sezione I penale; sentenza 2 dicembre 1991; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (concl. conf.);ric. Proc. gen. App. Ancona c. Troia. Annulla Trib. sorveglianza Ancona 23 maggio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.453/454-455/456Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185974 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
l'esame», deve ritenersi adempiuto ove il pubblico ministero
richiami, a tal fine, i fatti descritti nel capo di imputazione. (1)
Motivi della decisione. — Dagli atti è dato rilevare che il tri
bunale ha negato, sotto un profilo strettamente formale, l'e
spletamento dell'inchiesta testimoniale, sollecitata dal p.m., né ha inteso, in aderenza a quanto disposto dall'art. 507 c.p.p.,
disporre, di ufficio, nuovi mezzi di prova.
Ha, sul primo punto, argomentato, che il mero richiamo al
capo di imputazione, si ponesse in aperto conflitto con quanto stabilito dall'art. 468 c.p.p., e, segnatamente, con la necessità
di dedurre una circostanziata capitolazione dei fatti, cosi da con
sentire al contraddittore la prova contraria e l'esame incrociato
dei testimoni.
Trattasi, tuttavia, di tesi alla quale questa corte non ritiene
di poter conferire avallo.
Escluso, infatti, che l'ostacolo trovi la sua ragion d'essere
nella impossibilità, in subiecta materia, di operare un richiamo
per relationem a circostanze non riprodotte nella istanza istrut
toria, ma ben individuate in atti (l'ossequio ad un precetto ottu
samente formale mal si concilia con la necessità di conferire
agilità al processo), va, intanto, rilevato che, nella specie, il
tribunale non ha ritenuto stabilire se il richiamo alla imputazio
ne, per come la contestazione dei fatti era stata formulata, po tesse o meno ritenersi appagante.
Ci si domanda, infatti, quale sarebbe stata l'indole del prov vedimento qui censurato se il rappresentante della pubblica ac
cusa, in luogo di un riferimento, avesse effettuato la fedele tras
crizione del capo di imputazione facendola precedere dalla au
torizzazione alla citazione dei testi chiamati a deporre sulle
circostanze stesse.
Né ha pregio osservare, cosi come fatto dai giudici del tribu
nale, che, aderendo alla richiesta dal p.m. formulata, alla parte sarebbe venuta meno la possibilità di formulare la «prova con
traria».
La differenza fra controprova e prova contraria — alla quale il tribunale sembra assegnare un ruolo determinante nella tema
tica argomentativa — consiste nel fatto che la prima riguarda la negazione degli stessi fatti allegati dalla controparte, mentre
l'altra verte su fatti nuovi e diversi i quali siano tali, se provati, da poter indurre la inesistenza di quelli dedotti tali da eliderne
la efficacia.
Ed è su tali premesse evidente — con ciò attribuendosi argo mento per azzerare le considerazioni che il Tribunale di Bene
vento pone come dato decisivo a suffragio della tesi esposta — che, attesa l'indole di una deduzione che tenda a paralizzare o privare comunque di valore i capi di accusa, in forza di una
prospettazione con essi incompatibile, ma che non ne costitui
sce il rovescio, è possibile prescindere da una analitica indica
zione degli argomenti posti a sussidio dell'accusa.
Il vizio di carenza motivazionale, dell'impugnato provvedi mento in forza di quanto detto, è, quindi, palese.
Ma ai giudici del Tribunale di Benevento è anche sfuggito che l'art. 190 c.p.p. limita notevolmente i poteri discrezionali
del giudice cui è consentito, in ordine all'ammissione delle pro
ve, escludere quelle che siano vietate dalla legge e quelle mani
festamente superflue o irrilevanti e che, a norma del successivo
art. 468, la sanzione di inammissibilità discende, unicamente, dal mancato rispetto del termine in cui va operato il deposito della lista testimoniale, non anche per la inesatta o incompleta
capitolazione delle prove stesse.
Devesi, d'altra parte, considerare che la discovery trova effet
(1) La giurisprudenza di legittimità si è, nella sua prima evoluzione
sul punto, espressa in senso analogo al principio sostenuto dalla pro nuncia in rassegna: cfr., in particolare, Cass. 4 febbraio 1992, P.m.
in c. Lucente; 24 gennaio 1992, Crivello; 5 novembre 1991, Giovannel
li; 22 aprile 1991, Filoni ed altri, tutte citate da Guariniello, Schede su Corte di cassazione e codice di procedura penale: lista testimoniale
e indicazione delle circostanze, in Foro it., 1992, II, 242. La giurispru denza di merito pare, al contrario, improntata a criteri più rigorosi: cfr., in generale, Trib. Cassino 11 aprile 1991, id., 1991, II, 468, con nota di richiami, e, con specifico riguardo all'onere gravante sul pub blico ministero, Pret. S. Agata di Militello 30 settembre 1991, Arch,
nuova proc. pen., 1991, 770; Trib. Milano 15 gennaio 1991, ibid.; Assi
se Cassino 18 giugno 1990, ibid., 91; Pret. S. Angelo di Brolo 7 giugno 1990, id., 1990, 594; Trib. Salerno 9 marzo 1990, ibid., 266.
Il Foro Italiano — 1992.
tiva attuazione con l'indicazione dei fatti dei quelli si chiede l'am
missione (art. 493 c.p.p.), e, che il deposito delle liste e la capi tolazione appaiono unicamente finalizzati a che le parti espon
gano al giudice i fatti oggetto della prova con quei completa
menti, se del caso, presi in considerazione dal punto 3 della
surriferita disposizione. È in tale fase processuale, quindi, che l'esposizione deve as
sumere quei caratteri di completezza e specificità, realizzando
la possibilità, indipendentemente da come si sia esplicitata la
fase preparatoria, che appare tesa unicamente a consentire la
controprova. E se si volessero ricalcare fedelmente gli schemi civilistici, co
si come prospettato dall'impugnata decisione, resterebbe anche
vanificata la c.d. cross examination che, articolata su di un esa
me e su di un controesame dei testimoni, nello spirito del rito
accusatorio, ben altro lo schematico richiamo dei fatti articolati
ed ai soli chiarimenti dei fatti stessi (art. 253 c.p.c.), tende a
realizzare quella incalzante e serrata indagine la quale, salvo i limiti imposti dal 4° comma dell'art. 499 c.p.p., deve condur
re alla ricerca della verità processuale. Ed è sempre sul filo di tali considerazioni che deve ritenersi
consentito, senza una precedente capitolazione di prova ed al
di fuori di qualsiasi formalismo, ad enti ed associazioni rappre sentative di interessi lesi, di esplicare, nel corso della prova, quella attività di intervento presa in considerazione dalla prima
parte dell'art. 505, altrimenti inammissibile, seguendosi lo sche
ma rigido elaborato dalla gravata decisione.
Il ricorso, per le suesposte considerazioni, deve essere accol
to, ed il processo, previa pronuncia di annullamento della im
pugnata decisione, va trasmesso, a norma dell'art. 469, n. 4,
c.p.p., al giudice competente per l'appello, restando assorbita
ogni altra questione.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 2 dicem
bre 1991; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (conci,
conf.); ric. Proc. gen. App. Ancona c. Troia. Annulla Trib.
sorveglianza Ancona 23 maggio 1991.
Ordinamento penitenziario — Liberazione anticipata — Natura
giuridica — Misura alternativa alla detenzione — Preventiva
acquisizione di informazioni al comitato provinciale per l'or
dine e la sicurezza pubblica — Necessità (L. 26 luglio 1975
n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzio
ne delle misure privative e limitative della libertà, art. 4 bis,
54; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche della legge sull'ordi
namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privati ve e limitative della libertà, art. 18; d.l. 13 maggio 1991 n.
152, provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità
organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività
amministrativa, art. 1).
Anche la liberazione anticipata per riduzione di pena rientra
tra le misure alternative alla detenzione; ne consegue che la
sua concessione ai condannati per i reati previsti dall'art. 4
bis dell'ordinamento penitenziario, introdotto dall'art. 1 d.l.
13 maggio 1991 n. 152, non è consentita senza la previa ac
quisizione di informazioni presso il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ai sensi del citato art. 1. (1)
(1) Non risultano editi precedenti giurisprudenziali specifici. In dottrina, negano che la liberazione anticipata abbia natura di mi
sura alternativa e, conseguentemente, escludono l'applicabilità dell'art. 4 bis, introdotto con la 1. 203/91, Canepa-Merlo, Manuale dì diritto
penitenziario, 2a ed., Milano, 1991, 279. In senso problematico sulla
natura di misura alternativa della liberazione anticipata, v. anche, in
precedenza, Fassone-Basile-Tuccillo, La riforma penitenziaria, Napo li, 1987, 76 e ss.
Sulla natura giuridica della liberazione anticipata (ritenuta assimilabi le alle cause di estinzione della pena), cfr. Trib. sorv. Milano 4 dicem
bre 1986, Foro it., Rep. 1990, voce Ordinamento penitenziario, n. 105.
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PARTE SECONDA
Fatto e diritto. — 1. - Con l'ordinanza impugnata il Tribuna
le di sorveglianza di Ancona cosi provvedeva:
1) revocava i benefici della riduzione di pena per liberazione
anticipata riconosciuti a Troia Antonio con le ordinanze del
Tribunale per i minori di Campobasso in data 3 luglio 1981
e del Tribunale per i minori di Firenze in data 9 novembre 1984, nella misura rispettivamente di giorni centoventi e di giorni ses
santa, e cosi complessivamente per centottanta giorni;
2) riconosceva al condannato il beneficio della liberazione an
ticipata nella misura di giorni centotrentacinque relativamente
al periodo dal 15 novembre 1989 al 15 maggio 1991.
Il tribunale, in relazione al provvedimento concessivo del be
neficio sub 2) ha ritenuto di dover prescindere dalla richiesta
di informazioni al comitato provinciale per l'ordine e la sicurez
za pubblica competente — sollecitata dal p.m. e prevista dal
2° comma dell'art. 4 bis 1. 354/75, quale modificata da ultimo
con il d.l. 152/91, convertito in 1. 203/91 —, perché, pur essen
do stato il Troia condannato per reati compresi nel 1° comma
dell'art. 4 bis citato, tuttavia il beneficio della liberazione anti
cipata non è compreso fra quelli per i quali sono operative le
limitazioni della norma in questione, la quale, al 1° comma, fà riferimento alle «misure alternative alla detenzione previste dal capo VI». Ad avviso del tribunale, infatti, la liberazione
anticipata non può essere considerata quale misura alternativa
alla detenzione, la quale è sempre caratterizzata da una restri
zione della libertà personale, seppure in forma attenuata e di
versa da quella inframuraria in carcere.
Osserva ancora il tribunale che le finalità proprie della libera
zione anticipata e il meccanismo applicativo (ormai riconosciu
to pacificamente nella giurisprudenza), per il quale il beneficio
è riferito a ciascun semestre di pena scontata, costituiscono un'ul
teriore ragione di differenziazione rispetto alle misure alternati
ve alla detenzione.
Né il richiamo al capo VI della legge e la collocazione in
esso della previsione del beneficio ha rilevanza tale da poter fare trascurare la specificità della natura giuridica del beneficio.
2. - Ha proposto ricorso il procuratore generale, deducendo:
1) il capo VI del titolo I della legge è intitolato «misure alterna
tive alla detenzione e remissione del debito» ed è comprensivo anche della liberazione anticipata. Il riferimento generico del
l'art. 4 bis citato alle misure alternative non può che ritenersi
comprensivo anche del beneficio in questione, tanto più che il
d.l. 152/91, da ultimo convertito in legge, a differenza dei pre
cedenti, decaduti per omessa conversione, ha introdotto il rife
rimento al capo VI, che in quelli mancava; 2) tale lettura della
norma, sostenuta dal criterio logico-sistematico, trova conforto
nella ratio legis che ha ispirato la riforma, e che ha inteso assi
curare alla magistratura di sorveglianza un elemento informati
vo ulteriore in grado di segnalare, nei casi di condannati per reati di particolare gravità e allarme sociale, quella specifica
pericolosità derivante dal permanente collegamento del condan
nato con la malavita organizzata; 3) in questa ottica, il benefi
cio della liberazione anticipata non può che ritenersi accomuna
to nella mens legis alle misure alternative, al fine di contenere il riconoscimento dei benefici (compreso quello in parola) ai
casi in cui ogni collegamento del tipo cennato sia ragionevol mente escluso. D'altra parte, non si può affermare che un con
dannato partecipi attivamente all'opera di rieducazione (come l'art. 54 dell'ordinamento penitenziario richiede), se lo stesso,
pur tenendo un comportamento positivo in carcere, mantiene
tuttavia legami con l'ambiente nel quale il delitto è maturato.
3. - Il ricorso deve essere accolto. Sotto il profilo dommatico
è certamente esatta l'osservazione del tribunale che la riduzione
di pena per liberazione anticipata si differenzia dalle altre misu
re alternative, per le peculiarità che lo stesso tribunale ha rilevato.
Tuttavia, la lettura della norma contenuta nell'art. 1 d.l.
152/91, convertito in 1. 203/91, che ha introdotto nell'ordina
mento penitenziario l'art. 4 bis, non può essere conclusivamen
te condizionata dalla cennata considerazione, perché le ragioni
esposte dal procuratore generale ricorrente dimostrano che il
legislatore, sia pure (se si vuole) con linguaggio poco appropria to teoricamente, ha inteso riferirsi anche alla liberazione antici
pata con la espressione, «le misure alternative alla detenzione».
Ciò discende, in primo luogo, dal fatto che, come rilevato
dal ricorrente, l'espressione citata corrisponde a quella usata
nell'intitolazione del capo VI del titolo primo della 1. 354/55
(«misure alternative alla detenzione e remissione del debito»),
Il Foro Italiano — 1992.
ove chiaramente solo quest'ultimo beneficio è stato letteralmen
te distinto dagli eterogenei altri benefici compresi nello stesso
capo e qualificati indistintamente «misure alternative alla de
tenzione».
L'argomento è rafforzato dalla considerazione che il decreto
legge ultimo (convertito), a differenza dei due d.l. precedenti — il n. 76/91 e il n. 5/91 — ha aggiunto all'espressione su
detta le parole «previste dal capo VI». L'aggiunta non può ave
re senso diverso da quello di puntualizzare il riferimento a tutti
i benefici compresi nel capo denominati «misure alternative alla
detenzione», con un più specifico riferimento al dato sistemati
co della legge. Ancora, il raffronto con il primo d.l. in materia di «provve
dimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, ecc.» (il n. 324/90), pone in evidenza come in esso, all'art. 1, era previsto il divieto di concessione di specifici benefici (com
presi nel capo VI della legge), in particolari casi, con l'indica
zione nominativa propria. I successivi d.l., compreso quello da ultimo convertito, han
no riproposto, con modifiche, il cennato divieto attraverso l'in
troduzione dell'art. 58 quater nella legge (cfr. l'art. 1, 6° com
ma, dei cennati d.l.) con il mantenimento dell'indicazione no
minativa specifica delle misure alternative cui il divieto si riferisce, mentre hanno introdotto nella legge stessa con l'art. 4 bis inti
tolato «accertamento della pericolosità sociale dei condannati
per taluni delitti», la limitazione dell'obbligo della previa infor
mativa per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la
sicurezza riferendola alle «misure alternative alla detenzione»,
completando da ultimo, come si è visto, tale indifferenziata in
dicazione con le parole «previste dal capo VI».
3/a - Alle argomentazioni sin qui esposte di ordine logico letterale e sistematico si aggiungono quelle desumibili dall'assi
milazione della liberazione anticipata alle altre c.d. «Misure al
ternative» sotto il profilo degli effetti che essa comporta, e dal
le finalità di prevenzione che la riforma ha inteso perseguire. La liberazione anticipata comporta, infatti, come le misure
alternative proprie, l'allontanamento del condannato dall'istitu
to di pena, seppure in maniera differita e definitiva, mentre
per le seconde l'allontanamento è immediato, ma limitato e con
trollato.
Tale effetto, per cosi dire «liberatorio», comune alle misure
alternative (compresa la liberazione anticipata nei termini ora
puntualizzati) ha indotto il legislatore — allarmato dal dilagare della criminalità organizzata e dai ripetuti casi di condannati,
che, pur dimostrandosi apparentemente disponibili nella rispo sta all'opera rieducativa, di fatto hanno mantenuto legami con
il mondo della malavita — a modificare il sistema dei benefici
incentivanti la risposta all'opera rieducativa e/o di messa alla
prova, su due linee.
La prima — espressa già con il richiamato decreto 324/90 — del divieto di concessione di taluni specifici benefici in casi
particolari, poi definito nell'introduzione dell'art. 58 quater della
legge, su citato. La seconda, con l'introduzione, per i condan
nati per taluni delitti, di un nuovo canale informativo sulla pe ricolosità eventualmente permanente di essi, in aggiunta allo stru
mento dell'osservazione in istituto non sempre rivelatosi ade
guato. È stato cosi adottato l'art. 4 bis che prescrive l'obbligo dell'informativa tramite il comitato provinciale per l'ordine e
la sicurezza pubblica. La logica di tali modificazioni — che non incidono sul princi
pio del fine rieducativo della pena (art. 27, 3° comma, Cost.) — coinvolge anche il beneficio della liberazione anticipata, assi
milata alle misure alternative per gli effetti cui si è accennato
e perché ricondotta, nel sistema della legge, alla categoria di
dette misure.
D'altra parte, non giova richiamarsi al sistema applicativo di tale misura con riferimento a singoli semestri per incentivare
e stimolare la partecipazione all'opera rieducativa, perché pur nell'economia di tale sistema è innegabile che non si può rico
noscere l'effettiva partecipazione di un condannato al tratta
mento quando, pur tenendo un certo comportamento in istitu
to, risulti che mantenga legami con l'ambiente della delinquen za organizzata o eversiva, sicché la partecipazione si manifesti
puramente apparente e strumentale.
In conclusione, deve essere annullata la statuizione concessi
va di centotrentacinque giorni di riduzione di pena per libera
zione anticipata dell'ordinanza impugnata, disponendosi un nuo
vo giudizio sulla base del principio qui affermato.
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