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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 1° giugno 1990; Pres. Carnevale,...

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sezione I penale; sentenza 1° giugno 1990; Pres. Carnevale, Est. Buogo, P.M. Pagliarulo (concl. conf.); imp. Vianello. Conflitto di competenza Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 381/382-385/386 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186381 . Accessed: 28/06/2014 13:42 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.150 on Sat, 28 Jun 2014 13:42:11 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 1° giugno 1990; Pres. Carnevale, Est. Buogo, P.M. Pagliarulo (concl.conf.); imp. Vianello. Conflitto di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.381/382-385/386Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186381 .

Accessed: 28/06/2014 13:42

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GIURISPRUDENZA PENALE

tà della pronuncia è conseguente all'esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato.

Le su esposte considerazioni consentono di affermare che non

può essere dichiarato prescritto un reato quando la causa estin

tiva sia sopravvenuta, com'è avvenuto nel caso in esame, alla

sentenza di annullamento parziale pronunciata dalla Corte di

cassazione, quando questa ha ad oggetto statuizioni diverse ed

autonome rispetto al riconoscimento dell'esistenza del fatto-reato

e della responsabilità dell'accusato.

È pur vero, infatti, che l'art. 152 c.p.p., per il suo contenuto

e per le finalità cui è diretto, altro non è che la rappresentazio ne normativa di un principio di carattere generale nel quale con

vivono e si armonizzano due anime, il favor libertatis, nella

sua più lata accezione, ed il rispetto dell'«economia processua

le»; ed è altrettanto incontestabile che quella norma, obbligan do il giudice alla sua applicazione, in qualsiasi stato e grado del procedimento, è insensibile alla preclusione processuale con

seguente al riconoscimento dell'efficacia devolutiva dei mezzi

d'impugnazione, ma rappresenta, rispetto a questa, una vera

e propria deroga. Tutto ciò però non autorizza a ritenere che, ai fini dell'applicazione dell'art. 152 c.p.p., il giudice possa pre scindere da un presupposto al quale è strettamente subordinato

il suo potere decisorio, e cioè la pendenza di un procedimento avente ad oggetto l'accertamento del fatto contestato e della

responsabilità del suo autore. Né può quella norma, nel pur doveroso rispetto della rilevanza dei principi ai quali è ispirata,

superare la barriera del giudicato ed essere applicata quando il giudizio sull'attribuibilità di un reato ad un soggetto si sia

ormai irrevocabilmente concluso.

Neppure sussiste, contrariamente a quanto dedotto da alcuni

imputati ricorrenti, un rapporto di connessione essenziale tra

le parti annullate della sentenza e quelle sottratte a tale pronun cia: il rapporto di connessione essenziale, richiesto quale condi

zione imprescindibile per attrarre alla cognizione del giudice di

rinvio le disposizioni della sentenza non comprese tra quelle an

nullate, va inteso come necessaria interdipendenza logica e giu ridica tra le diverse statuizioni, di guisa che l'annullamento di

una di esse rende inevitabile il riesame di quelle parti che, per ché non suscettibili di autonoma decisione, impongono un rin

novato giudizio. Ma siffatto rapporto non esiste in relazione all'accertamento

dell'esistenza di un reato e della responsabilità dell'autore quando sia rimessa in discussione soltanto la concedibilità di attenuanti

generiche o il giudizio sulla pericolosità sociale degli autori di

quel reato. Né lo stesso rapporto può rivivere, come invece è

stato sostenuto dalle difese di alcuni ricorrenti, attraverso l'e

saltazione di una connessione meramente probatoria, evocata

attraverso il giudizio negativo espresso dall'impugnata sentenza

sulla sufficienza della prova in relazione ai furti attribuiti agli stessi imputati ricorrenti. Innanzi tutto va osservato che non

è certamente un rapporto più o meno intenso di connessione

probatoria sufficiente a disperdere l'autonomia che caratteriz

za, nell'astratta e nella concreta configurabilità, il delitto di as

sociazione per delinquere rispetto ai singoli reati compresi nel

programma del sodalizio criminoso. D'altronde, la ricerca della

prova, in relazione al reato associativo, può legittimamente av

valersi del determinante contributo offerto dalla dimostrazione

della realizzazione del programma predisposto, ma non è certa

mente riduttivamente esauribile in questa. In ogni caso, poi, il rapporto di «necessaria connessione»,

richiesto dall'art. 545 c.p.c., non può essere dilatato al punto

da comprendere in esso l'ipotesi prevista dall'art. 45, n. 2, dello

stesso codice, giacché quest'ultima forma di connessione, ido

nea a giustificare la riunione dei procedimenti ed alcune dero

ghe alla competenza del giudice; nulla ha a che vedere con quel la imprescindibile interdipendenza che deve sussistere in relazio

ne all'oggetto delle diverse decisioni, perché è soltanto questo

rapporto capace di attrarre alla cognizione del giudice di rinvio

statuizioni che, altrimenti, sarebbero precluse dal giudicato.

Pertanto, anche sotto tale profilo, non può essere accolta la

richiesta diretta ad ottenere la declaratoria di prescrizione per il reato previsto dall'art. 416, 2° comma, c.p. Per le considera

zioni su esposte non può nemmeno provvedersi alla sostituzione

della formula assolutoria per insufficienza di prove, adottata,

Il Foro Italiano — 1991.

per alcuni imputati ricorrenti, con riferimento a quel reato, aven

do la relativa decisione acquisito autorità di cosa giudicata in

seguito alla sentenza con la quale la Corte di cassazione aveva

respinto i ricorsi degli imputati ed aventi ad oggetto quella spe cifica pronuncia. Non possono neppure essere accolti i motivi

dedotti dagli imputati Arnaldi Gianfranco, Gandolfi Riccardo, Passaro Attilio e Guglielmo Antonio e con i quali è stata de

nunciata la violazione degli art. 489, 213 e 544 c.p.p. Risulta dagli atti che le amministrazioni comunali che si era

no costituite parti civili nel procedimento non avevano limitato

la domanda risarcitoria ai soli danni conseguenti alla consuma

zione dei furti subiti dal casinò di Sanremo; né quelle costitu

zioni erano state ritenute ammissibili soltanto in relazione al

reato di furto contestato agli imputati ricorrenti.

D'altronde, in questa sede, non è più consentito contestare

la legitimatio ad causam delle parti civili in relazione all'impu tazione di associazione per delinquere: nella sentenza d'appello,

pronunciata dalla corte di Genova il 20 febbraio 1986, gli impu

tati, riconosciuti colpevoli del delitto previsto dall'art. 416 c.p., erano stati tutti condannati al risarcimento dei danni ed al pa

gamento delle spese processuali in favore delle costituite parti civili e tale capo della sentenza non ha formato oggetto della

pronuncia di annullamento da parte della Corte di cassazione.

Ne consegue che è preclusa dal giudicato la verifica dell'esisten

za e della legittimità del titolo che ha dato origine all'accogli mento della domanda risarcitoria in relazione alla condanna per

quel delitto.

Quanto poi al problema relativo alla legittimità della condan

na degli stessi imputati al pagamento delle spese relative al giu dizio di rinvio in favore delle stesse parti civili, va osservato

che allorquando vi sia stata, com'è avvenuto nel caso in esame, una dichiarazione d'impugnazione generica, che investe tutti i

capi della sentenza, la parte civile ha interesse ad intervenire

nel giudizio per contrastare tutte le possibili istanze dirette a

rimettere in discussione la proponibilità della domanda risarci

toria, ovvero il titolo che la giustifica, o il contenuto del suo

diritto.

Ne consegue che quando, a conclusione del giudizio d'impu

gnazione, resta ferma la condanna anche per uno solo dei capi

d'imputazione che legittimava l'esercizio dell'azione civile, l'im

putato dev'essere condannato al pagamento delle spese proces suali in favore della parte civile intervenuta nel giudizio, e ciò

anche se in relazione alle altre statuizioni della sentenza l'impu

gnazione dell'imputato sia stata accolta.

Il parziale accoglimento dell'impugnazione giustifica, ai sensi

del 1° comma dell'art. 213 c.p.p. il fatto che un imputato sia

esonerato dall'obbligo di rifondere le spese anticipate dallo Sta

to, ma non è certamente sufficiente per escludere, nel contem

po, l'obbligo del pagamento delle spese in favore della parte

civile, trattandosi di obbligazioni fondate su diversi presuppo sti: la soccombenza della parte civile nel giudizio d'impugnazio ne — la sola idonea ad escludere l'obbligo dell'imputato al rim

borso delle spese — si ha quando la domanda proposta dal

danneggiato dal reato e diretta ad ottenere il riconoscimento

del diritto alla restituzione ovvero al risarcimento del danno,

sia, per effetto dell'accoglimento dell'impugnazione dell'impu

tato, disattesa, ma non già quando il giudice della impugnazio ne ne confermi l'accoglimento, sia pure limitatamente ad uno

dei reati contestati. (Omissis)

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 1° giu

gno 1990; Pres. Carnevale, Est. Buogo, P.M. Pagliarulo

(conci, conf.); imp. Vianello. Conflitto di competenza.

Competenza e giurisdizione penale — Conflitto tra p.m. e g.i.p. — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 22, 28).

Indagini preliminari — Riapertura — Provvedimento di diniego — Impugnazione — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art.

127, 409, 414, 568, 606).

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PARTE SECONDA

Nel nuovo codice di procedura penale non è configurabile il

conflitto di competenza tra pubblico ministero e giudice per

le indagini preliminari in quanto, nell'eventualità di un con

trasto, prevale la decisione del giudice. (1)

Nel silenzio della legge, stante il principio di tassatività delle

impugnazioni, non è ammesso il ricorso per cassazione avver

so il provvedimento di diniego della riapertura delle indagini

preliminari dopo la precedente archiviazione; né tale diniego

può configurare una ipotesi di provvedimento abnorme, in

quanto, se la legge subordina una procedura a preventiva au

torizzazione, è conforme ed intrinseco a tale sistema sia il

provvedimento autorizzativo sia quello opposto che rifiuti l'au

torizzazione richiesta. (2)

(1-2) I. - La Corte di cassazione, nelle prime decisioni emanate dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ha costante

mente affermato che non è ipotizzabile il conflitto di competenza tra

organi del pubblico ministero, né tra pubblico ministero e giudice (Cass. 11 giugno 1990, Facchinelli, cit. in Guariniello, Il nuovo codice di

procedura penale: un anno di applicazione nella giurisprudenza della

Corte di cassazione, in Foro it., 1990, II, 537, n. 3; 11 giugno 1990,

Labanti, ibid.; 21 maggio 1990, Salvi, Ciust. pen., 1991, III, 36; 9 apri le 1990, Arch, nuovaproc. pen., 1990, 605; 2 aprile 1990, Rosmi, ibid.,

605; 20 febbraio 1990, Ruta, Foro it., 1990, II, 294; 19 febbraio 1990,

Facchinari, ibid., 295; 19 febbraio 1990, Rinchi, Giur. it., 1990, II,

296; 9 febbraio 1990, Ignoti, Cass, pen., 1990, II, 82; 29 gennaio 1990,

Rufinatscha, ibid., 152; contra, Proc. rep. presso Pret. circ. Cremona

11 maggio 1990, Arch, nuova proc. pen., 1990, 59).

Questa soluzione viene giustificata in base a un duplice ordine di

considerazioni. In primo luogo, il conflitto di competenza (che è delimitazione della

giurisdizione) non potrebbe configurarsi se non tra giudici, cioè tra sog

getti funzionalmente omogenei, con la conseguenza che il pubblico mi

nistero — quale parte — non sarebbe idoneo ad entrare in una situazio

ne conflittuale con organi giurisdizionali (Cass. 21 maggio 1990, Salvi,

cit.; 20 febbraio 1990, Ruta, cit.; 9 febbraio 1990, Ignoti, cit.). Inoltre, il principio della prevalenza della decisione del giudice del dibattimento

rispetto alla determinazione del giudice dell'udienza preliminare — san

cito dall'art. 28, 2° comma, c.p.p. — sarebbe applicabile a fortiori con riferimento ai contrasti tra giudice e pubblico ministero; ne conse

guirebbe che, non potendosi prospettare un conflitto di competenza per caso analogo, il pubblico ministero «deve ritenersi vincolato dalla deci

sione del giudice per le indagini preliminari e da quella del giudice del

dibattimento, nei confronti dei quali non può assumere un comporta mento processuale tale da determinare una stasi del processo» (Cass. 11 giugno 1990, Facchinelli, cit.; 11 giugno 1990, Labanti, cit.; 29 gen naio 1990, Rufinatscha, cit.).

Un ulteriore elemento a sostegno di questa tesi è stato individuato

dalla sentenza in rassegna nella relazione al progetto preliminare del

codice, laddove si afferma espressamente che non è possibile «la confi

gurabilità di conflitti tra pubblico ministero e giudice» in considerazio

ne della qualità di parte — sia pure pubblica — che il pubblico ministe

ro ha nel contesto del nuovo sistema processuale (Le leggi, 1988, 2374,

2385). La dottrina, dal canto suo, si è schierata su due posizioni tra loro

nettamente contrastanti. Da un lato, analogamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza

di legittimità, si è affermato che il conflitto di competenza può insorge re solo tra organi dotati di potestà giurisdizionale (Bonetto, in Com

mentario al nuovo processo penale coordinato da Chiavario, Torino,

1989, I, 167; Conti-Macchia, Il nuovo processo penale. Lineamenti

della riforma, 2a ed., Milano, 1990, 23; Macchia, in Commentario

del nuovo processo penale, a cura di Amodio-Dominioni, Milano, 1989,

I, 184; Marafioti, Contrasti tra uffici dei pubblico ministero, in Giur.

it., 1990, II, 397; Nappi, Competenza, voce del Digesto pen., Torino,

1990, IV, 497; Zappalà, in Conso-Grevi, Profili del nuovo codice di

procedura penale, Padova, 1990, 13). Altra parte della dottrina ha, invece, prospettato una soluzione diver

sa (Cordero, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1990,

34, n. 5; Dubolino-Baglione-Bartolini, Il nuovo codice di procedura

penale illustrato per articolo, Piacenza, 1989, 97, s.; Nobili, La nuova

procedura penale, Bologna, 1989, 188 s.; Tranchina, in Siracusano

Dalia-Galati-Tranchina-Zappalà, Manuale di diritto processuale pe nale, Milano, 1990, I, 155 s.; Turel-Buonocore, Il nuovo rito penale, Udine, 1989, 35). In particolare — partendo dall'art. 28, 2° comma,

c.p.p. che esclude la possibilità di conflitto per caso analogo solo per i contrasti tra giudice del dibattimento e giudice dell'udienza prelimina re — si è sostenuto che i conflitti di competenza «per casi analoghi» sono ipotizzabili ogniqualvolta i contrasti, possibili anche tra organi non giurisdizionali, riguardino la competenza a compiere un determina

to atto, attribuito alla sfera funzionale di uno dei soggetti in contrasto, e la stasi processuale conseguente risulti eliminabile solo mediante l'ele

vazione del conflitto. Tutto questo deriverebbe da «una regola generale

Il Foro Italiano — 1991.

Fatto. — A seguito di un esposto presentato il 17 febbraio

1989 da Magnanini Massimo, Magnanini Elio e Magnanini Mau

rizio nei confronti di Vianello Sante, non ravvisando estremi

di reato bensì, «al più, un illecito civile» con decreto in data

24 febbraio 1989 il Pretore di San Donà di Piave disponeva

l'archiviazione della denuncia ai sensi dell'art. 74 c.p.p. (del

1930). Successivamente, essendogli pervenuti dalla procura della re

pubblica presso il Tribunale di Venezia atti da riunire al prece

dente fascicolo concernente il Vianello, con decreto del 11 otto

bre 1989 il Pretore di S. Donà di Piave confermava la già di

sposta archiviazione del 24 febbraio 1989 ed inoltre disponeva

la restituzione al notaio Giuseppe Galimberti di Venezia delle

buste e di quattro libretti di deposito a risparmio che il procura

tore della repubblica di Venezia aveva sottoposto a sequestro.

Con successiva istanza in data 2 novembre 1989 i predetti

Magnanini nonché Boscaro Alvaro insistevano presso il procu

ratore della repubblica presso la Pretura di Venezia acché pro movesse l'azione penale per gli stessi fatti in precedenza narrati

ma detto procuratore non ravvisando elementi nuovi né in fatto

né in diritto, si limitava a trasmettere al Pretore di San Donà

di Piave l'ulteriore esposto non ravvisando «negli atti ragioni

per l'accoglimento della richesta formulata il 2 novembre 1989».

Magnanini Massimo e Magnanini Maurizio non demordeva

no, tanto che con successiva istanza del 7 dicembre 1989 inve

stivano il procuratore della repubblica presso la Pretura circon

dariale di Venezia affinché richiedesse al g.i.p. l'autorizzazione

alla riapertura delle indagini nonché per la restituzione alla Marco

Polo s.r.l., rappresentata dal Magnanini Massimo, dei quattro

libretti bancari che il Vianello aveva depositato presso il notaio.

A tal punto, con richiesta formulata il 21 dicembre 1989 il

procuratore della repubblica presso la Pretura circondariale di

Venezia chiedeva al giudice per le indagini preliminari affinché

si pronunciasse sulla domanda di riapertura della indagini, ài

sensi dell'art. 414 c.p.p. (nuovo codice). Con provvedimento del 31 gennaio 1990 il g.i.p. dichiarava

non luogo a provvedere e disponeva le retribuzione degli atti

al procuratore della repubblica suddetto in quanto l'archivia

zione era stata disposta sotto la vigenza del precedente codice

di rito, non precludeva l'eventuale esercizio successivo dell'a

zione penale da parte del procuratore della repubblica, senza

necessità che, nel caso in esame, esso giudice dovesse autorizza

re riapertura delle indagini dato che il decreto previsto ex art.

414, n. 1, c.p.p. presupponeva una precedente archiviazione ef

fettuata secondo la diversa (rispetto al precedente rito) articola

zione e disciplina del nuovo codice di procedura nella specie inesistente.

Se ne duole il procuratore della repubblica presso la Pretura

circondariale di Venezia con ricorso del 15 febbraio 1989 col

quale, oltre a denunciare per abnormità il provvedimento adot

tato dal g.i.p. il 31 gennaio 1990, comunque solleva conflitto

negativo di competenza in quanto ritiene che non gli sia possi bile esperire le necessarie indagini né promuovere l'azione pena le senza l'autorizzazione del g.i.p., cosi determinandosi una si

tuazione di stasi processuale. Diritto. —- Le deduzioni qui avanzate articolano, dunque un

conflitto ed un ricorso, contestualmente.

Quanto al conflitto, e per le ragioni già in parte ribadite (ve

dasi, tra le altre: Cass., sez. I, 18 aprile 1990, n. 1037) non

può questa Suprema corte che rilevare inammissibilità della de

nuncia.

Infatti, il nuovo codice di rito penale, adempiendo alle diretti

ve della legge delega, ha conferito un'impronta più marcatamen

te accusatoria al procedimento penale, accentuando maggiormente la terzietà di un giudice super partes e sottolineando invece il

in tema di libertà di giudizio . . . secondo la quale qualsiasi organo chiamato a compiere un atto di propria spettanza da parte di altro or

gano che non sia quello del controllo di legittimità, può contestare la

liceità della pretesa, rifiutando di adempiervi» (Tranchina, op. cit., 155). II. - Il principio affermato dalla seconda massima, infine, è piena

mente da condividere in quanto il nuovo codice, con la regola generale in tema di tassatività delle impugnazioni (art. 568) e con la mancata

previsione del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di diniego della riapertura delle indagini dopo la precedente archiviazione, ha reso

inoppugnabili tali provvedimenti. [A. Scaglione]

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GIURISPRUDENZA PENALE

ruolo di parte, che sostiene la pubblica accusa, nel p.m. cui

è stato tolto ogni potere decisorio e che si è voluto sottrarre

alla giurisdizionalizzazione.

Sull'argomento la relazione al progetto preliminare ed al te

sto definitivo del codice è quanto mai esplicita nel negare «la

configurabilità di conflitti tra pubblico ministero e giudice», in

coerenza con una logica che rende concettualmente impossibile un contrasto fra giudice e parte, che possa indurre ad una stasi

del procedimento, mentre ai contrasti fra magistrati del pubbli co ministero è stata data soluzione all'interno dell'organizzazio ne di questo stesso organo mediante le disposizioni dell'art. 54

c.p.p.

Che, poi, il legislatore sia concretamente rimasto fedele alle

intenzioni spiegate nel progetto preliminare risulta dalla formu

lazione dell'art. 28, n. 1, c.p.p. il quale testualmente riconduce

le ipotesi di conflitto ai casi in cui il contrasto nel prendere o nel ricusare di prendere cognizione del medesimo fatto attri

buito alla stessa persona corra fra giudici soltanto.

La possibilità di conflitti per «casi analoghi», che secondo

il vecchio codice ed in un contesto nel quale all'ufficio del p.m. erano attribuite funzioni di carattere giurisdizionale, consentiva

la sussunzione dell'ipotesi conflittuale pure tra p.m. e giudice, è stata ora ricondotta nell'alveo dei contrasti fra soli giudici, attraverso il richiamo operato dell'art. 28, n. 2, ai casi previsti dal precedente comma, n. 1; e lo stesso legislatore ha voluta

mente evitato qualsiasi riferimento a casi di contrasto tra pub blico ministero e giudice, proprio per sottolineare che eventuali

casi di contrasto non sono riconducibili alle categorie dei con

flitti «anche in considerazione delle qualità di parte — sia pure

pubblica — che il pubblico ministero ha nel contesto del nuovo

sistema processuale». In tal modo, la disciplina dei conflitti si qualifica quale mez

zo per regolare l'ambito della giurisdizione e della competenza — che riguarda i soli giudici — e non anche i dissensi tra uffici

giudiziari in ordine a situazioni diverse. Acquistano cosi particolare significato, confermativo dei pre

cedenti rilievi, sia la disposizione dell'art. 28, n. 2, c.p.p. che

prevede l'ipotesi di conflitto fra giudice dell'udienza prelimina re e giudice del dibattimento, attribuendo prevalenza alla deci

sione di quest'ultimo, sia la disposizione dell'art. 30, n. 2, c.p. il quale parifica il ruolo del p.m. a quello delle parti private nel momento della denuncia del conflitto.

Dal che si evince che non è ipotizzabile conflitto fra p.m. e g.i.p. perché in evenienza di un contrasto fra i due prevale la decisione del giudice.

Il conflitto qui denunciato dal p.m. presso la Pretura circon

dariale di Venezia deve essere quindi ritenuto inammissibile.

Anche la restante parte, formulativa di un ricorso a questa

Suprema corte, avanzato dal p.m. che qualifica come abnorme

il provvedimento del g.i.p. denegante la necessità — nella spe

cie — di autorizzazione alla riapertura delle indagini, deve esse

re ritenuta inammissibile.

Va tenuto presente, infatti, che, essendo rimasto fermo il prin

cipio della tassatività dei mezzi di impugnazione (art. 568, n.

1, c.p.p.), sono soggetti a ricorso solo quei provvedimenti pei

quali è stato specificatamente previsto tale rimedio, quelli con

cernenti la libertà personale, le sentenze diverse da quelle sulla

competenza che possono dare luogo ad un conflitto di giurisdi zione o di competenza (art. 568, n. 2, c.p.p.), nonché i provve dimenti abnormi, ossia quelli che si pongano talmente al di fuo

ri dell'ordinamento e del sistema processuale da non potere es

sere previsti e pei quali l'unico rimedio è quello dato dalla verifica

di legittimità, unica coerente al vizio che li permea.

Nel procedimento per l'archiviazione la sola ipotesi di ricorri

bilità è data dall'art. 409, n. 6, c.p.p., il quale prevede siffatto

mezzo di impugnazione solo allorquando il giudice dispone l'ar

chiviazione con ordinanza affetta da taluna delle nullità previ

ste dall'art. 127, 5° comma, c.p.p.; eguale rimedio non è invece

previsto né dall'art. 414 c.p.p. — che disciplina la riapertura

delle indagini dopo precedente archiviazione — né da alcun'al

tra norma, nelle ipotesi che venga richiesta l'autorizzazione ivi

prevista. Né può sostenersi che dopo l'emissione del provvedimento

di archiviazione il rifiuto ad accedere alla richiesta di riapertura

delle indagini, avanzata dal p.m., possa configurare una ipotesi

Il Foro Italiano — 1991 — Parte II-12.

di provvedimento abnorme perché se la legge subordina una

procedura a preventiva autorizzazione è congeniale ed intrinse

co a tale sistema sia il provvedimento autorizzativo sia quello — opposto — che rifiuti l'autorizzazione richiesta, allorquando il g.i.p. non ravvisi gli estremi di legge; e, d'altra parte, sarebbe

contrario al sistema il prevalere della volontà della parte su quella del giudice.

Devesi quindi dare atto che, nella specie, il ricorso investe

un provvedimento sottratto ad impugnazione di qualsiasi tipo e che, pertanto, risulta avanzato al di fuori dei casi consentiti

dalla legge: il che lo rende inammissibile ai sensi dell'art. 606, n. 3, c.p.p.

Dall'inammissibilità del conflitto e del ricorso deriva che non

può questo Supremo collegio indugiare nello spiegare le ragioni

per le quali sarebbero da ritenere fondate le argomentazioni svolte

dal g.i.p. per le quali il p.m. sarebbe — nella specie — libero

di attivare nuove indagini od esercitare l'azione penale senza

necessità di previa autorizzazione, in quanto la conseguente mo

tivazione non sarebbe funzionale alla decisione oggi adottata

e quindi non potrebbe formarsi un giudicato vincolante le parti.

CORTE D'APPELLO DI ROMA; sezione per i minorenni; sen

tenza 23 maggio 1990; Pres. Figliuzzi, Est. Infelisi; imp. C.M. ed altri.

CORTE D'APPELLO DI ROMA;

Tribunale per i minorenni — Disciplina transitoria — Appello — Inammissibilità dell'azione civile — Inapplicabilità (D.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, approvazione delle disposizioni sul

processo penale a carico di imputati minorenni, art. 10; d.leg. 28 luglio 1989 n. 272, norme di attuazione, di coordinamento

e transitorie del d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, art. 30). Tribunale per i minorenni — Disciplina transitoria — Appello

— Sospensione del processo e messa alla prova — Esclusione

(D.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, art. 28; d.leg. 28 luglio 1989 n. 272, art. 30).

La preclusione all'esercizio dell'azione civile in sede di processo

penale a carico di imputati minorenni, introdotta dall'art. 10

d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448, non si applica, in virtù della

disciplina transitoria prevista dall'art. 30 d.leg. 28 luglio 1989

n. 272, ai procedimenti ancora pendenti in grado d'appello. (1) L'istituto della sospensione del processo e messa alla prova del

l'imputato minorenne, introdotto dall'art. 28 d.p.r. 22 set

tembre 1988 n. 448, non si applica, per esplicita previsione dell'art. 30 d.leg. 28 luglio 1989 n. 272, in sede di giudizio

d'appello ai processi iniziati con il vecchio rito. (2)

(1-2) Con la presente decisione la Corte d'appello di Roma ha risolto

due questioni di notevole interesse relativamente all'applicazione, in un

giudizio già iniziato sotto l'impero della precedente disciplina normati

va (r.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404), di alcune fra le più importanti inno

vazioni operate dalla riforma del processo penale minorile.

Il legislatore ha prescritto, in sede di disposizioni di attuazione, di

coordinamento e transitorie, l'immediata estensione ai procedimenti an

cora pendenti solo di alcuni dei nuovi istituti previsti, tenendo conto

delle finalità, della natura giuridica e della compatibilità della ratio de

gli stessi con il vecchio rito.

Pertanto, la corte d'appello ha fatto riferimento all'art. 30 d.leg. 28

luglio 1989 n. 272, recante le norme transitorie del processo penale a

carico di imputati minorenni, cercando, nell'operazione ermeneutica com

piuta, di mettere in evidenza le ragioni di ordine sistematico poste a

fondamento della norma stessa.

Infatti, dovendo pronunciarsi su una richiesta difensiva di estromis

sione della parte civile dal giudizio d'appello, conclude per la negativa

svolgendo una duplice considerazione. Se è pur vero che, nel nuovo

processo minorile ispirato, tra gli altri, ad un criterio di celerità ed in

formalità mirante a favorire la rieducazione, il reinserimento e la fuo

riuscita dell'imputato minorenne dal c.d. «circuito penale», è inammis

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