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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione distaccata di Tarcento; sentenza 18 dicembre 1991;...

Date post: 27-Jan-2017
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sezione distaccata di Tarcento; sentenza 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. Mattioni Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 677/678-679/680 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186024 . Accessed: 28/06/2014 13:24 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.106 on Sat, 28 Jun 2014 13:24:18 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione distaccata di Tarcento; sentenza 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. Mattioni

sezione distaccata di Tarcento; sentenza 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. MattioniSource: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.677/678-679/680Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186024 .

Accessed: 28/06/2014 13:24

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

riale. Invece l'escavatore è stato adoperato anche per scalzare

le pietre dal loro basamento, sia pure col supporto degli operai. Si ritiene perciò che anche questa contestazione di danno sia

fondata.

Dalla distruzione del bene oggetto di tutela è infine derivato

un danno al patrimonio artistico nazionale.

Questo, pur essendo qualificato usualmente come condizione

obiettiva di punibilità, è insito nella stessa realizzazione della

condotta vietata, ossia nel danneggiamento del bene di rilevante

pregio. D'altro canto che l'intera piazza della Signoria, nell'in

sieme degli elementi che la compongono, appartenga al patri monio artistico e storico della nazione è indubbio.

Discrezionalità tecnica e sindacato del giudice penale. A con

clusione di questa parte della motivazione, di carattere genera

le, va affrontato il problema della sindacabilità da parte di que sta autorità giudiziaria, delle scelte tecniche discrezionali della

pubblica amministrazione, contestata dalla difesa.

Si è sostenuto che, in virtù del principio della separazione dei poteri, cosi come attuato nel nostro ordinamento (1.

2248/1865, ali. E, art. 4-5), il sindacato sull'azione amministra

tiva è consentito in limiti particolarmente ristretti, essendo per messo al giudice ordinario solo di disapplicare — non già an

nullare — gli atti amministrativi nei limiti della violazione di

legge e non dell'eccesso di potere. A questa osservazione è agevole ribattere che non trovano

spazio nel processo penale i presupposti che hanno indotto ad

attribuire all'art. 5 dell'ali. E, il significato tradizionale. Infatti

il meccanismo della cognizione principale - cognizione inciden

tale è collegato nel sistema del processo civile al problema del

riparto di giurisdizioni, evidentemente estraneo al processo pe nale. Inoltre nel giudizio civile viene in discussione la disciplina autoritativamente imposta dal provvedimento alle relazioni giu ridiche soggettive, che la parte intende contestare.

Nel processo penale invece la questione è differente: l'oggetto del decidere è accertare o meno la sussitenza del reato e quindi

applicare le sanzioni nelle fattispecie criminose configurate dal

legislatore. Il giudice penale potrà e dovrà controllare la legitti mità dell'azione amministrativa solo in quanto tale legittimità sia rilevante ai fini della repressione delle condotte tipiche de

scritte dalle norme incriminatrici. Andrà perciò verificato come

si configura ed opera il provvedimento amministrativo nelle di

verse ipotesi di reato. Esempi sono l'art. 650 c.p. che presuppo ne l'illegittimità dell'atto e l'art. 20 della legge urbanistica che,

invece, richiede la semplice sussistenza di un atto concessorio.

L'art. 733 c.p. descrive invece la fattispecie senza alcun rife

rimento alla presenza o meno di provvedimento amministrati

vo, ma solo in relazione ad un evento naturalistico, costituito

dal danneggiamento o dalla distruzione della cosa d'arte. Quin di, cosi come è irrilevante, se non sotto il profilo dell'elemento

soggettivo, l'esistenza del nulla osta dell'autorità amministrati

va (v. Cass. 7 novembre 1974, Andracchio, id., Rep. 1976, voce

Antichità e belle arti, n. 27), o l'accertamento della legittimità di questo, sono del pari ininfluenti le scelte tecniche della pub blica amministrazione che si pongono come mezzo della con

dotta criminosa, rilevando quindi come modalità di esecuzione

del reato. In tal senso si è espressa la dottrina (vedasi ad esem

pio R. Villata, Disapplicazione dei provvedimenti amministra

tivi e processo penale, Giuffrè, 1980). Il problema del provvedimento amministrativo o della sua le

gittimità nel processo penale si risolve quindi sul piano del dirit

to sostanziale, nel quadro della ricostruzione della fattispecie

disciplinata dal legislatore. Ciò che il giudice penale deve fare

è accertare l'eventuale lesione del bene tutelato.

Ciò premesso va sottolineato, ma solo per completezza, il

carattere anomalo delle scelte tecniche effettuate dalla pubblica

amministrazione come dell'intera procedura. Si è visto che le

modalità di lavorazione furono stabilite in sorta di convenzioni

stipulate tra gli organi di tutela e gli organi comunali e che

le decisioni fondamentali furono consacrate in tre accordi fra

il ministro per i beni culturali e il sindaco di Firenze. Tutto

ciò non trova riscontro nella disciplina dettata dalla 1. 1089/39

che impone la presentazione della richiesta di autorizzazione al

l'esecuzione di lavori (art. 11), la presentazione di un progetto

(art. 18), e il rilascio del nulla osta da parte del soprintendente. Le scelte tecniche operate nella fattispecie non sono riconduci

bili invece a questi schemi, attesa la loro natura per cosi dire

pattizia, emergente dalle convenzioni più volte ricordate.

Il Foro Italiano — 1992.

La contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. deve perciò rite

nersi integrata nella sua materialità, avuto riguardo alla qualità del soggetto agente e del bene tutelato, nonché alla indubbia

sussistenza del documento. (Omissis)

Infine, resta da affrontare il problema del concorso, la cui

sussistenza è stata negata. Il problema va risolto in base ai principi generali enunciati

negli art. 110-113 c.p. Trattandosi di reato contravvenzionale, essenzialmente (ma

non necessariamente) colposo, per la configurabilità del concor

so è sufficiente la consapevolezza, in ciascuno dei compartecipi, della convergenza della propria condotta con la condotta altrui, senza però che tale consapevolezza investa l'evento. La coope razione nel reato colposo si caratterizza cioè per il legame psi

cologico fra le condotte dei concorrenti, che è indubbiamente

ravvisabile nella fattispecie poiché gli imputati agirono sempre in accordo.

Né vi sono preclusioni per ritenere configurabile la comparte cipazione delle persone istituzionalmente preposte alla tutela, sia sul piano logico che giuridico, atteso che, come si è visto, è del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità dell'illecito in parola, il rilascio del nulla osta e quindi sostanzialmente l'ap

provazione dei lavori da parte degli organi di tutela.

Infine va ricordata la disposizione dell'art. 117 c.p. che com

porta il mutamento del titolo di reato per tutti coloro che con

corrono nel reato proprio, sia pure nella accezione che si è cer

cato di illustrare precedentemente. (Omissis)

PRETURA DI UDINE; PRETURA DI UDINE; sezione distaccata di Tarcento; senten

za 18 dicembre 1991; Giud. Pispisa; imp. Mattioni.

Alimenti e bevande (igiene e commercio) — Prodotti dietetici — Nozione — Fattispecie (L. 29 marzo 1951 n. 327, discipli na della produzione e vendita di alimenti per la prima infan zia e di prodotti dietetici, art. 1, 5; d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, regolamento per l'esecuzione della 1. 29 marzo 1951

n. 327, art. 21).

L'aggiunta ad una bevanda di vitamina C in quantità assoluta

mente modesta non consente di ritenere la stessa un prodotto dietetico (nella specie, era stata posta in vendita la bibita de

nominata «Fanta limonata all'arancia» alla quale erano stati

aggiunti 20 mg. di vitamina C ogni 100 mi. di bevanda; il

pretore ha osservato che detta quantità era pari a quella im

piegata, a fini antiossidanti, in numerosi altri prodotti ali

mentari e non era tale da conferire al prodotto «particolari

definite proprietà dietetiche»), (1)

(1) Per Cass. 13 giugno 1990, Delle Vedove, Foro it., Rep. 1991, voce Alimenti e bevande, n. 39, «per stabilire se un dato prodotto rien tri nella categoria di quelli dietetici e sia, pertanto, assoggettabile alle

autorizzazioni previste dalla legislazione speciale in materia, è necessa rio e sufficiente stabilire se esso sia stato sottoposto a un processo di lavorazione ovvero, alternativamente, ad una addizione di sostanze non

presenti naturalmente. Per processo di lavorazione si intende il tratta mento dell'ingrediente base del prodotto, diretto sia a preservarne le

caratteristiche e l'inalterabilità, sia a produrre gli effetti indicati come conferimento delle proprietà finali; con il termine "addizione di sostan

za" si intende, poi, l'operazione idonea a conferire agli ingredienti di

base le menzionate proprietà mediante l'aggiunta di nuove sostanze (di sintesi ovvero estratti di frutta o altro)».

In tal senso, v. Cass. 7 luglio 1986, Oreggia, id., Rep. 1987, voce

cit., nn. 45, 46: «per accertare se prodotti nutrizionali importati dall'e

stero rientrino nella categoria di quelli cosiddetti «dietetici», bisogna applicare esclusivamente la legislazione italiana e non la normativa del

paese d'origine. A tal fine è necessario stabilire se vi sia stato un pro cesso di lavorazione o, in alternativa, una addizione di sostanze»; Cass.

15 novembre 1977, Di Grazia, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 39, 40:

«sono considerati "dietetici" i prodotti alimentari che, allo scopo di

rispondere ai requisiti richiesti da diete speciali, o di completare o sosti

tuire l'alimentazione ordinaria, subiscono un particolare processo di

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PARTE SECONDA

Tale Mattioni Angela di Tarcento, in seguito ad opposizione a decreto penale, è stata tratta a giudizio davanti a questo pre tore per rispondere del fatto di aver posto in vendita delle con

fezioni di bevanda denominata «Fanta limonata all'arancia» ad

dizionata di vitamina «C», come dichiarato sull'etichetta, pro dotto dietetico importato in Italia dalla Germania, senza che sulle confezioni originali fossero menzionati gli estremi del de

creto del ministero della sanità autorizzante la produzione del

prodotto dietetico ed il valore energetico del prodotto; nonché

per rispondere del fatto di avere offerto in vendita la bevanda

sopra indicata adottando denominazioni e frasi pubblicitarie im

proprie atte a sorprendere la buona fede del consumatore, inge nerando la erronea convinzione che il prodotto fosse superiore ad ogni altro similare, essendo indicate sulle confezioni l'ag

giunta di vitamina «C», sostanza caratteristica di ogni bibita

al limone. Reati accertati in Tarcento F8 giugno 1990.

In ordine alla prima contravvenzione, osserva questo pretore che è prescritto il decreto del ministero della sanità, del quale deve essere fatta menzione degli estremi sugli involucri, nel caso

in cui il prodotto sia da considerare «dietetico». Ora il 2° com

ma dell'art. 1 1. 29 marzo 1951 n. 327 dispone che «sono da

considerare dietetici i prodotti ai quali, o per processo di lavo

razione o per addizione di particolari sostanze, sono state con

ferite particolari e definite proprietà dietetiche». Analogamen te, l'art. 21 d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578 stabilisce che «...sono

considerati dietetici i prodotti alimentari che... vengono inte

grati con protidi, lipidi, glicidi, vitamine, sali minerali o co munque con sostanze atte a conferire particolari definite pro

prietà dietetiche».

Si tratta, dunque, di stabilire se, nel caso di specie, l'aggiunta della vitamina «C» alla bibita in questione abbia conferito al

lavorazione o vengono integrati con protidi, lipidi, glicidi, vitamine, sali minerali, o comunque, con sostanze atte a conferire particolari de finite proprietà dietetiche».

V., in senso conforme alle citate decisioni, Pret. Como 27 aprile 1989, id., Rep. 1989, voce cit., n. 44.

In tema di pubblicità ed etichettatura, v. Cass. 4 aprile 1984, Pasetti, id., 1985, II, 369 (la violazione delle norme relative alla pubblicità sui

prodotti alimentari degli ingredienti adoperati, fra cui sono compresi gli additivi chimici consentiti, costituisce illecito amministrativo a segui to dell'entrata in vigore dell'art. 16 d.p.r. 18 maggio 1982 n. 322, salvo che per gli alimenti per la prima infanzia e per i prodotti dietetici disci

plinati dalla 1. 29 marzo 1951 n. 327, per i quali in caso di violazione delle disposizioni di etichettatura, continua ad applicarsi la sanzione

penale prevista dall'art. 5, 2° comma, 1. 29 marzo 1951 n. 327); 21

gennaio 1986, Peano, id., Rep. 1987, voce cit., n. 79 (la pubblicità dei prodotti dietetici è consentita quando le immagini e le frasi usate non falsino la rappresentazione delle qualità e natura del prodotto e non promettano, quali effetti dell'uso di esso, risultati non conformi a quelli reali); 23 ottobre 1989, Pompei, id., Rep. 1990, voce cit., n. 61: l'art. 5 1. 29 marzo 1951 n. 327 appronta una difesa del consumato re a livello modesto perchè il messaggio stampato sull'involucro rag giunge normalmente il consumatore dopo l'acquisto del prodotto. L'art. 10 del regolamento di esecuzione della legge, previsto dal d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, vieta, tra l'altro, ogni forma di propaganda ingannevole, specie se fatta a mezzo di giornali, riviste o altri mezzi di diffusione, ed in particolare quando contenga riproduzione di attestazioni di pareri medici. L'art. 10, quindi, realizza una difesa più specifica ed efficace, disciplinando un tipo di propaganda che raggiunge il consumatore pri ma dell'acquisto del prodotto. Di conseguenza, la tutela e la sanzione di cui all'art. 5 1. n. 327 del 1951 devono ritenersi riferite anche alla pubblicità realizzata con mezzi di maggiore diffusibilità ed efficacia, prevista dalla norma posta dall'art. 10 reg., istituzionalmente destinata ad integrare e specificare la portata dell'art. 5 della predetta legge.

Per un diverso caso di vendita di una bevanda priva di succo di limo

ne, ma avente un'etichetta con colorazione giallo-verde riproducente degli agrumi e recante la denominazione «limonade bier mix» a caratte ri grandi, Pret. Forlì 6 luglio 1988, id., 1989, II, 562, ha ritenuto sussi stente il reato di cui all'art. 13 1. n. 283 del 1962. ed è stata confermata da Cass. 19 dicembre 1989, Fondi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 81.

Per una diversa ipotesi, in cui è stato ritenuto illecito il commercio di una bevanda analcolica di fantasia denominata «Quench» contenente coloranti non bilanciato dalla presenza di succo nella percentuale mini ma prevista nell'art. 1 1. 3 aprile 1961, n. 286, v. Cass. 14 maggio 1991, n. 2726, Soc. Simmenthal c. Comune di Chiavari, inedita.

Infine, va segnalato che la materia in trattazione risulta innovata alla luce del d.leg. 27 gennaio 1992 n. Ili, attuazione della diretiva 89/398 Cee concernente i prodotti alimentari destinati ad una alimentazione

particolare (Le leggi, 1992, I, 1175), che ha abrogato la 1. 29 marzo 1951 n. 327 (art. 17).

Il Foro Italiano — 1992.

prodotto la caratteristica di «alimento dietetico». È fuor di dub

bio che nell'aranciata «Fanta» importata dalla Germania fu ag

giunta una modesta quantità di vitamina «C», e precisamente 20 milligrammi di vitamina ogni 100 millilitri di bevanda, cosi come risulta dall'etichetta applicata sulle confezioni (circostan za non contestata dall'accusa). In sostanza, è stata aggiunta al

l'incirca quella stessa quantità di vitamina che viene aggiunta a molti prodotti alimentari, quali birra e farina, per fini antios

sidanti. È vero che quale antiossidante la vitamina «C» viene

indicata come «acido ascorbico» e non necessita di autorizza

zione ministeriale, ma è pur vero che la vitamina «C» resta

sempre tale indipendentemente dalla sua denominazione. Ritie

ne dunque questo pretore che il prodotto alimentare debbasi

ritenere dietetico allorché viene aggiunta una quantità di vitami

na «C» tale da conferire allo stesso «particolari definite pro

prietà dietetiche», indipendentemente dalla terminologia usata

per qualificare la vitamina. In altri termini, è la quantità di

vitamina aggiunta al prodotto che conferisce allo stesso le «par ticolari» proprietà dietetiche e non certo il nome che viene dato

all'additivo. Può cambiare il nome, ma la sostanza resta sem

pre la medesima.

Quindi, si può concludere che, quando l'aggiunta di vitamina

«C» al prodotto, come nel caso di specie, è molto modesta, l'alimento non può essere considerato dietetico, e quindi non

è necessario che sull'involucro o sul contenitore vengano men

zionati gli estremi del decreto del ministero della sanità che au

torizza la produzione dell'alimento.

Sulla stessa falsariga è l'orientamento della Suprema corte, la quale ha ritenuto che «un comune formaggino, al quale sia

no state aggiunte soltanto vitamine o altre sostanze in quantità trascurabili, non può essere considerato come un prodotto die

tetico o come un alimento per la prima infanzia agli effetti della

1. 29 marzo 1951 n. 327 e del relativo regolamento approvato con d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, ed in particolare, agli effetti

della norma, sanzionata penalmente, che prescrive la indicazio

ne del decreto che autorizza la produzione, e del peso netto del contenuto, sull'involucro del prodotto» (Cass, pen., sez. VI, 23 maggio 1959).

E ancora «la semplice aggiunta di vitamine o di altre partico lari sostanze ad un comune formaggino non basta a qualificare

quest'ultimo come prodotto dietetico e come alimento per la

prima infanzia agli effetti delle norme contenute nella 1. 29 marzo 1951 n. 327, e nel relativo regolamento approvato con d.p.r. 30 maggio 1953 n. 578, e in particolare agli effetti della norma

penalmente sanzionabile che prescrive l'indicazione del decreto

che autorizza la produzione e del peso netto del contenuto sul

l'involucro del prodotto» (Cass. sez. Ili, ud. 23 maggio 1959,

Gandino, Foro it., Rep. 1960, voce Frode nei commerci, n. 44). Per quanto è stato fin qui esposto, l'imputata va assolta dalla

contravvenzione di cui al n. 1) della rubrica, trattandosi di per sona non punibile perché il fatto non costituisce reato.

Per quanto concerne la contravvenzione di cui al capo 2) del

la rubrica, osserva questo giudice che la ditta produttrice, non

ha adottato denominazioni o frasi pubblicitarie improprie tali da sorprendere la buona fede del consumatore, ma si è limitata

a dichiarare sulla confezione la pura verità, e cioè che alla bibi

ta era stata aggiunta della vitamina «C», esattamente quantifi cata nell'etichetta in 20 milligrammi di vitamina ogni 100 milli

litri di bevanda.

Del resto la Suprema corte di cassazione ha ritenuto che «la

pubblicità dei prodotti dietetici è consentita quando le immagini e le frasi usate non falsino la rappresentazione della qualità e

natura del prodotto e non promettano, quali effetti dell'uso di

esso, risultati non conformi a quelli reali...» (Cass., sez. VI, 21 gennaio 1986, Peano, id., Rep. 1987, voce Alimenti e bevan

de, n. 79.

Anche per detta contravvenzione, dunque, l'imputata va as

solta trattandosi di persona non punibile perché il fatto non

costituisce reato.

Il decreto penale di condanna va, previamente, revocato.

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