termine ultimo per presentare domanda di
concessione in sanatoria del 30 giugno 1987. Vi è, pertanto, un periodo di sospensione della prescrizione che va dal 17 mar
zo 1985 al 30 giugno 1987, pari a due anni 3 mesi e 13 giorni. Ai sensi dell'art. 159, 2° comma, c.p. la prescrizione riprende
il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensio ne. Pertanto, il termine prescrizionale di 4 e 6 mesi (stante l'at
to interruttivo) è cominciato a decorrere il 1° luglio 1987 (data di cessazione della causa di sospensione) e spirerà il 10 gennaio 1992. L'eccezione di prescrizione è, quindi, infondata. Egual mente infondata è l'eccezione di improcedibilità per precedente
giudicato. Per come risulta in atti, i fatti per i quali l'imputato è stato
giudicato dal Tribunale di Bari risalgono al 10 gennaio 1983.
Il capo a) della rubrica del presente procedimento indica, come
periodo del commesso reato, 11 gennaio 1983 - 16 marzo 1985.
Trattasi di epoche diverse, se pure contingue, e, pertanto, non può invocarsi il principio del ne bis in idem trattandosi
di fattispecie diverse e autonome nelle quali si contesta si lo
stesso reato, ma diverso fatto stante la diversa collocazione cro
nologica dei fatti stessi.
Parimenti inaccoglibile è la richiesta di estinzione del reato
per intervenuto rilascio di concessione in sanatoria ai sensi degli
art. 13 e 2Ì 1. 28 febbraio 1985 n. 47.
Perché possa dichiararsi l'estinzione in parola, è necessario
che le opere realizzate abusivamente siano esattamente quelle
oggetto del provvedimento concessorio; in caso contrario l'abu
so resta, sia amministrativamente sia penalmente rilevante.
Nella specie, la concessione in sanatoria riguarda solo una
minima parte di quanto abusivamente realizzato. Dalle conces
sioni in sanatoria esibite risultano autorizzate solo le opere di
ridistribuzione interna degli alloggi e chiusura con vetrate di
alcuni balconi, realizzate con strutture di facile rimozione. È
detto espressamente nella concessione predetta (del 22 settem
bre 1988) che non è consentito alcun aumento volumetrico. La
concessione in sanatoria del 25 luglio 1986 riguarda solo la rea
lizzazione della copertura di un locale interrato.
Gli abusi realizzati sono, invece, diversi ed assai rilevanti.
Il perito, a pag. 160 della relazione cosi scrive... «b) diffor
mità rispetto alle concessioni 97/83 e 220/84, eseguite dal mag
gio 1983 al febbraio-marzo 1986; e) ulteriori difformità eseguite
successivamente al marzo 1986». Con riferimento agli abusi sub
b) il perito a pag. 164 della relazione precisa: «la difformità
maggiore eseguita in tale periodo è la difformità relativa all'ese
cuzione di superfici a piano terra notevolmente superiori alle
quantità massime prescritte dal piano di zona» ed ancora «Al
tra difformità è... è quella relativa alla maggiore altezza degli
edifici» (pag. 165 relazione).
Il Foro Italiano — 1991.
Quanto alle opere di cui al punto c), il perito ha precisato che le stesse consistono in difformità negli scantinati ed a piano terra.
Il perito, inoltre, sentito al pubblico dibattimento, ha dichia
rato: «La superficie massima ammissibile a piano terra secondo
le prescrizioni del piano di zona era di 990 metri quadrati —
ne sono stati realizzati 1300-1400».
Il perito ha riferito che la maggiore altezza realizzata svilup
pa un aumento di volumetria di circa 1100 metri cubi.
Il perito ha pure riferito che vi è anche un aumento volume
trico dovuto alla diversa sistemazione esterna valutabile intorno
ai 400-500 metri cubi. Osserva questo pretore che le cifre indicate dal perito, da un
lato rendono evidente l'inapplicabilità dell'amnistia di cui al d.p.r. 12 aprile 1990 n. 75 che è applicabile solo agli abusi modesti
(che, secondo l'insegnamento della Suprema corte non devono
superare i 120 mq) e, dall'altro, denotano la rilevanza dell'abuso.
Sussistono, pertanto, tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi
per ritenere l'imputato responsabile dei reati ascrittigli in rubrica.
Il cospicuo aumento volumetrico rispetto a quanto previsto dalle concessioni e consentito dagli strumenti urbanistici impo ne l'irrogazione di una pena adeguata. Alla stregua dei criteri
direttivi di cui agli art. 133, 133 bis c.p. stimasi equo infliggere la pena congrua, ritenuto il vincolo della continuazione tra le
contravvenzioni, di mesi 6 di arresto e lire 11.000.000 di am
menda (p.b. mesi 5 di arresto e lire 10.000.000 di ammenda
per il reato più grave sub b + mesi 1 di arresto e lire 1.000.000
di ammenda ex art. 81 c.p. pena determinata), oltre al paga mento delle spese processuali.
Ricorrendone i presupposti di legge, può concedersi all'impu tato il beneficio della sospensione condizionale della pena, es
sendo ragionevole presumere che il medesimo per il futuro si
asterrà dal commettere reati ulteriori.
PRETURA DI LECCE; ordinanza 13 agosto 1990; Giud. inda
gini preliminari D'Amato.
PRETURA DI LECCE;
Persona offesa dal reato — Intervento nel procedimento penale di associazioni ambientalistiche — Reati contro l'ambiente —
Consenso della parte offesa — Esclusione — Fattispecie (Cod.
proc. pen., art. 91, 92, 93, 94; d.l. 27 giugno 1985 n. 312,
disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare in
teresse ambientale, art. 1 sexies; 1. 8 agosto 1985 n. 431, con
versione in legge, con modificazioni, del d.l. 27 giugno 1985
n. 312, art. 1; 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero
dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale, art.
13, 18).
Le associazioni e gli enti senza scopo di lucro previsti dall'art.
91 c.p.p. possono intervenire nei procedimenti penali relativi
a reati offensivi di interessi collettivi senza il consenso della
parte lesa (nella specie, la «Lega per l'ambiente» — associa
zione riconosciuta ex art. 13 l. 349/86 — è stata ammessa
a partecipare ad un incidente probatorio nell'ambito di un
procedimento penale, avviato per violazione dell'art. 1 sexies
l. 431/85, sul presupposto che per il detto reato non sia affat
to individuabile una parte lesa). (1)
(1) Non constano precedenti in termini.
1. - Nell'ambito di un procedimento penale avviato per violazione
della legge «Galasso» e per altri reati «ambientali» nei confronti di
amministratori pubblici regionali, il g.i.p. della Pretura di Lecce ha
ammesso la «Lega per l'ambiente» a partecipare ad una perizia, solleci
tata — ex art. 392, lett. f), c.p.p. — dalla locale procura, evidenziando
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