sezione I penale; sentenza 14 marzo 1991; Pres. Vella, Est. Dubolino, P.M. (concl. conf.); ric.Min. tesoro in causa Stepanoff. Conferma App. Brescia, ord. 21 novembre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.425/426-441/442Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186389 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 14 mar
zo 1991; Pres. Vella, Est. Dubolino, P.M. (conci, conf.); ric. Min. tesoro in causa Stepanoff. Conferma App. Brescia, ord. 21 novembre 1990.
CORTE DI CASSAZIONE;
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Disciplina transitoria (Cod. proc. pen., art. 314, 315; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245).
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Arresti domiciliari (Cod. proc. pen., art.
284, 314). Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Equa riparazione — Liquidazione — Cri
teri (Cod. civ., art. 2059; cod. proc. pen., art. 314, 315).
L'art. 314, 1° comma, c.p.p. è applicabile, in forza del dispo sto dell'art. 245, 2° comma, norme att., coord, e trans, c.p.p., anche al periodo di custodia cautelare sofferta anteriormente
alla data di entrata in vigore del nuovo codice di rito ma
in procedimenti ancora in corso alla suddetta data, dal mo
mento che il diritto all'equa riparazione sorge non tanto per il fatto stesso dell'ingiusta detenzione, quanto per il soprav venire della pronuncia liberatoria in ordine all'imputazione relativamente alla quale la detenzione era stata sofferta. (1)
Ai fini del diritto all'equa riparazione di cui all'art. 314 c.p.p.
gli arresti domiciliari sono equiparati alla custodia cautelare
in carcere. (2) L'esclusione del carattere propriamente risarcitorio della ripara
zione per l'ingiusta detenzione comporta che, ai fini della quan
tificazione, non è rilevante il rapporto tra durata effettiva e durata massima della custodia cautelare (in assoluto o con
riferimento all'imputazione), ma il fatto in sé della custodia, valutato nella sua obiettiva entità e nei suoi effetti pregiudi zievoli, nell'ambito di un potere discrezionale necessariamen
te assai ampio, che sfugge al sindacato di legittimità salvo
che la relativa motivazione sia viziata; conseguentemente, co
stituiscono elementi di indubbia rilevanza, in primo luogo, i pregiudizi subiti nell'attività lavorativa e le spese affrontate
per l'assistenza legale, e, in secondo luogo, le sofferenze mo
rali che, non potendo essere assimilate al danno non patrimo niale, non richiedono il verificarsi delle condizioni previste dall'art. 2059 c.c. (3)
(1-12) Le riportate decisioni costituiscono le prime pronunce in tema di riparazione per ingiusta detenzione.
Ad esse adde, tra le edite (v. Indice pen., 1990, 735 s.), App. Milano 23 maggio 1990, Rimariti; 6 giugno 1990, Laurora; App. Perugia 27
giugno 1990, Lamkhanat, tutte e tre favorevoli all'applicabilità dell'art.
314, 1° comma, c.p.p. anche al periodo di custodia cautelare sofferta anteriormente al 24 ottobre 1989 in procedimenti ancora in corso alla suddetta data. A tal proposito, sicuramente erronea è, in ogni caso, l'argomentazione addotta dalla decisione sub V per sostenere la tesi
contraria, e cioè che i procedimenti in corso, nei quali sono applicabili immediatamente gli art. 314 e 315 c.p.p., devono essere individuati in
quelli rispetto ai quali, tenuto conto dello stadio in cui sono venuti a trovarsi, è possibile l'applicazione delle norme degli art. 246-257 c.p.p. richiamate dal 1° comma dell'art. 245 norme att., coord, e trans, c.p.p.: quest'ultima disposizione, infatti, non indica come applicabili, nei pro cedimenti in corso alla data del 24 ottobre 1989, gli art. 246-257 del nuovo codice di rito, ma piuttosto gli art. 246-257 dello stesso testo
legislativo, e cioè del d. leg. 28 luglio 1989 n, 271, che, come è noto, concernono tutte le fasi del processo.
Per quanto riguarda la somma da liquidare quale equa riparazione, va segnalato che, secondo App. Perugia 27 giugno 1990, cit., per rende re effettivo il riconosciuto diritto, vanno accordati, oltre agli interessi
legali dal di della pronuncia a quello del saldo (contra, v. l'ordinanza sub III, ottava massima), anche il maggior danno da svalutazione eco nomica secondo gli indici Istat.
In dottrina, in generale, sull'istituto, cfr., oltre la manualistica, Ama
to, in Amodio, Dominioni, Commentario del nuovo codice di procedu ra penale, III, parte seconda, Milano, 1990, 225 s.; Baudi, Il potere cautelare nel nuovo processo penale, Milano, 1990, 205; Chiavario, Misure cautelari e libertà personale alla luce della seconda legge-delega e del nuovo progetto preliminare di un codice di procedura penale, in
AA.VV., Verso una nuova giustizia penale, Milano, 1989, 133; Cop
petta, Custodia cautelare ingiusta e responsabilità civile dei magistrati,
Il Foro Italiano — 1991 — Parte //-14.
II
CORTE D'APPELLO DI TRENTO; ordinanza 22 febbraio
1991; Pres. Orlandi, Rei. Caccin; Kiem.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Equa riparazione — Liquidazione — Cri teri (Cod. proc. pen., art. 314, 315; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245, 254).
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Procedimento — Spese (Cod. proc. pen., art. 314, 315).
Il diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione di cui al l'art. 314 c.p.p. è un diritto soggettivo tipico di ordine pub blicistico, diverso dal diritto al risarcimento, perché trae ori
gine dalla particolare situazione che, operando a posteriori,
trasforma in illegittima una privazione della libertà personale
posta in essere senza causa o titolo; ne consegue che la som ma da liquidare consente la considerazione e valutazione dei danni non patrimoniali, ma non delle spese di difesa tecnica, sostenute nel procedimento nel corso del quale si è subita la
custodia cautelare, perché le stesse sono sopportate, e quindi non rimborsabili, anche da chi è stato assolto da qualsiasi
imputazione senza avere sofferto detenzione preventiva; infi ne, sull'entità della somma, deve influire in senso sfavorevole la circostanza che l'istante, dopo la condanna in primo gra do, sia stato assolto in appello con la formula «per insuffi cienza di prove», sia pure poi sostituita con quella «per non
aver commesso il fatto» a seguito della sopravvenuta vigenza dell'art. 530 c.p.p., di immediata applicazione ai sensi del
l'art. 254 norme att., coord, e trans, c.p.p. (4) Le spese del procedimento conseguente alla domanda di ripara
zione per ingiusta detenzione non vanno incluse nella somma
da liquidare, rientrando il suddetto procedimento tra quelli di volontaria giurisdizione più che tra quelli contenziosi veri
e propri. (5)
III
CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 27 novembre 1990; Pres. Morsillo, Rei. Izzo; Condoleo.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Disciplina transitoria (Cod. proc. pen., art. 314, 315; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245).
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Equa riparazione — Liquidazione — Cri
teri (Cod. proc. pen., art. 314, 315). Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Equa riparazione — Liquidazione — In
teressi — Esclusione (Cod. proc. pen., art. 314, 315). Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Procedimento — Spese (Cod. proc. civ., art. 91; cod. proc. pen., art. 314, 315).
L'art. 314, 1° comma, c.p.p. è applicabile, in forza dell'art.
245, 2° comma, norme att., coord, e trans, c.p.p., anche al
periodo di custodia cautelare sofferto anteriormente alla data
di entrata in vigore del nuovo codice di rito in procedimenti ancora in corso alla suddetta data, dal momento che il fatto
generatore del diritto all'equa riparazione non è dato dalla
detenzione, ma dall'ingiusta detenzione che diventa tale solo
a seguito del proscioglimento dell'imputato; nelle ipotesi, in
vece, di illegittimità della detenzione, contemplate nel 2 ° com
ma dello stesso art. 314, il riferimento in detta norma agli
in Indice pen., 1990, 125; Id., Verso la riparazione della custodia caute lare ingiusta, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1986, 1192; Di Chiara, At tualità del pensiero di Francesco Carrara in tema di riparazione dell'in
giusto «carcere preventivo», id., 1988, 1422; Miele, La riparazione per l'ingiusta detenzione, in Giusto processo, 1990, 121 s.; Montaldi, in Commentario al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia
vario, Torino, 1990, III, 309 s.; Presutti, in Amodio, Dominioni, Com mentario cit., appendice, 301; Spangher, Riparazione pecuniaria, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1989, XL, 1020. [E. D'Angelo]
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PARTE SECONDA
art. 273 e 280 c.p.p. comporta che la custodia cautelare deve
essere stata disposta o mantenuta dopo l'entrata in vigore del
nuovo codice. (6) Ai fini della quantificazione dell'equa riparazione, che costitui
sce un superamento in senso più ampio del risarcimento del
danno, occorre tener conto, oltre che della durata della cu
stodia cautelare, del discredito, della squalifica sociale e pro
fessionale dell'interessato (anche in relazione al titolo del rea
to e alla risonanza che la vicenda ha avuto nell'opinione pub blica e nell'ambiente di lavoro), nonché delle sofferenze subite
e del pregiudizio psico-fisico eventualmente provocato dall'in
giusta detenzione. (7) Sulla somma determinata quale equa riparazione dell'ingiusta
detenzione non vanno accordati interessi, non essendo previ sti dall'art. 315 c.p.p. e risultando incompatibili con la natu
ra dell'indennizzo al quale non si attagliano le norme privati stiche che disciplinano l'inadempimento delle obbligazioni e
la responsabilità per fatto illecito. (8) Il carico delle spese nel procedimento conseguente alla doman
da di riparazione dell'ingiusta detenzione, va regolato, nono
stante la legge non ne faccia menzione, secondo il principio di soccombenza, di cui all'art. 91 c.p.c., con riferimento al
l'esito finale, trattandosi di un procedimento avente natura
civile inserito, per ragioni di opportunità e con regole parti colari, in una procedura che si svolge dinanzi il giudice
penale. (9)
IV
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE; ordinanza 22 ottobre 1990; Pres. e rei. Corrieri; Petrone.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Disciplina transitoria (Disp. sulla legge in generale, art. 11; cod. proc. pen., art. 314, 315; norme
att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245, 250).
L'art. 314 c.p.p., in mancanza di un'esplicita diversa previsio
ne, non dispone che per l'avvenire ai sensi dell'art. 11 disp. sulla legge in generale e, pertanto, la norma transitoria di
cui all'art. 245, 2° comma, lett. g), concerne solo le detenzio ni sofferte dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di rito
in procedimenti in corso a tale data che proseguono con il
codice previgente; la ratio, infatti, che ha ispirato la suddetta
disposizione transitoria consiste nell'evitare che detenzioni di
sposte in conformità del nuovo codice (e tali sono anche quelle nei procedimenti sopra indicati, in applicazione dell'art. 250
norme att., coord, e trans, c.p.p.) possano sottostare a disci
pline diverse per quanto attiene all'equa riparazione. (10)
V
CORTE D'APPELLO DI TORINO; ordinanza 21 marzo 1990; Pres. Barbaro, Rei. Nattero; Laconi.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Disciplina transitoria (Cod. proc. pen., art. 314, 315; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245).
È improponibile la domanda di riparazione per ingiusta deten
zione subita prima della data di entrata in vigore del nuovo
codice di rito, indipendentemente dal fatto che il processo nel quale tale situazione si è verificata si sia concluso poste riormente o meno alla data suddetta, dal momento che, nella
seconda evenienza, l'art. 245, 2° comma, norme att., coord,
e trans, c.p.p. è applicabile unicamente ai procedimenti de
scritti nel 1 ° comma della stessa norma, e cioè che si trovano
ancora in uno stadio in cui è possibile l'applicazione delle
norme degli art. 246-257 c.p.p., concernenti tutti atti pretta mente istruttori. (11)
VI
CORTE D'APPELLO DI ROMA; ordinanza 8 marzo 1990; Pres. Aiello, Rei. Izzo; Liberati.
Errore giudiziario e ingiusta detenzione (riparazione di) — In
giusta detenzione — Disciplina transitoria (Cod. proc. pen.,
Il Foro Italiano — 1991.
art. 314, 315; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 245).
È inammissibile la domanda di riparazione per ingiusta deten
zione subita in un procedimento che alla data di entrata in
vigore del nuovo codice di rito era stato già definito con prov vedimento irrevocabile, dal momeno che l'applicazione im
mediata del nuovo istituto presuppone che il procedimento sia ancora in corso alla data suddetta. (12)
I
Con l'impugnato provvedimento la Corte d'appello di Bre
scia, su richiesta dell'interessato, il quale assumeva di aver subi
to ingiustamente, prima della data di entrata in vigore del nuo
vo codice di procedura penale, ma nell'ambito di un procedi mento definitivamente conclusosi successivamente alla data
predetta, custodia cautelare, riconobbe in favore dello stesso
interessato il diritto alla riparazione di cui all'art. 314 c.p.p., nella misura di lire 60.000.000.
Osservò in particolare la corte a sostegno di tale decisione
che l'art. 245, 2° comma, d. leg. 271/89, recante norme di at
tuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo codice di
procedura penale, nel prevedere l'applicabilità, con riguardo ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice
e destinati a proseguire nell'osservanza della normativa proces suale previgente, anche degli art. 314 e 315 del codice stesso, non aveva affatto inteso (come sostenuto invece, in una propria
memoria, dall'avvocatura erariale) limitare il diritto alla ripara zione solo ai casi in cui la custodia cautelare rivelatasi ingiusta avesse comunque avuto luogo successivamente alla predetta da
ta. Ciò in quanto, se questo fosse l'intento del legislatore, non
vi sarebbe stata alcuna necessità di dettare la suddetta disposi zione transitoria, dal momento che, nei casi sumnenzionati, avrebbe comunque trovato diretta applicazione la normativa di
cui agli art. 314 e 315 del nuovo codice.
Nel ricorso proposto avverso la detta decisione dall'avvocatu
ra dello Stato e successivamente integrato da nuovi motivi e
da memoria illustrativa, si lamenta, in sintesi:
a) violazione di legge per avere la corte ritenuto l'applicabili tà dell'istituto di cui all'art. 314 del nuovo c.p.p. anche in casi
come quello in esame, sulla base dell'erronea interpretazione della norma transitoria dianzi richiamata e trascurando di con
siderare che soltanto la custodia cautelare ingiustamente soffer
ta costituisce il fatto generatore del diritto alla riparazione, co
me tale rilevante solo se successivo all'entrata in vigore della
norma che lo prevede come tale, operando la sentenza irrevoca
bile di assoluzione solo come condizione per l'esercizio di detto
diritto;
b) erronea equiparazione degli arresti domiciliari alla custo
dia cautelare, ai fini del diritto all'indennizzo;
c) violazione di legge e vizio di motivazione della determina
zione del quantum. Il ricorso è infondato.
Per quanto attiene il primo motivo, nè ben vero che, come
esattamente rilevato dall'avvocatura erariale, la corte di merito
è caduta in errore, laddove ha affermato che l'inserimento degli art. 314 e 315 del nuovo codice di procedura nel novero di quel le richiamate dall'art. 245 d. leg. 271/89 non avrebbe avuto
ragion d'essere se non con riferimento alla custodia cautelare
eventualmente sofferta prima della data di entrata in vigore del
detto codice, giacché per quella successiva avrebbero comunque
operato i citati articoli del codice stesso. La fallacia di tale ar
gomentazione appare infatti evidente ove si consideri che il pre
supposto su cui si fonda l'art. 245 d. leg. 271/89 è quello che
si tratti di procedimenti già pendenti all'atto dell'entrata in vi
gore del nuovo codice (24 ottobre 1989) e destinati però a pro
seguire nell'osservanza della procedura previgente, di tal che, essendo l'istituto della riparazione dell'ingiusta detenzione pre visto esclusivamente nella procedura attuale, esso, in difetto di
apposita statuizione, non avrebbe potuto trovare applicazione, anche se la detenzione si fosse verificata dopo la suddetta data
del 24 ottobre 1989.
Ciò posto, devesi però osservare che non può invece condivi
dersi l'ulteriore e decisivo assunto della ricorrente, secondo cui
il diritto alla riparazione, riconosciuto solo dalla nuova norma
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GIURISPRUDENZA PENALE
tiva processuale, sorgerebbe per il fatto stesso dell'ingiusta de
tenzione, e non per il sopravvenire della pronuncia liberatoria
in ordine all'imputazione relativamente alla quale la detenzione
era stata sofferta.
Se cosi fosse, invero, non potendo l'art. 314 c.p.p. che di
sporre per l'avvenire e non potendosi ad esso attribuire una
efficacia retroattiva solo per i procedimenti destinati a prose
guire nell'osservanza della procedura previgente, se ne dovreb
be dedurre che, in effetti, il diritto alla riparazione non potreb be che sorgere in relazione a custodia cautelare ingiustamente sofferta dopo l'entrata in vigore del nuovo codice, quale che
fosse la disciplina processuale applicabile al procedimento nel
l'ambito del quale la detta custodia aveva avuto luogo. Senonchè l'art. 314 c.p.p., nella sua testuale e non eludibile
formulazione, prevede che il «diritto a un'equa riparazione» sorga in capo a «chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile», con una delle formule successivamente indicate.
Attesa tale formulazione, deve quindi ritenersi che la volun
tas legis sia stata nel senso di attribuire alla pronuncia di pro
scioglimento non la funzione di condizione per l'esercizio di
un diritto già venuto ad esistenza per il fatto stesso della patita custodia cautelare, ma la funzione di fatto generatore, esso stesso, di quel diritto, precedentemente da considerare inesistente, pur essendosi verificato l'altro fatto (custodia cautelare), potenzial mente (ma solo potenzialmente) idoneo a determinarne in futu
ro la nascita. È la sentenza di proscioglimento, in altri termini, a rendere «ingiusto», e quindi indennizzabile, ciò che prima in
giusto non era.
In proposito, può essere utile, per meglio chiarire il concetto, un raffronto tra l'articolo in esame e la norma fondamentale
in materia di responsabilità civile da fatto illecito (art. 2043 c.c.), secondo la quale è invece il fatto stesso della produzione del
danno ingiusto a generare, illieo et immediate, l'obbligo del ri
sarcimento, e quindi, contestualmente, il diritto del danneggia to ad ottenerlo (tanto è vero che, come è noto, in sede di quan tificazione del danno, quando questo consiste in una riparazio ne pecuniaria, la rivalutazione decorre appunto dal momento
in cui il danno è stato subito). Se dunque, nella disciplina voluta dal legislatore, il diritto
alla riparazione sorge esclusivamente in conseguenza della pro nuncia liberatoria, volta che questa sia divenuta irrevocabile, ne consegue che tale insorgenza ha luogo alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che la pronuncia stessa si collochi in
un tempo successivo alla data di entrata in vigore del nuovo
codice (come appunto si verifica, pacificamente, nel caso di spe
cie), quale che sia la normativa processuale nell'osservanza del
la quale il procedimento è stato definito.
E, d'altra parte, ad ulteriore dimostrazione della validità, di
tale conclusione, può osservarsi che, ove si intendesse limitare
il diritto alla riparazione ai soli casi in cui la custodia cautelare
fosse stata sofferta dopo la data del 24 ottobre 1989, ne derive
rebbe la paradossale conseguenza che tale diritto non dovrebbe
sorgere neppure in capo a soggetti nei cui confronti, dopo la
data predetta, si sia proceduto nell'osservanza della nuova pro cedura (e, quindi, in una situazione di piena e incontestabile
applicabilità dell'art. 314 c.p.p.), quando la custodia cautelare, nell'ambito del medesimo procedimento, fosse stata sofferta in
epoca precedente; eventualità, questa, indubbiamente di diffici
le, ma non di impossibile realizzazione; basti pensare, ad esem
pio, al caso di custodia cautelare sofferta prima del 24 ottobre
1989 in forza di mandato di cattura la cui esecuzione non sia
stata seguita da tempestivo interrogatorio, con conseguente scar
cerazione dell'imputato, successivamente prosciolto. In tal ca
so, infatti, ove non fossero stati compiuti altri atti di istruzione
dei quali fosse previsto il deposito, non si sarebbe verificata
alcuna delle condizioni atte a legittimare la prosecuzione del
procedimento con il vecchio rito (con particolare riguardo a quelle
previste nell'art. 242, 1° comma, lett. a, d. leg. 271/89) per
cui il procedimento, se ancora pendente alla data di entrata in
vigore del nuovo codice, non avrebbe potuto che essere prose
guito secondo la disciplina ivi contenuta.
Passando quindi all'esame del motivo sub b), basti rilevare,
a dimostrarne l'infondatezza, che l'art. 284, 5° comma, c.p.p.
equipara espressamente gli arresti domiciliari alla custodia cau
telare; ed è appunto alla custodia cautelare che fa riferimento
l'art. 314 c.p.p. Per ciò che attiene poi il motivo sub e), rileva anzitutto que
II Foro Italiano — 1991.
sta corte che, in sostanza, la doglianza si fonda essenzialmente
sull'assunto secondo il quale, dovendosi ritenere che il limite
massimo dell'indennizzo sia stato previsto, dal legislatore, per chi avesse subito il massimo della custodia cautelare (quattro
anni) e non potendosi commisurare l'entità della riparazione se
non alle conseguenze direttamente riconducibili alla privazione della libertà, con esclusione dei danni non patrimoniali e, co
munque, delle conseguenze derivanti dal solo fatto dell'essere
stato taluno sottoposto a procedimento penale, senza alcuna pre
tesa, in ogni caso, di dar luogo ad un vero e proprio «risarci
mento» (di cui l'indennizzo in questione rappresenterebbe un
quid minus), erroneamente i giudici del merito avrebbero attri
buito all'interessato il diritto all'indennizzo nella misura ecces
siva di lire 60.000.000. Tali argomentazioni non colgono nel segno. Infatti, proprio
la (giustamente) rilevata esclusione del carattere propriamente risarcitorio della riparazione di cui all'art. 314 c.p.p. comporta
l'inapplicabilità, ai fini della quantificazione, di criteri fondati
su di una stretta proporzione tra durata della custodia cautelare
(rispetto al massimo previsto dall'ordinamento) e determinazio
ne dell'entità dell'indennizzo, rispetto al corrispondente massi
mo per questo fissato dalla legge. Al riguardo, basti considera
re che se cosi non fosse, e se quindi il massimo dell'indennizzo
dovesse essere riconosciuto soltanto a chi avesse subito il massi
mo in assoluto della custodia cautelare (fissato, nell'ordinamen
to, con riguardo ai reati di maggiore gravità), risulterebbe in
giustamente sfavorito chi, essendo stato accusato di reati di mi
nore gravità, abbia nondimeno subito il massimo di custodia
cautelare previsto per tali reati. Se poi, per converso, il parame tro di riferimento dovesse essere il massimo della custodia cau
telare con riferimento all'imputazione, ne deriverebbero ugual mente conseguenze ingiuste, giacché lo stesso identico periodo di custodia cautelare darebbe luogo a riparazioni pecuniarie dif
ferenziate a seconda della gravità dei reati contestati e, quindi, della durata massima della custodia cautelare per essi prevista, con palese, ingiustificata disparità di trattamento nei confronti
di situazioni rese assolutamente omogenee dal fatto che, in or
dine all'imputazione, quale che fosse la sua originaria gravità, è comunque intervenuta pronuncia liberatoria.
Ai fini della quantificazione, dunque, quello che conta non
può essere il rapporto tra durata effettiva e durata massima
della custodia cuatelare (in assoluto o con riferimento all'impu
tazione), ma il fatto in sé della detta custodia, valutato nella
sua obiettiva entità e nei suoi effetti comunque pregiudizievoli, nell'ambito di un potere discrezionale necessariamente assai am
pio, attesa l'estrema variabilità delle singole situazioni concrete.
I provvedimenti adottati nell'esercizio di un tale potere da
parte del giudice di merito sfuggono, pertanto, al sindacato di
legittimità, salvo che «manchi» o sia «manifestamente illogica» la relativa motivazione (art. 606, 1° comma, lett. e, c.p.p.); il che non può certamente dirsi nel caso di specie, giacché, escluso
(per le ragioni anzidette), il vizio di fondo che avrebbe dovuto
essere costituito dalla pretesa violazione del criterio di rigida
proporzionalità tra indennizzo e durata massima della custodia
cautelare, quanto al resto la corte di merito, rilevato, da una
parte, che la durata e le modalità attuative della custodia caute
lare (essendo stata questa parzialmente sofferta in regime di ar
resti domiciliari), non erano tali da far qualificare il caso in
esame come uno dei più gravi, ha poi, d'altra parte, in coerenza
con tale premessa, fatto riferimento, ai fini della determinazio
ne della riparazione in una misura assai più vicina alla metà
che al massimo dell'importo previsto dalla legge, ad elementi
di indubbia rilevanza, quali: in primo luogo, i pregiudizi subiti
nell'attività lavorativa e le spese vive affrontate per l'assistenza
legale (sulle quali ultime si è appuntata la critica della ricorren
te, secondo cui le stesse ci sarebbero state in ogni caso; il che
non appare condivisibile, essendo noto che il fatto stesso della
detenzione dà luogo, di solito, al dispiego di attività difensiva
maggiore di quella necessaria in caso di imputato a piede libe
ro); in secondo luogo le «sofferenze morali» (legittimamente
valutabili, al contrario di quanto pure sostenuto dall'avvocatu
ra), proprio perché, non vertendosi in tema di vero e proprio
risarcimento, non possono essere assimilate al danno non patri moniale di cui all'art. 2059 c.c. e non richiedono, quindi, il
verificarsi delle condizioni ivi previste. La motivazione appare, quindi, sotto l'aspetto in esame, del tut
to ineccepibile e, pertanto, inattaccabile sul piano della legittimità.
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PARTE SECONDA 432
II
Svolgimento del processo. — Con atto 27 novembre 1989 Kiem
Erwin proponeva a questa corte domanda di riparazione ai sen
si dell'art. 314 ss. del vigente codice di procedura penale, assu
mendo di avere subito custodia cautelare dal 29 febbraio 1988
(giorno dell'esecuzione del mandato di cattura) al 31 maggio 1989 (giorno della sentenza di assoluzione per insufficienza di
prove della corte di assise di appello), essendo imputato di omi
cidio premeditato della suocera Winterholer Berta in maso Tauf
hof di Castelbello di Ciardes in data anteriore e prossima al
4 ottobre 1986.
La Corte suprema di cassazione, con decisione 1° dicembre
1989, dichiarava inammissibile il ricorso del procuratore gene rale e rettificava la sentenza impugnata nel punto concernente
l'assoluzione per insufficienza di prove mediante la sostituzione
di tale formula con quella per non avere commesso il fatto.
Testualmente in motivazione: «Per la sopravvenuta vigenza del
l'art. 530 del nuovo codice di procedura penale di immediata
applicazione (art. 254 d. leg. 28 luglio 1989 n. 271), la sentenza
impugnata va rettificata nel punto concernente l'assoluzione per insufficienza di prove e tale formula va sostituita con quella
per non avere commesso il fatto».
Tutto ciò premesso il Kiem domandava l'assegnazione della
somma di lire 100.000.000 (centomilioni) a titolo di equa ripa razione per la custodia cautelare ingiustamente sofferta che ca
gionò, oltre la privazione della sua libertà personale, la vendita
forzosa della propria abitazione con perdita di circa lire
50.000.000, il licenziamento della moglie dal posto di lavoro
e l'abbandono degli studi da parte del figlio che si dovette dedi
care subito al lavoro, nonché l'esborso di lire 6.326.000 di Iva
e interessi per mancato conguaglio del 1985. (Omissis) Motivi della decisione. — L'istituto della riparazione per in
giusta detenzione è del tutto innovatore nel nostro ordinamen
to, per cui non deve essere confuso con quello della riparazione
degli errori giudiziari che emergono a seguito di giudizio di re
visione disciplinato dagli articoli dal 643 al 647 sempre del nuo
vo codice di procedura penale. In termini statistici e in concre
to, tale istituto è destinato a coprire una gamma di riparazione di molto superiore di quella relativa agli errori giudiziari che
siano accertati dopo il passaggio in giudicato di una sentenza
di condanna.
È un'innovazione di grande civiltà giuridica che era da lungo
tempo attesa. Infatti, questo istituto ha, nel nostro paese, una
storia lontana definita «storia, purtroppo, di una legge manca
ta; storia che insegna quanto presunte difficoltà dogmatiche,
preoccupazioni politiche e tecnico-finanziarie, vengano talvolta
privilegiate rispetto alle istanze di giustizia». Solamente due volte, sia pure con moltissime difficoltà, la
riparazione per ingiusta detenzione è stata tradotta in termini
legislativi. Vanno, al riguardo, ricordate «La nuova legislazione criminale da osservarsi nella Toscana» promulgata nel 1786 dal
granduca Pietro Leopoldo (in particolare il capo XL VI) e «Le
leggi penali del regno delle Due Sicilie» promulgate nel 1819
(in particolare l'art. 35): entrambe istituivano una cassa alla
quale ricorrere anche per le riparazioni delle detenzioni ingiu stamente sofferte.
Anche se timidi, tali tentativi non trovarono spazio nelle nor
mative successive all'unità d'Italia, tanto che il codice di proce dura penale del 1930 recava una nozione, peraltro molto restrit
tiva, del solo istituto degli errori giudiziari. Ci volle la 1. 23
maggio 1960 n. 504 (ma vedi anche l'art. 2 1. 14 maggio 1965
n. 481) per slegare la riparazione degli errori giudiziari dallo
stato di bisogno del richiedente e per riconoscere nel contempo alla vittima dell'errore la titolarità di un vero e proprio diritto
soggettivo alla riparazione. Per il resto, quell'istituto rimane vincolato al presupposto del
proscioglimento in seguito a giudizio di revisione, comprenden do il proscioglimento, secondo la sentenza n. 12 in data 2 feb
braio 1978 della Corte costituzionale (Foro it., 1978, I, 546), anche l'annullamento di una sentenza irrevocabile di assoluzio
ne per insufficienza di prove quando sia sostituita con formula
più favorevole all'imputato. Ma, intanto, nulla si prevede anco
ra in ordine alla riparabilità della carcerazione ingiustamente sofferta.
Eppure la Corte costituzionale imponeva e impone l'obbligo indilazionabile dell'estensione della riparazione anche alla cu
stodia cautelare ingiusta. Tale imperativo emerge con sufficien
II Foro Italiano — 1991.
te chiarezza dalla lettura coordinata del 4° comma dell'art. 24
(«La legge determina le condizioni e i modi di riparazione degli errori giudiziari») e del 1° comma dell'art. 13 («La libertà per sonale è inviolabile»), coerentemente con il patto internazionale
sui diritti civili e politici (art. 9, par. 5) e con la convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, che espressamente riconoscono il diritto alla ri
parazione della detenzione ingiusta. In questo contesto, dopo il vano tentativo proposto nella leg
ge delega per la riforma del codice di procedura penale del 1974, di cui alla direttiva n. 981 che diede luogo all'art. 300 del pro
getto preliminare del 1978, il principio della «riparazione del
l'ingiusta detenzione» appare espressamente nella direttiva n.
100 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81. Principio che
la dottrina ha inteso come «una delle innovazioni più significa tive nell'intelaiatura del futuro processo» e valutato come «il
punto più elevato cui assurge il progetto, quasi la sintesi dello
spirito che lo anima».
Nell'art. 314 del nuovo codice di rito il legislatore ha indivi
duato il titolo del diritto alla riparazione in sole due ipotesi. La prima presuppone una «sentenza irrevocabile perché il fatto
non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto
non costituisce reato e non è previsto dalla legge come reato»
nei confronti di un soggetto che abbia, nel corso del procedi mento che dette luogo a tale sentenza, «subito custodia cautela
re», «qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave».
La seconda ipotesi, di certo più importante, non fa riferi
mento all'ingiustizia del titolo della detenzione ma all'illegitti mità del provvedimento che «sia stato emesso o mantenuto sen
za che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli art. 273 e 280». Nel caso di sopravvenuta abrogazione della
figura criminosa non si conteggia il periodo anteriore alla nova
zione della legge, cosi come «il diritto è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determi
nazione della misura di una pena ovvero per il periodo in cui
le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano
state sofferte anche in forza di altro titolo».
La dottrina ha inquadrato la riparazione degli errori giudizia ri nell'ambito della responsabilità dello Stato per fatto illecito
o per atto lecito. Non sembra che tali inquadramenti esaurisca
no la tematica, perché, rispetto alla prima ipotesi, resterebbero
escluse le fattispecie del caso fortuito e delle stesse limitazioni
umane, atteso che elemento essenziale dell'illecito civile è l'im
putabilità della lesione «per fatto doloso o colposo»; mentre
nella seconda ipotesi l'ingiusta detenzione sacrifica l'interesse
privato e quello pubblico e non anche l'interesse privato a van
taggio di quello pubblico. Ne consegue che deve ritenersi principio fondamentale che
l'individuo, ingiustamente privato della libertà personale, ha di
ritto ad una equa riparazione da parte dello Stato, a prescinde re da qualsivoglia responsabilità per dolo o colpa grave dell'or
gano che ha emesso il provvedimento di coercizione, anche per
ché, ferma la legittimità della sua adozione, si può pervenire nel prosieguo dell'istruttoria ad una sentenza di assoluzione op
pure, come è detto nel 3° comma dello stesso art. 314, «ad
un provvedimento di archiviazione ovvero ad una sentenza di
non luogo a procedere». Deve distinguersi, allora, tra custodia
cautelare cui siano seguiti una sentenza di assoluzione o di non
luogo a procedere oppure un provvedimento di archiviazione
e custodia cautelare sofferta in forza di un titolo illegittimo. In ciascuno dei due casi sorge l'obbligo dello Stato di interve
nire per riparare il danno arrecato che, nella prima fattispecie
pur non essendo iniura datum, risulta di sicuro sine iure, anche
se la valutazione deve essere eseguita a posteriori, e che, nella
seconda fattispecie, è iniura datum per causa di un agere contra
ius. Obbligo che prescinde dall'individuazione di un'eventuale
responsabilità e da un concreto accertamento della medesima
in capo al magistrato che ha adottato il provvedimento restritti
vo della libertà personale, nonché indipendentemente dall'esito
di tale accertamento.
Nella relazione al codice si legge, con riferimento alla prima
ipotesi, che «qui il rapporto tra la natura della formula di pro
scioglimento adottata e la restrizione subita dall'imputato sul
piano della libertà personale risulta di per sé sufficiente ad atte
stare ex post la sostanziale ingiustizia di tale restrizione», e, con riguardo alla seconda ipotesi, che «qui non viene necessa
riamente in evidenza un profilo di ingiustizia sostanziale della
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GIURISPRUDENZA PENALE
restrizione subita dall'imputato mentre è evidente la sua illegit timità (cioè, per cosi dire, la sua ingiustizia formale), ed anche
quest'ultima situazione viene assunta a presupposto del diritto
alla riparazione in capo all'imputato medesimo».
Oggi tutti riconoscono, e la normativa lo dice apertis verbis, che il titolo sul quale la riparazione si fonda è un vero e proprio diritto soggettivo che ha come sua causa l'ingiustizia, sostanzia
le o formale, della custodia cautelare. Un diritto che è più am
pio del diritto al risarcimento e che, rispetto a questo, consente
di superare il problema della rilevanza dei danni non patrimo niali. Invero, l'art. 2059 c.c. prevede l'esclusione del diritto ai
danni morali quando si tratta di un titolo al risarcimento in
senso stretto («Il danno non patrimoniale deve essere risarcito
solo nei casi determinati dalla legge»), mentre la riparazione
oggi prevista dall'art. 314 consente, con sicurezza, la compren sione e valutazione dei danni non patrimoniali. Più specificata
mente, si tratta di un diritto soggettivo tipico di ordine pubbli cistico, diverso dal diritto al risarcimento, perché trae origine dalla particolare situazione che, operando a posteriori, trasfor
ma in illegittima una privazione della libertà personale posta in essere senza causa o titolo. In conseguenza del rinvio di cui
all'art. 315, la riparazione è commisurata alla durata della cu
stodia cautelare «tenuto conto delle condizioni dell'avente dirit
to e della natura del danno», che «non può comunque eccedere
lire cento milioni».
Mentre risulta costituzionalmente esatta l'estensione dell'am
bito della riparabilità alla detenzione che, «anche senza derivare
da una sentenza passata in giudicato, dovesse risultare non do
vuta», giusta l'invito rivolto dalla Corte costituzionale (senten za n. 1 del 1969, id., 1969, I, 249) al legislatore di «specificare
se, tra gli errori giudiziari, dei quali l'art. 24, ultimo comma, Cost, prevede le condizioni e i modi per la riparazione, dovesse
o meno farsi rientrare l'ingiusta carcerazione preventiva», cer
tamente i parametri direttivi del quantum della riparazione, nel
la fattispecie in esame, possono non apparire soddisfacenti spe cie se si considera che non di rado le sole spese per la difesa
tecnica raggiungono il limite più sopra indicato o addirittura
10 superano. È comunque da escludere che il detto limite massimo di «lire
cento milioni» di riparazione possa essere considerato incostitu
zionale per concrete disparità di trattamento, come rilevato an
che in questa sede, trattandosi di un criterio rientrante nell'as
soluta discrezionalità del legislatore, il quale potrà comunque e sempre provvedere attraverso una migliore integrazione della
disciplina. Quindi, nell'ambito dell'importo anzidetto, la som
ma da liquidare deve avere riguardo, e quindi comporsi esclusi
vamente, della durata della custodia cautelare, delle condizioni
dell'avente diritto e della natura del danno.
Perciò, sono sicuramente escluse dalla riparazione le spese di difesa tecnica nel procedimento conclusosi con l'assoluzione,
preceduto da custodia cautelare, perché le stesse sono sopporta
te, quindi non rimborsabili, anche da chi è stato assolto da qual siasi imputazione senza avere subito detenzione preventiva. Ma, devono andare escluse anche le spese tecniche per il giudizio di richiesta della riparazione, rientrando il medesimo tra i pro cedimenti di volontaria giurisdizione più che in quelli conten
ziosi veri e propri. Nel caso di specie, poi, sull'entità della riparazione deve in
fluire non certo in senso favorevole all'istante il fatto che, dopo 11 riconoscimento di responsabilità e la condanna a sedici anni
di reclusione per omicidio premeditato, sia stato assolto in se
condo grado con la formula dubitativa dell'insufficienza di pro
ve, «sostituita con quella per non avere commeso il fatto» «per la sopravvenuta vigenza dell'art. 530 del nuovo codice di proce dura penale di immediata applicazione (art. 254 d. leg. 28 luglio 1989 n. 271)». Si tratta, in sostanza, di una mera rettifica for
male che fa sorgere il diritto soggettivo alla riparazione, ma
che pesa negativamente sulla sua complessiva entità.
Tutto ciò tenuto conto ed atteso che il Kiem Erwin versava
in precarie condizioni economiche fin dal momento in cui ven
ne disposta a suo carico la custodia cautelare, e prendendo per base una retribuzione media di lavoro dell'epoca pari a mensili
lire 1.600.000 (unmilioneseicentomila), il danno patrimoniale vie
ne determinato in lire 24.000.000 (1.600.000 x 15). Rilevante
appare la sofferenza morale, specie ove non avesse ragione di
essere il dubbio consacrato nella decisione di appello, che, per
ciò, può essere quantificata in complessive lire 20.000.000 (ven
timilioni). Cosi complessivamente lire 44.000.000 (quarantaquat
tromilioni).
Il Foro Italiano — 1991.
Ill
1. - In data 9 maggio 1990 l'avv. Rocco Condoleo presentava domanda di riparazione per ingiusta detenzione, ai sensi del
l'art. 314 nuovo c.p.p., esponendo di aver subito un periodo di custodia cautelare dal 14 luglio 1987 al 4 dicembre 1987 (sia
pure, a decorrere dal 29 luglio 1987, nella forma degli arresti
domiciliari), giusta ordine di cattura emesso I'll luglio 1987
dalla procura della repubblica presso il Tribunale di Roma, per
l'imputazione di concorso in estorsione aggravata in danno di
Venturini Rocco. Aggiungeva di essere stato assolto per insuffi
cienza di prove da detta imputazione con sentenza del Tribuna
le di Roma, sezione IV penale, in data 22 giugno 1988, e, in
secondo grado, con la formula per non aver commesso il fatto, con sentenza della Corte d'appello di Roma, sezione II, in data
6 dicembre 1989, divenuta irrevocabile il 15 febbraio 1990.
L'istante, dopo aver precisato che non aveva dato o concorso
a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave e
che la detenzione sofferta gli aveva arrecato grave e irreparabile danno morale, professionale ed economico, chiedeva un'equa
riparazione quantificabile in misura non inferiore al massimo
consentito.
Il presidente di questa corte fissava l'udienza in camera di
consiglio ai sensi degli art. 127, 315 e 646 c.p.p. ordinando la
comunicazione del decreto, della domanda e dei documenti al
procuratore generale in sede ed al ministro del tesoro presso l'avvocatura dello Stato, nonché al difensore dell'istante.
L'avvocatura dello Stato, per conto del ministero del tesoro,
presentava una memoria difensiva, nella quale sosteneva che
la riparazione è dovuta soltanto se il fatto generatore del diritto
(detenzione) sia successivo all'entrata in vigore del nuovo codi
ce di procedura penale e concludeva per il rigetto dell'istanza
in quanto relativa ad un periodo di detenzione anteriore al 24
ottobre 1989. Anche la difesa del Condoleo presentava memo
ria difensiva, nella quale replicava alle argomentazioni di cui
sopra. All'udienza del 25 ottobre 1990, assenti il procuratore gene
rale e il rappresentante del ministero del tesoro, comparivano l'istante ed il suo difensore, il quale illustrava le ragioni della
domanda, contestando le argomentazioni svolte dall'avvocatura
dello Stato. All'esito dell'udienza, la corte si riservava di deci
dere assegnando termine di giorni trenta per il deposito di me
morie e documenti. Nel termine assegnato la difesa del Condo
leo presentava ampia memoria difensiva corredandola di docu
mentazione.
2. - Ciò premesso, il problema pregiudiziale da risolvere ri
guarda l'ambito temporale di operatività delle disposizioni degli art. 314 e 315 c.p.p., posto che, secondo l'orientamento inter
pretativo proposto dall'avvocatura dello Stato, la riparazione
per ingiusta detenzione troverebbe applicazione solo per le de
tenzioni sofferte dopo la data di entrata in vigore del nuovo
codice di procedura penale, con la conseguente inapplicabilità al caso in esame riguardante una detenzione patita anteriormen
te al 24 ottobre 1989.
A parere della corte, per la soluzione del problema, occorre
prendere le mosse dall'art. 245 disp. att. approvate con d. leg. 28 luglio 1989 n. 271 che ha dichiarato le disposizioni degli art.
314 e 315 di immediata applicazione ai procedimenti in corso
alla data di entrata in vigore del codice che proseguono con
l'applicazione delle norme del codice previgente.
Quali siano i «procedimenti in corso» lo si ricava dal prece dente art. 241, ove è detto che i procedimenti in corso alla data
di entrata in vigore del codice proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti se a tale data è stata già ri
chiesta la citazione a giudizio ovvero sono stati emessi sentenza
istruttoria di proscioglimento non irrevocabile, ordinanza di rin
vio a giudizio, decreto di citazione a giudizio o decreto di con
danna ovvero è stato disposto il giudizio direttissimo.
Consegue che ogni qualvolta si abbia a che fare con un pro
cesso nel quale, alla data del 24 ottobre 1989, era già intervenu
to uno degli atti sopraelencati, l'interpretazione della citata di
sposizione transitoria induce senz'altro a ritenere operanti le nor
me dettate dagli art. 314 e 315 del nuovo codice in tema di
riparazione per ingiusta detenzione. Agiungasi, poi, che l'inter
pretazione letterale e logica porta ad identificare i procedimenti
in corso con quelli che non siano stati ancora definiti con sen
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PARTE SECONDA
tenza irrevocabile, con la conseguenza che l'istituto in parola non può trovare applicazione per quei procedimenti che alla
data suddetta si siano conclusi con decisione ormai passata in
giudicato (in tal senso, vedi ordinanza di questa corte in data
8 marzo 1990, n. 1, sub VI, che ha dichiarato inammissibile
la domanda di riparazione relativa a procedimento concluso con
decisione divenuta irrevocabile prima del 24 ottobre 1989). D'altra parte con la disposizione dell'art. 245 citato risulta
evidente l'intento del legislatore di rendere immediatamente ap
plicabili alcune norme del nuovo codice ai procedimenti che pro
seguono con il vecchio rito, con il solo limite derivante dal giu
dicato, che non consente alcun innesto di nuove norme a rap
porti processuali ormai conclusi ed esauriti. Né l'esclusione di
tali ultimi procedimenti può apparire frutto di una scelta legis lativa censurabile sul piano dell'opportunità, ove si consideri
l'imponente mole di contenzioso e di costi che avrebbe compor tato per lo Stato il riconoscimento del diritto alla riparazione
per le situazioni pregresse. Alla luce delle esposte considerazioni, può concludersi per la
piena applicabilità dell'istituto in parola alla fattispecie in esa
me, tenuto che alla data del 24 ottobre 1989 il procedimento a carico di Condoleo Rocco era ancora «in corso», essendo sta
to definito con sentenza divenuta irrevocabile soltanto in data
15 febbraio 1990.
Assume, però, l'avvocatura dello Stato che il fatto generatore del diritto (detenzione) è antecedente al 24 ottobre 1989, con
la conseguenza che l'istante non avrebbe alcun titolo per la ri
parazione richiesta.
La tesi, a parere della corte, non può essere condivisa.
Sotto un profilo di argomentazione letterale, l'art. 245 citato
nel rendere immeditamente applicabile le disposizioni degli art.
314 e 315 non fa alcun cenno a detenzioni sofferte prima o
dopo il 24 ottobre 1989, sicché appare arbitrario da parte del
l'interprete operare un distinguo di cui non v'è traccia nel testo
legislativo. Ma l'argomento decisivo attiene alla valutazione dei presup
posti che fanno nascere il diritto alla riparazione nelle ipotesi
previste dal 1° comma dall'art. 314, nelle quali il fatto genera tore del diritto non è dato, come assume l'avvocatura, dalla
detenzione, ma dall'ingiusta detenzione, che tale diventa solo
ex post a seguito del proscioglimento dell'imputato. È proprio il proscioglimento che determina, ripetesi ex post, la situazione
di sostanziale ingiustizia della detenzione, suscettibile di ripa razione.
La conseguenza che deriva dall'argomentazione che precede è che, nei «procedimenti in corso» che proseguono con le nor
me del codice previgente, ai fini del riconoscimento del diritto
all'equa riparazione ai sensi dell'art. 314, 1° comma, c.p.p., occorre aver riguardo non già all'epoca della detenzione ma a
quella in cui è divenuto irrevocabile il proscioglimento dell'im
putato, epoca che in ogni caso deve esere successiva al 24 otto
bre 1989.
Cosi correttamente interpretate le norme di cui sopra, nessu na violazione è dato ravvisare al principio di irretroattività della
legge — principio che, peraltro, non assurge nel nostro ordina
mento al rango di principio costituzionale, se non per le leggi
penali punitive — in quanto il fatto generatore del diritto viene
ad esistenza nella vigenza della norma che quel diritto ha rico
nosciuto per la prima volta nel nostro ordinamento.
3. - Per completezza di motivazione, va posto in evidenza
che la tesi dell'avvocatura dello Stato appare fondata soltanto
per le situazioni contemplate nel 2° comma dell'art. 314, e la
ragione va ricercata nel fatto che in esse non viene necessaria
mente in evidenza un profilo di ingiustizia sostanziale della re
strizione subita dall'imputato, mentre è evidente la sua illegitti mità (cioè, per cosi dire, la sua ingiustizia formale) per essere
rimasto accertato che il provvedimento che ha disposto la misu
ra è stato emesso e mantenuto senza che ricorressero le condi
zioni di applicabilità previste dagli art. 273 e 280 nuovo codice.
Proprio il riferimento a detti articoli, applicabili solo con l'en
trata in vigore del nuovo codice, comporta come conseguenza che nelle ipotesi in esame la custodia cautelare deve essere stata
disposta o mantenuta dopo l'entrata in vigore del nuovo codice.
Può, pertanto, concludersi, che per le ipotesi contemplate dal
2° comma dell'art. 314 c.p.p., solo le detenzioni sofferte, sia
totalmente che parzialmente, dopo l'entrata in vigore del codice
di rito 1988 danno luogo al diritto alla riparazione nei procedi menti in corso alla data del 24 ottobre 1989 che proseguono con le norme del codice previgente.
Il Foro Italiano — 1991.
La diversità dei presupposti che caratterizzano le ipotesi ri
spettivamente previste dal 1° comma e dal 2° comma dell'art.
314 c.p.p. giustifica la diversità di disciplina in ordine al perio do di custodia cautelare rilevante ai fini della riparazione.
4. - Nel merito, ricorrono tutti i presupposti per riconoscere
al Condoleo la riparazione richiesta:
1) l'istante ha infatti subito un periodo di custodia cautelare
dal 14 luglio 1987 fino al 4 dicembre 1987, sia pure a decorrere
dal 29 luglio 1987 nella forma degli arresti domiciliari;
2) il medesimo è stato assolto per non aver commesso il fatto
dall'imputazione ascrittagli con sentenza della Corte di appello di Roma in data 6 dicembre 1989, divenuta irrevocabile il 15
febbraio 1990;
3) il Condoleo, per quanto appresso si dirà, non ha dato o
concorso a dar causa alla custodia cautelare per dolo o colpa
grave;
4) non risulta che la custodia cautelare sia stata computata ai fini della determinazione di una pena ovvero che sia stata
sofferta anche in forza di altro titolo.
Per quanto attiene al presupposto sub 3), la sentenza di ap
pello, nell'escludere con ampia e diffusa motivazione qualsiasi
partecipazione al reato da parte del Condoleo, fa ritenere che
nessun addebito, neanche sotto il profilo della colpa grave, pos sa fasi al medesimo in ordine ad un'eventuale responsabilità
per aver dato o concorso a dar causa alla restrizione della liber
tà da lui subita.
5. - Occorre ora procedere alla determinazione dell'entità del
la riparazione, che ai sensi dell'art. 315, 2° comma, c.p.p. non
può comunque eccedere lire cento milioni.
A tal fine osserva la corte che la quantificazione della ripara zione pecuniaria, in mancanza di coefficienti certi, deve essere
informata ad un essenziale criterio di equità, con prudente e
globale apprezzamento di tutti gli elementi disponibili, fermo
il principio che l'«equa riparazione» di cui all'art. 314 costitui
sce un superamento in senso più ampio del risarcimento del
danno. Infatti, il contenuto di essa non è la rifusione dei danni
materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o mancato gua
dagno, ma, nell'indicato limite dei cento milioni, la correspon sione di una somma che, tenuto conto della durata della custo
dia, valga a compensare l'interessato del discredito, della squa lifica sociale e professionale nonché delle sofferenze subite in
conseguenza dell'ingiusta detenzione e del pregiudizio psico-fisico che essa ha eventualmente provocato. Il riferimento all'equità
impone che l'esame degli elementi sopraindicati non debba esse
re effettuato in termini aritmetici, ma attraverso una valutazio
ne discrezionale e con un apprezzamento globale di tutti gli ele
menti di giudizio. Nel caso in esame, avuto riguardo alla durata della custodia
cautelare sofferta dal Condoleo (dal 14 luglio al 4 dicembre
1989), alle conseguenze materiali della stessa e segnatamente al
mancato guadagno come noto avvocato penalista (vedi denunce
dei redditi esibite), nonché a quelle morali (sofferenze e affli
zioni derivatene) al danno alla salute (vedi certificazione medica
in atti), agli effetti dannosi che la custodia cautelare ha provo cato all'immagine del professionista nell'ambiente sociale in cui
egli vive e lavora, tenuto altresì contro del titolo del reato (estor
sione) e della risonanza che la vicenda ha avuto nell'opinione
pubblica attraverso gli articoli di stampa oltre che nell'ambiente
del foro, stimasi equo determinare la riparazione dovuta nella
somma di lire 80.000.000 (ottanta milioni). 6. - Sulla somma come sopra determinata non possono essere
accordati interessi, non previsti dall'art. 315 c.p.p., ed incom
patibili con la natura della riparazione, alla quale non si atta
gliano le norme privatistiche che disciplinano l'inadempimento delle obbligazioni e la responsabilità per fatto illecito.
Sono, invece, rimborsabili le spese sostenute dal Condoleo
nel giudizio di riparazione, nonostante la legge non ne faccia
menzione. Il procedimento conseguente alla domanda di ripara zione ha natura di procedimento civile inserito, per ragioni di
opportunità e con regole particolari, in una procedura che si
svolge dinanzi il giudice penale, e il carico delle spese va regola to secondo il principio della soccombenza, di cui all'art. 91 c.p.c., con riferimento all'esito finale della lite.
In relazione a quanto sopra e tenuto conto dell'entità della
riparazione, vanno poste a carico del ministero del tesoro le
spese del procedimento, che si liquidano a favore del Condoleo
in complessive lire 3.000.000 (tre milioni), di cui lire 1.000.000
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GIURISPRUDENZA PENALE
(unmilione) per diritti di procuratore e lire 2.000.000 (duemilio
ni) per onorari di avvocato, oltre le spese della procedura.
IV
Fabrizio Petrone, nato a Firenze il 18 maggio 1965, ivi resi
dente in via dell'Agnolo 47, arrestato il 27 settembre 1987 per i reati di rapina e altro, ammesso agli arresti domicliari il 27
ottobre 1987 e infine scarcerato il 30 giugno 1988 a seguito del
la sentenza in pari data del Tribunale di Firenze che lo assolve
va per insufficienza di prove, formula poi trasformata ai sensi
dell'art. 254 disp. trans, c.p.p. 1988 in assoluzione piena con
sentenza 24 novembre 1989 di questa corte, ha proposto in data
10 maggio 1990 domanda di riparazione per la custodia cautela
re subita, ai sensi degli art. 314 e 315 c.p.p. 245/2, lett. g),
disp. trans.
Osserva la corte che la domanda non è fondata e va respinta. La norma dell'art. 314/88 c.p.p., entrata in vigore il 24 otto
bre 1989, che riconosce all'imputato prosciolto il diritto a un'e
qua riparazione per la custodia cautelare subita, in mancanza
di una esplicita diversa previsione, non dispone che per l'avve
nire (art. 11 prel)., e cioè concerne solo le detenzioni cautelari
sofferte dal 24 ottobre 1989 in poi. Con riguardo alla detenzione sofferta prima del 24 ottobre
in processi a quella data già definiti, l'irretroattività dell'art.
314 c.p.p. risulta chiaramente confermata dall'art. 245 disp.
trans., laddove dispone che detto articolo del codice si applica ai processi «in corso» alla data suddetta, e non anche quindi ai processi già definiti, per i quali, del resto, sarebbe stata ne
cessaria alemno una norma — invece inesistente — che preve desse un termine ad hoc per la proposizione della relativa
domanda.
Quanto ai processi «in corso» al 24 gennaio 1989, questi si
dividono in due categorie: processi che proseguono secondo il
codice nuovo e processi che proseguono invece secondo (preva
lentemente) il codice vecchio. A questi ultimi l'art. 314 non sa
rebbe applicabile, se non ci fosse l'art. 245 disp. trans. Ai primi detta disposizione sarebbe invece senz'altro applicabile, almeno
per la carcerazione dal 24 ottobre in poi. È però da osservare
che non può esistere una carcerazione precedente il 24 ottobre
nei processi «in corso» che proseguono secondo il nuovo codi
ce, perché da questa categoria sono esclusi i processi in cui l'im
putato sia stato già arrestato o fermato (art. 242, lett. b, disp.
trans.) o catturato a seguito di ordine o mandato (art. 242, lett.
a). È da osservare ancora che, ai sensi dell'art. 250 disp. trans.,
dal 24 ottobre 1989, nei processi in corso, proseguano col vec
chio o col nuovo codice, in nessun caso può essere disposta la carcerazione dell'imputato se non in conformità alle disposi zioni del nuovo c.p.p.; e se disposta prima non può essere man
tenuta ove non risulti più conforme a quelle disposizioni.
Quindi, dal 24 ottobre 1989, in tutti i processi «in corso»
(nonché, ovviamente, nei processi iniziati lo stesso 24 ottobre
o successivamente), la custodia cautelare dell'imputato deve ri
flettere una stessa disciplina normativa: quella del nuovo c.p.p. Se non fosse stata scritta la norma dell'art. 245, lett. g), disp.
trans, si sarebbe quindi creata un'evidente disparità di tratta
mento: a imputati detenuti in forza d'una medesima normativa — quella del nuovo c.p.p. — l'istituto dell'equa riparazione sarebbe risultato applicabile solo relativamente a processi ini
ziati dopo il 24 ottobre 1989 o che, in corso a quella data,
proseguivano secondo il nuovo codice, non anche relativamente
a processi che proseguivano secondo il codice abrogato. Ed ecco allora chiara la ratio dell'art. 245 trans., che estende
l'equa riparazione anche ai processi che proseguono secondo
11 codice abrogato: evitare tale disparità di trattamento.
In altre parole: se dal 24 ottobre 1989 la custodia cautelare
dell'imputato può essere disposta o mantenuta in qualsiasi pro cesso solo in base alla normativa del nuovo codice, è logico
che l'istituto dell'equa riparazione si applichi ugualmente in tut
ti i casi in cui quella custodia risulti ingiusta, siano i processi iniziati il 24 ottobre o, essendo già in corso, proseguano preva lentemente secondo il vecchio codice o invece esclusivamente
secondo il nuovo.
Del tutto diverso è il caso in cui la custodia cautelare sia
già cessata il 24 ottobre 1989 (o per la parte precedente tale data).
Il Foro Italiano — 1991.
È ovvio innanzi tutto che tale situazione non può darsi nei
processi iniziati il 24 ottobre o successivamente.
Non può poi darsi neppure nei processi iniziati prima che
proseguono secondo il nuovo codice perché, come si è già rile
vato, è escluso che possano proseguire secondo il nuovo codice
i processi in cui l'imputato è già stato arrestato o fermato o
catturato.
Una detenzione precedente il 24 ottobre 1989 può darsi solo
nei processi «in corso» che proseguono secondo il codice previ
gente, ma in questi processi la pregressa custodia cautelare non
può essere stata a suo tempo attuata che in applicazione della
normativa appunto previgente. Ne consegue l'inesistenza di quella ratio che ha ispirato l'art. 245 trans, e che, come si è visto, consiste nell'evitare che detenzioni disposte in applicazione del
nuovo c.p.p. possano sottostare a discipline diverse per quanto attiene all'equa riaprazione.
Ne consegue ulteriormente che l'art. 245, lett. g), disp. trans,
non può applicarsi retroattivamente alla custodia cautelare ces
sata alla data del 24 ottobre 1989.
Conferma di ciò si ricava dalla constatazione che, applicando l'istituto dell'equa riparazione anche alle detenzioni precedenti il 24 ottobre, ne seguirebbero due incongruenze.
Da un lato, una disparità di trattamento in situazioni uguali,
perché un'ingiusta carcerazione precedente il 24 ottobre sarebbe
indennizzabile se il processo era in corso a quella data, e non
10 sarebbe invece se il processo era già definito (dovendosi cer
tamente escludere, come si rilevava all'inizio, l'equa riparazione
per processi già definiti al 24 ottobre 1989). Eppure, in corso
o meno che fosse il processo, la carcerazione precedente il 20
ottobre non può essere stata attuata che in base alle medesime
regole, quelle del codice abrogato. Da un altro lato verrebbe riconosciuto il diritto all'equa ripa
razione in situazioni certamente diverse, quali sono le carcera
zioni sofferte prima del 24 ottobre 1989 rispetto a quelle soffer
te dopo, rispondendo esse a discipline non poco diverse.
Per contro, escludendo l'indennizzabilità delle carcerazioni pre cedenti il 24 ottobre 1989, ne segue una precisa uniformità di
trattamento perché, mentre qualsiasi detenzione precedente il
24 ottobre è appunto esclusa dall'equa riparazione, fosse o me
no «in corso» il relativo processo, qualsiasi detenzione posterio re al 24 ottobre è indennizzabile, sia sofferta in processi «nuo
vi» o in processi «vecchi», e proseguano questi ultimi secondo
11 codice nuovo e secondo quello vecchio.
La domanda proposta da Petrone Fabrizio, siccome attinente
a una custodia cautelare subita precedentemente al 24 ottobre
1989, risulta dunque infondata e va respinta.
V
Il 2 gennaio 1990 Laconi Mario, di anni 32, tramite il procu ratore speciale avv. Bruno Dalmasso di Cuneo, presentava do
manda di riparazione per ingiusta detenzione, a sensi dell'art.
314 c.p.p., alla Corte d'appello di Torino, esponendo di avere
subito un anno di custodia cautelare in carcere, dal 10 marzo
1987 al 10 marzo 1988, sotto l'imputazione di detenzione e ces
sione continuata di quantità non modiche di eroina, giusta or
dine di cattura notificatogli il 10 marzo 1987 della procura della
repubblica di Torino, e di essere stato assolto in data 27 novem
bre 1989 dal Tribunale di Torino, sezione VI penale, «per non
aver commesso il fatto».
Essendo la sentenza divenuta irrevocabile, l'istante, dopo avere
premesso che ogni tentativo di vedersi scagionato dalle accuse
nel corso dell'istruzione era riuscito vano, e che non aveva dato
o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa
grave, né che aveva utilizzato della carcerazione sofferta a scom
puto di altra pena, chiedeva un'equa riparazione quantificabile, in ogni caso, in misura non inferiore a lire 100.000.000, da li
quidarsi anche in via equitativa.
Assegnato il ricorso alla V sezione della corte, il presidente fissava l'udienza in camera di consiglio ai sensi degli art. 127,
315, 646 c.p.p. ordinando la comunicazione del decreto, della
domanda e dei documenti al procuratore generale in sede ed
al ministro del tesoro presso l'avvocatura dello Stato, nonché
al difensore del ricorrente, anche in qualità di suo procuratore
speciale. Il p.g., nel suo parere scritto, evidenziava, da un lato, che
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PARTE SECONDA
il Laconi, tossicodipendente, aveva contribuito, quanto meno
negando di avere acquistato droga da un concorrente spacciato
re, che conosceva, a dare causa al convincimento del p.m. e
del giudice istruttore, e dall'altro che, al massimo, si poteva concedere al ricorrente una liquidazione complessiva di lire
5.000.000, tenuto conto che il Laconi era stato mantenuto per un anno dallo Stato e che ogni detenuto costava all'erario lire
300.000 pro die.
L'avvocato dello Stato per conto del ministero del tesoro pre sentava una memoria difensiva nella quale sosteneva, in via prin
cipale, l'improponibilità del ricorso, e in subordine il rigetto. Le osservazioni dell'avvocatura erariale si articolavano nel mo
do seguente. La norma dell'art. 314 c.p.p., in quanto attribuiva
un diritto avente natura civilistica, come l'analogo istituto della
riparazione dell'errore giudiziario, era norma sostanziale, per cui aveva carattere non retroattivo, ai sensi dell'art. 11 disp.
prel. Tale carattere emergeva inoltre da un'interpretazione ra
gionevole e logica della legge stessa. Invero, il nuovo codice
di procedura penale era ispirato prevalentemente al criterio del
l'ultrattività delle disposizioni del precedente codice di rito, con
riferimento a tutti i procedimenti che alla data del 24 ottobre
1989 — di entrata in vigore del nuovo codice — erano pervenu ti ad un certo stadio.
La norma transitoria di cui all'art. 245, 2° comma, d. leg. 28 luglio 1989 n. 271, che stabiliva alla lettera g) che nei proce dimenti in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice
di procedura penale, che proseguivano con l'applicazione delle
norme anteriormente vigenti, erano applicabili gli art. 314 e 315
del codice recente, consentiva un'interpretazione nel senso del
l'irretroattività delle norme suindicate. Infatti, se tale istituto
fosse applicabile con riguardo alle detenzioni anteriormente sof
ferte all'entrata in vigore del codice di rito 1988, la disposizione transitoria non avrebbe ragione di essere, perché, se già fosse
dato dedurre la portata retroattiva dal contenuto stesso dell'art.
314 c.p.p., questa non potrebbe non riguardare tutte le deten
zioni ingiustamente sofferte prima del nuovo codice, per cui
sarebbe del tutto inutile la circostanza che il procedimento pro
seguisse o meno secondo il nuovo rito. Se, invece, si fosse rite
nuta la necessità di disciplinare transitoriamente l'applicabilità dell'art. 314 c.p.p. anche alle detenzioni anteriori al nuovo co
dice di rito, tale disposizione avrebbe dovuto avere una portata
generale e contemplare tutte le detenzioni, indipendentemente dal fatto che esse fossero state subite in relazione ad un proce dimento ancora in corso e svolgentesi secondo l'antico rito.
Secondo l'avvocatura dello Stato, la norma dell'art. 245, 2°
comma, lett. g), citata, contempererebbe il principio dell'ultrat
tività in determinati procedimenti delle norme anteriormente vi
genti con l'applicabilità, anche in procedimenti «vecchi», delle
nuove norme — tutte inidonee per il loro stesso contenuto a
spiegare effetto retroattivo — al fine di eliminare disparità di trattamento rispetto alle situazioni in ordine alle quali il nuovo
rito spiega immediato vigore. Il richiamo agli art. 314 e 315 c.p.p. assolverebbe alla funzio
ne di garantire, anche con riguardo ai procedimenti che conti
nuano a svolgersi secondo il vecchio rito, il diritto alla ripara zione per le detenzioni ingiustamente sofferte dopo (e non pri
ma) l'entrata in vigore del nuovo rito.
Altrimenti, si sarebbe verificato il risultato veramente aber
rante secondo cui le ingiuste detenzioni, subite dopo la data
predetta, avrebbero dato luogo o meno a riparazione a seconda
che il processo si fosse svolto secondo il nuovo o secondo il
vecchio rito.
Nell'ipotesi di detenzione subita prima del 24 ottobre 1989
e di sentenza irrevocabile conclusiva del processo con una delle
formule di assoluzione contemplate dal 1° comma dell'art. 314
c.p.p., dopo l'entrata in vigore del codice, ove si ritenesse l'ap
plicabilità della nuova disciplina ex art. 314 c.p.p., si otterrebbe
il risultato palesemente illogico e contrario al principio di ragio
nevolezza, al quale deve adeguarsi il legislatore e conseguente mente l'interprete, secondo il quale il diritto alla riparazione
dipenderebbe, anziché dal tempo in cui si sarebbe verificata la
situazione di fatto, che costituisce il titolo alla riparazione, da
una circostanza meramente estrinseca ed accidentale quale il mo
mento della definizione del giudizio. Nella memoria era richiamata, infine, l'analogia interpretati
va non la norma dell'art. 19, 2° comma, 1. 13 aprile 1988 n.
117, sulla responsabilità civile dei magistrati, secondo la quale
Il Foro Italiano — 1991.
la relativa disciplina era inapplicabile a fatti verificatisi ante
riormente alla sua entrata in vigore. Le ragioni addotte a sostegno della propria tesi interpretativa
erano esposte oralmente dall'avvocatura dello Stato e contesta
te dal difensore all'udienza in camera di consiglio, alla quale non partecipava il p.g.
Questa corte, decidendo il ricorso previsto dalla nuova nor
mativa che ha innovato in radice i principi anteriormente vigen ti sulle conseguenze di una carcerazione preventiva alla quale non è seguita l'assoggettazione alla pena detentiva, ritiene più fondato l'orientamento interpretativo proposto dall'avvocatura
dello Stato in ordine all'ambito temporale di operatività delle
disposizioni degli art. 314 e 315 c.p.p., in relazione alla norma
transitoria dell'art. 245 citato.
Ritiene, peraltro, la corte di completare la disamina dell'ar
gomento con le seguenti osservazioni.
1. Delle due norme che disciplinano l'istituto della «ripara zione per l'ingiusta detenzione» (art. 314, 315 del capo Vili,
titolo, I, libro IV parte prima c.p.p.) che la disposizione transi
toria dell'art. 245 citato richiama nel 2° comma, la norma con
tenuta nell'art. 315, che concerne il procedimento per la ripara
zione, stabilisce il termine di diciotto mesi dal giorno dell'irre
vocabilità della sentenza, che è il presupposto al riconoscimento
all'equa riparazione, per proporre la domanda, pena l'inammis
sibilità della stessa.
Dal tenore della disposizione procedurale e dalla mancata pre visione nelle norme transitorie (titolo III d. leg. 28 luglio 1989
n. 271) di una diversa decorrenza per proporre la domanda ri
guardo a ingiuste detenzioni sofferte in procedimenti conclusi
prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di rito, è agevole
argomentare, da un lato, che per tali ingiuste detenzioni il legis latore non ha previsto alcuna riparazione, dall'altro lato che
il diritto alla riparazione, istituito con il vigente codice di rito, non può che investire fatti disciplinati in tutto o in parte con
le nuove norme processuali. È conferente osservare, sul punto, che le norme trasitorie com
prendono una minuziosa disciplina dell'applicabilità sia delle nuo
ve norme a vecchi processi, sia di norme del codice abrogato a processi in corso nella vigenza del nuovo rito (art. 241, 242,
s.), per cui è significativo che il legislatore nulla abbia disposto in ordine alla ristorabilità delle ingiuste detenzioni sofferte in
epoca anteriore.
Inoltre, costituisce prassi legislativa costante che, nei casi di
modificazione di leggi penali a seguito delle quali il soggetto interessato in un processo pendente potrebbe essere in qualche modo pregiudicato, si provveda transitoriamente dal legislatore a regolarizzare le situazioni processuali o concedendo nuovi ter
mini per esercitare il diritto altrimenti precluso dalle nuove nor
me, o rimettendo in termine il soggetto. Un recente esempio è costituito dalla norma dell'art. 99 1. 24 novembre 1981 n.
689, seguita all'estensione della perseguibilità a querela di alcu
ni reati minori.
2. Il caso in esame non rientra nelle fattispecie di detenzioni
sofferte in processi conclusisi oltre il termine di cui all'art. 315
c.p.p., rispetto ai quali la domanda di riparazione non potreb be proporsi entro diciotto mesi dalla sentenza irrevocabile, ma
l'improponibilità nel caso in esame deriva dalla ragionevole in
terpretazione della norma transitoria su ricordata, richiamata
nella memoria illustrativa dall'avvocato dello Stato, alla quale
porge sostegno il seguente assunto.
Approfondendo l'esame della formulazione della disposizio ne transitoria che interessa, si deve anzitutto dare un significato
logico all'espressione contenuta nel 1° comma «procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice, che proseguo no con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti», poi
ché, relativamente ai procedimenti in tal modo indicati, sono
«inoltre» applicabili le disposizioni sulla riparazione per ingiu sta detenzione.
La circostanza che la norma si presenti suddivisa in due parti e che nella prima siano state raggruppate determinate disposi
zioni, mentre nella seconda le disposizioni del codice, distinte
con lettere, siano dichiarate applicabili «inoltre» a quei procedi menti che sono descritti nel 1° comma, depone, ad avviso del
collegio, per l'interpretazione circa l'irretroattività delle disposi zioni concernenti la riparazione in oggetto.
Infatti, i procedimenti in corso che proseguono con l'applica zione delle norme anteriormente vigenti indicati nel 1° comma,
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GIURISPRUDENZA PENALE
già circoscritti alle ipotesi disciplinate transitoriamente dagli art. 241 e 242, si debbono identificare in quelli rispetto ai quali, tenuto conto dello stadio in cui sono venuti a trovarsi, è possi bile l'applicazione delle norme degli art. 246-257, norme che concernono tutte atti prettamente istruttori. La tipicità delle di
sposizioni su richiamate caratterizza la fase processuale di ricer ca della prova e richiama all'evidenza le profonde innovazioni nell'iter del nuovo processo, per cui le disposizioni degli art. 314 e 315 applicabili «in aggiunta» a quelle suindicate, «nei
procedimenti indicati nel 1 ° comma» vanno riferite solo ai pro cedimenti in corso nei quali può spiegarsi tutta l'influenza inno
vatrice del nuovo codice. Il che equivale a riconoscere che il nuovo diritto sostanziale al risarcimento sorge allorché, nono stante l'osservanza delle disposizioni innovative anche nei pro cessi instaurati con le vecchie norme, si sia verificata una situa
zione di ingiusta detenzione.
E l'ingiustizia della detenzione non può che risultare da una
sentenza irrevocabile che abbia concluso la fase processuale nel la quale avrebbe potuto e dovuto spplicarsi le norme succitate
anche rispetto ai processi sorti prima della vigenza del nuovo codice di rito.
A ben vedere, tutte le norme comprese nell'art. 245, 2° com
ma, hanno una notevole incidenza innovativa e garantistica nel
processo e per tale ragione derogano al principio dell'ultrattivi tà delle norme del vecchio rito.
Orbene appare dunque corretto ritenere che soltanto le deten
zioni sofferte ingiustamente, sia totalmente che parzialmente,
dopo l'entrata invigore del codice di rito 1988 diano luogo al
diritto alla riparazione, mentre per le detenzioni anteriormente
sofferte tale diritto non è previsto dalla normativa vigente, indi
pendentemente dal fatto che il processo nel quale tali situazioni
si sono verificate si sia concluso posteriormente o meno al 24
ottobre 1989.
Un esempio pratico a sostegno di tale interpretazione dimo
stra, secondo la corte, la ragionevolezza dell'assunto. Un impu tato che prima dell'entrata in vigore del nuovo codice avesse sofferto un periodo di ingiusta detenzione, ottenendo, peraltro, il proscioglimento in istruttoria prima del 24 ottobre 1989 per ché scagionato da circostanze accertate nell'istruttoria, non do
vrebbe avere diritto alla riparazione perché il processo nei suoi
confronti si è concluso prima dell'entrata in vigore del codice, mentre un imputato dello stesso fatto, incarcerato anche in tempi più remoti, tratto a giudizio e assolto dopo l'entrata in vigore del nuovo codice, avrebbe diritto alla riparazione, perché il pro cesso celebrato contro di lui era ancora pendente dopo il 24
ottobre 1989.
La seconda ipotesi coincide con quella dedotta nel ricorso
essendo stato il Laconi detenuto dal marzo 1987 al marzo 1988
e assolto nel novembre 1989.
Per le suesposte ragioni, ritiene la corte che la domanda di
riparazione proposta dal Laconi sia improponibile, non avendo
il ricorrente maturato tale diritto poiché al momento nel quale si è verificata la situazione-presupposto alla genesi del diritto
stesso, la norma istitutiva non era ancora vigente, e il processo si trovava in uno stadio nel quale le norme richiamate dal 1°
comma dell'art. 245 d. leg. 271/89 non potevano più applicarsi,
posto che l'ordinanza di rinvio a giudizio è datata 23 febbraio
1988.
VI
Con domanda depositata presso la cancelleria di questa corte
in data 15 novembre 1989, Liberati Franco proponeva, ai sensi
degli art. 314 ss. c.p.p., domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione subita, chiedendo a tale titolo il pagamento della
somma di lire cento milioni.
A fondamento della domanda il Liberati deduceva che nel
1983 era stato sottoposto a procedimento penale in quanto im
putato del reato di omicidio volontario in danno di Luciana
Lupi e, a seguito di mandato di cattura emesso dal giudice istrut
tore del Tribunale di Rieti, aveva subito un periodo di custodia
cautelare dal 14 luglio 1983 al 15 giugno 1984. Aggiungeva l'i
stante che dal reato in parola egli era stato assolto per non
aver commesso il fatto con sentenza della Corte d'assise di Ro
ma in data 20 dicembre 1986, confermata con sentenza della
Corte di assise di appello di Roma del 6 luglio 1988, decisione
quest'utlima divenuta irrevocabile il 10 luglio 1988.
Il Foro Italiano — 1991.
Concludeva l'istante assumendo che ricorrevano i presuppo sti per aver diritto all'equa riparazione prevista dagli art. 314
ss. c.p.p. A seguito della presentazione di tale domanda, la corte fissa
va l'udienza per la discussione in camera di consiglio ai sensi
dell'art. 127 c.p.p. La domanda, con il provvedimento che fis sava l'udienza, veniva comunicata al pubblico ministero e noti
ficata, a cura della cancelleria, al ministro del tesoro presso l'avvocatura dello Stato.
All'udienza del 18 gennaio 1990, assente l'istante, rappresen tato dal proprio legale, era presente per il ministro del tesoro
l'avvocato dello Stato, che chiedeva il rigetto della domanda. Ciò premesso, osserva la corte che la domanda proposta va
dichiarata inammissibile.
Prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura
penale nessuna norma accordava una riparazione per ingiusta detenzione. Solo con gli art. 314 ss. del nuovo codice è stato
introdotto un istituto di assoluta novità per la nostra legislazio ne, in armonia con la direttiva 100 della legge delega, con la
quale il legislatore aveva previsto accanto alla riparazione del classico errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo, anche la riparazione per l'ingiusta detenzione.
Sullo sfondo di codesto intendimento normativo (già fatto
proprio con chiarezza anche dalla legge delega del 1974) si pone la sentenza della Corte costituzionale n. 1/69 (Foro it., 1969,
I, 249) che proprio al legislatore ordinario aveva demandato il compito di specificare se, tra gli «errori giudiziari», dei quali l'art. 24, ultimo comma, Cost, prevede «le condizioni e i modi
per la riparazione», dovesse o meno farsi rientrare l'ingiusta carcerazione preventiva.
L'art. 314 c.p.p. prevede al 1° e 2° comma le ipotesi nelle
quali si profilano i presupposti di una situazione di «ingiusti zia» rilevante ai fini di una «equa riparazione».
Tale normativa, a. parere della corte, non può trovare appli cazione al caso in esame.
Invero, in base al combinato disposto degli art. 245 e 246 d. leg. 28 luglio 1989 n. 271, le disposizioni di cui agli art. 314 e 315 del nuovo codice sono applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del codice che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti. In sostan
za, l'applicazione immediata del nuovo istituto della riparazio ne per ingiusta detenzione presuppone che il procedimento sia
ancora in corso alla data di entrata in vigore del nuovo codice, con la conseguenza che l'istituto stesso non potrà trovare appli cazione per quei procedimenti che alla data suddetta siano stati
definiti con provvedimento ormai irrevocabile.
Proprio tale situazione si verifica nel caso in esame, in quan to il procedimento penale a carico dell'istante è stato definito
con sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile per mancata
impugnazione il 10 luglio 1988 e, pertanto, esso non era più «in corso» alla data di entrata in vigore del nuovo codice di
procedura penale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 8 mar
zo 1991; Pres. Boschi, Est. Fattori, P.M. (conci, conf.); ric. Gerolimetto e altro. Annulla Trib. Treviso, ord. 23 luglio 1990.
Giudizio abbreviato — Disciplina transitoria — Impugnazioni
(Norme att., coord, e trans, cod. proc. pen., art. 241, 242,
245, 247).
Nel caso di giudizio abbreviato, in procedimenti che proseguo no con l'osservanza delle norme anteriormente vigenti, si ap
plicano le norme del codice abrogato in materia di impugna
zioni, tranne quelle espressamente derogate dall'art. 247 nor
me att., coord, e trans, c.p.p. (1)
(1) V., in senso conforme, Cass. 12 ottobre 1990, Tani, Cass, pen., 1991, II, 27; Trib. Latina, ord. 14 marzo 1990, Arch, nuova proc. pen.,
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