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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 2 dicembre 1991; Pres. Carnevale,...

Date post: 31-Jan-2017
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sezione I penale; sentenza 2 dicembre 1991; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (concl. conf.); ric. Proc. gen. App. Ancona c. Troia. Annulla Trib. sorveglianza Ancona 23 maggio 1991 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 453/454-455/456 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185974 . Accessed: 25/06/2014 01:35 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.60 on Wed, 25 Jun 2014 01:35:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 2 dicembre 1991; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (concl. conf.);ric. Proc. gen. App. Ancona c. Troia. Annulla Trib. sorveglianza Ancona 23 maggio 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.453/454-455/456Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185974 .

Accessed: 25/06/2014 01:35

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GIURISPRUDENZA PENALE

l'esame», deve ritenersi adempiuto ove il pubblico ministero

richiami, a tal fine, i fatti descritti nel capo di imputazione. (1)

Motivi della decisione. — Dagli atti è dato rilevare che il tri

bunale ha negato, sotto un profilo strettamente formale, l'e

spletamento dell'inchiesta testimoniale, sollecitata dal p.m., né ha inteso, in aderenza a quanto disposto dall'art. 507 c.p.p.,

disporre, di ufficio, nuovi mezzi di prova.

Ha, sul primo punto, argomentato, che il mero richiamo al

capo di imputazione, si ponesse in aperto conflitto con quanto stabilito dall'art. 468 c.p.p., e, segnatamente, con la necessità

di dedurre una circostanziata capitolazione dei fatti, cosi da con

sentire al contraddittore la prova contraria e l'esame incrociato

dei testimoni.

Trattasi, tuttavia, di tesi alla quale questa corte non ritiene

di poter conferire avallo.

Escluso, infatti, che l'ostacolo trovi la sua ragion d'essere

nella impossibilità, in subiecta materia, di operare un richiamo

per relationem a circostanze non riprodotte nella istanza istrut

toria, ma ben individuate in atti (l'ossequio ad un precetto ottu

samente formale mal si concilia con la necessità di conferire

agilità al processo), va, intanto, rilevato che, nella specie, il

tribunale non ha ritenuto stabilire se il richiamo alla imputazio

ne, per come la contestazione dei fatti era stata formulata, po tesse o meno ritenersi appagante.

Ci si domanda, infatti, quale sarebbe stata l'indole del prov vedimento qui censurato se il rappresentante della pubblica ac

cusa, in luogo di un riferimento, avesse effettuato la fedele tras

crizione del capo di imputazione facendola precedere dalla au

torizzazione alla citazione dei testi chiamati a deporre sulle

circostanze stesse.

Né ha pregio osservare, cosi come fatto dai giudici del tribu

nale, che, aderendo alla richiesta dal p.m. formulata, alla parte sarebbe venuta meno la possibilità di formulare la «prova con

traria».

La differenza fra controprova e prova contraria — alla quale il tribunale sembra assegnare un ruolo determinante nella tema

tica argomentativa — consiste nel fatto che la prima riguarda la negazione degli stessi fatti allegati dalla controparte, mentre

l'altra verte su fatti nuovi e diversi i quali siano tali, se provati, da poter indurre la inesistenza di quelli dedotti tali da eliderne

la efficacia.

Ed è su tali premesse evidente — con ciò attribuendosi argo mento per azzerare le considerazioni che il Tribunale di Bene

vento pone come dato decisivo a suffragio della tesi esposta — che, attesa l'indole di una deduzione che tenda a paralizzare o privare comunque di valore i capi di accusa, in forza di una

prospettazione con essi incompatibile, ma che non ne costitui

sce il rovescio, è possibile prescindere da una analitica indica

zione degli argomenti posti a sussidio dell'accusa.

Il vizio di carenza motivazionale, dell'impugnato provvedi mento in forza di quanto detto, è, quindi, palese.

Ma ai giudici del Tribunale di Benevento è anche sfuggito che l'art. 190 c.p.p. limita notevolmente i poteri discrezionali

del giudice cui è consentito, in ordine all'ammissione delle pro

ve, escludere quelle che siano vietate dalla legge e quelle mani

festamente superflue o irrilevanti e che, a norma del successivo

art. 468, la sanzione di inammissibilità discende, unicamente, dal mancato rispetto del termine in cui va operato il deposito della lista testimoniale, non anche per la inesatta o incompleta

capitolazione delle prove stesse.

Devesi, d'altra parte, considerare che la discovery trova effet

(1) La giurisprudenza di legittimità si è, nella sua prima evoluzione

sul punto, espressa in senso analogo al principio sostenuto dalla pro nuncia in rassegna: cfr., in particolare, Cass. 4 febbraio 1992, P.m.

in c. Lucente; 24 gennaio 1992, Crivello; 5 novembre 1991, Giovannel

li; 22 aprile 1991, Filoni ed altri, tutte citate da Guariniello, Schede su Corte di cassazione e codice di procedura penale: lista testimoniale

e indicazione delle circostanze, in Foro it., 1992, II, 242. La giurispru denza di merito pare, al contrario, improntata a criteri più rigorosi: cfr., in generale, Trib. Cassino 11 aprile 1991, id., 1991, II, 468, con nota di richiami, e, con specifico riguardo all'onere gravante sul pub blico ministero, Pret. S. Agata di Militello 30 settembre 1991, Arch,

nuova proc. pen., 1991, 770; Trib. Milano 15 gennaio 1991, ibid.; Assi

se Cassino 18 giugno 1990, ibid., 91; Pret. S. Angelo di Brolo 7 giugno 1990, id., 1990, 594; Trib. Salerno 9 marzo 1990, ibid., 266.

Il Foro Italiano — 1992.

tiva attuazione con l'indicazione dei fatti dei quelli si chiede l'am

missione (art. 493 c.p.p.), e, che il deposito delle liste e la capi tolazione appaiono unicamente finalizzati a che le parti espon

gano al giudice i fatti oggetto della prova con quei completa

menti, se del caso, presi in considerazione dal punto 3 della

surriferita disposizione. È in tale fase processuale, quindi, che l'esposizione deve as

sumere quei caratteri di completezza e specificità, realizzando

la possibilità, indipendentemente da come si sia esplicitata la

fase preparatoria, che appare tesa unicamente a consentire la

controprova. E se si volessero ricalcare fedelmente gli schemi civilistici, co

si come prospettato dall'impugnata decisione, resterebbe anche

vanificata la c.d. cross examination che, articolata su di un esa

me e su di un controesame dei testimoni, nello spirito del rito

accusatorio, ben altro lo schematico richiamo dei fatti articolati

ed ai soli chiarimenti dei fatti stessi (art. 253 c.p.c.), tende a

realizzare quella incalzante e serrata indagine la quale, salvo i limiti imposti dal 4° comma dell'art. 499 c.p.p., deve condur

re alla ricerca della verità processuale. Ed è sempre sul filo di tali considerazioni che deve ritenersi

consentito, senza una precedente capitolazione di prova ed al

di fuori di qualsiasi formalismo, ad enti ed associazioni rappre sentative di interessi lesi, di esplicare, nel corso della prova, quella attività di intervento presa in considerazione dalla prima

parte dell'art. 505, altrimenti inammissibile, seguendosi lo sche

ma rigido elaborato dalla gravata decisione.

Il ricorso, per le suesposte considerazioni, deve essere accol

to, ed il processo, previa pronuncia di annullamento della im

pugnata decisione, va trasmesso, a norma dell'art. 469, n. 4,

c.p.p., al giudice competente per l'appello, restando assorbita

ogni altra questione.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 2 dicem

bre 1991; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (conci,

conf.); ric. Proc. gen. App. Ancona c. Troia. Annulla Trib.

sorveglianza Ancona 23 maggio 1991.

Ordinamento penitenziario — Liberazione anticipata — Natura

giuridica — Misura alternativa alla detenzione — Preventiva

acquisizione di informazioni al comitato provinciale per l'or

dine e la sicurezza pubblica — Necessità (L. 26 luglio 1975

n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzio

ne delle misure privative e limitative della libertà, art. 4 bis,

54; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, modifiche della legge sull'ordi

namento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privati ve e limitative della libertà, art. 18; d.l. 13 maggio 1991 n.

152, provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità

organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività

amministrativa, art. 1).

Anche la liberazione anticipata per riduzione di pena rientra

tra le misure alternative alla detenzione; ne consegue che la

sua concessione ai condannati per i reati previsti dall'art. 4

bis dell'ordinamento penitenziario, introdotto dall'art. 1 d.l.

13 maggio 1991 n. 152, non è consentita senza la previa ac

quisizione di informazioni presso il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ai sensi del citato art. 1. (1)

(1) Non risultano editi precedenti giurisprudenziali specifici. In dottrina, negano che la liberazione anticipata abbia natura di mi

sura alternativa e, conseguentemente, escludono l'applicabilità dell'art. 4 bis, introdotto con la 1. 203/91, Canepa-Merlo, Manuale dì diritto

penitenziario, 2a ed., Milano, 1991, 279. In senso problematico sulla

natura di misura alternativa della liberazione anticipata, v. anche, in

precedenza, Fassone-Basile-Tuccillo, La riforma penitenziaria, Napo li, 1987, 76 e ss.

Sulla natura giuridica della liberazione anticipata (ritenuta assimilabi le alle cause di estinzione della pena), cfr. Trib. sorv. Milano 4 dicem

bre 1986, Foro it., Rep. 1990, voce Ordinamento penitenziario, n. 105.

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PARTE SECONDA

Fatto e diritto. — 1. - Con l'ordinanza impugnata il Tribuna

le di sorveglianza di Ancona cosi provvedeva:

1) revocava i benefici della riduzione di pena per liberazione

anticipata riconosciuti a Troia Antonio con le ordinanze del

Tribunale per i minori di Campobasso in data 3 luglio 1981

e del Tribunale per i minori di Firenze in data 9 novembre 1984, nella misura rispettivamente di giorni centoventi e di giorni ses

santa, e cosi complessivamente per centottanta giorni;

2) riconosceva al condannato il beneficio della liberazione an

ticipata nella misura di giorni centotrentacinque relativamente

al periodo dal 15 novembre 1989 al 15 maggio 1991.

Il tribunale, in relazione al provvedimento concessivo del be

neficio sub 2) ha ritenuto di dover prescindere dalla richiesta

di informazioni al comitato provinciale per l'ordine e la sicurez

za pubblica competente — sollecitata dal p.m. e prevista dal

2° comma dell'art. 4 bis 1. 354/75, quale modificata da ultimo

con il d.l. 152/91, convertito in 1. 203/91 —, perché, pur essen

do stato il Troia condannato per reati compresi nel 1° comma

dell'art. 4 bis citato, tuttavia il beneficio della liberazione anti

cipata non è compreso fra quelli per i quali sono operative le

limitazioni della norma in questione, la quale, al 1° comma, fà riferimento alle «misure alternative alla detenzione previste dal capo VI». Ad avviso del tribunale, infatti, la liberazione

anticipata non può essere considerata quale misura alternativa

alla detenzione, la quale è sempre caratterizzata da una restri

zione della libertà personale, seppure in forma attenuata e di

versa da quella inframuraria in carcere.

Osserva ancora il tribunale che le finalità proprie della libera

zione anticipata e il meccanismo applicativo (ormai riconosciu

to pacificamente nella giurisprudenza), per il quale il beneficio

è riferito a ciascun semestre di pena scontata, costituiscono un'ul

teriore ragione di differenziazione rispetto alle misure alternati

ve alla detenzione.

Né il richiamo al capo VI della legge e la collocazione in

esso della previsione del beneficio ha rilevanza tale da poter fare trascurare la specificità della natura giuridica del beneficio.

2. - Ha proposto ricorso il procuratore generale, deducendo:

1) il capo VI del titolo I della legge è intitolato «misure alterna

tive alla detenzione e remissione del debito» ed è comprensivo anche della liberazione anticipata. Il riferimento generico del

l'art. 4 bis citato alle misure alternative non può che ritenersi

comprensivo anche del beneficio in questione, tanto più che il

d.l. 152/91, da ultimo convertito in legge, a differenza dei pre

cedenti, decaduti per omessa conversione, ha introdotto il rife

rimento al capo VI, che in quelli mancava; 2) tale lettura della

norma, sostenuta dal criterio logico-sistematico, trova conforto

nella ratio legis che ha ispirato la riforma, e che ha inteso assi

curare alla magistratura di sorveglianza un elemento informati

vo ulteriore in grado di segnalare, nei casi di condannati per reati di particolare gravità e allarme sociale, quella specifica

pericolosità derivante dal permanente collegamento del condan

nato con la malavita organizzata; 3) in questa ottica, il benefi

cio della liberazione anticipata non può che ritenersi accomuna

to nella mens legis alle misure alternative, al fine di contenere il riconoscimento dei benefici (compreso quello in parola) ai

casi in cui ogni collegamento del tipo cennato sia ragionevol mente escluso. D'altra parte, non si può affermare che un con

dannato partecipi attivamente all'opera di rieducazione (come l'art. 54 dell'ordinamento penitenziario richiede), se lo stesso,

pur tenendo un comportamento positivo in carcere, mantiene

tuttavia legami con l'ambiente nel quale il delitto è maturato.

3. - Il ricorso deve essere accolto. Sotto il profilo dommatico

è certamente esatta l'osservazione del tribunale che la riduzione

di pena per liberazione anticipata si differenzia dalle altre misu

re alternative, per le peculiarità che lo stesso tribunale ha rilevato.

Tuttavia, la lettura della norma contenuta nell'art. 1 d.l.

152/91, convertito in 1. 203/91, che ha introdotto nell'ordina

mento penitenziario l'art. 4 bis, non può essere conclusivamen

te condizionata dalla cennata considerazione, perché le ragioni

esposte dal procuratore generale ricorrente dimostrano che il

legislatore, sia pure (se si vuole) con linguaggio poco appropria to teoricamente, ha inteso riferirsi anche alla liberazione antici

pata con la espressione, «le misure alternative alla detenzione».

Ciò discende, in primo luogo, dal fatto che, come rilevato

dal ricorrente, l'espressione citata corrisponde a quella usata

nell'intitolazione del capo VI del titolo primo della 1. 354/55

(«misure alternative alla detenzione e remissione del debito»),

Il Foro Italiano — 1992.

ove chiaramente solo quest'ultimo beneficio è stato letteralmen

te distinto dagli eterogenei altri benefici compresi nello stesso

capo e qualificati indistintamente «misure alternative alla de

tenzione».

L'argomento è rafforzato dalla considerazione che il decreto

legge ultimo (convertito), a differenza dei due d.l. precedenti — il n. 76/91 e il n. 5/91 — ha aggiunto all'espressione su

detta le parole «previste dal capo VI». L'aggiunta non può ave

re senso diverso da quello di puntualizzare il riferimento a tutti

i benefici compresi nel capo denominati «misure alternative alla

detenzione», con un più specifico riferimento al dato sistemati

co della legge. Ancora, il raffronto con il primo d.l. in materia di «provve

dimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, ecc.» (il n. 324/90), pone in evidenza come in esso, all'art. 1, era previsto il divieto di concessione di specifici benefici (com

presi nel capo VI della legge), in particolari casi, con l'indica

zione nominativa propria. I successivi d.l., compreso quello da ultimo convertito, han

no riproposto, con modifiche, il cennato divieto attraverso l'in

troduzione dell'art. 58 quater nella legge (cfr. l'art. 1, 6° com

ma, dei cennati d.l.) con il mantenimento dell'indicazione no

minativa specifica delle misure alternative cui il divieto si riferisce, mentre hanno introdotto nella legge stessa con l'art. 4 bis inti

tolato «accertamento della pericolosità sociale dei condannati

per taluni delitti», la limitazione dell'obbligo della previa infor

mativa per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la

sicurezza riferendola alle «misure alternative alla detenzione»,

completando da ultimo, come si è visto, tale indifferenziata in

dicazione con le parole «previste dal capo VI».

3/a - Alle argomentazioni sin qui esposte di ordine logico letterale e sistematico si aggiungono quelle desumibili dall'assi

milazione della liberazione anticipata alle altre c.d. «Misure al

ternative» sotto il profilo degli effetti che essa comporta, e dal

le finalità di prevenzione che la riforma ha inteso perseguire. La liberazione anticipata comporta, infatti, come le misure

alternative proprie, l'allontanamento del condannato dall'istitu

to di pena, seppure in maniera differita e definitiva, mentre

per le seconde l'allontanamento è immediato, ma limitato e con

trollato.

Tale effetto, per cosi dire «liberatorio», comune alle misure

alternative (compresa la liberazione anticipata nei termini ora

puntualizzati) ha indotto il legislatore — allarmato dal dilagare della criminalità organizzata e dai ripetuti casi di condannati,

che, pur dimostrandosi apparentemente disponibili nella rispo sta all'opera rieducativa, di fatto hanno mantenuto legami con

il mondo della malavita — a modificare il sistema dei benefici

incentivanti la risposta all'opera rieducativa e/o di messa alla

prova, su due linee.

La prima — espressa già con il richiamato decreto 324/90 — del divieto di concessione di taluni specifici benefici in casi

particolari, poi definito nell'introduzione dell'art. 58 quater della

legge, su citato. La seconda, con l'introduzione, per i condan

nati per taluni delitti, di un nuovo canale informativo sulla pe ricolosità eventualmente permanente di essi, in aggiunta allo stru

mento dell'osservazione in istituto non sempre rivelatosi ade

guato. È stato cosi adottato l'art. 4 bis che prescrive l'obbligo dell'informativa tramite il comitato provinciale per l'ordine e

la sicurezza pubblica. La logica di tali modificazioni — che non incidono sul princi

pio del fine rieducativo della pena (art. 27, 3° comma, Cost.) — coinvolge anche il beneficio della liberazione anticipata, assi

milata alle misure alternative per gli effetti cui si è accennato

e perché ricondotta, nel sistema della legge, alla categoria di

dette misure.

D'altra parte, non giova richiamarsi al sistema applicativo di tale misura con riferimento a singoli semestri per incentivare

e stimolare la partecipazione all'opera rieducativa, perché pur nell'economia di tale sistema è innegabile che non si può rico

noscere l'effettiva partecipazione di un condannato al tratta

mento quando, pur tenendo un certo comportamento in istitu

to, risulti che mantenga legami con l'ambiente della delinquen za organizzata o eversiva, sicché la partecipazione si manifesti

puramente apparente e strumentale.

In conclusione, deve essere annullata la statuizione concessi

va di centotrentacinque giorni di riduzione di pena per libera

zione anticipata dell'ordinanza impugnata, disponendosi un nuo

vo giudizio sulla base del principio qui affermato.

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