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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione distaccata di Noci; sentenza 8 novembre 1990; Giud....

Date post: 31-Jan-2017
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sezione distaccata di Noci; sentenza 8 novembre 1990; Giud. Labellarte; imp. Putignano Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 181/182-185/186 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186342 . Accessed: 25/06/2014 05:26 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.101 on Wed, 25 Jun 2014 05:26:31 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione distaccata di Noci; sentenza 8 novembre 1990; Giud. Labellarte; imp. PutignanoSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.181/182-185/186Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186342 .

Accessed: 25/06/2014 05:26

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

occupazione abusiva di stabilimenti ad opera dei lavoratori non

ritiene possibile il ricorso ad un ordine di sgombero ex art. 219

c.p.p. La difesa, sulla base di documenti contenuti nel fascicolo del

procedimento penale iniziato dal pretore Croci, successivamen

te all'esecuzione dell'ordine di sgombero, nei confronti degli ope ranti e della proprietà (procedimento recentemente archiviato), ha stigmatizzato il comportamento delle autorità comunali, di

polizia e giudiziaria in ordine alla vicenda del Leoncavallo, po nendo in rilievo il comportamento equivoco del comune, i fatti

di giustizia risolti nei corridoi con la presunta connivenza del

Psi ed in particolare ponendo l'accento sulla circostanza che

solo quando l'area fu formalmente acquistata dal gruppo Ca

bassi la vecchia vicenda si sbloccò e l'esecuzione dello sgombe ro fu agevolmente ottenuta, scavalcando il competente commis

sariato di p.s. «Lambrate», grazie a contatti diretti col questore e col prefetto. La difesa ha anche posto l'accento sulla disponi bilità attuale del comune di acquistare l'area, da destinare in

parte a scopi sociali, pagandola a pieno prezzo di mercato.

Le circostanze, che proverebbero per chi ancora non lo sa

pesse che la c.d. giustizia alternativa spesso prevale su quella

ufficiale, fanno sentire un senso di amarezza alle persone che

ancora credono alle istituzioni. Tuttavia non ritiene il collegio

possano avere incidenza diretta sulla sussistenza della scrimi

nante putativa di cui all'art. 4 d.1.1. 283/44, soprattutto perché non erano note agli imputati. Ed invero la stessa difesa ha con

fessato di averle apprese durante il dibattimento attraverso l'e

same dell'incarto processuale pretorile del quale il collegio ave

va richesto la trasmissione in visione.

Tuttavia, la condotta equivoca e contraddittoria del comune

che, relativamente ad epoche meno recenti, non era ignota ai

giovani del Leoncavallo e che non poteva non avere generato

aspettative, se non può dar fondamento ad alcuna scriminante

può invece avere rilievo ai fini della sussistenza delle attenuanti

di cui agli art. 62 bis e 62, n. 1, c.p. delle quali il collegio ritiene i prevenuti meritevoli.

Non è difficile ammettere che l'occupazione del vecchio sta

bilimento ed il suo perdurare furono determinati dalla scarsa

considerazione che l'autorità comunale ha sempre manifestato

per le aspirazioni sociali dei giovani. A Milano difettano centri sociali alternativi agli «oratori» e

circoli parrocchiali o ai circoli di partito. Ed il comune ha spes so trovato comodo non scoraggiare le occupazioni (soprattuto

quando le conseguenze venivano sopportate dai privati) crean

do delle strutture sociali adeguate. Si è spesso, come nella spe

cie, equivocamente limitato a porre vincoli sulla libera utilizza

bilità delle proprietà occupate, vincoli che per la loro infeconda

durata e per le contraddittorietà — sintomatiche della mancan

za di una reale volontà politica — oltre a creare occasioni di

contrasti sociali non potevano reggere al vaglio di un giudice

che non fosse condizionato dai problemi di ordine pubblico e

dalla ritenuta giustezza di istanze sociali inappagate.

L'equivocità del comportamento dell'autorità comunale nei

confronti del centro Leoncavallo è emersa in tutta la sua evi

denza durante l'esame dell'assessore Lamzone il quale, pur sa

pendo di dovere essere interrogato sulle vicende del Leoncaval

lo, ha mostrato, non si sa quanto deliberatamente, di essere

poco informato, è stato estremamente impreciso ed equivoco,

giungendo a riferire all'anno 1989 la decisione del Consiglio di Stato, di ben tre anni prima, che toglieva ogni vincolo alla

libera utilizzazione da parte della proprietà degli edifici occupa

ti e giungendo ad affermare che il comune, con discutibile pras

si, suole bloccare il c.d. silenzio-assenso con il semplice parere

della commissione edilizia eventualmente notificato alla parte

e senza adottare, sia pure in un ragionevole lasso di tempo,

una regolare delibera.

L'interrogatorio degli imputati — ma in realtà più che di un

interrogatorio si è trattato di un colloquio — ed il sopralluogo

al centro Leoncavallo sono stati molto utili al collegio per avere

una visione realistica e diretta di una fascia sociale diversa da

quella in senso lato borghese dai cui ranghi in buona parte pro

viene la magistratura e nella quale si muovono i suoi compo

II Foro Italiano — 1991.

nenti. Senza fare ricorso ad espressioni equivoche quali «cultu

ra diversa», è certamente un dato di fatto che i giovani del

Leoncavallo, che i mass media hanno sempre rappresentato co

me un elemento di turbativa del tessuto sociale e di pericolo

per la pacifica convivenza (lo stesso termine di «autonomi»,

che viene usato per qualificarli, viene spesso riferito a supposte attività di terrorismo o di fiancheggiamento di terroristi o di

gruppi anarchici), si presentano come persone non ancora rea

lizzate, con problemi di adattamento familiare e sociale e che

come tali bisognano di un contesto nel quale si manifesti un

aiuto reciproco a superare le difficoltà di inserimento sociale.

Ed all'uopo appare evidente la necessità e l'utilità di appre stare dei centri dove i giovani si sentano a loro agio con giovani che abbiano gli stessi problemi e possano, nella reciproca com

prensione, migliorarsi e rendersi pronti ad un proficuo inseri

mento nel consorzio sociale attivo. Centri di questo genere, del

genere del Leoncavallo, sono utili per evitare che il senso di

rivolta e la virtuale carica di violenza dei giovani disadattati

li indirizzi verso la comune criminalità o l'uso degli stupefacenti. Il sopralluogo al «Leoncavallo» ha consentito al collegio di

avere un'idea, anche se approssimativa, delle attività culturali

e ricreative che nel centro si svolgono e la cui utilità sociale

giustificherebbe una concreta attività di sostegno economico e

morale da parte delle autorità.

In questa ottica, pur riconoscendosi l'eccessività della con

dotta di resistenza se valutata rispetto al possibile raggiungi mento del fine che avrebbe dovuto proporsi e pur riconoscen

dosi l'estrema pericolosità conseguente all'apprestamento ed al

l'uso delle molotov, non pare al collegio azzardato concedere

ai prevenuti la circostanza attenuante dell'avere agito per moti

vi di particolare valore morale e sociale. La giovane età e/o

lo stato di incensuratezza di quasi tutti gli imputati consiglia altresì' la concessione delle attenuanti generiche. (Omissis)

PRETURA DI BARI; sezione distaccata di Noci; sentenza 8

novembre 1990; Giud. Labellarte; imp. Putignano.

PRETURA DI BARI;

Legge penale — Successione di leggi — Reato permanente —

Disciplina — Fattispecie (Cod. pen., art. 2, 81; 1. 28 gennaio 1977 n. 10, norme per l'edificabilità dei suoli, art. 17; 1. 28

febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attivi

tà urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere

edilizie, art. 20).

Il reato permanente, ove la permanenza si protragga sotto il

vigore di una legge successiva più sfavorevole, va scisso in

due reati corrispondenti ai due periodi dell'arco temporale

in cui si è snodata l'attività illecita e unificati sotto il vincolo

della continuazione, non essendovi stata alcuna soluzione di

continuità tra i due episodi ed essendo stato unico l'intento

dell'agente di violare la normativa edilizia (fattispecie di co

struzione abusiva iniziata sotto il vigore della l. 10/77 e pro

trattasi anche a seguito dell'emanazione della l. 47/85). (1)

(1) La tesi contenuta in massima si discosta dall'orientamento più volte ribadito dalla Cassazione, secondo cui nel reato permanente, ove

il reato si protragga sotto l'impero di una legge successiva, è quest'ulti ma che trova applicazione ancorché più severa della precedente, posto che è sotto il suo vigore che il reato deve intendersi commesso: cfr.

sent. 11 aprile 1983, Grifo, Foro it., Rep. 1985, voce Legge penale, n. 7 e Cass, pen., 1985, 381, con nota di Palla; 14 marzo 1984,

Germani, id., 1986, 741, con nota di Gazzaniga; 14 novembre 1985,

Dell'Aquila, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 6. Nella dottrina, in sen

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PARTE SECONDA

Fatto e diritto. — Con rapporto del 22 ottobre 1986 dei vigili urbani di Noci, scaturito da un esposto a firma di trentaquattro

promittenti acquirenti di appartamenti realizzati in base alla nor

mativa della edilizia agevolata convenzionata, Putignano Adiu

to, costruttore degli immobili, veniva denunciato a questo pre tore per violazione della normativa edilizia ed urbanistica.

Si procedeva, pertanto, penalmente nei confronti dell'impu tato per i reati al medesimo in rubrica ascritti e, in sede istrut

toria, veniva disposta una perizia al fine di determinare il tipo e l'entità degli abusi, peraltro rilevanti e commessi durante un

arco temporale che va dall'11 gennaio 1983 al marzo 1986. Il

perito, espletato l'incarico, depositava una corposissima rela

zione, assai dettagliata e svolta con precisione e completezza. In data 12 marzo 1988 veniva emesso mandato di compari

zione e l'imputato compariva per rendere interrogatorio, prote stando la propria innocenza, ed affermando che le opere realiz

zate erano conformi alle concessioni edilizie, indicate in rubrica.

Regolarmente citato per il dibattito l'imputato non compari va senza addurre alcun legittimo impedimento, sicché veniva

dichiarato contumace. Indi compiuta l'istruttoria dibattimenta

le, p.m. e difesa concludevano come da verbale in atti.

Osserva il giudicante che le risultanze processuali consentono

di ritenere ampiamente provata la penale responsabilità del Pu

tignano in ordine al reato continuato ascrittogli. Occorre, però,

preliminarmente esaminare l'eccezione di prescrizione sollevata

dalla difesa.

L'eccezione è fondata. I reati contestati sono stati, per come

si evince dal dispositivo, unificati sotto il vincolo della conti

nuazione.

Vi è, infati, una ragione tecnico-giuridica che ha indotto que sto pretore ad elevare due distinti capi di accusa.

Si sono succedute, nel periodo indicato in rubrica, due leggi in materia edilizia: la 1. 28 gennaio 1977 n. 10, in vigore fino

al 16 marzo 1985 e la I. 28 febbraio 1985 n. 47, in vigore dal

17 marzo 1985 e tuttora vigente.

so conforme, v. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, 8a ed. a cura di L. Conti, Milano, 1980, 93; Marini, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, 142; Bettiol-Pettoello Mantovani, Di ritto penale, Padova, 1986, 172; Mantovani, Diritto penale, Padova, 1988, 126; Gatto, Reato permanente e successione di leggi, in Arch,

pen., 1960, II, 35. Ma la soluzione predetta non è incontroversa. Nella giurisprudenza

di merito si segnala in senso contrario Pret. Carinola 11 novembre 1971, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 9 e Giur. merito, 1975, II, 54, con nota adesiva di Patalano, secondo la quale nell'ipotesi di reato perma nente il tempo del commesso reato ex art. 2 c.p. va riferito al momento iniziale e non a quello finale in cui cessa la permanenza: tale tesi viene,

appunto, motivata con l'intento di far valere il principio del favor rei

rispetto ad un preconcetto assunto dogmatico circa il momento consu mativo del reato permanente. Mentre nella prassi applicativa risulta iso

lata, una simile soluzione ha un certo seguito in seno alla dottrina: cfr. (ohe a Patalano, cit.) Siniscalco, «Tempus commissi delicti», reato

permanente e successione di leggi penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 1100 ss.; Musco, Coscienza dell'illecito, colpevolezza ed irretroat

tività, id., 1982, 794; più di recente, cfr. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Padova, 1988, 104 s., cui si rinvia per un ampio quadro riassuntivo dell'intera problematica.

La tesi della scindibilità del reato permanente in più illeciti riconduci bili alle diverse leggi che eventualmente si susseguono nel tempo, soste nuta nella decisione in epigrafe, rappresenta invece un terzo modello di soluzione che può trovare un precedente in Pret. Biella 6 maggio 1960, Foro it., Rep. 1960, voce Armi, n. 19 e Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, 1235 (nella specie trattavasi di un'ipotesi di detenzione abu siva di armi protrattasi nel passaggio da una normativa eccezionale ad una normativa comune); cfr. pure Morvidi, L'ultrattività della legge penale e il reato permanente, in Arch, pen., 1958, II, 352. Per una critica di questa impostazione, cfr. Patalano, cit., 59, il quale ne con testa la compatibilità con l'unicità del reato permanente e ravvisa una

possibile violazione del ne bis in idem sostanziale. È da segnalare che la sentenza riportata, non solo ritiene scindibile

il reato permanente nel senso anzidetto, ma ipotizza altesi che tra le

fattispecie separate possa implicitamente intercorrere il nesso della con tinuazione. Si tratta di un assunto però contestato dalla dottrina mag gioritaria, la quale tende anzi a rimarcare i caratteri differenziali tra reato continuato e reato permanente: cfr., di recente, Rampioni, cit., 53 ss. e letteratura ivi citata.

Il Foro Italiano — 1991.

I principi, in tema di successione delle leggi penali nel tempo codificati dall'art. 2 c.p., hanno imposto la scissione in due

periodi dell'arco temporale attraverso cui si è snodata l'attività

illecita, tanto più che la seconda legge citata ha notevolmente

inasprito il trattamento sanzionatorio. La Suprema corte, anzi,

segue un indirizzo che questo pretore non condivide (anche la

dottrina è critica sul punto). Posto che i reati di cui alle leggi 10/77 e 47/85 hanno caratte

re permanente (Cass. 12 maggio 1983, n. 437; 15 giugno 1983, n. 5712 e molte altre) la Suprema corte ha stabilito che, in rela

zione al fenomeno della successione delle leggi penali nel tem

po, nel reato permanente, se la permanenza continua sotto il

vigore di una legge successiva, è questa che deve essere applica ta anche se più severa (Cass., sez. I, 11 aprile 1983, Grifo, Foro

it., Rep. 1985, voce Legge penale, n. 7; sez. II 14 marzo 1984, sez. Ili; 23 marzo 1982, n. 3163).

Anche aderendo a tale orientamento, la prescrizione comin

cerebbe a decorrere, nella specie dal marzo 1986, atteso che

l'art. 158 c.p. equipara, quanto a termine iniziale di prescrizio

ne, la permanenza alla continuazione. Infatti, la prescrizione decorre dal giorno della cessazione della permanenza o della

continuazione.

Anche in questo caso per quello che si dirà di qui a poco, il reato non sarebbe prescritto.

Va evidenziato, comunque, che, nell'ipotesi di legge successi

va meno favorevole, vi è chi, in applicazione del principio del

favor rei, ritiene applicabile la legge più favorevole vigente al

l'epoca dell'inizio della permanenza (dottrina) e chi — invece — segue l'orientamento della Suprema corte più restrittivo.

Pare al giudicante che — pur riconoscendo che il reato per manente non è di regola scindibile (Cass. 2866/81) — la scissio

ne si impone in quanto ne consegue una soluzione più favore

vole al reo. Diversamente opinando, la legge successiva, meno

favorevole, sarebbe retroattiva in violazione dell'art. 2 c.p. Per contro, la tesi più garantista (Pret. Carinola 11 novembre

1971, id., Rep. 1975 voce cit., n. 9) non considera che la legge successiva meno favorevole non può non trovare applicazione con riferimento al comportamento tenuto sotto il suo vigore.

Del resto, con riguardo alla successione di leggi ordinarie a

leggi eccezionali in tema di reati permanenti (detenzione armi

nel dopoguerra) autorevole dottrina ha patrocinato la tesi della

scindibilità, derivandone una soluzione più favorevole al reo.

È evidente l'unicità di disegno criminoso non essendovi stata

alcuna soluzione di continuità tra i due episodi ed essendo stato

unico l'intento dell'agente di violare la normativa edilizia.

Ciò trova conferma nel fatto che, se la legge vigente nel pe riodo considerato fosse stata una sola, sarebbe stato contestato

un solo reato.

Ciò premesso, va evidenziato che l'art. 158 c.p. stabilisce che

il termine della prescrizione decorre, per il reato continuato dal

giorno in cui è cessata la continuazione. Tale regola è applicabi le anche nell'ipotesi in cui il vincolo della continuazione, non

enunciato nella formale contestazione, sia individuato successi

vamente con la sentenza (Cass., sez. V, 7 giugno 1984, Cigoli

no, id., Rep. 1985, voce Prescrizione penale, n. 16). La giurispruenza della Suprema corte, a sezioni unite, ha evi

denziato che per stabilire il tempo necessario all'operatività del

la prescrizione, deve prescindersi dalla continuazione; ciascun

reato si prescrive nel tempo stabilito dalla legge, ma la decor

renza di tale termine rimane fissata al momento della cessazio

ne della continuazione (Cass., sez. un., 10 ottobre 1981, Cassi

nari, id., 1983, II, 9). La Suprema corte ha anche stabilito che

tale principio opera solo con riferimento al termine iniziale e

non anche con riguardo alla durata del tempo necessario per la prescrizione (Cass., sez. VI, 9 giugno 1975; sez. V 12 feb

braio 1979 e molte altre). Ciò significa che, fermo restando il

fatto che il termine iniziale decorre dalla cessazione della conti

nuazione, con riferimento a ciascun reato il tempo di prescri zione è quello fissato dalla legge.

In altre parole se, ad es., vi è un primo reato che si prescrive in tre anni ed un secondo reato che si prescrive in cinque anni, il primo reato si prescrive — a decorrere dalla cessazione della

continuazione — in tre anni, a nulla rilevando che il secondo

reato si prescrive in un termine maggiore.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Pertanto, per entrambi i reati uniti dal vincolo di cui all'art.

81 c.p. il termine iniziale di decorrenza della prescrizione è uni

co (ed è quello di cessazione della continuazione: nella specie

corrispondente alla data di consumazione del secondo reato), ma ciascun reato si prescrive a partire da questa data nel termi

ne fissato dalla legge. Nella specie, il termine iniziale della prescrizione è il marzo

1986. Né si pone il problema della diversità di termini finali giacché entrambi i reati si prescrivono in tre anni ex art. 157, 1° comma, n. 5, c.p.

Il reato continuato sisarebbe prescritto nel marzo 1989, ma,

poiché in data 12 marzo 1988 è stato emesso mandato di com

parizione, il termine ha cominciato a decorrere nuovamente pro

lungandosi della metà ex art. 160 c.p. Si giunge cosi al settem

bre 1990 (4 anni e 6 mesi pari a tre anni + un anno e 6 mesi). Il reato, però, non si è prescritto nel settembre 1990 per la

seguente ragione. L'art. 44 1. 28 febbraio 1985 n. 47 stabilisce che, dalla data

di entrata in vigore della legge stessa (17 marzo 1985) fino alla

scadenza dei termini fissati dall'art. 35 (in tema di procedimen to di sanatoria) sono sospesi i procedimenti penali. Il termine

di cui all'art. 35 è stato più volte prorogato, da ultimo con

il d.l. 12 gennaio 1988 n. 2 convertito in 1. 13 marzo 1988 n.

68 che ha fissato il termine ultimo per presentare domanda di

concessione in sanatoria del 30 giugno 1987. Vi è, pertanto, un periodo di sospensione della prescrizione che va dal 17 mar

zo 1985 al 30 giugno 1987, pari a due anni 3 mesi e 13 giorni. Ai sensi dell'art. 159, 2° comma, c.p. la prescrizione riprende

il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensio ne. Pertanto, il termine prescrizionale di 4 e 6 mesi (stante l'at

to interruttivo) è cominciato a decorrere il 1° luglio 1987 (data di cessazione della causa di sospensione) e spirerà il 10 gennaio 1992. L'eccezione di prescrizione è, quindi, infondata. Egual mente infondata è l'eccezione di improcedibilità per precedente

giudicato. Per come risulta in atti, i fatti per i quali l'imputato è stato

giudicato dal Tribunale di Bari risalgono al 10 gennaio 1983.

Il capo a) della rubrica del presente procedimento indica, come

periodo del commesso reato, 11 gennaio 1983 - 16 marzo 1985.

Trattasi di epoche diverse, se pure contingue, e, pertanto, non può invocarsi il principio del ne bis in idem trattandosi

di fattispecie diverse e autonome nelle quali si contesta si lo

stesso reato, ma diverso fatto stante la diversa collocazione cro

nologica dei fatti stessi.

Parimenti inaccoglibile è la richiesta di estinzione del reato

per intervenuto rilascio di concessione in sanatoria ai sensi degli

art. 13 e 2Ì 1. 28 febbraio 1985 n. 47.

Perché possa dichiararsi l'estinzione in parola, è necessario

che le opere realizzate abusivamente siano esattamente quelle

oggetto del provvedimento concessorio; in caso contrario l'abu

so resta, sia amministrativamente sia penalmente rilevante.

Nella specie, la concessione in sanatoria riguarda solo una

minima parte di quanto abusivamente realizzato. Dalle conces

sioni in sanatoria esibite risultano autorizzate solo le opere di

ridistribuzione interna degli alloggi e chiusura con vetrate di

alcuni balconi, realizzate con strutture di facile rimozione. È

detto espressamente nella concessione predetta (del 22 settem

bre 1988) che non è consentito alcun aumento volumetrico. La

concessione in sanatoria del 25 luglio 1986 riguarda solo la rea

lizzazione della copertura di un locale interrato.

Gli abusi realizzati sono, invece, diversi ed assai rilevanti.

Il perito, a pag. 160 della relazione cosi scrive... «b) diffor

mità rispetto alle concessioni 97/83 e 220/84, eseguite dal mag

gio 1983 al febbraio-marzo 1986; e) ulteriori difformità eseguite

successivamente al marzo 1986». Con riferimento agli abusi sub

b) il perito a pag. 164 della relazione precisa: «la difformità

maggiore eseguita in tale periodo è la difformità relativa all'ese

cuzione di superfici a piano terra notevolmente superiori alle

quantità massime prescritte dal piano di zona» ed ancora «Al

tra difformità è... è quella relativa alla maggiore altezza degli

edifici» (pag. 165 relazione).

Il Foro Italiano — 1991.

Quanto alle opere di cui al punto c), il perito ha precisato che le stesse consistono in difformità negli scantinati ed a piano terra.

Il perito, inoltre, sentito al pubblico dibattimento, ha dichia

rato: «La superficie massima ammissibile a piano terra secondo

le prescrizioni del piano di zona era di 990 metri quadrati —

ne sono stati realizzati 1300-1400».

Il perito ha riferito che la maggiore altezza realizzata svilup

pa un aumento di volumetria di circa 1100 metri cubi.

Il perito ha pure riferito che vi è anche un aumento volume

trico dovuto alla diversa sistemazione esterna valutabile intorno

ai 400-500 metri cubi. Osserva questo pretore che le cifre indicate dal perito, da un

lato rendono evidente l'inapplicabilità dell'amnistia di cui al d.p.r. 12 aprile 1990 n. 75 che è applicabile solo agli abusi modesti

(che, secondo l'insegnamento della Suprema corte non devono

superare i 120 mq) e, dall'altro, denotano la rilevanza dell'abuso.

Sussistono, pertanto, tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi

per ritenere l'imputato responsabile dei reati ascrittigli in rubrica.

Il cospicuo aumento volumetrico rispetto a quanto previsto dalle concessioni e consentito dagli strumenti urbanistici impo ne l'irrogazione di una pena adeguata. Alla stregua dei criteri

direttivi di cui agli art. 133, 133 bis c.p. stimasi equo infliggere la pena congrua, ritenuto il vincolo della continuazione tra le

contravvenzioni, di mesi 6 di arresto e lire 11.000.000 di am

menda (p.b. mesi 5 di arresto e lire 10.000.000 di ammenda

per il reato più grave sub b + mesi 1 di arresto e lire 1.000.000

di ammenda ex art. 81 c.p. pena determinata), oltre al paga mento delle spese processuali.

Ricorrendone i presupposti di legge, può concedersi all'impu tato il beneficio della sospensione condizionale della pena, es

sendo ragionevole presumere che il medesimo per il futuro si

asterrà dal commettere reati ulteriori.

PRETURA DI LECCE; ordinanza 13 agosto 1990; Giud. inda

gini preliminari D'Amato.

PRETURA DI LECCE;

Persona offesa dal reato — Intervento nel procedimento penale di associazioni ambientalistiche — Reati contro l'ambiente —

Consenso della parte offesa — Esclusione — Fattispecie (Cod.

proc. pen., art. 91, 92, 93, 94; d.l. 27 giugno 1985 n. 312,

disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare in

teresse ambientale, art. 1 sexies; 1. 8 agosto 1985 n. 431, con

versione in legge, con modificazioni, del d.l. 27 giugno 1985

n. 312, art. 1; 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del ministero

dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale, art.

13, 18).

Le associazioni e gli enti senza scopo di lucro previsti dall'art.

91 c.p.p. possono intervenire nei procedimenti penali relativi

a reati offensivi di interessi collettivi senza il consenso della

parte lesa (nella specie, la «Lega per l'ambiente» — associa

zione riconosciuta ex art. 13 l. 349/86 — è stata ammessa

a partecipare ad un incidente probatorio nell'ambito di un

procedimento penale, avviato per violazione dell'art. 1 sexies

l. 431/85, sul presupposto che per il detto reato non sia affat

to individuabile una parte lesa). (1)

(1) Non constano precedenti in termini.

1. - Nell'ambito di un procedimento penale avviato per violazione

della legge «Galasso» e per altri reati «ambientali» nei confronti di

amministratori pubblici regionali, il g.i.p. della Pretura di Lecce ha

ammesso la «Lega per l'ambiente» a partecipare ad una perizia, solleci

tata — ex art. 392, lett. f), c.p.p. — dalla locale procura, evidenziando

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