Sezione I penale; sentenza 13 dicembre 1978; Pres. Scardia, Est. Bertoni, P. M. (concl. conf.);imp. Biso. Annulla Trib. Roma, ord. 3 ottobre 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.45/46-51/52Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171531 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
sati, come si precisa nel capo di imputazione, dalle ditte libi che dalle quali avevano ricevuto l'incarico di ingaggiare degli operai da fare espatriare.
Stando cosi le cose, il fatto contestato non concreta gli estre mi del reato ipotizzato, difettando uno degli elementi essenziali, e cioè la dazione o la promessa di denaro o di altra utilità da
parte del soggetto passivo. È vero che colui che viene indotto in errore, e cioè il sog
getto passivo, può essere anche una persona diversa da quella cui furono direttamente rivolti gli artifici e raggiri, ma ciò vale
per la truffa normale, che ha una diversa formulazione. Occorre anche aggiungere che non risulta commessa alcuna
truffa ai danni delle ditte libiche, reato che in ogni caso si sa rebbe verificato all'estero. Né elemento costitutivo del reato
ipotizzato può essere, nel caso in esame, ravvisato nell'impegno assunto dagli emigranti di prestare la loro opera all'estero, per ché tale impegno non rappresentò il profitto in riferimento al
quale gli imputati si indussero ad eccitare gli operai italiani ad
emigrare in Libia.
La conclusione da trarre è che nel fatto di che trattasi si riscontrano esclusivamente gli estremi del reato previsto dall'art. 7 della sopra menzionata legge 24 luglio 1930 n. 1278.
E poiché la violazione della suddetta norma non consente l'emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, illegittima deve considerarsi la cattura del Vagnozzi e del Di
Donato, di cui va disposta la immediata scarcerazione, se non detenuti per altra causa.
Da ciò consegue che l'ordinanza impugnata dev'essere annul lata senza rinvio.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 6 feb braio 1979; Pres. Ugazzt, Est. Marvasi, P.M. Marucci (conci, (conf.); ric. Pace. Annulla senza rinvio Trib. Latina 21 aprile 1977
Inosservanza di provvedimenti dell'autorità — Persona diffidata — Inosservanza degli obblighi imposti — Reato — Insussi stenza (Cod. pen., art. 650; legge 27 dicembre 1956 n. 1423, misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità, art. 1).
Non è punibile a norma dell'art. 650 cod. pen. il fatto di per sona diffidata ai sensi dell'art. 1 legge 1423/1956 che abbia contravvenuto agli obblighi impostigli. (1)
La Corte, ecc. — Fatto. — Pace Cesare è stato condannato dal Tribunale di Latina, in sede di appello, a giorni venti di arresto, ai sensi dell'art. 650 cod. pen., perché, pur essendo stato diffi dato dal questore di Latina, la notte del 27 marzo 1974, alle ore
0,20, era stato sorpreso in compagnia di persona pericolosa. L'im
putato ha proposto ricorso deducendo che per l'infrazione adde
bitatagli non era prevista alcuna ipotesi di reato. Diritto. — Il ricorso è fondato. Invero, l'art. 650 cod. pen.
contestato all'imputato contiene una norma penale in bianco di carattere sussidiario, che si applica ogni qualvolta il fatto non sia previsto come illecito da una specifica norma e, soprattutto, quando esso non costituisca la base per provvedimenti o san zioni da pronunciarsi in conseguenza.
Nella specie, il prevenuto era stato diffidato dal questore ai sensi dell'art. 1 legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e successive modi ficazioni. Tale norma, all'ultimo comma, stabilisce che, in caso di
persistenza del diffidato nella cattiva condotta, si può far luogo alle misure di prevenzione della sorveglianza speciale, del divieto di soggiorno in uno o più comuni e dell'obbligo di soggiorno in un determinato comune.
Pertanto, la legge in questione, come si evince facilmente dal suo contesto, prevede un insieme di condizioni soggettive, di con dotte illecite e pericolose e di interventi dell'autorità, regolato da un contesto organico di disposizioni al quale non può appli carsi l'art. 650 cod. pen., che è, invece, dettato per quelle situa zioni contingibili ed urgenti, per le quali l'autorità, per motivi di
giustizia, di sicurezza, d'ordine pubblico o d'igiene, debba emet
(1) Non risultano precedenti in termini. Sul reato d'inosservanza di provvedimento dell'autorità, v. Cass. 22 marzo 1978, Marini, Foro it., 1979, II, 197, con ampia nota di richiami, cui adde Cass. 25 no vembre 1975, Barsalini, id., 1977, II, 223; e 10 marzo 1975, Moro, id., 1976, II, 125, con note di richiami; ed inoltre Cass. 25 novembre Ì977, Grazia, e 18 gennaio 1977, Perrotta, id., 1979, II, 520.
tere ordini o provvedimenti, la cui inosservanza non risulti spe cificamente prevista da una norma di legge.
Viceversa, nella legge contenente le misure di prevenzione sud dette, il comportamento delle persone pericolose trova penalmente la sua sanzione, che può consistere nell'applicazione di una mi sura di prevenzione o anche in pene detentive, come avviene nel caso previsto dall'art. 2 della stessa legge, che punisce il con travventore con l'arresto da uno a sei mesi.
Pertanto, occorre annullare senza rinvio l'impugnata sentenza, perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
Per questi motivi, ecc.
I
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 13 di cembre 1978; Pres. Scardia, Est. Bertoni, P. M. (conci, conf.); imp. Biso. Annulla Trib. Roma, ord. 3 ottobre 1978.
Cambio e valuta — Reati valutari — Mancato rientro dei capi tali all'estero — Giudizio direttissimo — Applicabilità (D. 1. 4 marzo 1976 n. 31, disposizioni penali in materia di infrazioni
valutarie, art. 4; legge 8 ottobre 1976 n. 689, conversione in
legge del d. 1. 10 agosto 1976 n. 543, concernente modifica dell'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159, ecc. Ulteriori mo difiche al d. 1. 4 marzo 1976 n. 31 e alla legge 30 aprile 1976 n. 159, art. 3).
Il giudizio direttissimo è obbligatoriamente applicabile a tutti i reati valutari, compresi quelli di omesso rientro dei capitali ille citamente esportati. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione feriale penale; sentenza 26 settembre 1978; Pres. Zappulli, Est. Niro, P. M. (conci, diff.); imp. Caltagirone. Conflitto di competenza.
Cambio e valuta — Reati valutari — Mancato rientro di capi tali all'estero — Giudizio direttissimo — Inapplicabilità (D. 1. 4 marzo 1976 n. 31, art. 4; legge 8 ottobre 1976 n. 689, art. 3).
Il giudizio direttissimo non è applicabile in via obbligatoria al reato di omesso rientro dei capitali posseduti all'estero. (2)
I
La Corte, ecc. — A seguito di richiesta di citazione del procu ratore della Repubblica di Roma del 23 marzo 1978, Francesco Biso fu tratto a giudizio col rito direttissimo per rispondere de!
delitto, previsto dall'art. 2, 5° comma, sub 3, legge 8 ottobre 1976 n. 689, per avere omesso di denunciare nei termini e nei modi prescritti numerosi immobili, che possedeva attraverso l'in
terposizione di società apparentemente straniere. Con lo stesso decreto furono anche tratti a giudizio, sempre
col rito direttissimo, Bianca Di Giorgio, Tommaso Crapuli e Ge sualdo Vacirca per rispondere di concorso nel delitto ascritto al Biso.
Con ordinanza del 3 ottobre 1978, il Tribunale di Roma, rite nuto che per i delitti preveduti dall'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159, come modificato dalla successiva legge n. 689 dell'8 otto bre 1976 dovesse procedersi nelle forme ordinarie e non col rito
direttissimo, ordinò la restituzione degli atti al pubblico ministero.
(1-2) Contrasto di giurisprudenza. In senso conforme alla seconda sentenza, cfr. Trib. Roma 3 luglio 1978, Giur. it., 1979, II, 40, con nota critica di Gaito, Giudizio direttissimo o procedimento ordi nario per il mancato rientro dei capitali all'estero, la cui tesi è stata sostanzialmente accolta da Cass. 13 dicembre 1978, Biso, che si riporta.
In dottrina, in senso conforme alla seconda massima, cfr. Nuvolone, Lineamenti di diritto penale valutario, Padova, 1979, 88; De Riso, Procedure diverse per i nuovi reati valutari, in Gazzetta valutaria, 1978, 1; Carli, Presupposti, limiti e strutture del giudizio direttissimo in materia di infrazioni penali valutarie, in Riv. it. dir. proc. pen., 1978, 759; Dolfin, Per i delitti valutari omissivi, in Gazzetta valutaria, 1977, 183; Nuvolone, Osservazioni in tema di processo penale valu tario, ibid., 169; Di Amato, La disciplina penale delle infrazioni va lutarie, in Giust. pen., 1977, I, 289.
Sulla compatibilità tra attività istruttoria e giudizio direttissimo (nei casi in cui è obbligatorio nelle infrazioni valutarie), si vedano: Trib. Roma 19 ottobre 1978, Giur. it., 1979, II, 1439, con osserva zione di Gaito; Cass. 10 aprile 1978, Fabbrissin, Foro it., Rep. 1978, voce Cambio, n. 52; 27 giugno 1977, Marini, ibid., voce Giudizio di rettissimo, n. 42.
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PARTE SECONDA
Con atto dell'8 ottobre 1978, il procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Roma ha sollevato conflito di competenza, assumendo che il giudizio direttissimo deve ritenersi obbligatorio per tutti i reati in tema di frodi valutarie e in particolare anche
per quello, contestato agli imputati e previsto dall'art. 2 legge n. 159, come modificata dalla successiva legge n. 689.
Il conflitto di competenza sollevato dal procuratore della Re
pubblica ripropone la questione già affrontata da questa corte con
sentenza 24 agosto 1978, in causa Caltagirone, e allora risolta nei
senso di escludere l'obbligatorietà del giudizio direttissimo per i delitti previsti dall'art. 2 legge n. 159 del 1976.
Un nuovo approfondito esame del problema induce ora la
corte ad una conclusione opposta. Nel 1976 le obiettive difficoltà della situazione economica del
paese, il consistente squilibrio della bilancia dei pagamenti, e la
sperimentata insufficienza delle sanzioni amministrative previste
per le infrazioni valutarie resero necessaria una profonda revi
sione della disciplina normativa vigente in materia, con il ri
pristino di sanzioni di tipo penale, in armonia della legislazione di molti altri paesi della Comunità economica europea.
Il primo intervento in questo senso fu attuato col d. 1. 4 marzo
1976 n. 31, il quale, all'art. 1, configurò come reato l'esportazione non autorizzata di valuta, titoli e altri mezzi di pagamento e
l'illecita costituzione all'estero di disponibilità valutarie o di at
tività di qualsiasi genere. Per queste e per altre ipotesi di reato,
configurate dalla nuova disciplina, lo stesso decreto previde pe raltro un trattamento processuale differenziato sotto molti pro fili da quello ordinario. Cosi, in particolare, furono accresciuti
i poteri della polizia giudiziaria, in materia di perquisizioni e di
sequestri presso istituti ed aziende di credito (art. 5); furono am
pliati i poteri di vigilanza e di controllo attribuiti alla guardia di finanza (art. 6); fu previsto l'obbligo dell'ipoteca legale o del
sequestro (art. 4, ultimo comma); fu ridotta entro margini estre
mamente ristretti la operatività della connessione processuale (art.
4, 2° comma); si stabili infine (art. 4, 1" comma) che « per i
reati previsti dal.. . decreto » si dovesse procedere « in ogni caso
con giudizio direttissimo ».
Nel convertire il provvedimento governativo, la legge 30 aprile 1976 n. 159, oltre a modificare in parte talune delle ipotesi di
reato già contemplate dal decreto, ne introdusse di nuove, anzi
tutto prevedendo come reato, in un comma inserito nell'art. 1
del decreto, l'omessa cessione della valuta estera comunque acqui sita o detenuta nel territorio italiano, e poi aggiungendo alle dispo sizioni del decreto una nuova norma (che figura nella legge come
l'art. 2), con la quale vengono penalmente sanzionate l'omessa
dichiarazione delle disponibilità e attività costituite all'estero in
violazione delle norme valutarie e l'inosservanza dell'obbligo di
far rientrare entro un certo termine i capitali illecitamente espor tati. Anche nella materia processuale, la legge di conversione mo
dificò parzialmente le disposizioni del decreto, tra l'altro affi
dando al tribunale la cognizione di tutti i reati in materia valu
taria, e fissando per essi la competenza territoriale nel luogo di
accertamento del reato. Sempre nella stessa materia, inoltre, la leg
ge di conversione stabili l'obbligo del rapporto diretto all'auto rità giudiziaria, anche nel caso in cui l'infrazione venga accer
tata da un funzionario della Banca d'Italia (art. 3); mentre, con
l'ultimo comma dell'art. 2, dichiarò applicabili, ai nuovi reati con
figurati dalla suddetta norma, non solo l'art. 2 del decreto legge (che estende alle multe inflitte per i delitti valutari le disposizioni del codice penale sull'obbligazione civile per il pagamento delle
ammende), ma anche i successivi art. 4 e 5 del decreto, conte nenti le norme processuali prima ricordate; in modo dunque da
prevedere espressamente, senza lasciare ombra di dubbio al ri
guardo, l'obbligo del giudizio direttissimo anche per i delitti
concernenti il rientro dei capitali posseduti all'estero.
Con specifico riferimento a questa fattispecie, il d. 1. 10 agosto 1976 n. 543 prorogò al 19 novembre 1976 il termine in prece denza fissato per la dichiarazione delle disponibilità e delle atti
vità costituite all'estero.
Anche questo provvedimento di urgenza del Governo venne
convertito in legge con modificazioni. Più precisamente la legge di conversione 8 ottobre 1976 n. 689 provvide anzitutto a modi
ficare ancora una volta l'art. 1 del primo decreto legge n. 31, con la previsione di una nuova figura di reato, consistente nel
fatto del residente (in Italia) che, mediante l'interposizione di enti o persone giuridiche estere, fa apparire come non apparte nenti a residenti beni siti o attività svolte in Italia, la legge,
quindi, sostituì con tre articoli (art. 2, 2 bis e 2 ter) l'art. 2
legge n. 159, relativo alla dichiarazione e al rientro dei capitali illecitamente esportati. Con queste disposizioni, furono analitica
mente disciplinate le forme, le modalità e i tempi di attuazione
delle dichiarazioni e del rientro dei capitali posseduti all'estero
e fu inoltre stabilito che gli stessi obblighi facevano carico ai
residenti che, tramite l'interposizione di non residenti o la parte cipazione a società, enti o organizzazioni estere, avessero posse duto in Italia prima del 6 marzo 1976 attività di qualsiasi genere; nelle nuove disposizioni (solo parzialmente sostitutive di quella
precedente) non venne peraltro ripetuto il richiamo, già conte
nuto nell'art. 2 legge n. 159, all'art. 2 d. 1. n. 31 e ai successivi
art. 4 e 5, relativi, tra l'altro, all'obbligo del giudizio direttissimo.
Successivamente, con il decreto legge 19 novembre 1976 n.
759, il termine per le dichiarazioni concernenti i capitali espor tati illecitamente o i beni posseduti, mediante interposizioni fitti
zie, fu nuovamente prorogato al 3 dicembre 1976, dopo di che
il decreto legge venne convertito nella legge 23 dicembre 1976
n. 863, con modificazioni dirette a dare una sistemazione orga nica e formalmente più precisa alla materia disciplinata nell'art.
1 del primo decreto legge n. 31.
Dall'analisi della nuova regolamentazione delle infrazioni va
lutarie (che si è resa necessaria per la complessità di una pro duzione legislativa, realizzatasi non in unico contesto, ma in un
notevole periodo di tempo) risulta in primo luogo, ai fini che
qui interessano, che i reati consistenti nell'omessa dichiarazione
o nel mancato rientro di capitali e attività illecitamente espor tati furono configurati per la prima volta dall'art. 2 della legge di conversione del decreto legge n. 31 e che questa norma, me
diante il richiamo dell'art. 4 del decreto n. 31, prevedeva espres
samente, per i reati suddetti, l'obbligo del giudizio direttissimo; in seguito l'art. 3 della legge n. 689 ha modificato l'art. 2 ora
citato, nel senso, da un lato, di sanzionare penalmente l'omessa
dichiarazione da parte di residenti di beni posseduti in Italia
mediante l'interposizione di enti o società apparentemente stra
niere (ed è questo appunto il reato, di cui debbono rispondere
gli imputati nell'attuale procedimento), e dall'altro di dare una
nuova strutturazione, più analitica e meglio articolata, alle ipo tesi delittuose concernenti la dichiarazione e il rientro dei capi tali illecitamente esportati o comunque occultati con interposi zioni fittizie; la nuova norma, però, come pure si è accennato, non ha ripetuto rispetto a questi reati il richiamo alla disposi zione del decreto legge n. 31 concernente l'obbligo del giudizio direttissimo.
Muovendo da questa constatazione, la pronuncia di questa corte prima ricordata e un'autorevole corrente dottrinale han
no ritenuto che l'ambito operativo della norma, che rende ob
bligatorio il giudizio direttissimo, dovrebbe intendersi ristretto
alle sole ipotesi di reato originariamente previste dal decreto
legge n. 31, con esclusione di quelle introdotte dalla legge di
conversione n. 159 e poi in parte modificate dalla successiva
legge n. 689. In effetti, la legge n. 159 non si sarebbe limitata
a convertire, con emendamenti, il decreto legge n. 31, ma avreb
be introdotto nell'ordinamento un corpo di norme formalmente
autonomo, che risponderebbe a un indirizzo di politica crimi
nale, convergente ma distinto rispetto a quello originariamente
perseguito. Di conseguenza, l'obliterazione, nel testo dell'art. 3
della legge n. 689, del richiamo all'art. 4 del decreto legge sa
rebbe di ostacolo all'estensione dell'obbligo del giudizio diret
tissimo rispetto alle fattispecie criminose autonomamente disci
plinate dalla legge n. 159, e in particolare dall'art. 2 della legge medesima.
Senonché, senza volere affrontare in questa sede la complessa tematica dei rapporti tra decretazione di urgenza e legge di
conversione, non si può tuttavia fare a meno di rilevare che, secondo un dato ormai comunemente acquisito dalla più auto
revole dottrina costituzionalistica, la legge di conversione è ca
ratterizzata dal suo legame col decreto legge, nel senso che essa
prende il posto fin dall'inizio del provvedimento del Governo
e che un effetto del genere si verifica anche quando la legge
contenga emendamenti dell'atto governativo, all'unica condizio
ne che si tratti di emendamenti che non mutino l'oggetto o
il senso del decreto convertito. Nel caso in esame, gli emenda
menti apportati dalla legge n. 159 al decreto legge n. 31 pos sono distinguersi in due categorie, in quanto con alcuni furono
modificate le disposizioni originarie, mentre con altri, come ri
sulta da ciò che già si è detto, furono aggiunte a quelle iniziali
altre norme, contenute negli art. da 2 a 8 e collocate di seguito
agli articoli che formavano il testo del provvedimento governa tivo. Tutti gli emendamenti, però, sia del primo che del se
condo tipo, non solo hanno riferimento all'oggetto del decreto
convertito, data l'innegabile, evidente identità di materia, ma
non ne mutano in nessun modo il senso, perché anche le dispo sizioni nuove, tendenti a facilitare il rientro di capitali dall'este
ro e a rimuovere le fittizie intestazioni di beni siti in Italia,
rappresentano un naturale completamento di quelle già presenti nel decreto legge, in quanto, al pari di esse, appaiono indiriz zate a favorire, mediante la sanzione penale, l'utilizzazione sul
mercato interno delle risorse nazionali. Perciò, la legge di con
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GIURISPRUDENZA PENALE
versione n. 159 non può considerarsi, in nessuna delle sue parti come una legge nuova e successiva rispetto al decreto legge n.
31, ma deve invece considerarsi, al pari di tutte le leggi di con
versione, come una legge che ha sostituito fin dall'inizio il prov
vedimento del Governo e ne ha preso il posto, non solo sul
piano sostanziale, ma anche su quello formale, cosi come è con
fermato dai richiami in essa contenuti a singole disposizioni del decreto legge e tra le altre a quella che sancisce per i reati
valutari l'obbligo del giudizio direttissimo. Non diversamente,
tutti gli altri provvedimenti che si sono susseguiti nel 1976 nel
la materia delle leggi sulle infrazioni valutarie risultano anche
essi collegati al decreto legge n. 31, o direttamente, attraverso
la specifica modifica di talune delle sue disposizioni, o indiret
tamente, attraverso la parziale revisione della normativa previ sta dalla legge n. 159. In particolare, mentre il decreto legge n.
543 si limitò a prolungare il termine per il rientro dei capitali, la successiva legge di conversione, n. 689, non solo ha modifi
cato in alcuni punti la precedente legge n. 159, ma ha agito direttamente sul decreto legge n. 31, tanto da esplicitare nello
stesso titolo (« ulteriori modifiche al decreto legge 4 marzo
1976 n. 31 ») questa parte del suo contenuto. A loro volta gli ultimi due provvedimenti del novembre e del dicembre 1976,
oltre a prorogare ancora il termine per la denuncia e il rientro
dei capitali esportati, hanno provveduto, come già si è detto, a
un organica ristrutturazione dell'art. 1 del decreto legge n. 31.
Consegue da ciò che tutti i citati provvedimenti legislativi, es
sendo tra loro collegati non solo sostanzialmente, per l'identità
della materia disciplinata, hanno finito con l'accorparsi, anche
sul piano formale, in un unico testo normativo sviluppatosi in
torno al nucleo originario costituito dalle disposizioni del de
creto legge n. 31. Queste disposizioni perciò e quelle dei prov vedimenti successivi non possono essere tenute distinte ai fini
della loro interpretazione, come se costituissero separati corpi
normativi, sia pure relativi alla stessa materia, ma vanno invece
lette, in successione logica e non meramente temporale, come
se facessero parte, anche formalmente, di un medesimo testo.
Lo stesso legislatore, con le connessioni e i collegamenti che
si sono prima illustrati, ha dimostrato come la sua volontà
fosse proprio quella di creare, attraverso modifiche, aggiunte e
successive stratificazioni, un corpo normativo unitario, inteso nel
suo complesso (come fu sottolineato dal Governo durante uno
dei dibattiti parlamentari) a « impedire l'esportazione di capi tali all'estero, effettuare una ricognizione del patrimonio dei
cittadini italiani ivi costituitosi, facilitare il rientro di capitali, rinazionalizzare beni siti in Italia fittiziamente intestati a no
minativi esteri ».
Nell'ambito di questo corpo normativo unitario, sono indivi
duabili una serie di norme, di ordine per cosi dire strumentale
rispetto alle singole fattispecie criminose, tra le quali assumo
no particolare rilievo, ai fini che qui interessano, le disposizioni
processuali. Come si è già visto, la normativa processuale è con
tenuta nelle originarie disposizioni del decreto legge n. 31 (poi modificate dai provvedimenti successivi) e solo per una piccola
parte anche nelle disposizioni, introdotte per la prima volta
dalla legge n. 159, mediante emendamenti aggiuntivi. La diver
sità di questa collocazione, tuttavia, non può avere nessuna in
fluenza sui limiti di applicabilità di tali disposizioni, se è vero
quanto prima si è detto circa l'unità formale e non solo sostan
ziale della normativa formatasi nel 1976 sulla materia delle in
frazioni valutarie. Al contrario, il dimostrato carattere unitario
che hanno tutti i provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo
porta alla conseguenza che le disposizioni processuali, da quelle sulla competenza a quelle sulle perquisizioni e i sequestri ban
cari, debbono ritenersi di norma applicabili, ovunque siano col
locate, a tutti indistintamente i reati, che sono stati progressiva mente configurati nella materia in esame, salvo che non si tratti
di disposizioni che, per il loro contenuto o per i limiti intrinseci
alla loro portata, risultino riferibili a taluni soltanto dei sud
detti reati.
Cosi stando le cose è evidente come non abbia nessun rilievo,
per lo specifico problema che forma oggetto della presente de
cisione, l'obliterazione, nel testo dell'art. 3 della legge n. 689, del richiamo, già contenuto nell'art. 2 della precedente legge n.
159, all'art. 4 del decreto legge n. 31.
Quest'ultima disposizione, infatti, stabilendo al primo comma
che « per i reati previsti dal presente decreto si procede in ogni caso con giudizio direttissimo », indubbiamente esprime una
norma formulata nei termini di una prescrizione generale, che
non riceve dal suo contenuto nessuna limitazione, non potendo evidentemente ritenersi tale il riferimento, puramente formale, ai reati contemplati « dal... decreto ».
In realtà se l'art. 2 della legge n. 159 va letto, per quanto si è detto, come se fosse stato inserito fin dall'inizio nel decreto
II Foro Italiano — 1980 — Parte //-4.
legge n. 31 (salva naturalmente l'impossibilità di un'applica zione retroattiva della nuova ipotesi di reato), vuol dire altresì
che anche l'art. 3 della legge n. 689, che si limitò a modificare
la disposizione suddetta, si colloca nello stesso contesto norma
tivo; con la conseguenza perciò che il riferimento contenuto
nel 1° comma dell'art. 4 del decreto legge n. 31 ai reati previsti dal suddetto decreto deve intendersi fatto, indipendentemente dall'esistenza di specifici richiami e malgrado il mancato muta
mento della formula testuale, anche ai reati, configurati nelle
previsioni normative, che si vennero aggiungendo, in un corpo
legislativo unitario, a quelle originariamente contemplate dal pri mo provvedimento governativo. Non si può d'altra parte dimen
ticare che lo stesso legislatore, col richiamare espressamente nel
l'art. 2 della legge n. 159 l'art. 4 del decreto convertito, mani
festò in modo esplicito la volontà che le nuove ipotesi di reato
fossero anche esse perseguite col rito direttissimo; è vero che
successivamente, nella legge n. 689, quel richiamo venne meno,
ma, di fronte alla dichiarata esigenza di un identico trattamento
processuale ribadita dalla legge n. 159, resta confermato come
sia del tutto irrilevante l'eliminazione dell'espresso riferimento
all'art. 4 del decreto legge n. 31, ciò specie se si considera, da
un lato, che le ipotesi di reato previste dall'art. 3 della legge n. 689 non si differenziano sostanzialmente, se non per una
diversa e più organica strutturazione, da quelle già contemplate dalla legge n. 159, e dall'altro che in sede parlamentare non fu
mai prospettata, come esattamente rileva il procuratore gene rale presso questa corte, l'opportunità di dare alle nuove fat
tispecie criminose rispetto a quelle del primo decreto-legge una disciplina differenziata, per quanto attiene al giudizio di
rettissimo e più in generale agli altri istituti processuali speci ficamente regolati dalla nuova normativa in materia valutaria.
Sta di fatto, anzi, che la mancata prospettazione, durante i
lavori preparatori delle varie leggi, dell'opportunità di un di
verso trattamento delle varie ipotesi di reato, sotto il profilo del
rito, rappresenta un valido indizio, per desumerne come allo
stesso legislatore non sfuggisse l'insussistenza di ogni giustifica zione razionale di una simile (eventuale) disciplina. Al riguardo, la pronuncia di questa corte più volte ricordata ha creduto di
individuare le ragioni della esclusione del giudizio direttissimo
per le ipotesi criminose previste dall'art. 2 della legge n. 159,
come modificato dall'art. 3 della legge n. 689, nella circostanza
che la peculiarità che le connoterebbe (di fronte a quelle ori
ginariamente contemplate dal decreto legge n. 31) imporrebbe « di regola una ricerca probatoria particolarmente complessa, ca
ratterizzata da indagini di indole peritale, da verifiche e riscon
tri documentali, bancari e contabili » e quindi da attività del
tutto incompatibili col rito direttissimo.
Senonché, basta enunciare queste proposizioni, per compren dere come non sia possibile condividerle. È infatti innegabile, come la quotidiana esperienza giudiziaria documenta, che sot
to il profilo delle esigenze istruttorie, i reati concernenti la di
chiarazione e il rientro dei capitali illecitamente esportati, cosi
come quello (che qui interessa) relativo all'obbligo di naziona
lizzazione di beni posseduti in Italia, non si differenziano in
nulla dagli altri illeciti valutari; ciò in quanto, salvo il caso
della sorpresa in flagranza di un contrabbandiere di valuta,
tutti gli altri reati previsti dalla legislazione succedutasi nel
1976, non solo sono tra loro ontologicamente simili (in quanto
attengono tutti a infrazione valutaria), ma possono di norma
comportare accertamenti e indagini, di tipo anche tecnico-eco
nomico, che possono essere complesse e prolungate nel tempo.
Questi rilievi dimostrano, peraltro, come il giudizio direttissimo
prescritto dalla normativa valutaria si differenzi da quello ti
pico, non solo perché deve proseguire sempre con lo stesso ri
to, senza possibilità di un regresso in istruttoria (art. 4, 1° com
ma, d. 1. n. 31/1976), ma anche e soprattutto perché esso rispon de non tanto alle esigenze connesse all'esistenza di una prova
già evidente, quanto all'opportunità di assicurare con urgenza la repressione degli illeciti valutari, mediante un modello di
processo di tipo schiettamente accusatorio, che in una certa mi
sura si avvicina a quella configurata dalla legge delega per la
riforma del codice di procedura penale.
In questa prospettiva, è evidente come il fondamento del
giudizio direttissimo nel processo valutario e le esigenze che vi
sono collegate non solo non contrastano con la sua applicabilità a tutte le ipotesi di reato previste dalle leggi succedutesi nel
1976, ma ne costituiscono al contrario la giustificazione razio
nale. Una diversità di disciplina, sotto il profilo del rito, po trebbe infatti risolversi, come giustamente è stato notato in dot
trina, in un trattamento profondamente disuguale di situazioni
analoghe, dal punto di vista ontologico e da quello delle neces
sità istruttorie; ciò che definitivamente conferma, anche nella
prospettiva di un adeguamento al principio costituzionale d'egua
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PARTE SECONDA
glianza (art. 3 Cost.) e al di fuori di ogni ricorso all'analogia, come il giudizio direttissimo debba ritenersi prescritto, senza
possibilità di deroghe, non solo per i reati originariamente pre visti dal d.l. 4 marzo 1976 n. 31, ma anche per quelli che ad essi furono aggiunti dalle leggi successive ed in particolare per i delitti configurati dall'art. 2 della legge 30 aprile 1976 n. 159, come in seguito modificato dall'art. 3 della legge n. 689/1976.
Conseguentemente, poiché l'attuale procedimento ha per og getto uno dei reati contemplati dalle norme suddette, occorre
procedere al giudizio e proseguirlo fino al termine col rito di rettissimo.
L'ordinanza del tribunale quindi va annullata e gli atti tra smessi allo stesso tribunale per l'ulteriore corso.
Per questi motivi, ecc.
II
La Corte, ecc. — Nel caso di procedimento penale istruito dal
giudice istruttore presso il Tribunale di Roma a carico di Nardoc ci Alberto ed altri in ordine ai reati di falso continuato in atti pub blici e di tentata truffa in danno dello Stato, venivano seque strati 20 schede di conto corrente e diversi assegni negoziati da
Caltagirone Gaetano sulla « Privat Bank ».
Il procuratore della Repubblica, alla stregua di tale acquisi zione, ritenendo ipotizzabili a carico del Caltagirone estremi di reato ex art. 3 legge 8 ottobre 1976 n. 689, richiedeva al giudice istruttore di trasmettergli con immediatezza i documenti seque strati «...a norma dell'art. 299, 2° comma, cod. proc. penale».
11 giudice istruttore, pur sottolineando di non essere « in pos sesso di elementi idonei per ravvisare il perfezionamento di
ipotesi criminose in ordine alla negoziazione dei predetti asse
gni », ne trasmetteva copia ai sensi dell'art. 232 cod. proc. pe nale.
In esito a tale trasmissione, il procuratore della Repubblica instaurava autonomo procedimento (4543/1978 C), inviando al
Caltagirone comunicazione giudiziaria quale indiziato del reato di cui all'art. 2 legge 30 aprile 1976 n. 159 e succ. modificazioni.
Con atto del 12 giugno 1978, l'indiziato sollecitava, tra l'al
tro, la formalizzazione del rito e, successivamente, proponeva ricorso avverso il decreto con il quale il procuratore della Re
pubblica aveva dichiarato inammissibile l'istanza di formalizza zione.
Con ordinanza del 28 giugno 1978 il giudice istruttore, pre messo un ampio esame della problematica connessa al rito fis sato dalla recente normativa per i vari reati valutari, accoglieva il ricorso, disponendo procedersi con istruttoria formale.
Ha sollevato conflitto il procuratore della Repubblica, denun ciando vizi di legittimità del provvedimento del giudice istruttore ed assumendo che per tutti i reati previsti dalle vigenti disposi zioni valutarie è obbligatorio, ai sensi dell'art. 4, 1° comma, d. 1. 4 marzo 1976 n. 31, il giudizio direttissimo.
Sul presupposto che il conflitto fosse ammissibile in rito e corretta l'affermazione del procuratore della Repubblica circa l'ambito di applicazione della norma dianzi citata, il procuratore generale ha chiesto l'annullamento della citata ordinanza del giudice istruttore e la restituzione degli atti al procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Roma per quanto di sua com petenza.
La richiesta va disattesa.
Non può essere anzitutto condivisa l'affermazione del procu ratore generale secondo cui «... nessun elemento, né letterale, né logico, né sistematico, autorizza minimamente a ritenere che la norma in questione... non debba trovare applicazione nel caso de quo ». È vero esattamente il contrario.
La corretta ed organica esegesi del sistema normativo risul tante dai sei provvedimenti legislativi emanati tra il marzo ed il dicembre 1976 in materia di reati valutari induce infatti ad esclu dere — conformemente all'opinione espressa da autorevole dot trina — che l'art. 4, 1° comma, d.l. 4 marzo 1976 n. 31 abbia portata generale.
La legge 30 aprile 1976 n. 159, infatti, non si è limitata — co me erroneamente ha ritenuto il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma — a convertire il decreto n. 31 con parziali emendamenti, ma ha introdotto un'autonoma di sciplina, che presenta indiscussi caratteri di novità ed origina lità rispetto al testo varato dal Governo.
Nel succedersi dei provvedimenti legislativi accennati, in par ticolare, sono chiaramente individuabili due convergenti ma di stinti indirizzi di politica criminale: l'uno, enunciato dal d. 1. n. 31 (convertito dall'art. 1 legge n. 159 e poi più volte modifi cato), concernente l'illecita esportazione di capitali e le c. d. «incriminazioni a scopo preventivo»; l'altro, enunciato dagli
art. 2 segg. legge n. 159 (anch'essi più volte modificati), relativo alla disciplina del rientro dei capitali estero-posseduti.
L'obliterazione, nel testo dell'art. 3 legge 8 ottobre 1976 n.
689, del richiamo al cit. art. 4 (richiamo contenuto invece nella
legge di conversione n. 159) corrisponde perfettamente alla di versa tipologia delle distinte incriminazioni e non all'esigenza di eliminare, come erroneamente affermato dal procuratore gene rale, una figura pleonastica, sfornita d'incidenza sulla struttura
complessiva del sistema normativo. Al riguardo è di tutta evidenza che la peculiarità delle ipo
tesi criminose disciplinate dall'art. 2 cit. impone di regola una ricerca probatoria particolarmente complessa, caratterizzata da
indagini di indole peritale, da verifiche e riscontri documentali, bancari e contabili, attività queste del tutto incompatibili non solo con l'istruttoria preliminare ed il giudizio direttissimo, ma anche con i modelli del rito sommario, nel quale non possono compiersi indagini complesse, né di difficile esperibilità alla ri cerca di prove generiche e specifiche.
Ne consegue, anche alla luce dei limiti dell'interpretazione analogica esattamente richiamati dal giudice istruttore, che l'am bito di applicazione dell'art. 4, 1° comma, d. 1. n. 31 va rigorosa mente circoscritto ai reati previsti dallo stesso testo legislativo, con esclusione delle fattispecie criminose disciplinate in modo autonomo da successive disposizioni di legge. In particolare, va escluso che il giudizio direttissimo debba trovare applicazio ne in ordine ai delitti previsti dall'art. 2 legge n. 159 come mo dificata dalla legge n. 689.
In ordine a tali reati il rito non potrà che essere quello ordi
nario, il sommario o il formale, a seconda della complessità e della prevedibile durata dell'indagine.
È appena il caso di soggiungere che soltanto una interpreta zione siffatta, aderente allo spirito ed alla lettera della legge, in quanto consente il corretto svolgimento dei necessari appro fondimenti istruttori al riparo di deplorevoli omissioni o masche ramenti inquisitori, può soddisfare le autentiche esigenze di
giustizia sostanziale.
Sotto tale aspetto, pertanto, ineccepibile si rivela l'ordinanza del giudice istruttore, che ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati.
Per questi motivi, rigetta il ricorso relativo al conflitto de nunciato dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma in data 4 luglio 1978 nel procedimento n. 4543/1978 C ed ordina la trasmissione degli atti al giudice istruttore presso detto tribunale per quanto di sua competenza.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 7 no vembre 1978; Pres. Vigorita, Est. Moleti, P. M. Folino (conti, conf.); ric. Hasnen ed altri. Conferma Assise app. Roma 24 giugno 1977.
Personalità dello Stato (delitti contro la) — Delitti contro capo o rappresentante di Stato estero — Attentato alla incolumità o libertà personale — Fattispecie (Cod. pen., art. 295, 296, 298).
Cause di non punibilità — Stato di necessità — Insussistenza —
Fattispecie (Cod. pen., art. 54).
Integra la fattispecie del reato di attentato alla incolumità o alla libertà personale di capi di Stato estero, e non di quello di at tentato alla sola « libertà morale », la condotta di colui che, usando violenza, limita la libertà personale di un rappresentan te di tale Stato impedendogli la libera disponibilità della persona. (1)
Affinché sia configurabile l'esimente dello stato di necessità oc corre che il soggetto sia costretto all'azione, normalmente ille cita, dall'attualità di un pericolo di danno grave alla persona e che tale azione sia l'unica idonea, in relazione alle circo stanze, ad evitare a sé o ad altri il grave danno (nella specie, è stato escluso il ricorrere della scriminante in relazione ad
(1) Non risultano precedenti specifici. Per la fattispecie costitutiva del parallelo reato di attentato al Capo dello Stato, v. Cass. 16 gen naio 1978, Graziarà, Foro it., Rep. 1978, voce Personalità dello Stato (delitti contro la), n. 5.
In dottrina v. R. Quadri, Delitti contro gli Stati esteri, loro capi e rappresentanti, voce dell 'Enciclopedia del diritto, 1964, XII, 51, se condo cui soggetto protetto è solo chi è investito della funzione di plomatica in virtù della procedura di accreditamento e non anche chi ne faccia le veci. Cfr., inoltre, G. Sabatini, Stati esteri, loro capi e loro rappresentanti (delitti contro), voce del Novissimo digesto, 1971, XVIII, 218.
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