sezione distaccata di Tarcento; sentenza 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. MattioniSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.677/678-679/680Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186024 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
riale. Invece l'escavatore è stato adoperato anche per scalzare
le pietre dal loro basamento, sia pure col supporto degli operai. Si ritiene perciò che anche questa contestazione di danno sia
fondata.
Dalla distruzione del bene oggetto di tutela è infine derivato
un danno al patrimonio artistico nazionale.
Questo, pur essendo qualificato usualmente come condizione
obiettiva di punibilità, è insito nella stessa realizzazione della
condotta vietata, ossia nel danneggiamento del bene di rilevante
pregio. D'altro canto che l'intera piazza della Signoria, nell'in
sieme degli elementi che la compongono, appartenga al patri monio artistico e storico della nazione è indubbio.
Discrezionalità tecnica e sindacato del giudice penale. A con
clusione di questa parte della motivazione, di carattere genera
le, va affrontato il problema della sindacabilità da parte di que sta autorità giudiziaria, delle scelte tecniche discrezionali della
pubblica amministrazione, contestata dalla difesa.
Si è sostenuto che, in virtù del principio della separazione dei poteri, cosi come attuato nel nostro ordinamento (1.
2248/1865, ali. E, art. 4-5), il sindacato sull'azione amministra
tiva è consentito in limiti particolarmente ristretti, essendo per messo al giudice ordinario solo di disapplicare — non già an
nullare — gli atti amministrativi nei limiti della violazione di
legge e non dell'eccesso di potere. A questa osservazione è agevole ribattere che non trovano
spazio nel processo penale i presupposti che hanno indotto ad
attribuire all'art. 5 dell'ali. E, il significato tradizionale. Infatti
il meccanismo della cognizione principale - cognizione inciden
tale è collegato nel sistema del processo civile al problema del
riparto di giurisdizioni, evidentemente estraneo al processo pe nale. Inoltre nel giudizio civile viene in discussione la disciplina autoritativamente imposta dal provvedimento alle relazioni giu ridiche soggettive, che la parte intende contestare.
Nel processo penale invece la questione è differente: l'oggetto del decidere è accertare o meno la sussitenza del reato e quindi
applicare le sanzioni nelle fattispecie criminose configurate dal
legislatore. Il giudice penale potrà e dovrà controllare la legitti mità dell'azione amministrativa solo in quanto tale legittimità sia rilevante ai fini della repressione delle condotte tipiche de
scritte dalle norme incriminatrici. Andrà perciò verificato come
si configura ed opera il provvedimento amministrativo nelle di
verse ipotesi di reato. Esempi sono l'art. 650 c.p. che presuppo ne l'illegittimità dell'atto e l'art. 20 della legge urbanistica che,
invece, richiede la semplice sussistenza di un atto concessorio.
L'art. 733 c.p. descrive invece la fattispecie senza alcun rife
rimento alla presenza o meno di provvedimento amministrati
vo, ma solo in relazione ad un evento naturalistico, costituito
dal danneggiamento o dalla distruzione della cosa d'arte. Quin di, cosi come è irrilevante, se non sotto il profilo dell'elemento
soggettivo, l'esistenza del nulla osta dell'autorità amministrati
va (v. Cass. 7 novembre 1974, Andracchio, id., Rep. 1976, voce
Antichità e belle arti, n. 27), o l'accertamento della legittimità di questo, sono del pari ininfluenti le scelte tecniche della pub blica amministrazione che si pongono come mezzo della con
dotta criminosa, rilevando quindi come modalità di esecuzione
del reato. In tal senso si è espressa la dottrina (vedasi ad esem
pio R. Villata, Disapplicazione dei provvedimenti amministra
tivi e processo penale, Giuffrè, 1980). Il problema del provvedimento amministrativo o della sua le
gittimità nel processo penale si risolve quindi sul piano del dirit
to sostanziale, nel quadro della ricostruzione della fattispecie
disciplinata dal legislatore. Ciò che il giudice penale deve fare
è accertare l'eventuale lesione del bene tutelato.
Ciò premesso va sottolineato, ma solo per completezza, il
carattere anomalo delle scelte tecniche effettuate dalla pubblica
amministrazione come dell'intera procedura. Si è visto che le
modalità di lavorazione furono stabilite in sorta di convenzioni
stipulate tra gli organi di tutela e gli organi comunali e che
le decisioni fondamentali furono consacrate in tre accordi fra
il ministro per i beni culturali e il sindaco di Firenze. Tutto
ciò non trova riscontro nella disciplina dettata dalla 1. 1089/39
che impone la presentazione della richiesta di autorizzazione al
l'esecuzione di lavori (art. 11), la presentazione di un progetto
(art. 18), e il rilascio del nulla osta da parte del soprintendente. Le scelte tecniche operate nella fattispecie non sono riconduci
bili invece a questi schemi, attesa la loro natura per cosi dire
pattizia, emergente dalle convenzioni più volte ricordate.
Il Foro Italiano — 1992.
La contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. deve perciò rite
nersi integrata nella sua materialità, avuto riguardo alla qualità del soggetto agente e del bene tutelato, nonché alla indubbia
sussistenza del documento. (Omissis)
Infine, resta da affrontare il problema del concorso, la cui
sussistenza è stata negata. Il problema va risolto in base ai principi generali enunciati
negli art. 110-113 c.p. Trattandosi di reato contravvenzionale, essenzialmente (ma
non necessariamente) colposo, per la configurabilità del concor
so è sufficiente la consapevolezza, in ciascuno dei compartecipi, della convergenza della propria condotta con la condotta altrui, senza però che tale consapevolezza investa l'evento. La coope razione nel reato colposo si caratterizza cioè per il legame psi
cologico fra le condotte dei concorrenti, che è indubbiamente
ravvisabile nella fattispecie poiché gli imputati agirono sempre in accordo.
Né vi sono preclusioni per ritenere configurabile la comparte cipazione delle persone istituzionalmente preposte alla tutela, sia sul piano logico che giuridico, atteso che, come si è visto, è del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità dell'illecito in parola, il rilascio del nulla osta e quindi sostanzialmente l'ap
provazione dei lavori da parte degli organi di tutela.
Infine va ricordata la disposizione dell'art. 117 c.p. che com
porta il mutamento del titolo di reato per tutti coloro che con
corrono nel reato proprio, sia pure nella accezione che si è cer
cato di illustrare precedentemente. (Omissis)
PRETURA DI UDINE; PRETURA DI UDINE; sezione distaccata di Tarcento; senten
za 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. Mattioni.
Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Prodotti dietetici — Nozione — Fattispecie (L. 29 marzo 1951 n. 327, discipli na della produzione e vendita di alimenti per la prima infan zia e di prodotti dietetici, art. 1, 5; d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, regolamento per l'esecuzione della 1. 29 marzo 1951
n. 327, art. 21).
L'aggiunta ad una bevanda di vitamina C in quantità assoluta
mente modesta non consente di ritenere la stessa un prodotto dietetico (nella specie, era stata posta in vendita la bibita de
nominata «Fanta limonata all'arancia» alla quale erano stati
aggiunti 20 mg. di vitamina C ogni 100 mi. di bevanda; il
pretore ha osservato che detta quantità era pari a quella im
piegata, a fini antiossidanti, in numerosi altri prodotti ali
mentari e non era tale da conferire al prodotto «particolari
definite proprietà dietetiche»), (1)
(1) Per Cass. 13 giugno 1990, Delle Vedove, Foro it., Rep. 1991, voce Alimenti e bevande, n. 39, «per stabilire se un dato prodotto rien tri nella categoria di quelli dietetici e sia, pertanto, assoggettabile alle
autorizzazioni previste dalla legislazione speciale in materia, è necessa rio e sufficiente stabilire se esso sia stato sottoposto a un processo di lavorazione ovvero, alternativamente, ad una addizione di sostanze non
presenti naturalmente. Per processo di lavorazione si intende il tratta mento dell'ingrediente base del prodotto, diretto sia a preservarne le
caratteristiche e l'inalterabilità, sia a produrre gli effetti indicati come conferimento delle proprietà finali; con il termine "addizione di sostan
za" si intende, poi, l'operazione idonea a conferire agli ingredienti di
base le menzionate proprietà mediante l'aggiunta di nuove sostanze (di sintesi ovvero estratti di frutta o altro)».
In tal senso, v. Cass. 7 luglio 1986, Oreggia, id., Rep. 1987, voce
cit., nn. 45, 46: «per accertare se prodotti nutrizionali importati dall'e
stero rientrino nella categoria di quelli cosiddetti «dietetici», bisogna applicare esclusivamente la legislazione italiana e non la normativa del
paese d'origine. A tal fine è necessario stabilire se vi sia stato un pro cesso di lavorazione o, in alternativa, una addizione di sostanze»; Cass.
15 novembre 1977, Di Grazia, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 39, 40:
«sono considerati "dietetici" i prodotti alimentari che, allo scopo di
rispondere ai requisiti richiesti da diete speciali, o di completare o sosti
tuire l'alimentazione ordinaria, subiscono un particolare processo di
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PARTE SECONDA
Tale Mattioni Angela di Tarcento, in seguito ad opposizione a decreto penale, è stata tratta a giudizio davanti a questo pre tore per rispondere del fatto di aver posto in vendita delle con
fezioni di bevanda denominata «Fanta limonata all'arancia» ad
dizionata di vitamina «C», come dichiarato sull'etichetta, pro dotto dietetico importato in Italia dalla Germania, senza che sulle confezioni originali fossero menzionati gli estremi del de
creto del ministero della sanità autorizzante la produzione del
prodotto dietetico ed il valore energetico del prodotto; nonché
per rispondere del fatto di avere offerto in vendita la bevanda
sopra indicata adottando denominazioni e frasi pubblicitarie im
proprie atte a sorprendere la buona fede del consumatore, inge nerando la erronea convinzione che il prodotto fosse superiore ad ogni altro similare, essendo indicate sulle confezioni l'ag
giunta di vitamina «C», sostanza caratteristica di ogni bibita
al limone. Reati accertati in Tarcento F8 giugno 1990.
In ordine alla prima contravvenzione, osserva questo pretore che è prescritto il decreto del ministero della sanità, del quale deve essere fatta menzione degli estremi sugli involucri, nel caso
in cui il prodotto sia da considerare «dietetico». Ora il 2° com
ma dell'art. 1 1. 29 marzo 1951 n. 327 dispone che «sono da
considerare dietetici i prodotti ai quali, o per processo di lavo
razione o per addizione di particolari sostanze, sono state con
ferite particolari e definite proprietà dietetiche». Analogamen te, l'art. 21 d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578 stabilisce che «...sono
considerati dietetici i prodotti alimentari che... vengono inte
grati con protidi, lipidi, glicidi, vitamine, sali minerali o co munque con sostanze atte a conferire particolari definite pro
prietà dietetiche».
Si tratta, dunque, di stabilire se, nel caso di specie, l'aggiunta della vitamina «C» alla bibita in questione abbia conferito al
lavorazione o vengono integrati con protidi, lipidi, glicidi, vitamine, sali minerali, o comunque, con sostanze atte a conferire particolari de finite proprietà dietetiche».
V., in senso conforme alle citate decisioni, Pret. Como 27 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 44.
In tema di pubblicità ed etichettatura, v. Cass. 4 aprile 1984, Pasetti, id., 1985, II, 369 (la violazione delle norme relative alla pubblicità sui
prodotti alimentari degli ingredienti adoperati, fra cui sono compresi gli additivi chimici consentiti, costituisce illecito amministrativo a segui to dell'entrata in vigore dell'art. 16 d.p.r. 18 maggio 1982 n. 322, salvo che per gli alimenti per la prima infanzia e per i prodotti dietetici disci
plinati dalla 1. 29 marzo 1951 n. 327, per i quali in caso di violazione delle disposizioni di etichettatura, continua ad applicarsi la sanzione
penale prevista dall'art. 5, 2° comma, 1. 29 marzo 1951 n. 327); 21
gennaio 1986, Peano, id., Rep. 1987, voce cit., n. 79 (la pubblicità dei prodotti dietetici è consentita quando le immagini e le frasi usate non falsino la rappresentazione delle qualità e natura del prodotto e non promettano, quali effetti dell'uso di esso, risultati non conformi a quelli reali); 23 ottobre 1989, Pompei, id., Rep. 1990, voce cit., n. 61: l'art. 5 1. 29 marzo 1951 n. 327 appronta una difesa del consumato re a livello modesto perchè il messaggio stampato sull'involucro rag giunge normalmente il consumatore dopo l'acquisto del prodotto. L'art. 10 del regolamento di esecuzione della legge, previsto dal d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, vieta, tra l'altro, ogni forma di propaganda ingannevole, specie se fatta a mezzo di giornali, riviste o altri mezzi di diffusione, ed in particolare quando contenga riproduzione di attestazioni di pareri medici. L'art. 10, quindi, realizza una difesa più specifica ed efficace, disciplinando un tipo di propaganda che raggiunge il consumatore pri ma dell'acquisto del prodotto. Di conseguenza, la tutela e la sanzione di cui all'art. 5 1. n. 327 del 1951 devono ritenersi riferite anche alla pubblicità realizzata con mezzi di maggiore diffusibilità ed efficacia, prevista dalla norma posta dall'art. 10 reg., istituzionalmente destinata ad integrare e specificare la portata dell'art. 5 della predetta legge.
Per un diverso caso di vendita di una bevanda priva di succo di limo
ne, ma avente un'etichetta con colorazione giallo-verde riproducente degli agrumi e recante la denominazione «limonade bier mix» a caratte ri grandi, Pret. Forlì 6 luglio 1988, id., 1989, II, 562, ha ritenuto sussi stente il reato di cui all'art. 13 1. n. 283 del 1962. ed è stata confermata da Cass. 19 dicembre 1989, Fondi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 81.
Per una diversa ipotesi, in cui è stato ritenuto illecito il commercio di una bevanda analcolica di fantasia denominata «Quench» contenente coloranti non bilanciato dalla presenza di succo nella percentuale mini ma prevista nell'art. 1 1. 3 aprile 1961, n. 286, v. Cass. 14 maggio 1991, n. 2726, Soc. Simmenthal c. Comune di Chiavari, inedita.
Infine, va segnalato che la materia in trattazione risulta innovata alla luce del d.leg. 27 gennaio 1992 n. Ili, attuazione della diretiva 89/398 Cee concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione
particolare (Le leggi, 1992, I, 1175), che ha abrogato la 1. 29 marzo 1951 n. 327 (art. 17).
Il Foro Italiano — 1992.
prodotto la caratteristica di «alimento dietetico». È fuor di dub
bio che nell'aranciata «Fanta» importata dalla Germania fu ag
giunta una modesta quantità di vitamina «C», e precisamente 20 milligrammi di vitamina ogni 100 millilitri di bevanda, cosi come risulta dall'etichetta applicata sulle confezioni (circostan za non contestata dall'accusa). In sostanza, è stata aggiunta al
l'incirca quella stessa quantità di vitamina che viene aggiunta a molti prodotti alimentari, quali birra e farina, per fini antios
sidanti. È vero che quale antiossidante la vitamina «C» viene
indicata come «acido ascorbico» e non necessita di autorizza
zione ministeriale, ma è pur vero che la vitamina «C» resta
sempre tale indipendentemente dalla sua denominazione. Ritie
ne dunque questo pretore che il prodotto alimentare debbasi
ritenere dietetico allorché viene aggiunta una quantità di vitami
na «C» tale da conferire allo stesso «particolari definite pro
prietà dietetiche», indipendentemente dalla terminologia usata
per qualificare la vitamina. In altri termini, è la quantità di
vitamina aggiunta al prodotto che conferisce allo stesso le «par ticolari» proprietà dietetiche e non certo il nome che viene dato
all'additivo. Può cambiare il nome, ma la sostanza resta sem
pre la medesima.
Quindi, si può concludere che, quando l'aggiunta di vitamina
«C» al prodotto, come nel caso di specie, è molto modesta, l'alimento non può essere considerato dietetico, e quindi non
è necessario che sull'involucro o sul contenitore vengano men
zionati gli estremi del decreto del ministero della sanità che au
torizza la produzione dell'alimento.
Sulla stessa falsariga è l'orientamento della Suprema corte, la quale ha ritenuto che «un comune formaggino, al quale sia
no state aggiunte soltanto vitamine o altre sostanze in quantità trascurabili, non può essere considerato come un prodotto die
tetico o come un alimento per la prima infanzia agli effetti della
1. 29 marzo 1951 n. 327 e del relativo regolamento approvato con d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, ed in particolare, agli effetti
della norma, sanzionata penalmente, che prescrive la indicazio
ne del decreto che autorizza la produzione, e del peso netto del contenuto, sull'involucro del prodotto» (Cass, pen., sez. VI, 23 maggio 1959).
E ancora «la semplice aggiunta di vitamine o di altre partico lari sostanze ad un comune formaggino non basta a qualificare
quest'ultimo come prodotto dietetico e come alimento per la
prima infanzia agli effetti delle norme contenute nella 1. 29 marzo 1951 n. 327, e nel relativo regolamento approvato con d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, e in particolare agli effetti della norma
penalmente sanzionabile che prescrive l'indicazione del decreto
che autorizza la produzione e del peso netto del contenuto sul
l'involucro del prodotto» (Cass. sez. Ili, ud. 23 maggio 1959,
Gandino, Foro it., Rep. 1960, voce Frode nei commerci, n. 44). Per quanto è stato fin qui esposto, l'imputata va assolta dalla
contravvenzione di cui al n. 1) della rubrica, trattandosi di per sona non punibile perché il fatto non costituisce reato.
Per quanto concerne la contravvenzione di cui al capo 2) del
la rubrica, osserva questo giudice che la ditta produttrice, non
ha adottato denominazioni o frasi pubblicitarie improprie tali da sorprendere la buona fede del consumatore, ma si è limitata
a dichiarare sulla confezione la pura verità, e cioè che alla bibi
ta era stata aggiunta della vitamina «C», esattamente quantifi cata nell'etichetta in 20 milligrammi di vitamina ogni 100 milli
litri di bevanda.
Del resto la Suprema corte di cassazione ha ritenuto che «la
pubblicità dei prodotti dietetici è consentita quando le immagini e le frasi usate non falsino la rappresentazione della qualità e
natura del prodotto e non promettano, quali effetti dell'uso di
esso, risultati non conformi a quelli reali...» (Cass., sez. VI, 21 gennaio 1986, Peano, id., Rep. 1987, voce Alimenti e bevan
de, n. 79.
Anche per detta contravvenzione, dunque, l'imputata va as
solta trattandosi di persona non punibile perché il fatto non
costituisce reato.
Il decreto penale di condanna va, previamente, revocato.
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