+ All Categories
Home > Documents > PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 11 marzo 1988; Pres. Sorrentino,...

PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 11 marzo 1988; Pres. Sorrentino,...

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: trinhduong
View: 212 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
4
sezione I penale; sentenza 11 marzo 1988; Pres. Sorrentino, Est. Giuliani, P. M. Ciani (concl. conf.); ric. Zuccaro. Annulla Magistrato sorveglianza Pisa, ord. 28 novembre 1987 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 349/350-353/354 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179681 . Accessed: 25/06/2014 06:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 06:22:07 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript

sezione I penale; sentenza 11 marzo 1988; Pres. Sorrentino, Est. Giuliani, P. M. Ciani (concl.conf.); ric. Zuccaro. Annulla Magistrato sorveglianza Pisa, ord. 28 novembre 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.349/350-353/354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179681 .

Accessed: 25/06/2014 06:22

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 06:22:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 11 marzo

1988; Pres. Sorrentino, Est. Giuliani, P. M. Ciani (conci,

conf.); ric. Zuccaro. Annulla Magistrato sorveglianza Pisa, ord.

28 novembre 1987.

CORTE DI CASSAZIONE;

Ordinamento penitenziario — Remissione del debito — Pena in

teramente condonata — Ammissibilità — Esclusione (Cod. pen., art. 174; 1. 26 luglio 1975 n. 354, norme sull'ordinamento peni tenziario e sulla esecuzione dalle misure privative e limitative

della libertà, art. 56; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche alla

legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle mi

sure privative e limitative della libertà, art. 19). Ordinamento penitenziario — Remissione del debito — Doman

da — Proposizione — Termine iniziale — Esclusione (L. 26

luglio 1975 n. 354, art. 56; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 19).

La remissione del debito non può essere accordata a chi abbia

riportato una pena interamente condonata. (1) Non esiste un termine iniziale per la domanda di remissione del

debito ai sensi dell'art. 56 I. 354/75, nella formulazione di cui

all'art. 19 I. 663/86; tale domanda può essere proposta dal con

dannato o dall'internato non appena l'ufficio competente ab

bia determinato la somma da pagare. (2)

(1-2) Conformemente alla sentenza che si riporta sulla inapplicabilità dell'istituto in esame a chi abbia riportato una condanna a pena intera

mente condonata, v. Cass. 27 marzo 1984, Rossi, Foro it., Rep. 1985, voce Ordinamento penitenziario, n. 93 (richiamata in motivazione); ana

logo principio è stato affermato in tema di pena condizionalmente sospe sa (Cass. 4 maggio 1987, Bocchini, Riv. pen., 1988, 311). L'orientamento

della Cassazione trova consenziente la dottrina: v., di recente, Casaroli, La remissione del debito e le modifiche in materia di liberazione condi

zionale, in AA.VV., Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, a

cura di Flora, Milano, 1987, 421.

Sulla insussistenza, dopo la modifica dell'art. 56 1. 354/75 apportata dalla 1. 663/86, di un termine iniziale per la proposizione della domanda

di remissione del debito, v. Cass. 26 febbraio 1988, Nobile, e 25 settem

bre 1987, Alloisio, entrambe inedite. Analogamente in dottrina, v. Al

beggianti, Commento all'art. 19 della legge 10 ottobre 1986 n. 663, in

Legislazione pen., 1987, 205; Cesaris, Sul carattere «ordinatorio» del

termine per la richiesta di remissione del debito, in Cass. pen., 1987,

1238; Di Gennaro-Bonomo-Breda, Ordinamento penitenziario e misure

alternative alla detenzione, Milano, 1987, 317; su! nuovo testo dell'art.

56, v., altresì, diffusamente, Casaroli, op. cit., 411 s.

Anteriormente alla riforma del 1986 la domanda di remissione dal de

bito, ai sensi dell'art. 96 d.p.r. 29 aprile 1976 n. 431 (regolamento di

esecuzione della 1. n. 354), doveva «essere presentata nel mese che prece de la dimissione e, comunque, non oltre i tre mesi successivi». Secondo

la giurisprudenza assolutamente prevalente, quest'ultimo termine (ma se

condo talune decisioni anche il primo) era da considerare perentorio atte

so il carattere integrativo della disposizione testé riportata rispetto a quel la di cui all'art. 56 della legge: v., fra le tante, Cass. 23 settembre 1985,

Falconi, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 114; 11 febbraio 1985, Dal

Maso, ibid., n. 117; 25 novembre 1982, Petroncini, id., Rep. 1984, voce

cit., n. 110; 19 febbraio 1982, Capovilla, ibid., n. 113; 20 novembre 1979,

Ciavarro, id., Rep. 1980, voce cit., n. 85. Contra, isolatamente, Cass.

22 aprile 1985, Vasi, id., Rep. 1986, voce cit., n. 116, la quale in motiva

zione (Cass. pen., 1987, 1237) osserva che «l'art. 96 del regolamento det

ta un termine che attiene all'ordinato deflusso delle istanze di remissione

del debito: termine dunque ordinatorio, dalla cui inosservanza non viene

preclusa la proponibilità della domanda». L'orientamento prevalente in

giurisprudenza è stato condiviso in dottrina da Di Gennaro-Bonomo

Breda, op. cit., 1984, 274; riserve critiche sono state, invece, espresse da Casaroli, op. cit., 437; Cesaris, op. cit., 1340; Id., Remissione del

debito ex art. 56 ord. pen. e dimissione anticipata del condannato, in

Cass. pen., 1981, 1891.

Sull'art. 96 del regolameto di esecuzione della 1. 354/75, per la parte in cui ha introdotto termini perentori per la proposizione della domanda

di remissione del debito, è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costitu

zionale, la quale, con sentenza 7 marzo 1984, n. 51 (Foro it., 1984, I,

908), ha dichiarato inammissibile la questione in quanto proposta con

riguardo ad un atto privo di forza di legge.

* * *

Per completezza di informazione riportiamo la requisitoria scritta dal

procuratore generale: «Con ordinanza 28 novembre 1987 il Magistrato di sorveglianza

di Pisa ha dichiarato inammissibili le istanze (rectius: domande: v.

art. 56 1. 26 luglio 1975 n. 354) di remissione del debito, pre

II Foro Italiano — 1988 — Parte lì-10

Rileva che con ordinanza del 28 novembre 1987 il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Pisa dichiarava inammissibili due

istanze proposte dal condannato, detenuto in espiazione di pena, Zuccaro Alessandro volte ad ottenere la remissione del debito

relativo alle spese processuali riguardanti due diversi procedimen ti penali conclusisi, uno, con pena detentiva interamente condo

nata, l'altro, con la condanna all'ergastolo in corso di espiazio

ne; che contro la predetta ordinanza ha proposto ricorso in Cas

sazione la Zuccaro deducendo che le due pene potevano essere

cumulate dando luogo, cosi, ad un'unica sanzione penale; che,

sostanzialmente, si tratta dello stesso procedimento sicché l'uffi

sentate da Zuccaro Alessandro, relative alle spese processuali conseguenti le sentenze 12 febbraio 1980 della Corte d'appello di Milano, con la quale è stato condannato a pena interamente condonata, e 2 novembre 1984

della Corte d'assise d'appello di Milano, con cui è stato condannato alla

pena dell'ergastolo. Ha ritenuto il giudice di merito, quanto alla prima, che fosse di ostaco

lo alla remissione del debito la mancata espiazione della pena inflitta

e, relativamente alla seconda, che il giudizio sulla «regolare condotta»

di cui all'art. 30 ter, 8° comma, 1. 26 luglio 1975 n. 354, inserito dall'art.

9 1. 10 ottobre 1986 n. 663, e richiamato dall'art. 56 della citata 1. n.

354, nella formulazione di cui all'art. 19 della recente legge del 1986, non possa essere formulato se non a conclusione del periodo di detenzio

ne e, nel caso di condanna all'ergastolo, dopo la eventuale liberazione

condizionale; ciò in considerazione e della natura del beneficio e della

sua irrevocabilità.

Propone ricorso per cassazione (tale va qualificato il ricorso «alla se

zione — recte: tribunale — di sorveglianza» dello Zuccaro, mancando

la prova che questi abbia inteso avvalersi di un mezzo di gravame non

consentito) l'interessato il quale con motivi personalmente redatti denun

cia l'illegittimità dell'impugnata ordinanza; in particolare, per quel che

concerne le spese conseguenti la condanna all'ergastolo, assume che nes

suna limitazione è prevista dalla legge; se cosi fosse la norma sarebbe

in contrasto con l'art. 3 Cost.

Il ricorso è solo parzialmente fondato.

Codesta corte ha già avuto modo di affermare che l'istituto in esame

non può essere applicato nei confronti di chi abbia riportato una condan

na interamente condonata (v. sez. I 27 marzo 1984, Rossi, Foro it., Rep.

1985, voce Ordinamento penitenziario, n. 93); in tal caso, invero, non

essendovi stata carcerazione non può essere espressa valutazione alcuna

in ordine al fondamentale ed imprescindibile requisito della regolare con

dotta in istituto richiesto per la remissione del debito. Né è possibile, come giustamente rileva il giudice a quo, compiere una valutazione siffat

ta in relazione alla pena espiata per altro reato giacché la stessa deve

essere effettuata con esclusivo riferimento alla detenzione (o all'interna

mento) subita a seguito della sentenza di condanna alla quale le spese si riferiscono; diversamente si dovrebbe pervenire alla conclusione che

la buona condotta durante l'esecuzione di una singola pena detentiva possa valere per la remissione di tutti i debiti derivanti da varie condanne, an

che se in ipotesi le condotte durante l'esecuzione di altre pene detentive

non fossero state meritevoli.

Le altre doglianze mosse sul punto all'impugnato provvedimento —

cumulabilità della pena condonata con quella in esecuzione, divisione del

le spese fra tutti i condannati — sono irrilevanti (non risulta, invero, che il condono sia stato revocato), o inammissibili in questa sede.

Fondata è, invece, la censura relativa alla declaratoria di inammissibili

tà della remissione per quel che concerne le spese conseguenti la condan

na all'ergastolo, non potendo essere condivisa, come codesta corte ha

recentemente ritenuto, adottando la requisitoria scritta da questo genera le ufficio (v. sez. I, c.c. 25 settembre 1987, Alloisio), la tesi del Magistra to di sorveglianza di Pisa.

Il testo novellato dell'art. 56 dell'ordinamento penitenziario ha intro

dotto una rilevante innovazione costituita dall'espressa menzione del ter

mine finale — in precendenza previsto dall'art. 96 d.p.r. 29 aprile 1976

n. 431, recante norme regolamentari di detto ordinamento — che si è

fatto coincidere con l'esaurimento della procedura di recupero del credito.

Si tratta di un'innovazione radicale che ha ampliato il precedente ter

mine, considerato perentorio dalla giurisprudenza prevalente, con la sola

eccezione di sez. I 22 aprile 1985, Vasi (id., Rep. 1986, voce cit., n.

116), in modo tale da far si che venga esclusa soltanto l'ipotesi di ripeti zione di somme già corrisposte e che manifesta una volontà del legislato re di eliminare in concreto effettive limitazioni temporali per proporre la domanda di remissione del debito, tant'è che non ha neppure menzio

nato un termine iniziale che non può certo essere ricavato dal citato art.

96 (le modificazioni ed integrazioni del regolamento, previste dall'art.

32 1. 663/86 non sono state a tutt'oggi apportate, nonostante fosse ivi

previsto il termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge per la

loro adozione) poiché è evidente che, essendo completamente mutata la

disposizione principale, nessun effetto può più spiegare il pregresso rego lamento sul punto.

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 06:22:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

PARTE SECONDA

ciò avrebbe dovuto fare un'unica richiesta di pagamento; che la

somma complessiva andava suddivisa fra tutti i coimputati; che

l'esclusione dal beneficio dei condannati all'ergastolo determina

va una violazione del principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini

dinanzi alla legge; che la disposizione di cui all'art. 56 dell'ordi

namento penitenziario non escludeva dal beneficio i condannati

all'ergastolo; che l'art. 27 Cost, parlava di rieducazione del con

dannato in genere e, quindi, anche del condannato all'ergastolo.

Chiedeva, in conclusione, l'accoglimento delle istanze e, in su

bordine, la sospensione della procedura di recupero delle spese

Il magistrato di sorveglianza ha, come s'è già detto, ritenuto di poter ricavare il termine iniziale dalla stessa natura dell'istituto, legato alla ve

rifica della regolare condotta che sarebbe collegata ad una valutazione

da compiersi in epoca successiva o, quanto-meno, prossima alla scarcera

zione; ma tali argomentazioni, ancorché apprezzabili sul piano logico, dovendosi tenere presente che la remissione del debito è irrevocabile, con

trastano con lo stato attuale della normativa non potendosi negare, in

assenza di una precisa disposizione al riguardo, il diritto del detenuto

di richiedere l'applicazione di una misura che, se concessa, porrebbe al

riparo sé ed i suoi familiari conviventi dal pregiudizio derivante dall'ese

cuzione forzata.

Aggiungasi, ad ulteriore conforto di tale tesi, che nel caso della pena

dell'ergastolo o di pene temporanee di non breve durata, la soluzione

interpretativa che qui si contrasta renderebbe praticamente impossibile la remissione del debito per le spese di procedimento (per quelle di man

tenimento in carcere il problema non si pone prima della dimissione, giacché solo a tale data si procede alla loro definitiva liquidazione).

Invero, subito dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condan

na il cancelliere provvede alla redazione della «parcella» ed al compimen to di tutti gli atti successivi previsti dalla legge per il recupero delle spese

(art. 613 e 614 c.p.p.; r.d. 23 dicembre 1865 n. 2701; r.d. 10 dicembre 1982 n. 835). Ne consegue, nell'ipotesi appunto di pena dell'ergastolo o di pene temporanee di lunga durata, che al momento della dimissione

dal carcere, o in epoca immediatamente precedente a tale dimissione, la

procedura per il recupero delle spese potrebbe essersi già conclusa con

impossibilità, quindi, per il condannato di chiederne la remissione, atteso

che, come s'è detto, il momento conclusivo di tale procedura è stato con siderato dal legislatore del 1986 quale termine perentorio per proporre la relativa domanda.

Né può assumersi che l'orientamento interpretativo qui sostenuto si

ponga in contrasto con la ratio ispiratrice dell'istituto in esame, pacifica mente identificata dalla giurisprudenza (v., per tutte, sez. I 27 marzo

1984, Rossi, cit.) e dalla dottrina nella necessità di evitare che il condan nato sia perseguito civilmente per il debito di giustizia e spogliato dei

mezzi di sussistenza proprio nel momento, assai delicato e difficile, in

cui, a seguito della dimissione dal carcere, deve attuarsi il suo reinseri mento nella società e, quindi, nella finalità di agevolarlo. Tale reinseri

mento, infatti, può essere reso meno difficoltoso non solo evitando al

condannato, una volta uscito dal carcere, l'esborso di somme, anche rile

vanti, di denaro, ma pure consentendogli, durante la detenzione, median

te un'oculata amministrazione del peculio, di preparare, anche da un punto di vista economico, il suo rientro a pieno titolo nella società. Un tale

risultato, invero, può essere conseguito sia evitando che dalla remunera zione per l'eventuale lavoro svolto sia effettuato il prelievo per le spese sostenute dallo Stato (cfr. art. 145 c.p. e 24 1. 354/75), sia sottraendo all'esecuzione forzata qualche bene di modesto valore che egli possegga fuori dall'istituto; ciò sarebbe del tutto compatibile con il requisito delle

«disagiate condizioni economiche», richiesto dal più volte ricordato art.

56, che non si identifica con una situazione di assoluta indigenza. Neppure è di ostacolo, di fronte alla chiara volontà palesata dal legisla

tore del 1986, la irrevocabilità del beneficio in esame, talché sarebbe pri vo di sanzione il comportamento del condannato, successivo alla remis

sione, contrastante con quanto dispone il già ricordato 8° comma del l'art. 30 ter. A prescindere, infatti, dal rilievo che l'addotto inconveniente non giustificherebbe, da solo, una diversa soluzione ermeneutica, deve

rilevarsi, che di un tale mutamento di condotta il magistrato di sorve

glianza potrà tener conto ove, successivamente, il condannato invochi la remissione del debito per le spese di mantenimento in carcere.

La mancanza dell'espressa previsione di un termine iniziale per la pre sentazione della domanda di remissione non significa che un siffatto ter mine non sia desumibile dal sistema. È di tutta evidenza, infatti, che la relativa pronuncia giammai potrà essere anteriore alla quantificazione del debito, al momento, cioè, in cui il credito dello Stato diventa certo, liquido ed esigibile; il giudizio sulle disagiate codizioni economiche, infat

ti, è per sua natura relativo, in quanto intimamente connesso all'entità delle spese da recuperare ed al momento storico in cui la pretesa credito ria è fatta valere, con la conseguenza che, ove non sia stata ancora deter minata al magistrato di sorveglianza, è precluso adottare una decisione di merito, dovendo, in tal caso, dichiarare, allo stato, inammissibile la

domanda, il che non preclude una successiva riproposizione della stessa.

Il Foro Italiano — 1988.

e, nello stesso tempo, sollecitava la corte a proporre la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 dell'ordinamento peniten ziario e dell'art. 96 del regolamento di esecuzione dell'ordina

mento di cui sopra. Osserva: occorre precisare innanzitutto che l'attuale impugna

tiva deve essere qualificata ricorso per cassazione, in quanto, an

che se lo Zuccaro sembra rivolgersi alla «seziorie di sorveglian

za», non v'è prova che abbia voluto avvalersi di un mezzo non

consentito.

Ciò premesso, ritiene questa corte che il ricorso è solo in parte fondato.

In ordine alla remissione del debito riguardante le spese atti

nenti al procedimento conclusosi con sentenza del 12 febbraio

1980 l'inammissibilità dell'istanza cui è pervenuto il magistrato di sorveglianza non è contestabile. La remissione del debito, se

condo l'insegnamento giurisprudenziale in materia (Cass., sez. I, 27 marzo 1984, ric. Rossi, Foro it., Rep. 1985, voce Ordinamen

to penitenziario, n. 93) non può essere accordata a chi abbia ri

portato una pena interamente condonata; e ciò perché, in man

canza di uno stato di detenzione, non è possibile accertare la sus

sistenza di quella «regolare condotta» tenuta dal condannato nel

corso dell'espiazione della pena che costituisce una delle condi

zioni imprescindibili per la concessione del beneficio (art. 56 del

l'ordinamento penitenziario come sostituito dall'art. 19 1. 10 ot

tobre 1986 n. 663 in relazione all'art. 9, n. 8, della legge stessa). D'altra parte non è consentito, come rettamente ha rilevato

il giudice a quo, riferire la valutazione della condotta del condan

nato all'espiazione di una condanna riportata in un altro proces so poiché in tal modo si finirebbe per attribuire un trattamento

di favore a colui che oltre ad aver riportato una condanna che

non importa l'esecuzione della pena (pena pecuniaria; pena con

donata) abbia riportato altra condanna che importa esecuzione,

rispetto a colui che è stato condannato solo ad una pena cui non

consegua esecuzione.

Fondata è, invece, la censura relativa alla declaratoria d'inam

missibilità dell'istanza di remissione del debito riguardante le spe se riferite alla condanna all'ergastolo.

Il magistrato di sorveglianza ha ravvisato un ostacolo all'am

missibilità dell'istanza nel fatto che, riferendosi sia l'art. 56 sia

il nuovo art. 30 ter, n. 8, dell'ordinamento penitenziario all'inte

ro periodo di detenzione subita e, quindi, ad una detenzione già conclusasi — art. 56 «hanno tenuto regolare condotta»; art. 30 ter, n. 8, «la condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante sen

so di responsabilità e correttezza ...» — la detenzione per l'e

spiazione dell'ergastolo, che come tale manca di un momento con

clusivo, non può costituire oggetto della valutazione richiesta per la remissione del debito a meno che non sia stato concesso il

beneficio della liberazione condizionale conclusosi con esito po sitivo.

Il problema, alla luce del testo dell'art. 56 dell'ordinamento

penitenziario sostituito dall'art. 19 I. 10 ottobre 1986 n. 663, non

si pone, attesoché, nonostante sia rimasta immutata la condizio

ne della «regolare condotta», questa non va più riferita all'intero

arco della detenzione, potendo essere proposta la domanda di

remissione del debito «fino a che non sia conclusa la procedura

per il recupero delle spese». La nuova legge, in sostanza, non solo ha espressamente escluso

la necessità dell'intera espiazione della pena fissando uno specifi co termine finale per la presentazione dell'istanza, e cioè la con

Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte devesi affermare il prin cipio che il debito per le spese di procedimento può essere rimesso, una volta divenuto certo, liquido ed esigibile il credito dello Stato, anche in

costanza di esecuzione della pena dell'ergastolo o di pena detentiva tem

poranea, quale che sia l'entità di essa ancora da espiare, purché la proce dura per il recupero delle spese non sia terminata.

Nella specie dalla stessa ordinanza impugnata risulta che il debito dello Zuccaro per le spese processuali relative al procedimento conclusosi con la sentenza 2 novembre 1984 della Corte d'assise d'appello di Milano sono state iscritte a campione penale (art. 35441/44); ne consegue che il Magistrato di sorveglianza di Pisa avrebbe dovuto pronunciarsi sulla relativa domanda di remissione del debito, anziché dichiararla inammissi bile e, quindi, l'ordinanza de qua, per la parte relativa, deve essere annul

lata con rinvio».

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 06:22:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

GIURISPRUDENZA PENALE

clusione della procedura per il recupero delle spese, ma non ha

neppure previsto un termine iniziale, sicché è lecito ritenere che

il condannato possa presentare la sua domanda non appena l'uf

ficio competente abbia determinato l'entità della somma da pagare. In tal modo la nuova legge ha superato, evidentemente, anche

l'ostacolo costituito, secondo il magistrato di sorveglianza, dal

fatto che il condannato possa, nel corso dell'ulteriore detenzione, cambiare condotta.

Con riferimento alla seconda istanza, pertanto, l'ordinanza im

pugnata va annullata con rinvio, per nuova deliberazione, allo

stesso magistrato di sorveglianza del Tribunale di Pisa che riesa

minerà il caso uniformandosi al principio ed ai rilievi suesposti. Le altre doglianze espresse dallo Zuccaro riguardanti la cumu

labilità delle pene, l'unicità dei due procedimenti, la divisibilità fra tutti gli imputati della somma richiesta vanno disattese in quan to manifestamente infondate.

Debbono, peraltro, ritenersi superate perché assorbite nelle ra

gioni dell'annullamento con rinvio tutte le altre argomentazioni attinenti alla dedotta violazione del principio dell'uguaglianza di

tutti i cittadini dinanzi alla legge, alla richiesta di sospensione della procedura di recupero delle spese, alla possibilità di solleva

re la questione di costituzionalità dell'art. 56 dell'ordinamento

penitenziario e dell'art. 96 del relativo regolamento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 22 feb

braio 1988; Pres. Cambino, Est. Montoro, P. M. Ciampani

(conci, parz. diff.); ric. Proc. gen. App. Torino in causa Botta.

Annulla App. Torino 17 giugno 1987.

Tributi in genere — Ritenuta d'acconto — Omissione e ritardo

nel versamento — Equiparazione (D.l. 10 luglio 1982 n. 429, norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione

delle pendenze in materia tributaria, art. 2; 1. 7 agosto 1982

n. 516, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 10 lu

glio 1982 n. 429, art. 1).

Ai fini dell'applicazione dell'art. 2, 2° comma, l. 516/82, non

è dato distinguere fra la condotta di omesso versamento delle

ritenute operate a titolo d'acconto d'imposta ed il semplice ri

tardo nel versamento delle somme relative. (1)

(1) Con questa pronuncia, la prima della Corte suprema sulla dibattuta

questione relativa all'interpretazione dell'art. 2, 2° comma, 1. 516/82, la Cassazione, esclusa la possibilità di una distinzione fra omissione e

ritardo nel versamento delle ritenute d'acconto operate dal sostituto d'im

posta, ha riconosciuto l'equiparazione delle due ipotesi ai fini dell'appli cazione della disposizione indicata. In senso contrario a quanto qui deci

so, v., fra le altre, App. Torino 31 ottobre 1986, Foro it., 1987, II, 534, con nota di richiami, e nota favorevole di Zannotti, La condotta di

ritardo nel versamento di ritenute: aspetti problematici ed inquadramento normativo e sanzionatorio. Quest'ultimo orientamento interpretativo ave

va comunque dato adito ad ulteriori divergenze applicative in ordine al

l'individuazione del termine entro il quale distinguere fra il semplice ri

tardo e la vera e propria omissione penalmente rilevante: da ultimo, nel

senso di ritenere che il termine ultimo coincidesse con quello fissato per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d'imposta, v.

Trib. Genova 8 gennaio 1987, Fisco, 1987, 3246. In senso conforme alla presente decisione, v., per tutti, Cadoppi, Omesso

versamento delle ritenute da parte del sostituto d'imposta: verso una «in

terpretatio abrogans»?, id., 1986, 7508.

Sulla questione relativa alla equiparazione della condotta di omesso

versamento a quella di mero ritardo, è altresì' interventuta la stessa Corte

costituzionale, che con ordinanza 22 ottobre 1987, n. 337, in questo fa

scicolo, I, 2071, e successivamente con ordinanza 10 marzo 1988, n. 300, ha respinto l'eccezione di legittimità costituzionale sollevata per un sup

posto contrasto dell'art. 2, 2° comma, 1. 516/82 con l'art. 3 Cost.

L'esigenza di una soluzione dei problemi applicativi suscitati dalla di

sposizione in oggetto si è comunque ulteriormente tradotta in numerose

proposte di legge, che sono state recentemente presentate alla camera dei

deputati: proposte di legge n. 572 del 3 luglio 1987 (a firma dei deputati Patria e altri); n. 724 del 9 luglio 1987 (Cupelli); nn. 865 (Savio), 881

(Auleta e altri), e 1037 (Rossi di Montelera e altri) del 16 luglio 1987; n. 1038 (Ferrarini e altri) del 17 luglio 1987.

Il Foro Italiano — 1988.

Svolgimento del processo. — Il 5 giugno 1986 il Tribunale di

Biella condannava Adriano Botta a trenta giorni di reclusione

ed a lire 50.000 di multa per il reato di cui all'art. 2, 2° comma, 1. 7 agosto 1982 n. 516, contestandogli perché — quale sostituto

d'imposta — non versava all'erario — nel termine previsto dal

l'art. 8 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602 — le somme ritenute

alla fonte su emolumenti corrisposti nell'anno 1983 per il lavoro

autonomo. A seguito di gravame, il 17 giugno 1987, la Corte

d'appello di Torino assolveva l'imputato per insussistenza del fatto, nel presupposto che — per il principio della tassatività e della

tipicità delle figure di reato — non si potesse fare entrare nella

fattispecie criminosa indicata, relativa soltanto all'omesso versa

mento delle ritenute, altri comportamenti, quali il ritardo nel ver

samento stesso, che non corrispondono a quello descritto dalla

norma incriminatrice.

Ricorreva per cassazione il procuratore generale di Torino, il

quale — premesso che la previsione di un obbligo non può essere

disgiunta da quella di un termine entro il quale deve essere soddis

fatto; e premesso, ancora, che, quando ciò avviene, è fuorviarne

distinguere tra omissione e ritardo nell'adempimento, in quanto all'inutile scadenza del termine l'omissione è realizzata — lamen

tava la violazione di legge, perché nella specie la disposizione del

l'art. 8 d.p.r. 602/73 rappresenterebbe la necessaria integrazione del precetto penale circa il termine per l'adempimento dell'obbli

go gravante sul sostituto d'imposta e la mancanza di una specifi ca deroga da parte del legislatore per il caso del ritardo esclude

rebbe che l'adempimento cosiffatto costituisse figura diversa dal

l'inadempimento radicale.

Aggiungeva che, ove l'inutile spirare del termine per l'adempi mento non indentificasse il momento della consumazione del rea

to, sarebbe impossibile individuare il limite oltre il quale il ritar

do dovrebbe trasformarsi in omissione, con la conseguenza che

la norma citata finirebbe con l'essere praticamente inapplicabile;

e, ancora, che la possibilità di versamenti tardivi, di cui all'art.

92 d.p.r. 602/73, riguardando il soddisfacimento dell'obbligazio ne tributaria con una graduazione di conseguenze civili — quali il pagamento di interessi e di sopratasse, commisurati all'entità

del ritardo — non escluderebbe la perentorietà del termine ai fini

della configurazione della responsabilità per il reato in questione.

Chiedeva, pertanto, l'annullamento della sentenza con le conse

guenze di legge. Motivi della decisione. — Appunto perché il legislatore ha vo

luto regolare ex novo la materia — per dirla con i giudici di

appello —, perseguendo ovviamente la migliore efficenza del si

stema, si deve escludere che egli abbia inteso attribuire rilevanza

penale al fatto di chi ometta del tutto di versare, quale sostituto

d'imposta, le ritenute di acconto operate e non anche a quello di chi ritardi, più o meno a lungo, gli stessi versamenti, giacché in origine (v. art. 92, 3° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n.

602, abrogato) il ritardo era eccezionalmente tollerato per somme

superiori a 50 milioni solo per un tempo inferiore a cinque giorni dalla scadenza, mentre nella nuova norma una tolleranza del ge

nere non si ha (v. art. 2, ultimo comma, 1. 7 agosto 1982 n. 516). Non v'è ragione, infatti, di ritenere che vi sia alcuna deroga

per il ritardo, non avendo il legislatore neanche usato quest'ulti mo sostantivo, tanto più che la formulazione adottata (chiunque

non versa. . .) evita pure quello antagonista di omissione, natu

ralmente non a caso per il noto rigore tecnico del linguaggio mor

mativo di cui bisogna far credito al legislatore (criterio interpre

tativo storico-letterale). D'altra parte l'omissione e il ritardo, che sul piano fenomenico

si sovrappongono, sono eventi giuridici entrambi collegati alla

scadenza di un termine: tutti e due presuppongono sempre che

sia decorso il tempo in cui un atto giuridico doveva compiersi,

senza che sia compiuto; ma la prima pressuppone, altresì, che

l'atto non possa più utilmente compiersi, al fine di scongiurare — o, quanto meno, limitare — gli effetti negativi nei confronti

dell'obbligato; il secondo, invece, si.

Sicché ogni qual volta la norma penale non contiene alcuna

limitazione di responsabilità inversamente proporzionata al de

corso del tempo in cui, poi, avviene l'adempimento tardivo, pro

prio per il principio della tassatività e specificità delle figure di

reato quest'ultimo non scrimina, né riduce le conseguenze penali

della condotta illecita (criterio sistematico).

Se cosi non fosse, se, cioè, il ritardo non fosse punito ugual

This content downloaded from 195.78.109.96 on Wed, 25 Jun 2014 06:22:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended