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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 23 marzo 1987; Pres. Carnevale,...

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sezione I penale; sentenza 23 marzo 1987; Pres. Carnevale, Est. Dinacci, P.M. Scopelliti (concl. diff.); ric. Esposito e altri. Annulla Assise app. Napoli 27 giugno 1985 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 503/504-509/510 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179749 . Accessed: 25/06/2014 04:50 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.34.79.20 on Wed, 25 Jun 2014 04:50:49 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 23 marzo 1987; Pres. Carnevale, Est. Dinacci, P.M. Scopelliti (concl.diff.); ric. Esposito e altri. Annulla Assise app. Napoli 27 giugno 1985Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.503/504-509/510Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179749 .

Accessed: 25/06/2014 04:50

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PARTE SECONDA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 12 mag

gio 1987; Pres. Minozzi, Est. Aloisi, P. M. (conci, conf.); ric.

Sabbatini. Annulla Trib. Roma, ord. 19 febbraio 1987.

Libertà personale dell'imputato — Mandato di cattura — Ordine

di cattura del tribunale fallimentare — Richiesta di riesame al

tribunale della libertà — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art.

263 bis; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento,

art. 16).

È ammissibile la richiesta di riesame al tribunale della libertà di

un ordine di cattura emesso dal tribunale fallimentare ai sensi

dall'art. 16, ultimo comma, l. fall. (1)

Sabatini Vincenzo è stato privato della libertà personale con

ordine di cattura emesso dal Tribunale di Roma — sezione falli

mentare — unitamente alla sentenza, dichiarativa di fallimento

in data 22 gennaio 1987, a sensi dell'art. 16, ultimo comma, r.d.

16 marzo 1942 n. 267.

Avverso il provvedimento l'imputato proponeva richiesta di rie

same al c.d. tribunale della libertà il quale, con ordinanza deposi tata il 19 febbraio 1987, ritenuto che avverso il provvedimento

impugnato non è prevista richiesta di riesame e che l'impugnazio

ne poteva convertirsi in ricorso per cassazione, disponeva la tras

missione degli atti alla sezione fallimentare del Tribunale di Roma.

Il Sabatini ha proposto ricorso per cassazione.

Il ricorso è fondato. Si premette in linea generale che l'art.

263 bis c.p.p., come modificato dall'art. 7 1. 12 agosto 1982 n.

532 e dall'art. 19 I. 28 luglio 1984 n. 398, tende a garantire un

controllo su tutti i provvedimenti limitativi della libertà persona

le, in adesione alla esigenza di apprestare una crescente tutela

in materia di difesa di tale libertà

È vero che nella norma non si rinviene alcun richiamo all'ordi

ne di cattura emesso ex art. 16 1. fall, e al regime ad esso appli

cabile. Ma al riguardo si osserva cha la legge ha inteso attribuire al

tribunale fallimentare (che per la conoscenza dei fatti può prov

vedere con la necessaria tempestività) un potere proprio del pub

blico ministero, che, come è stato rilevato in dottrina, ha natura

vicaria e sostitutiva per il compimento di un vero e proprio atto

istruttorio penale, che non può non partecipare della natura e

non avere gli stessi caratteri del potere sostituito. Tanto che, una

volta adottato, il provvedimento sfugge all'organo che lo ha emesso

(1) Dopo cinque anni dall'entrata in vigore della legge istitutiva del

c.d. tribunale della libertà (n. 532/82) finalmente la Corte di cassazione

ha potuto pronunciarsi sul dibattuto problema della assoggettabilità a

riesame dei provvedimenti di cattura eccezionalmente adottati dal tribu

nale fallimentare, ai sensi dell'art. 16 della legge fallimentare, con la stes sa sentenza dichiarativa di fallimento o con successivo decreto. Il problema,

più di natura teorica che di rilevanza pratica atteso l'esiguo numero dei

provvedimenti in esame, è stato in precedenza risolto negativamente dalla

giurisprudenza di merito: v. Trib. Roma 19 febbraio 1987, Cass, pen.,

1987, 1656 (annullata dalla Cassazione con la sentenza che si riporta); Trib. Perugia 8 novembre 1982, Foro it., 1983, II, 174.

La dottrina sul punto è divisa anche se prevale l'orientamento che ritie

ne ammissibile il riesame: v., in tal senso, Beretta, Sull'ammissibilità

della richiesta di riesame avverso l'ordine di cattura del tribunale falli mentare, in Cass, pen., 1983, 1235; Giuliani - Balestrino, La bancarot

ta e gli altri reati concorsuali, Milano, 1983, 181; Illuminati, Modifiche,

integrazioni, e problemi non risolti nella normativa sul tribunale della

libertà, in AA.VV., La nuova disciplina della libertà personale nel pro cesso penale, a cura di Grevi, Padova, 1985, 379 (lo stesso autore in

Legislazione pen., 1983, 102, nota 13, si era espresso, con specifico riferi

mento ai provvedimenti in esame, in termini problematici; la più chiara

presa di posizione dipende dalla modifica all'art. 263 bis, c.p.p. introdot

ta con l'art. 19 1. 398/84); Lemmo, Luci e ombre nei primi orientamenti

giurisprudenziali sul tribunale della libertà, in AA. VV., Tribunale della

libertà e garanzie individuali, a cura di Grevi, Bologna, 1983, 283; Maz

zarra, nota a Trib. Roma 19 febbraio 1987, cit.; contra Chiavario, Tri

bunale della libertà e libertà personale, in AA. VV., Tribunale della libertà,

cit., 147; Filippi, Sull'individuazione dei provvedimenti restrittivi della

libertà personale succettibile di riesame, in Giur. it., 1986, II, 255, i quali

pongono l'accento sulla natura collegiale dell'organo che adotta il prov vedimento.

Circa gli effetti delle modifiche all'art. 263 bis c.p.p. introdotte con

l'art. 19 1. 398/84, v. Cass. 20 gennaio 1988, Vitale, Foro it., 1988, II,

425, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1988.

in via eccezionale, e torna sotto il controllo dell'organo a ciò

preposto istituzionalmente. Sicché non possono disconoscersi al

fallito catturato gli stessi diritti e gli stessi mezzi di difesa spet tanti ai catturati in esecuzione di un ordine o di un mandato

normali.

D'altronde sulla natura istruttoria dell'atto non sorgono dub

bi; né sembra decisivo il rilievo che ad emetterlo sia un organo

collegiale e che il c.d. tribunale della libertà non è organo supe riore a quello del tribunale fallimentare.

Sotto il primo aspetto, non si rinviene alcuna restrizione nella

norma; ed anzi, sulla base della modifica introdotta con l'art.

19 1. 398/84, deve ritenersi chiara la proponibilità del riesame

anche contro i mandati di cattura emessi da organo collegiale

(come nella specie) quale rimedio generale contro ogni atto di

natura giurisdizionale volto alla privazione della libertà persona le. Non interessa nella specie stabilire se è impugnabile anche l'atto

emesso dopo la chiusura della fase istruttoria.

Né è richiesto, data la specialità e la diversità dell'organo cui

è demandato il riesame, un rapporto gerarchicamente inquadra bile in termine di superiorità nei confronti dell'organo che ha

emesso il provvedimento. Si tratta invece di un criterio di natura

meramente formale, non previsto e non assumibile come valido

metro di distinzione tra i provvedimenti per i quali è ammesso

il riesame e provvedimenti per i quali è preclusa questa particola re forma di controllo.

Pertanto il provvedimento impugnato va annullato, con la tras

missione degli atti al tribunale che l'ha emesso perché provveda sulla istanza di riesame.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 23 marzo

1987; Pres. Carnevale, Est. Dinacci, P.M. Scopelliti (conci,

diff.); ric. Esposito e altri. Annulla Assise app. Napoli 27 giu gno 1985.

Imputabilità — Vizio parziale di mente — Valutazione (Cod. pen., art. 88, 89).

Tentativo — Dolo eventuale — Incompatibilità (Cod. pen., art.

43, 56). Prova penale in genere — Chiamata in correità — Valore proba

torio (Cod. proc. pen., art. 348, 348 bis).

Il contenuto dell'infermità, da cui deriva il vizio di mente, va

determinato in base alla ratio legislativa degli art. 88 e 89 c.p.,

per cui possono esservi incluse anche le anomalìe psichiche pri ve di una precisa classificazione nosografica o d'una ben defi nita base organica; insomma, qualsiasi condizione morbosa, ancorché non qualificabile in senso clinico, può configurare il

vizio di mente sempre che si traduca, per le sue connotazioni,

in una esclusione o in una compressione delle facoltà intelletti

ve o volitive (nella specie, la perizia aveva accertato nell'impu tato «gracilità mentale con psicopatia impulsiva»). (1)

(1) Il principio affermato nella massima si inquadra in quel filone giu

risprudenziale, che tende a rivendicare una relativa autonomia della valu tazione giuridico-penale del vizio di mente, rispetto alle concettualizzazioni della scienza psichiatrica: l'accento è infatti posto sulle specifiche esigen ze dell'imputazione penalistica, il soddisfacimento delle quali potrebbe anche giustificare un concetto di imputabilità incentrato sulla capacità del soggetto di avvertire il rimprovero penale e il significato dell'infrazio ne (in motivazione un tale approccio ricostruttivo viene anche ancorato alla dimensione «personalistica» della responsabilità penale alla stregua dei principi costituzionali), a prescindere dalla riconducibilità della altera zione psichica a un preciso quadro nosografico. Per una rassegna critica delle pronunce inquadrabili in un tale indirizzo giurisprudenziale, defini bile «giuridico», cfr. Fioravanti , Il concetto di infermità psichica. L'e

voluzione della giurisprudenza dal codice Rocco agli anni '50, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1987, 334 ss. Sulle tendenze sostanzialmente analo

ghe affioranti in una parte della dottrina (specie di lingua tedesca) favo revole a ricostruire la categoria dell'imputabilità in via autonoma, al fine

di soddisfare esigenze normative del diritto penale, cfr. i rilievi di

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GIURISPRUDENZA PENALE

Il dolo eventuale è logicamente incompatibile col delitto tentato,

in quanto chi, tendendo ad altre «prospettive», accetti il ri

schio del verificarsi d'un certo evento delittuoso, non può rap

presentarsi né può volere gli atti come univocamente diretti alla

realizzazione di quell'evento. (2) La chiamata di correo richiede, ai fini della sua utilizzazione pro

cessuale, una rigorosa e attenta analisi sotto una duplice ango

lazione: da un lato, l'esame della personalità del suo autore

e delle cause che l'hanno determinata (attendibilità intrinseca);

dall'altro, la ricerca dei riscontri oggettivi e cioè di elementi

certi ed univoci che escludono ogni diversa conclusione (atten dibilità estrinseca). (3)

Fatto e diritto. — Secondo gli accertamenti dei giudici del me

rito, verso le ore 16 del 10 gennaio 1981, in Napoli, il personale d'una volante della polizia di Stato (Romolo Schiavina, Rocco

Cipriano e Gennaro Cristiano) notava, in via Emanuele Giantur

co, una autovettura (Fiat/1100, targata NA/501307) ferma di

nanzi all'ingresso d'una ditta di materiale ferroso. Due degli

occupati la volante (e precisamente lo Schiavina ed il Cipriano) scendevano per effettuare gli accertamenti del caso. Senonché tre

individui, usciti dai locali della ditta, esplodevano contro di loro

numerosi colpi di arma da fuoco. Nel corso della sparatoria due

dei malviventi salivano sull'autovettura che era ferma davanti al

l'ingresso della ditta e partivano velocemente. Il terzo si dava

alla fuga a piedi: era inseguito e raggiunto dall'agente Cipriano che ingaggiava una violenta colluttazione, sedata soltanto a se

guito dell'intervento di un'altra volante. Intanto l'autovettura,

su cui avevano preso posto gli altri due malviventi, era inseguita dallo Schiavina e costretta a fermarsi a causa d'uno scontro con

altra macchina. I due occupanti, dopo aver esploso alcuni colpi

di arma da fuoco, si davano alla fuga a piedi per opposte direzio

ni. Uno solo di essi veniva intercettato in via Brin: con l'arma

in pugno faceva fuoco, eclissandosi poi nei pressi d'un muro di

cinta d'un capannone.

Gli accadimenti, anche sulla base delle denunce delle parti lese,

erano così ricostruiti: Ciro Esposito (fermato, nel corso della col

luttazione, dall'agente Cipriano) e altri due complici, identificati

dagli agenti nelle persone di Salvatore Vollaro e Enrico Oriunto,

avevano fatto irruzione negli uffici della ditta di demolizioni na

vali ed industriali (gestita da Luigi Miranda) con il volto coperto

da calza ed armati di pistola. E, mentre due tenevano sotto la

minaccia delle armi i presenti, il terzo provvedeva a depredarli

di quanto avevano addosso.

Si accertava che la macchina utilizzata dai rapinatori era stata

Fiandaca, Colpevolezza e prevenzione, ibid., 855 s.; Id., I presupposti della responsabilità penale tra dogmatica e scienze sociali, in Dei delitti

e delle pene, 1987, 253 s., e letteratura ivi citata.

Nella giurisprudenza è comunque ancora assai diffuso l'indirizzo c.d.

«medico», che inclina invece a identificare, allo scopo di rendere il giudi zio sull'infermità il più possibile certo e rigoroso, il vizio di mente con

una malattia clinicamente accertata e catalogata dalla nosologia psichia trica: cfr. Cass. 29 novembre 1984, Algeri, Foro it., Rep. 1986, voce

Imputabilità, n. 9; 26 novembre 1984, Piccagli, ibid, n. 10; 25 febbraio

1985, Valentino, ibid., n. 15. Per una lucida ed esauriente ricostruzione

dei principali orientamenti giurisprudenziali in materia, e dei modelli

scientifico-culturali di volta in volta presupposti, cfr. ancora Fioravanti,

op. cit., passim; nonché, Bertolino, La crisi del concetto di imputabili tà: prospettive giuridico-penali, in AA.VV., Trattato di psicologia giudi ziaria nel sistema penale, a cura di G. Gulotta, Milano, 1987, 147 ss.

Sui problemi connessi alla perizia psichiatrica tra medicina e giustizia, si vedano i diversi contributi pubblicati nel recente volume collettivo Psi

chiatria, tossicodipendenze, perizia , a cura di M. G. Giannichedda e

F. Ongaro Basaglia, Milano, 1987, 285 ss.

(2) La tesi della incompatibilità era, negli stessi termini, già stata affer

mata sempre dalla sezione I nella precedente sent. 20 ottobre 1986, Amante,

citata in motivazione, Foro it., 1987, II, 509, con nota di richiami.

(3) Anche la massima in questione ripropone un orientamento tipico

della sezione I: cfr. la ormai celebre sent. 3 giugno 1986, Greco e altri,

citata in motivazione, Foro it., 1986, II, 529 con nota di Fiandaca.

Esemplificativa dell'indirizzo giurisprudenziale che si accontenta, inve

ce, di una attendibilità della chiamata di correo liberamente apprezzata dal giudice, pur in assenza di riscontri oggettivi esterni, v., da ultimo, Trib. Verona 26 gennaio 1987, id., 1988, II, 40, con ampia nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1988.

sottratta (alcuni giorni prima) a tale Antonio Esposito che aveva

provveduto ad inoltrare regolare denuncia.

In sede di investigazioni di polizia giudiziaria, il Vollaro di chiarava informalmente che si era incontrato con Esposito ed

Oriunto verso le ore 13 del 10 gennaio 1981 in un bar della zona

mercato; che l'Esposito gli aveva proposto di «fare assieme un

lavoro nella ditta Miranda»; che, versando in difficoltà economi

che, aveva aderito all'invito e, con l'Esposito, s'era recato in via

Gianturco per compiere un sopralluogo; che, durante la rapina,

l'Esposito temeva di essere riconosciuto in quanto suo padre era

stato dipendente della ditta. Risentito dal p.m. il Vollaro ritratta

va le precedenti dichiarazioni. L'Esposito ammetteva gli addebiti,

escludendo, però, ogni partecipazione alla rapina da parte del

Vollaro e dell'Oriunto.

Esauritasi l'istruzione, i predetti, per quel che qui interessa, erano tratti dinanzi alla Corte d'assise di Napoli per rispondere di concorsi nei delitti di rapina aggravata, furto aggravato del

l'autovettura Fiat/1100 (in danno di Antonio Esposito), tentato

omicidio in pregiudizio degli agenti Schiavina, Cipriano e Cristia no, detenzione e porto di armi, detenzione di munizioni. L'Espo

sito, inoltre, di resistenza e di lesioni in danno dell'agente Cipriano. L'adita corte, nella udienza del 12 ottobre 1982, disponeva un

accertamento psichiatrico nei confronti dell'Esposito, a cui il pe rito — sul presupposto d'una riscontrata «gracilità mentale con

psicopatia impulsiva» — riconosceva una «capacità d'intendere

e di volere grandemente scemata». Nel corso del dibattimento,

poi, l'Esposito ed il Vollaro ammettevano gli addebiti, ma insi

stevano sulla estraneità ai fatti dell'Oriunto; il quale protestava vivamente la sua innocenza. Chiariva ancora il Vollaro di aver

indicato agli investigatori l'Oriunto per ritorsione, in quanto ave

va creduto che lo stesso fosse stato l'autore della denuncia. Del

terzo complice conosceva soltanto il nome «Peppe» e non era

in grado di fornire particolari atti a farlo identificare.

La corte, all'esito della istruzione dibattimentale (con sentenza

del 14 maggio 1984), giudicava gli imputati (Esposito, Vollaro e Oriunto) responsabili di rapina aggravata, furto aggravato, de

tenzione e porto di armi (oltre che di detenzione di munizioni), resistenza aggravata (cosi modificata l'imputazione di tentato omi

cidio). Riteneva, inoltre, l'Esposito colpevole di resistenza aggra

vata e di lesioni in danno dell'agente Cipriano. Di conseguenza,

previa unificazione dei delitti a norma dell'art. 81 c.p., condan

nava: Esposito alla pena di anni dodici di reclusione, lire 2.300.000

di multa e lire 200.000 di ammenda; Vollaro ed Oriunto alla pena di anni dodici, mesi quattro di reclusione, lire 2.500.000 di multa

e lire 200.000 di ammenda ciascuno.

Proposto rituale gravame (dagli imputati e dal p.m.), la Corte

d'assise d; appello di Napoli, con dicisione del 27 giugno 1985,

riteneva gli imputati responsabili anche di tentato omicidio (deru

bricato dai primi giudici sotto la minore ipotesi di resistenza ag

gravata), rideterminando (con esclusione degli effetti della recidiva

contestata all'Esposito a al Vollaro) le pene nei modi seguenti;

Esposito anni dieci di reclusione, lire 1.300.000 di multa e lire 200.000 di ammenda; Vollaro ed Oriunto anni dieci, mesi otto

di reclusione, lire 1.300.000 di multa e lire 200.000 di ammenda

ciascuno.

Hanno interposto ricorso per cassazione l'Esposito, il Vollaro

e l'Oriunto, deducendo, attraverso i loro difensori, la nullità del

le statuizioni del giudice di appello. Preliminarmente la sentenza impugnata va annullata senza rin

vio nei confronti dell'Esposito quanto ai reati di lesioni e di de

tenzione di munizioni; nonché nei confronti del Vollaro e

dell'Oriunto quanto al reato di detenzione di munizioni (reati tut

ti che si sono estinti a seguito dell'amnistia di cui al d.p.r. 16

ottobre 1986 n. 665). Ne consegue la eliminazione delle pene co

me da dispositivo.

Questo premesso, va detto che i ricorsi, nei modi di cui si dirà,

meritano accoglimento.

Quanto all'Esposito, il primo problema attiene al diniego della

seminfermità mentale (art. 89 c.p.). La sentenza impugnata da

un lato fa leva su proposizioni generali (senza tener conto della

fattispecie processuale concreta) e dall'altro disattende l'elabora

to peritale con rilievi che ne frantumano la logica unitaria. È

vero che il perito ha giudicato l'esame neurologico nei limiti della

norma, accertando la regolarità dell'orientamento spazio-temporale

dell'Esposito, ma è altrettanto vero che ha fatto riferimento ad

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PARTE SECONDA

una «gracilità mentale con psicopatia impulsiva nell'ambito d'u

na pregressa storia di meningismo». Lo stesso perito ha dedotto tali carenze da un deficit di poteri

psichici superiori (ideazione puerile ed oligotematica, scarsa ca

pacità di ragionamento per concetti, flebile capacità di discernere

il bene dal male, ecc.) e da una instabilità emotiva con aggressivi tà latente (conflitti esistenziali con l'ambiente, furore pantoplasti

co, ecc.). Siffatte conclusioni, come si è detto, sono state disattese

dai giudici mediante una motivazione critica delle singole propo sizioni espresse dal perito, con buona pace di ogni forma di logi ca globale derivante proprio dalle connessioni di quelle

proposizioni; e ciò a prescindere dalla motivazione generale basa

ta su concetti astratti desunti da trattati di medicina forense (v. i vari riferimenti bibliografici nella sentenza impugnata). In tal

senso palese è il difetto di motivazione che è causa di nullità

della sentenza. Se da un lato la gracilità mentale implica «un

grado di falsamento di critica senza escludere uno sviluppo di

talune funzioni psichiche» (v. sentenza impugnata), dall'altro es

sa andava esaminata in rapporto a tutte le anomalie specificate nell'elaborato peritale, scoprendosene le connessioni nei termini

spiegati. Al che la corte di merito non ha provveduto, incorrendo

in un vizio di motivazione che appare ancora più rimarchevole

ove si consideri che, in un successivo processo, altri giudici —

alla stregua degli stessi elementi — hanno riconosciuto all'Espo sito la diminuente dell'art. 89 c.p. (v. sentenza del Tribunale di

Napoli in data 30 agosto 1985 allegata agli atti del procedimen

to). Nè può condividersi, sotto il profilo tecnico-giuridico, la pre messa contenuta in sentenza, secondo cui le anomalie psichiche non rientrerebbero nella nozione di infermità, dalla quale deve

dipendere l'alterazione mentale. L'infermità, a cui — a norma

degli art. 88 e 89 c.p. — si lega il vizio di mente, è l'elemento

generico, insuscettibile d'essere inquadrato in una rigorosa con

cettuologia. La ratio delle norme citate (art. 88 e 89 c.p.) è quella di escludere o di diminuire la imputabilità (art. 85, 2° comma,

c.p.) allorquando risultino compromesse le facoltà intellettive o

volitive, sicché il contenuto dell'infermità, da cui deriva il vizio

di mente, va determinato in base alla riferita ratio legislativa, includendovi anche le anomalie psichiche prive d'una precisa clas

sificazione nosografica o d'una ben definita base organica. In

somma qualsiasi condizione morbosa, ancorché non qualificabile in senso clinico (il concetto di infermità dunque non coincide con

il concetto di malattia) può configurare il vizio di mente sempre che si traduca, per le sue connotazioni, in una esclusione o in

una compressione delle facoltà intellettive o volitive. In questo sfondo normativo, che trova significativo riscontro nella norma

costituzionale sulla responsabilità personale (non sembrando pos sibile formulare un rimprovero rispetto a chi non è in grado di

percepire i valori sociali), non può neanche escludersi un rilievo

per quei soggetti privi di adeguato sviluppo mentale per fattori

ambientali (si pensi, ad es., a casi di isolamento socio-culturale) e non già per carenze congenite o per cause patologiche sopravve nute. Per detti soggetti, nei confronti dei quali si coglie la stessa

ratio posta a base delle norme sulla non imputabilità, legittimo è il ricorso all'analogia. Stante l'eadem ratio, rigorosamente de

sunta dalle norme sulla non imputabilità (e dunque senza cedi

menti a fonti sostanziali bandite dal principio di legalità), l'analogia a favore del reo (ossia il logico sviluppo di quelle norme) è qui del tutto legittima.

L'opinione contraria riduce a ridondanze enfatiche molte nor

me costituzionali, oscurando tutta la direttiva personalistica della

responsabilità penale. I presupposti di operatività del rimprovero si legano alla esigenza della percezione dell'infrazione; diversa

mente le previsioni del costituente sul libero sviluppo della perso na umana, sul carattere personale del reato nell'ambito della regola di tassatività e sulla funzione rieducativa (oltre che retributiva) della pena sarebbero private del loro significato logico-sistematico

politico. Per quanto concerne la ritenuta responsabilità per concorso nel

delitto di tentato omicidio, il motivo in ordine alla volontà omici

da, proposto dal Vollaro (oltre che dall'Oriunto), s'estende all'E

sposito a norma dell'art. 203 c.p.p. E tale motivo è fondato per le ragioni che saranno ora indicate.

Come si è visto, i primi giudici avevano derubricato l'imputa zione di tentato omicidio in quella di resistenza sul rilievo che

gli imputati «non spararono per uccidere, non avendo nemmeno

Il Foro Italiano — 1988.

i denuncianti fornito elementi per stabilire il numero dei colpi

esplosi, la distanza dai potenziali bersagli, la direzione dei tiri»

(v. sentenza di primo grado). La corte d'assise di appello, in ac

coglimento del gravame del p.m., è giunta a conclusioni opposte senza chiarire, nella motivazione della sentenza, le riferite circo

stanze (numero dei colpi esplosi, direzione degli stessi, distanza

dai potenziali bersagli); talché la stessa corte non ha dato ragione

dell 'iter logico seguito, inosservando il disposto dell'art. 475, n.

3, c.p.p. D'altronde, in tema di accertamento dell'elemento sog

gettivo (dolo), se occorre da una parte evitare la c.d. probatio

diabolica (che stroncherebbe ogni ipotesi di accusa), bisogna da

un'altra rifuggire da qualsiasi presunzione, alla quale — come

traluce dalla motivazione della sentenza — sembra essersi rap

portato il giudice di appello. Le presunzioni in materia di dolo

non sono consentite per la stessa essenza del dolo (che è coscien

za e volontà dell'offesa), oltre che per il principio (costituzionale) della responsabilità personale; ond'è che il modus procedendi, ai fini in discorso (accertamento della volontà omicida), non può

che consistere in un dettagliato esame delle circostanze innanzi

segnalate. Da esse (per la loro significatività) può evincersi la esi

stenza di una rappresentazione, d'una volizione o d'un movente

alla stregua delle comuni regole di esperienze. Nè può condivider

si l'altra affermazione della sentenza che punta sul dolo eventua

le e ne afferma la compatibilità col delitto tentato. Come questa

corte ha recentemente affermato (sez. I 20 ottobre 1986, Amante,

Foro it., 1987, II, 509), l'art. 56 c.p., nel riferirsi agli atti idonei

diretti in modo non equivoco a commettere il delitto, costituisce

un parametro sintomatico di una volontà immediata e diretta (ag

gressiva degli interessi tutelati). In sostanza, con la sentenza ri

chiamata, questa corte ha rimeditato il delicato tema, pervenendo

alla conclusione (che qui viene ribadita) della incompatibilità tra

dolo eventuale e delitto tentato. L'opinione contraria dà, a ben

vedere, per scontato — in termini assiomatici — che l'elemento

psicologico è identico tanto nelle fattispecie incompiute quanto in quelle consumate, obliterando che l'art. 56 c.p. disciplina una

figura autonoma di reato con un proprio nucleo soggettivo. Il

dolo, nel caso in esame, altro non è che coscienza e volontà di

porre in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a com

mettere il delitto; e pertanto chi, tendendo ad altre «prospettive», accetti il rischio del verificarsi d'un certo evento delittuoso, non

può rappresentarsi né può volere gli atti come univocamente di

retti alla realizzazione di quell'evento. È una inconciliabilità logi

ca, stante la forma dell'art. 56 c.p., quella di pretendere che le

situazioni in cui un evento sia considerato soltanto come possibi le o probabile formino oggetto della volizione dell'agente. L'ac

cettazione del rischio del prodursi di un evento lesivo contrasta

con la rappresentazione e la volontà degli atti univoci. Com'è

detto nella citata sentenza di questa sezione, solo chi mediti un

evento, quale esito certo della sua condotta, sarà in grado di rap

presentarsi gli atti univoci richiesti dalla legge (art. 56 c.p.): di

qui la esigenza del dolo intenzionale o diretto (cosi sez. I 20 otto

bre 1986, cit.). Insomma, nella sua reale significazione, la univo

cità è del tutto incompatibile con lo stato di dubbio. Se può affermarsi che il requisito della idoneità degli atti è compatibile col dolo eventuale (ben potendo accadere che taluno abbia dubbi

sull'adeguatezza della sua condotta ed agisca egualmente: è il ca

so di chi dubiti dell'attitudine dell'arma per colpire il rivale e

ciò nonostante spari allo scopo di ucciderlo), altrettanto non può dirsi del requisito della univocità.

Alla rappresentazione in termini di possibilità si collega una

pluralità di eventi con uno stato di non conoscenza rispetto a

quello che, tra essi, si produrrà. La tesi della compatibilità del

dolo eventuale col delitto tentato — e qui è il punto che ne evi

denzia la profonda illogicità — induce a ritenere che il soggetto

possa rappresentarsi i propri atti come univocamente diretti ad

una pluralità di eventi lesivi, ignorando quale di tali eventi si

verificherà. S'immagina cosi un tentativo sorretto da «atti

equivoci». In conclusione: questa corte non può che ribadire il precedente

pronunciato (sez. I 20 ottobre 1986, cit.), occorrendo, per la pu nibilità del delitto tentato, il dolo intenzionale o diretto.

La sentenza impugnata va annullata sul punto anche nei confron

ti del Vollaro (la cui unica doglianza attiene alla dichiarata volontà

omicida e alla ritenuta compatibilità del dolo eventuale col delitto

tentato) con rinvio ad altro giudice per nuovo giudizio. Dovrà,

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Page 5: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 23 marzo 1987; Pres. Carnevale, Est. Dinacci, P.M. Scopelliti (concl. diff.); ric. Esposito e altri. Annulla Assise

GIURISPRUDENZA PENALE

cioè, il giudice di rinvio farsi carico dei quesiti nei termini spiega

ti, esaminando — nella evenienza di risposte affermative — gli altri motivi dell'Esposito riguardanti il tema delle diminuenti ex

art. 62 bis, 114 e 116 c.p. Va, invece, disatteso il motivo afferen

te alla statuizione di condanna per le violazioni relative alle armi, risultando siffatta statuizione adeguatamente motivata. In realtà,

con la doglianza in discorso, l'Esposito sollecita una indagine di

fatto che travalica i limiti del giudizio di responsabilità.

Quanto all'Oriunto, la difesa prospetta anzitutto una serie di

rilievi critici tesi ad evidenziare la illogicità della motivazione del

le statuizioni in ordine alla ritenuta responsabilità per concorso

in tutti i reati. Si contesta cosi globalmente la logica della moti

vazione della sentenza impugnata, a cominciare dalla omessa ve

rifica dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca della chiamata in

correità del Vollaro (successivamente ritrattate dallo stesso Vollaro).

Le censure sono fondate. I giudici hanno, con la sentenza im

pugnata, richiamato acriticamente le dichiarazioni del Vollaro senza

porsi alcun problema di verifica delle stesse. In tal guisa essi si

sono discostati da una recente giurisprudenza di questa corte (sez.

I 3 giugno 1986, Greco, id., 1986, II 529; 9 febbraio 1987, ric.

P.G. Firenze in proc. pen. Graziani ed altri, id., 1987, II, 409),

secondo cui la chiamata di correo, ai fini della utilizzazione pro

cessuale, deve essere vagliata nella sua attendibilità intrinseca ed

estrinseca. La chiamata di correo, in altre parole, richiede una

rigorosa ed attenta analisi sotto una duplice angolazione: da un

lato l'esame della personalità del suo autore e delle cause che

l'anno determinata (attendibilità intrinseca); dall'altro la ricerca

dei riscontri oggettivi e cioè di elementi certi ed univoci che esclu

dono ogni diversa conclusione (attendibilità estrinseca). Simili re

gole sono state ignorate nella sentenza impugnata, la quale si limita

soltanto a ricordare le dichiarazioni accusatorie del Vollaro in

sede di indagini di polizia giudiziaria, incorrendo in un'omissione

che è ancor più rimarchevole ove si consideri che il predetto Vol

laro non ha mancato di ritrattare quelle dichiarazioni (anche in

sede dibattimentale).

Né la motivazione della sentenza impugnata sfugge alle altre

censure formulate con i motivi di ricorso. Non possono, invero,

costituire elementi di responsabilità le circostanze della irreperibi

lità dell'Oriunto e dell'amicizia che lo legava ai coimputati. La

irreperibilità riguarda il comportamento dell'imputato ed ha —

sul piano logico — un significato quanto meno equivoco. Siffat

to comportamento, se può valere per la verifica della sincerità

d'una deduzione difensiva, non può essere posto a fondamento

d'un giudizio di responsabilità. Non si vede, poi, come la circo

stanza dell'amicizia dell'Oriunto con i coimputati possa autono

mamente dispiegare una valenza. Nell'indagine indiziaria, come

è noto, bisogna puntare su elementi che abbiano forza logica,

in quanto da essi deve risalirsi al fatto ignoto, ossia al fatto da

provare. Ecco perchè si richiede che l'indagine sia correlata ad

un procedimento logico di massimo rigore e di assoluta correttez

za. La ricerca degli indizi qualificati (c.d. costellazione di indizi

che equivale alla prova di colpevolezza richiesta per la condanna)

evoca componenti di grande rigore logico. Si deve, secondo la

consolidata giurisprudenza di questa corte, individuare la correla

zione tra gli indizi ed il fatto oggetto di prova in maniera tale

da eliminare la possibilità di ogni altro nesso equivalente. Cosic

ché l'amicizia dell'Oriunto con Esposito e Vollaro di per sé non

ha valore: essa non è una circostanza indiziante, in quanto è logi

camente inidonea alla deduzione e ricostruzione del fatto ignoto,

ossia del fatto oggetto di prova. La decisione impugnata — per quanto precede — va annullata

con rinvio per nuovo giudizio nei confronti dell'Oriunto nei pun

ti concernenti la ritenuta responsabilità del medesimo per concor

so in tutti i reati, dichiarandosi assorbiti i motivi sugli altri punti.

Ovviamente, nel rispetto dei superiori principi, il giudice di rinvio

sarà libero di adottare ogni determinazione di giustizia.

Il Foro Italiano — 1988.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 9 marzo

1987; Pres. Picozzi, Est. Cavallari, P.M. Tranfo (conci, parz.

diff.); ric. Iuliano. Annulla senza rinvio Trib. Salerno 16 di

cembre 1985.

Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Condanna per contravvenzio

ne — Sospensione condizionale della pena subordinata — Ille

gittimità (Cod. pen., art. 165; d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive (Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n.

76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei poli clorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi, art.

6, 25, 30,).

In caso di condanna per la contravvenzione prevista dall'art. 25

d.p.r. 915/82 non è legittimo subordinare la sospensione con

dizionale della pena all'obbligo dell'adempimento di quanto sta

bilito in sentenza ai sensi dell'art. 165 c.p., risultando tale norma

generale derogata dalla norma speciale di cui all'art. 30 stesso

decreto, benché quest'ultima non comprenda il caso in oggetto tra quelli per i quali è possibile subordinare il beneficio all'ob

bligo anzidetto. (1)

Fatto e diritto. — Il Tribunale di Salerno, in parziale riforma

della sentenza 10 maggio 1985 del Pretore di Salerno, ha condan

nato lo Iuliano alla pena di mesi 2 di arresto e lire 2.000.000

di ammenda con il beneficio della sospensione condizionale, qua le colpevole del reato di cui agli art. 6, 25 d.p.r. 10 settembre

1982 n. 915 per avere, senza autorizzazione, esercitato attività

di smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi — reato accer

tato fino al 23 ottobre 1984.

I giudici hanno subordinato la sospensione condizionale della

pena, ex art. 165 c.p., al conseguimento della prescritta autoriz

zazione entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della

sentenza.

A sostegno del ricorso, lo Iuliano denunzia: 1) violazione di

legge, in quanto, essendovi agli atti un principio di prova circa

la preesistenza dell'attività industriale rispetto alla data di entrata

in vigore della legge speciale, i giudici di secondo grado avrebbe

ro dovuto acquisire sul punto anche d'ufficio i necessari elementi

di giudizio e ravvisare, nella specie, la meno grave violazione di

cui l'art. 31 d.p.r. 915/82; 2) violazione di legge, in quanto la

sospensione della pena non poteva essere subordinata, ex art. 165

c.p., al conseguimento dell'autorizzazione.

La prima censura è infondata. Correttamente, invero, i giudici di appello hanno escluso, nella specie, che l'attività industriale

di cui trattasi preesistesse all'entrata in vigore della legge specia

le, in difetto di qualsiasi prova al riguardo, tale preesistenza non

potendosi presumere per la semplice constatazione dell'opificio

da parte dei verbalizzanti all'atto del loro sopralluogo (12 ottobre

1984), a distanza di tempo, tra l'altro, piuttosto ragguardevole da quella (16 dicembre 1982) di entrata in vigore della legge, né

la stessa preesistenza potendosi ritenere accertata dal certificato

della camera di commercio di Salerno, che è stato unito al ricor

(1) Non risultano precedenti sulla fattispecie. Si esprime in termini problematici sulla questione di cui alla massima,

Correrà, Smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti tossici e noci

vi, Milano, 1984, 35-36; aderisce invece alla tesi respinta dalla Cassazio

ne, Amendola, Smaltimento dei rifiuti e legge penale, Napoli, 1985, 83

(l'a. ritiene infatti possibile ricorrere in via generale alla norma dell'art.

165 c.p. anche per quelle condanne per reati previsti dal d.p.r. 915/82

non menzionati nell'art. 30); sul tema, v. pure Caccin, Ambiente e sua

protezione nella normativa sui rifiuti solidi, Padova, 1984, 379 ss. Da

ultimo, cfr. P. Giampietro, I rifiuti nella giurisprudenza penale e ammi

nistrativa, Rimini, 1988, 694-696.

La norma contenuta nell'art. 30 del decreto sui rifiuti riproduce, con

gli adattamenti del caso, l'analoga norma contenuta nell'art. 24, 1° com

ma, della c.d. legge Merli (1. 319/76). Su questa fattispecie, v., da ultimo, Cass. 12 ottobre 1984, Pifferi,

Foro it., Rep. 1985, voce Acque pubbliche, nn. 212, 213; 5 dicembre

1983, Mugan, ibid., voce Sospensione condizionale della pena, nn. 70-72; 2 febbraio 1982, Astori, id., Rep. 1983, voce cit., n. 67. In dottrina,

cfr., da ultimo, Amendola, La tutela penale dell'inquinamento idrico,

Milano, 1987, 87-90; Barbuto, Reati in materia di edilizia e di inquina

mento, Torino, 1987, 369-370; P. e F. Giampietro, Rassegna critica di

giurisprudenza sull'inquinamento delle acque del suolo, Milano, 1985, 1863-1883.

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