sezione I penale; sentenza 20 febbraio 1990; Pres. Molinari, Est. La Panna, P.M. (concl. conf.);imp. Ruta. Conflitto di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.293/294-299/300Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183618 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
accertare la sussistenza dei presupposti probatori e cautelari per l'applicazione della misura coercitiva.
In tale sede, ed ai limitati fini di cui sopra la legge prevede che la persona ed il suo difensore debbono essere «sentiti».
La diversa formula adoperata dal codice già sta a significare la diversità tra i due concetti. Ma la discriminazione deriva preci
puamente dalle diverse finalità essendo «l'obbligo di sentire» fi
nalizzato al solo accertamento dei presupposti di cui sopra (con trollo di legittimità dell'atto) e prescindendo del tutto dall'obbli
go di constatazione previsto dagli art. 64 e 65 c.p.p. Non si tratta, pertanto, come sostenuto dal ricorrente, di una
inutile duplicazione di attività, ma di osservanza di norme poste a difesa di specifici e distinti diritti.
D'altronde, non va dimenticato che i due accertamenti nell'am
bito della stessa fase sono indipendenti nel senso che non debbo
no necessariamente coesistere ed hanno, conseguentemente, una
diversa disciplina, quanto alle impugnazioni, nel senso che il prov vedimento di convalida è soggetto solo al ricorso per cassazione, a differenza del provvedimento che applica la misura coercitiva
che è soggetto a tutte le impugnazioni previste dagli art. 309 ss.
c.p.p. A ciò va, poi, aggiunto che, come previsto dal n. 3 dell'art.
294, l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare
ha altresì altra specifica finalità, che è quella di consentire il con
trollo circa la permanenza delle condizioni di applicabilità della
misura e delle esigenze cautelari: controllo questo che, in caso
contrario, non potrebbe essere eseguito e che ha indotto il legis latore ad inserire la relativa norma nel capo delle misure cautelari.
II
La corte osserva: contro l'ordinanza di cui sopra — con la
quale il Tribunale di Napoli confermò la convalida dell'arresto
in flagranza di Esposito Fortunato, per un delitto previsto dalla
1. 22 dicembre 1975 n. 685, effettuata dal giudice per le indagini
preliminari, e l'applicazione della misura coercitiva della custodia
cautelare in carcere, disposta dallo stesso giudice subito dopo la
convalida dell'arresto — l'imputato propone ricorso per cassazio
ne denunziando violazione di legge a causa dell'omesso suo inter
rogatorio nel termine indicato dall'art. 294, 1° comma, nuovo
c.p.p., violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine
alle condizioni richieste per l'applicazione della misura coercitiva,
e, con motivo aggiunto, chiede la dichiarazione di inefficacia del
la misura cautelare ai sensi dell'art. 302 stesso codice.
Il primo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati
congiuntamente, dato che attengono alla stessa denunzia del man
cato interrogatorio ex art. 294, 1° comma, e alla sua sanzione.
Le censure sono però infondate.
L'esame della persona in stato di custodia cautelare, condotto
con le modalità dell'interrogatorio da parte del giudice che ha
disposto in precedenza, su richiesta del p.m., la misura coerciti
va, è previsto dall'art. 294, 1° comma, per fini sostanzialmente
diversi da quelli dell'interrogatorio effettuato dal p.m., vale a
dire a fini di controllo e di garanzia dei presupposti della misura
ritenere intanto che nessun problema si ponga nel caso di rifiuto dell'inte
ressato, il quale può certamente scegliere di non essere sentito, cosi come
può scegliere di non rendere l'interrogatorio. Viceversa, nel caso in cui
l'arrestato o fermato si sia trovato nell'impossibilità di partecipare all'u dienza di convalida, non vi è ragione di non riconoscergli il diritto ad essere interrogato ai sensi dell'art. 294, affinché il giudice, acquisendo le sue difese, verifichi se permangono le condizioni e le esigenze di cui
agli art. 273, 274 e 275 in precedenza poste a fondamento — senza averlo
sentito — della custodia cautelare inflittagli. Si tratta, in sostanza, di
un modo di procedere analogo anche a quello previsto, in materia di
applicazione provvisoria di misure di sicurezza, dall'art. 313, 1° comma,
che, per il caso di impossibilità dell'interrogatorio dell'indiziato prima della pronuncia del provvedimento, espressamente rinvia a quanto dispo sto dall'art. 294 (11).
Carlo De Chiara
(11) 11 1° comma dell'art. 313 offre, peraltro, una conferma dell'orien tamento del legislatore nel senso della sostanziale equivalenza ai fini della
garanzia — come sostenuto nel testo — tra il contraddittorio instaurato con l'interessato in vista dell'adozione di un provvedimento restrittivo e quello immediatamente ad essa successivo.
Il Foro Italiano — 1990.
cautelare applicata, e non a fini di investigazione. Detto esame
realizza, inoltre, per la prima volta il contatto diretto tra il giudi ce e l'indiziato privato della propria libertà personale.
Nel caso dell'arresto in flagranza, la funzione di sentire, con le modalità dell'interrogatorio, l'arrestato per i fini di controllo
e garanzia attinenti alla libertà personale, è realizzata, da parte del giudice per le indagini preliminari, con la stessa audizione
personale che precede la convalida dell'arresto in flagranza e l'ap
plicazione della misura coercitiva, previste dall'art. 391 nuovo
c.p.p., senza necessità di un secondo esame. Va infatti rilevato
che nell'art. 391 manca un espresso richiamo all'art. 294, 1° com
ma; che, inoltre, l'esame anteriore alla convalida ha già realizza
to il primo contatto tra il giudice e l'arrestato; che l'applicazione della misura coercitiva non segna il passaggio dell'indiziato dallo
stato libero a quello custodiale, ma solo la conversione dell'arre
sto in una misura coercitiva disposta dallo stesso giudice che ha
pronunziato la convalida; che, infine, a differenza da quanto as
sume il ricorrente, l'«interrogatorio» di cui al citato art. 294, 1°
comma, pur essendo configurato come uno strumento di difesa, non ha le finalità dell'interrogatorio nel merito di cui all'art. 65
(e, per quanto qui interessa, 388, 2° comma) del nuovo c.p.p., di competenza del p.m. e solo eccezionalmente del giudice dell'u
dienza preliminare (art. 421), ma quelle menzionate espressamen te nel 3° comma dello stesso art. 294.
I motivi di ricorso esaminati vanno, pertanto, disattesi.
II secondo motivo è egualmente infondato, avendo il giudice del riesame, con motivazione congrua ed immune da vizi logici o errori di diritto, ritenuto la piena susistenza delle condizioni
generali di applicabilità della misura coercitiva, della sua adegua tezza e delle esigenze cautelari, previste, rispettivamente, negli art.
273, 274 e 275 nuovo c.p.p., sottraendosi in tal modo alle censu
re formulate dal ricorrente.
Il ricorso va, in conclusione, rigettato nella sua interezza.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 20 feb
braio 1990; Pres. Molinari, Est. La Panna, P.M. (conci, conf.);
imp. Ruta. Conflitto di competenza.
Competenza e giurisdizione penale — Nuovo codice di procedura
penale — Conflitto tra organi del pubblico ministero — Inam
missibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen. dal 1988, art. 28,
54, 655, 663, 665). Esecuzione penale — Nuovo codice di procedura penale — Pene
concorrenti — Cumulo — Provvedimento — Natura di atto
amministrativo (Cod. proc. pen. del 1988, art. 663).
Secondo il nuovo codice di procedura penale il conflitto tra orga ni del pubblico ministero è inammissibile anche se interviene in fase esecutiva (nella specie, sia il procuratore generale che
il procuratore della repubblica avevano declinato la competen
za ad adottare il provvedimento di cumulo delle pene ex art.
666 c.p.p. del 1988). (1) Anche secondo il nuovo codice di procedura penale il provvedi
mento di unificazione delle pene adottato dal pubblico ministe
ro ai sensi dell'art. 663 ha natura meramente amministrativa
e, quindi, è suscettibile di essere revocato o rimosso da parte dello stesso organo al fine di tenere costantemente aggiornata la posizione esecutiva del condannato. (2)
(1, 3-6) Nel senso che secondo il nuovo codice di procedura penale il conflitto di competenza non è configurabile nel caso di contrasto fra
organi del pubblico ministero ovvero fra pubblico ministero e giudice, v. Cass. 19 febbraio 1990, Rinchi, inedita e 9 febbraio 1990, Ignoti, ine
dita; analogamente, in dottrina, Bonetto, in Commento a1 nuovo codice
di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989,1, 167; Conti
Macchia, Il nuovo processo penale, Roma, 1989, 20; Macchia, in Com
mentario del nuovo codice di procedura penale a cura di Amodio e Domi
nions Milano, 1989, I, 184 s.; cfr. anche Chiavario, La riforma del
processo penale, Torino, 1990, 73. Per l'affermazione (agevolmente desumibile dalla chiara formulazione
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PARTE SECONDA
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 19 feb
braio 1990; Pres. Carnevale, Est. Feliciangeli, P.M. (conci,
conf.); imp. Facchinari. Conflitto di competenza.
Competenza e giurisdizione penale — Nuovo codice di procedura
penale — Conflitto — Contrasto tra pubblico ministero e giu dice per le indagini preliminari — Ineonfigurabilità (Cod. proc.
pen. del 1988, art. 22, 28).
Competenza e giurisdizione penale — Nuovo codice di procedura
penale — Conflitto — Ammissibilità solo nel caso di contrasto
tra organi giurisdizionali (Cod. proc. pen. del 1988, art. 28).
Competenza e giurisdizione penale — Provvedimenti sulla com
petenza — Incompetenza dichiarata dal giudice per le indagini
preliminari — Vincolatività per il pubblico ministero — Esclu
sione (Cod. proc. pen. dal 1988, art. 22).
Competenza e giurisdizione penale — Indagini preliminari — Ri
chiesta di provvedimento da parte del pubblico ministero —
Declaratoria di incompetenza del giudice per le indagini preli minari — Trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice per le indagini preliminari dichiarato competente —
Declaratoria di incompetenza — Conflitto — Configurabilità
(Cod. proc. pen. del 1988, art. 22, 28, 54, 267, 317, 321, 368,
390, 393).
Non è configurabile, neppure quale caso analogo, un conflitto di competenza tra pubblico ministero e giudice per le indagini
preliminari. (3) Il conflitto di competenza, anche come caso analogo, è configu
rabile solo con riferimento a contrasti fra organi giuris dizionali. (4)
La declaratoria di incompetenza del giudice per le indagini preli
minari, richiesto di un provvedimento da parte del pubblico
ministero, non esplica alcun effetto vincolante nei confronti di questi, che può liberamente proseguire le indagini preli minari. (5)
Qualora il giudice per le indagini preliminari, al quale sia stata
chiesta l'adozione di un provvedimento, dichiari la propria in
competenza, il pubblico ministero, ancorché designato ai sensi
dell'art. 54 c.p.p. del 1988, può rimettere gli atti per la richie
sta del provvedimento al pubblico ministero presso il giudice
per le indagini preliminari dichiarato competente; se anche questi si ritiene incompetente il giudice stesso, o il pubblico ministero,
può denunciare conflitto. (6)
letterale dell'art. 22, 2° comma, c.p.p.) che la declaratoria di incompe tenza del g.i.p. in occasione di un provvedimento richiestogli dal p.m. non preclude lo svolgimento di «ulteriori indagini da parte del pubblico ministero», v. Pignatelli, in Commento, cit., 145; analogamente Cor
derò, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1990, 27.
Negli stessi termini sulla sesta massima, v. Macchia, op. cit., 193.
Quanto al potere attribuito al procuratore generale dall'art. 54, 2° com
ma, c.p.p., nella relazione al progetto preliminare si chiarisce «che, con tale sistema, non si è inteso attivare alcun potere gerarchico dal momento che s'è fatto riferimento a soggetti che non sono, rispetto ai magistrati in conflitto, gerarchicamente sovraordinati».
Le fattispecie prese in esame dalle sentenze in epigrafe sono emblemati che della non soddisfacente e, forse, troppo schematica disciplina data dal codice del 1988 alla complessa problematica dei contrasti tra organi giudiziari in ordine alla competenza ad adottare un determinato provve dimento, o, in generale, a procedere.
È significativo, poi, che con la sentenza Ruta, a differenza di quanto ha fatto con la sentenza Facchinari, la Corte di cassazione si sia ben guardata dal suggerire — pur dichiarando inammissibile il conflitto — una possibile via d'uscita alla situazione di stasi venutasi a determinare; evidentemente si è ritenuto che il codice non consenta, allo stato, una soluzione che abbia un qualche fondamento normativo e, quindi, non sia arbitraria.
L'unica disposizione che contempla un caso di «conflitto» (solo negati vo, peraltro) tra organi del pubblico ministero è l'art. 54 c.p.p., che attri buisce al procuratore generale presso la corte d'appello o presso la Corte di cassazione, a seconda che gli organi «confliggenti» appartengano o meno allo stesso distretto, la competenza a rimuovere la situazione di stasi. Tale norma, tuttavia, è stata dettata con esclusivo riferimento alla fase delle indagini preliminari e, stante l'eccezionalità del potere attribui to al procuratore generale, non sembra che ne sia consentita un'applica zione analogica, come riconosce la stessa Cassazione.
Sarebbe, pertanto, auspicabile che il governo, avvalendosi del disposto di cui all'art. 7 1. 81/87 (delega per l'emanazione del nuovo codice di
procedura penale), nei tre anni successivi all'entrata in vigore del codice
Il Foro Italiano — 1990.
I
Dovendosi procedere all'unificazione delle pene concorrenti in
flitte ad Antonio Ruta con sentenza del Tribunale di Bari in data
9 dicembre 1988 (divenuta irrevocabile il 10 gennaio 1989), con
sentenza della Corte d'appello di Bari in data 20 agosto 1987
(divenuta irrevocabile il 12 aprile 1989) e con sentenza del Preto
re di Modugno in data 23 novembre 1988 (divenuta irrevocabile
il 14 giugno 1989), il procuratore della repubblica presso il Tribu
nale di Bari, con nota del 10 novembre 1989, ha rinnovato la
richiesta di emettere il relativo provvedimento al procuratore ge nerale presso la locale corte d'appello, ritenendolo competente ai sensi degli art. 663 e 665, n. 4, c.p.p. del 1988 in relazione
all'art. 260 d.leg. 28 luglio 1989 n. 271.
Ma l'ufficio del procuratore generale predetto ha subito ribadi
to la dichiarazione della propria incompetenza, osservando che
ai sensi dell'art. 589 c.p.p. del 1930, applicabile nel caso di spe
cie, la competenza ad emettere il provvedimento in discorso spet ti ad esso procuratore della repubblica, in relazione alla sentenza
23 novembre 1988 del Pretore di Modugno divenuta irrevocabile
per ultima, e affermando ancora di non poter condividere la pro
posta interpretazione dell'art. 260 citato, nel senso che la locuzio
ne in esso contenuta «... e per i procedimenti già iniziati a tale
data [di entrata in vigore del codice] non si riferisce soltanto agli incidenti di esecuzione — come mostra di opinare restrittivamen
te il procuratore della repubblica bensì anche ad una qualsiasi attività esecutiva concretamente iniziata, con probabile estensio
ne, a titolo esemplificativo, «alla semplice ricezione di un estratto
esecutivo».
Stando cosi le cose, il procuratore della repubblica predetto, con provvedimento del 13 dicembre 1989, ha proposto conflitto
di competenza ai sensi degli art. 28 ss. c.p.p. del 1988, trasmet
tendo gli atti a questa Corte suprema per la risoluzione di essi.
Questa denunzia di conflitto è inammissibile.
È importante notare, innanzitutto, che nel sistema del vecchio
codice la giurisprudenza, muovendo dal presupposto che il con
flitto analogo positivo o negativo, sia configurabile ogniqualvolta un contrasto fra organi lato sensu giudiziari determini una stasi
del procedimento non altrimenti eliminabile, ha ammesso l'espe ribilità della procedura conflittuale ex art. 51,2° comma, c.p.p. nei casi di contrasto, non solo tra pubblico ministero e giudice, ma anche fra diversi uffici del pubblico ministero (fra p.m. e
pretore: Cass. 24 marzo 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Compe tenza penale, n. 28; 14 giugno 1978, Misiti, id., Rep. 1978, voce
Stupefacenti, n. 40; fra due procuratori della repubblica: Cass.
6 novembre 1984, Gilmozzi, id., Rep. 1986, voce Competenza
penale, n. 98; fra procuratore della repubblica e procuratore ge nerale: Cass. 19 ottobre 1977, Longo, id., Rep. 1978, voce cit., n. 55).
Diversamente dal precedente sistema, in quello del nuovo codi
ce di procedura penale 1988 (art. 28), il pubblico ministero cessa
di essere soggetto di conflitti in quanto, data la sua rimarcata
qualità di parte, non può atteggiarsi come antagonista del giudi ce, ma può, nella veste di parte pubblica, denunciare i conflitti
insorti fra i giudici. Il conflitto, insomma, anche secondo l'opinione dottrinaria pre
valente, è ormai configurabile soltanto fra organi aventi potestà
giurisdizionale.
emani una disposizione volta a dare soluzione ai contrasti che possono insorgere in fase esecutiva fra organi del p.m. in ordine a provvedimenti di loro esclusiva competenza.
Naturalmente un problema di rimozione della stasi processuale si pone soltanto, come nel caso preso in esame dalla sentenza Ruta, allorché en trambi i pubblici ministeri si ritengano incompetenti ad adottare il prov vedimento (si pensi, oltre al cumulo ex art. 663 c.p.p., all'ordine di ese cuzione di cui all'art. 656 dello stesso codice); nell'ipotesi contraria, in
fatti, è possibile sollecitare l'intervento del giudice dell'esecuzione (che, peraltro, potrebbe essere chiesto dal condannato anche nel caso di rifiuto del provvedimento di cumulo, se vi ha interesse) e, quindi, una decisione della Cassazione in sede di ricorso ex art. 666, 7° comma, c.p.p. o di risoluzione del conflitto ai sensi degli art. 28 ss. qualora entrambi i giudi ci dell'esecuzione presso i quali esercitano le funzioni i due pubblici mini steri «confliggenti» si ritengano competenti. [G. Ciani]
(2) Sulla natura amministrativa del provvedimento di cumulo previsto dall'art. 582 c.p.p. del 1930, v. Cass. 20 gennaio 1983, Morelli, Foro it., Rep. 1984, voce Esecuzione penale, n. 13; 21 gennaio 1974, Melis, id., Rep. 1974, voce cit., n. 32; 9 ottobre 1972, La Greca, id., Rep. 1973, voce cit., n. 20; analogamente, in dottrina, Catelani, Manuale dell'esecuzione penale, Milano, 1980, 196.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Un'ulteriore sottolineatura circa la peculiarità della nuova pro cedura conflittuale, nel senso che il 2° comma dell'art. 28 citato
lasci fuori della previsione dei «casi analoghi» quelli in cui uno
degli antagonisti è un organo del pubblico ministero, si rinviene
nel testo dell'art. 29 c.p.p. del 1988, dove lo specifico termine
«uno dei giudici» è venuto a sostituire, e di certo non a caso,
quello di magistrato, di più lata significazione, figurante nel testo
dell'art. 52 del codice abrogato. In secondo luogo, è a dire che in una posizione del tutto ecce
zionale rispetto al «tipo» di conflitto disegnato dalla nuova nor
mativa penale processuale, vengono a configurarsi i contrasti tra
i diversi uffici del pubblico ministero disciplinati dal 2° comma
dell'art. 54, che non la legge, ma la dottrina denominano «con
flitti negativi».
Trattasi, per vero, di conflitti a carattere non giurisdizionale che il procuratore generale presso la corte d'appello o presso la
Corte di cassazione risolve autoritativamente (e ciò non come
espressione d'un potere gerarchico), ma non anche definitivamente
giacché la sua determinazione resta limitata nell'ambito tempora le delle indagini preliminari e non acquista mai l'autorità del giu dicato propria delle pronunce della Suprema corte regolatrice.
Ai fini che qui interessano, adunque, va sottolineato che la
norma ora in esame concerne esclusivamente la fase delle indagi ni preliminari, rimanendo inteso che nelle fasi successive ogni si
tuazione conflittuale viene assorbita nei problemi inerenti alla com
petenza del giudice. Non pare dubbio che ciò debba valere anche per quanto attiene
alla fase dell'esecuzione.
A tal riguardo mette conto chiarire che fra i «casi analoghi», l'attuale sistema ricomprende di certo i contrasti insorti nella fase
dell'esecuzione (libro X: art. 648 ss.) com'è facile desumere dai
lavori preparatori (v. Relazioneprog. prel. c.p.p., 17), anche nel
senso che il cambiamento della formula «in qualsiasi stato e gra do del procedimento» nella nuova «in qualsiasi stato e grado del
processo», a prescindere dall'esattezza o meno del rapporto con
cettuale tra «procedimento» e «processo», non comporta limita
zione veruna.
In conclusione, il conflitto, avendo come imprescindibile pre
supposto un rapporto processuale e di tal natura essendo anche
il rapporto processuale esecutivo, è bensì' configurabile nella fase
dell'esecuzione penale,, ma, secondo la nuova regola generale, so
lamente tra organi giurisdizionali, cioè fra giudici degli incidenti
di esecuzione.
Orbene, alla stregua delle superiori premesse chiarificatrici e
avuto riguardo alla fattispecie oggetto del contrasto tra procura tore della repubblica e procuratore generale, concernente l'obbli
gatoria emissione del provvedimento di cumulo da parte del pub blico ministero ai sensi dell'art. 663 c.p.p. del 1988, devesi esclu
dere che quello del p.m., anche in questo primo momento
dell'esecuzione, sia un organo giurisdizionale. Anche se il nuovo sistema ha adottato il principio della piena
giurisdizionalizzazione del procedimento esecutivo — il quale ha
come presupposto imprescindibile l'intervento del giudice dell'e
secuzione — tuttavia, ha lasciato inalterato il carattere meramen
te amministrativo e non giurisdizionale che la giurisprudenza.ave
va, in passato, riconosciuto costantemente al provvedimento di
cumulo emesso del pubblico ministero ex art. 582 c.p.p. Anche oggi, infatti, si può continuare a ritenere che trattasi
di un provvedimento — qualunque sia l'organo del pubblico mi
nistero competente ad emanarlo ai sensi dell'art. 663, 2° comma,
in relazione all'art. 665, 4° comma — suscettibile d'essere revo
cato o rimosso da parte del medesimo organo al fine di tenere
costantemente aggiornata la posizione processuale del condanna
to, e, quindi, come tale, non diventa mai definitivo, salvo che
su di esso si sia pronunciato il giudice dell'esecuzione, il cui inter
vento può essere richiesto dal condannato senza limiti di tempo. Dimostrata cosi l'inammissibilità della proposta denuncia di con
flitto, occorre disporre la restituzione degli atti allo stesso procu ratore della repubblica proponente, la cui segreteria provvederà alla notificazione dell'estratto della presente sentenza alle parti
private.
II
Fatto e diritto. — 1. - I carabinieri di Città di Castello traeva
no in arresto il 20 novembre 1989 Facchineri Rocco e Facchineri
Giuseppe siccome responsabili di tentato omicidio, per avere di
II Foro Italiano — 1990.
satteso l'intimazione di fermarsi e cercato di investire, con l'auto
vettura di cui disponevano e condotta da uno di loro, il sottuffi
ciale che aveva loro rivolto l'intimazione.
Lo stesso giorno rimettevano gli atti concernenti l'arresto al
procuratore della repubblica presso il Tribunale di Perugia per
gli incombenti relativi alla convalida.
Il detto p.m., ravvisando le ipotesi di reato di cui agli art.
337 e 582 c.p. (resistenza e lesioni), rimetteva gli atti al procura tore della repubblica presso il Pretore di Perugia, il quale, peral
tro, ritenendo la configurabilità del delitto di tentato omicidio
(di competenza del tribunale), informava il procuratore generale
presso la Corte d'appello di Perugia perché determinasse l'ufficio
del p.m. tenuto a procedere (art. 54, 2° comma, c.p.p.). Il detto procuratore generale disponeva che doveva procedere
il p.m. presso il tribunale, considerando che poteva ravvisarsi il
reato di tentato omicidio e richiamando la giurisprudenza di que sta corte per cui, nel dubbio, deve ritenersi la competenza del
giudice al quale è attribuita dalla legge la cognizione del reato
più grave ipotizzabile. In ottemperanza a tale designazione ex art. 54, 2° comma, ci
tato, il p.m. presso il tribunale chiedeva al giudice delle indagini
preliminari la fissazione dell'udienza per la convalida dell'arresto
eseguito nella flagranza del reato di tentato omicidio.
Tuttavia, in sede di udienza di convalida chiedeva l'adozione
di tale provvedimento in relazione ai reati di resistenza a pubbli co ufficiale (art. 337 c.p.) e di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), contestualmente rilevando l'incompetenza per materia
del tribunale e chiedendo, per il solo Facchineri Rocco, il mante
nimento della custodia cautelare per giorni dieci per esigenze di
tutela delle acquisizioni probatorie. Il g.i.p. convalidava l'arresto e disponeva la rimessione in li
bertà degli arrestati non ravvisando le condizioni giustificatrici
per l'emissione di misure cautelari. Riservava la pronunzia sulla
competenza ai sensi dell'art. 22 c.p.p.
Sciogliendo quindi la riserva, con successiva ordinanza dichia
rava «la propria incompetenza per materia a conoscere del reato
in oggetto» e ordinava la restituzione degli atti al p.m., ai sensi
dell'art. 22, 1° comma, c.p.p., considerando ravvisabile nel caso
il reato di resistenza a pubblico ufficiale, di competenza del pretore. Il p.m. chiedeva a questo punto al procuratore generale di de
terminare nel procuratore della repubblica presso la pretura l'uf
ficio del p.m. tenuto alle indagini, osservando che — pur avendo
l'ordinanza declinatoria di competenza del g.i.p. efficacia limita
ta al singolo provvedimento — tuttavia la determinazione del giu dice rendeva ragionevolmente improbabile che lo stesso giudice
accogliesse, nel corso delle indagini preliminari, ulteriori, even
tuali richieste di provvedimenti. 2. - Il procuratore generale ha denunziato il conflitto di com
petenza e ha chiesto che questa corte «risolvendo la stasi proces suale determini il giudice o il p.m. competente per materia».
In sostanza il procuratore generale ha ravvisato un conflitto
di competenza tra p.m. e giudice delle indagini preliminari che
rientrerebbe tra i casi analoghi previsti dall'art. 28, 2° comma,
c.p.p., osservando: a) che il provvedimento con il quale il procu ratore generale presso la corte d'appello determina quale ufficio
del p.m. deve procedere (art. 54, 2° comma, c.p.p.), costituisce
un provvedimento interno all'organizzazione del p.m. ed è vinco
lante per il p.m. sottordinato che viene designato, e non è revo
cabile; b) che, peraltro, la pronunzia del g.i.p. in ordine alla sua
competenza sul provvedimento richiestogli (che comunque avreb
be dovuto precedere ed escludere l'adozione del provvedimento
stesso) pone un impedimento al p.m. nello svolgimento delle in
dagini preliminari e una situazione di stallo processuale, perché anche nel caso in cui il p.m. presso il tribunale rimetta gli atti
al p.m. presso la pretura, questi potrebbe a sua volta trovarsi
impedito nelle indagini da una possibile dichiarazione di incom petenza del g.i.p. della pretura.
3. - La denunzia di conflitto di competenza deve essere dichia
rata inammissibile sia per ciò che riguarda la prospettazione di
un conflitto tra il p.m. presso il Tribunale di Perugia e il g.i.p. di detto tribunale — prospettazione che nell'economia dell'atto
del procuratore generale di Perugia appare, per quanto sopra detto,
l'oggetto sostanziale e principale di esso e il nodo della denunzia
ta situazione di stallo processuale — sia per quanto concerne le
designazioni del p.m. tenuto a procedere nel caso, che pur il pro curatore generale ha sollecitato da questa corte.
3/a. - Questa corte ritiene di dover ribadire che non è configu
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PARTE SECONDA
rabile tra i casi analoghi cui fà riferimento l'art. 28, 2° comma,
del nuovo codice di rito un conflitto tra il p.m. e il giudice. La relazione al progetto preliminare riguardo all'art. 28 citato
e ai «casi analoghi» dice, senza mezzi termini, che, «si è voluta
mente evitare qualsiasi riferimento a casi di contrasto tra pubbli co ministero e giudice, proprio per sottolineare che eventuali casi
di contrasto non sono riconducibili alla categoria dei conflitti,
e ciò anche in considerazione della qualità di parte — sia pure
pubblica — che il pubblico ministero ha nel contesto nel nuovo
sistema processuale». In tal modo il legislatore odierno si è posto dichiaratamente
in una posizione decisamente diversa da quella del legislatore del
1930 (il quale, non è inutile ricordare, nella relazione al re espres samente affermava la possibilità di configurare un caso analogo di conflitto nel contrasto possibile fra p.m. e giudice), e ciò per coerenza ad un sistema processuale fondamentalmente diverso da
quello del 1930.
E questo non solo e non tanto per la radicalizzazione del ruolo
di parte del p.m. (che parte comunque era anche sotto il vecchio
regime, seppure in modo decisamente anomalo), ma perché tale
radicale ruolo di parte è assegnato al p.m. per la nuova struttura
del processo che si è voluto adottare e che è quella di un processo di parte.
In un siffatto sistema, pur se le funzioni del p.m. rimangono
collegate, nella ripartizione tra i vari uffici di esso, alla ripartizio ne della competenza del giudice secondo il capo II del titolo I
libro I (cfr. art. 51 del codice, 3° comma), non può trovare logi camente spazio la collocazione dei contrasti tra il p.m. e il giudi ce nella categoria dei conflitti di competenza, perché non si può dare conflitto di competenza tra parte e giudice (ma solo tra or
gani giurisdizionali fra loro). Ne consegue che il p.m. non potrà che prendere atto della deci
sione del giudice in ordine alla competenza e adeguarvisi, sino
a quando non si determinino le condizioni di legge per la denun
zia del conflitto (art. 30, 2° comma, del codice). In questa ottica, assume un preciso significato il fatto che nel
2° comma dell'art. 28 del codice il legislatore — nell'individuare
un esempio di caso analogo di conflitto che ha ritenuto di non
attribuire, eccezionalmente, alla decisione di questa corte, ma di
risolvere a monte, attribuendo preminenza alla decisione del giu dice del dibattimento in contrasto con quella del giudice dell'u
dienza preliminare — abbia collegato il periodo ove è il riferi
mento ai casi analoghi con il periodo successivo, mediante la con
giunzione avversativa «tuttavia», cosi mostrando di ritenere che
tra i molteplici, e non determinabili a priori, casi analoghi do
vranno pur sempre ravvisarsi solo contrasti tra giudici. E ancora, è significativo (nell'ottica cennata) che la risoluzione
dei contrasti tra gli uffici del p.m. — che nel sistema processuale
precedente potevano trovare soluzione nella determinazione di que sta corte, anche se, ovviamente, in riferimento alla competenza del giudice presso cui il p.m. svolgeva le sue funzioni — sia stata
demandata all'ufficio del p.m. sovraordinato (art. 54 del codice). Né si può trascurare la collocazione sistematica della discipli
na, essendo quella concernente il giudice (compresa la materia
dei conflitti) definita nel titolo I del libro I, e quella concernente
il p.m. (compresa la materia della risoluzione dei contrasti tra
diversi uffici) nel titolo II dello stesso libro.
3/b. - La stessa logica del sistema implica che la designazione dell'ufficio del p.m. tenuto a procedere, compiuta dal p.m. so
vraordinato (procuratore generale presso la corte d'appello e presso la Corte di cassazione) ai sensi dell'art. 54, 2° comma, del codice
ha carattere vincolante per l'ufficio designato nell'ambito delle
indagini preliminari. E questo lo si desume anche, chiaramente, dalla disposizione
del 3° comma dello stesso articolo, per cui gli atti di indagine
preliminare compiuti prima della designazione possono essere uti
lizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. Il che logicamente esclude l'utilizzazione degli atti eventualmente compiuti dopo, no
nostante la designazione e in difformità da essa.
Peraltro, la designazione non può considerarsi immodificabile
a fronte dell'emergere di situazioni nuove nel corso delle indagini
preliminari, che giudichino una nuova e diversa valutazione per
ragione di materia o territoriale.
3/c. - Posto quanto affermato sopra sub 3/a e 3/b (e al di
là delle anomalie di un ufficio del p.m., il quale nel richiedere
un provvedimelo al g.i.p. contestualmente ne solleciti la dichiara
zione di incompetenza a compiere quello stesso atto che richiede,
Il Foro Italiano — 1990.
e di un giudice il quale prima compie l'atto che gli viene richiesto
e poi si dichiara incompetente per quello stesso atto che ha com
piuto), nel caso venutosi a creare, anche per tali anomalie, non
è ravvisabile un conflitto sub specie di caso analogo, né una si
tuazione di stallo processuale. Non un caso di conflitto per quanto già detto, e non una situa
zione di paralisi, perché ai sensi dell'art. 22, 1° e 2° comma,
del codice l'ordinanza del giudice che riconosce la propria incom
petenza ha effetti limitati al provvedimento richiesto (e nella spe cie poi un tale riconoscimento era del tutto inutile, dal momento
che il provvedimento richiesto era stato comunque adottato). Ma in linea di principio il diniego che la pronunzia di incompe
tenza del giudice, adottata ai sensi del 1° comma dell'art. 22 del
codice, possa costituire una causa di paralisi processuale discende
dai dichiaratamente limitati effetti di essa, conseguenti al fatto
che, nel corso delle indagini preliminari, il giudice non conosce
(e non può che conoscere) altro che quanto il p.m. gli prospetta ai fini del provvedimento che da lui sollecita. Si tratta dunque di una cognizione limitata e rigorosamente circoscritta, la quale non può dare luogo che a una pronunzia, per cosi dire, allo stato
degli atti. Il p.m. rimane allora libero di proseguire le indagini prelimina
ri non essendo vincolato dalla pronunzia del giudice, la quale,
per i suoi effetti circoscritti e per quanto può emergere ed essere
acquisito nel corso ulteriore delle indagini preliminari, non è det
to affatto che sia destinata a reiterarsi nel caso di una successiva
richiesta di altri provvedimenti. È innegabile però che il p.m. procedente possa trovarsi di fron
te al diniego, per ragione di competenza, dell'adozione di un prov vedimento da parte del giudice, che egli ritenga irrinunciabile e
necessario.
La dichiarazione di incompetenza da parte del giudice in tal
caso, seppure con effetti limitati, legittima l'ufficio del p.m. —
anche in deroga alla designazione da parte dell'ufficio del p.m., sovraordinato — a rimettere gli atti all'ufficio del p.m. ritenuto
competente, perché richieda al g.i.p. presso il quale svolge le sue
funzioni il provvedimento ritenuto necessario.
Non si può, infatti, non ravvisare in tale situazione una ragio ne legittima di deroga all'efficacia vincolante della designazione da parte del p.m. sovraordinato, pena il pregiudizio dello svolgi mento sollecito delle indagini preliminari.
L'accoglimento della richiesta del provvedimento da parte del
diverso g.i.p. investito risolverà, almeno nella fase dello svolgi mento delle indagini preliminari, il problema. Il diniego, in con
seguenza di una dichiarazione di incompetenza, determinerà inve
ce una situazione evidente di conflitto, la quale sarà rilevata dal
giudice stesso oppure denunciata dal p.m. per essere rimessa alla
cognizione di questa corte (art. 28, 30 del codice), adempimento al quale il giudice è certamente obbligato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 3 feb
braio 1990; Pres. Brancaccio, Est. Teresi, P.M. Piccininni
(conci, conf.); ric. Belli. Conferma App. Perugia 12 luglio 1989.
Procedimento penale — Applicazione del nuovo codice di proce dura penale — Disciplina transitoria — Procedimento in corso
al 24 ottobre 1989 — Giudizio di cassazione — Chiamata in
correità — Nuova disciplina — Applicabilità (Cod. proc. pen. del 1988, art. 192; norme att., coord, e trans, cod. proc. pen. del 1988, art. 245).
Prova penale in genere — Chiamata in correità — Valore proba torio (Cod. proc. pen. del 1988, art. 192).
In forza dell'art. 245, 2° comma, lett. b), norme att., coord,
e trans., la nuova regola fissata dall'art. 192 c.p.p. del 1988
per la valutazione della chiamata di correo è immediatamente
applicabile, anche nel giudizio di cassazione, con riguardo ai
procedimenti in corso — sia non ancora definiti, sia già definiti nel merito — alla data di entrata in vigore del nuovo codice
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