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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione I penale; sentenza 5 novembre 1990; Pres. Carnevale,...

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4
sezione I penale; sentenza 5 novembre 1990; Pres. Carnevale, Est. Saccucci, P.M. (concl. conf.); ric. Mignani. Conferma Trib. Lucca, ord. 5 giugno 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 143/144-147/148 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186333 . Accessed: 28/06/2014 15:20 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.61 on Sat, 28 Jun 2014 15:20:51 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione I penale; sentenza 5 novembre 1990; Pres. Carnevale, Est. Saccucci, P.M. (concl. conf.);ric. Mignani. Conferma Trib. Lucca, ord. 5 giugno 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.143/144-147/148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186333 .

Accessed: 28/06/2014 15:20

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PARTE SECONDA

coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio con ga ranzia del contraddittorio e ricorribilità per cassazione». In li

nea con questa direttiva si pone l'art. 309. Ad analoga finalità

di tutela difensiva, di completezza di contraddittorio, di «ridi

scussione» delle ragioni poste a fondamento del provvedimento di sequestro hanno indotto il legislatore a disciplinare in modo

simile il procedimento di riesame nell'art. 324 (richiamato dal

l'art. 318). Certo appare singolare la scelta del tribunale come

giudice del riesame, atteso che può essere chiamato a pronun ziarsi anche su un'ordinanza della corte d'appello, ma è eviden

te che non si è voluto modificare la pregressa impostazione, ritenendo forse che l'istituto avesse dato buona prova nella

pratica. L'attribuzione di questa competenza funzionale al tribunale

è frutto di una costruzione dell'istituto, improntata a determi

nazioni non censurabili in questa sede.

Tale soluzione trova conferma non soltanto nella lettera della

legge, laddove è previsto che la cancelleria del tribunale del rie

same dà immediato avviso «all'autorità giudiziaria procedente»

(art. 324.3), ma anche nell'interpretazione sistematica, essendo

la disposizione de qua inserita nel capo concernente le «impu

gnazioni». Queste ultime riguardano i provvedimenti di seque stro conservativo, che possono essere adottati soltanto «in ogni stato e grado del processo di merito». Si tratta dunque di ordi

nanze pronunciate o dal pretore o da un organo collegiale, che

potrà essere indifferentemente il tribunale, la corte d'assise di

primo o di secondo grado, la corte d'appello. Va a questo punto esaminato preliminarmente il motivo de

dotto in udienza dal difensore, il quale ha evidenziato il difetto

di legittimazione del pubblico ministero a richiedere il sequestro conservativo a tutela della posizione delle parti civili.

Il motivo è tardivo, ma è rilevabile di ufficio. Brevemente

va rilevato che esso è infondato, essendo la richiesta del pubbli co ministero non formulata nel senso innanzi prospettato, ma

in modo estremamente sintetico con il richiamo alla sussistenza

dei presupposti di cui all'art. 316, che è volto a garantire —

nel 1° comma — il pagamento della pena e di ogni somma

o spesa dovuta all'erario. È evidente, pertanto, che non sussiste

difetto di legittimazione (si potrebbe dire né ad causam, né ad

processimi). È il giudice di merito ad essersi richiamato alla necessità di

tutela degli interessi della parte civile. Sotto questo profilo la

parte avrebbe potuto addurre un difetto di motivazione, che

però non ha rappresentato in alcuna sede.

Venendo ora all'esame dei motivi dedotti dall'imputato, essi

sono infondati.

Va al riguardo brevemente osservato che il ricorso per cassa

zione regolato dall'art. 325 può essere proposto «per violazione

di legge». Con questa espressione il legislatore da un lato ha

inteso escludere che oggetto dell'impugnazione possa essere il

merito e dall'altro non ha però voluto riferirsi soltanto al vizio

di cui all'art. 606, lett. b) (inosservanza o erronea applicazione della legge penale) ma — con formula onnicomprensiva — si

è richiamato a qualsiasi violazione e quindi anche della legge

processuale. Tra queste va menzionato l'art. 125, che prevede

l'obbligo della motivazione per le ordinanze. Deve quindi rite

nersi che motivo deducibile è anche quello di cui all'art. 606, lett. e). Una diversa conclusione condurrebbe a risultati singola ri: un difetto di motivazione del provvedimento di sequestro e dell'ordinanza del tribunale del riesame non potrebbe essere

prospettato in Cassazione. Tanto premesso, si deve rilevare in

ordine alla disciplina del «peculio» che quest'ultima è estranea

alla materia del sequestro, mirando a conseguire una ben diver

sa finalità. L'art. 25 1. 26 luglio 1975 n. 354 (ord. penit.) preve de un semplice deposito e la possibilità di spendita della somma

sia pure entro limiti specifici: l'istituto è volto a regolare l'uti

lizzazione del denaro da parte del detenuto. L'art. 316 è invece

diretto ad assicurare il pagamento della pena pecuniaria e di

ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, nonché la ga ranzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Si può cioè

affermare — con riferimento al «peculio — che il sequestro conservativo mira ad impedire la spendita anche di quella «par te... disponibile dai detenuti...» (art. 25 cit.) o restituibile al

l'atto della dimissione. Sotto questo profilo è, pertanto, corret

ta la decisione dei giudici del riesame. Secondo il ricorrente il

rischio di dispersione della garanzia sarebbe soltanto quello con

nesso alla deperibilità obiettiva dei beni o dell'intrinseca scarsa

Il Foro Italiano — 1991.

durevolezza nel tempo. Trattasi di affermazione riduttiva e del

tutto arbitraria, che non trova alcuna base letterale e logica nel

la norma.

Ritiene il collegio che il timore di dispersione delle garanzie

patrimoniali vada individuato non soltanto in funzione degli estre

mi indicati dal ricorrente, ma anche ed ancor più con riferimen

to alla facilità di consumazione derivante dalla possibilità di

spendita del denaro.

Il rilievo difensivo, secondo cui tale carattere sussiste anche

per gli immobili, è esatto: l'appartamento di proprietà dell'im

putato è stato infatti sottoposto a sequestro in sede civile.

Il terzo motivo è inammissibile. Con esso il ricorrente lamen

ta l'inesattezza della valutazione compiuta dal giudice di merito

circa il valore economico dei beni stessi.

Deve in contrario osservarsi che, mentre il tribunale del riesa

me ha richiamato nella sua decisione il documento e cioè la

nota di trascrizione, sulla quale ha fondato le proprie determi

nazioni, il ricorrente ha svolto nella sua memoria calcoli fonda

ti su apprezzamenti di valore, frutto di ipotesi personali. Deve

quindi affermarsi che le valutazioni del tribunale anche in ordi

ne alla congruità della garanzia, quando siano motivate logica mente e con richiamo a specifici atti di causa o a documenti, sono incensurabili in Cassazione, perché attinenti al merito.

Con l'ultimo motivo l'imputato contesta la fondatezza del

l'accusa. Ritiene il collegio che, non essendo richiamata tra i

presupposti applicativi della misura cautelare in esame la neces

sità dei sufficienti indizi, l'accertamento giudiziale del fumus boni iuris deve essere limitato alla pendenza del processo penale ed alla sussistenza di una imputazione, senza alcuna possibilità di valutazione in ordine alla fondatezza dell'accusa e della pro babilità di una pronuncia di condanna o comunque sfavorevole

all'imputato.

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 5 no

vembre 1990; Pres. Carnevale, Est. Saccucci, P.M. (conci,

conf.); ric. Mignani. Conferma Trib. Lucca, ord. 5 giugno 1990.

Misure cautelari personali — Misure coercitive — Riesame —

Richiesta — Presentazione nella cancelleria della pretura del

luogo di residenza — Ammissibilità — Esclusione — Limiti

(Cod. proc. pen., art. 309, 582).

Il rinvio effettuato dall'art. 309, 4° comma, c.p.p. alle forme

previste dall'art. 582 stesso codice non comprende anche il

2° comma di quest'ultimo articolo, secondo il quale le parti

private ed i difensori possono presentare l'atto di impugna

zione anche nella cancelleria della pretura del luogo in cui

si trovano, per la prevalenza della norma specifica, di cui

alla prima parte del 4° comma dell'art. 309, secondo la quale la richiesta è presentata alla cancelleria del tribunale indicato

nel 7° comma e per la ratio di tale norma che è quella di

assicurare la celerità della procedura; tuttavia, la domanda

di riesame è egualmente ammissibile qualora, presentata nella

cancelleria della pretura, pervenga ugualmente alla cancelle

ria del tribunale indicato nel 7° comma dell'art. 309 entro

il termine previsto dal 1° comma di tale ultimo articolo. (1)

(1-2) Benché le sentenze siano relative a provvedimenti impositivi di

misure diverse (la prima si riferisce ad una misura coercitiva, la seconda ad una misura cautelare reale), le stesse ben possono essere considerate

unitariamente, attesa l'identità della disciplina dettata, rispettivamente, dagli art. 309 e 324 c.p.p., in tema di modalità di presentazione della richiesta di riesame; infatti, entrambe le norme (l'art. 309 in un unico comma — il 4° — e l'art. 324 nel combinato disposto dei commi 1° e 2°) prevedono, da un lato, che la richiesta di riesame «è presentata nella cancelleria del tribunale» competente a conoscere del riesame, e, dall'altro, che per la presentazione si osservano «le forme previste dal l'art. 582».

Come è agevole evincere dalla loro lettura, le due sentenze esprimo

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 11 otto

bre 1990; Pres. Guasco, Est. Lattanzi, P.M. Martuscello

(conci, conf.); ric. Putrino. Annulla Trib. Agrigento, ord. 20

giugno 1990.

Sequestro penale — Riesame — Richiesta — Presentazione nel

la cancelleria della pretura del luogo di residenza — Ammis

sibilità (Cod. proc. pen., art. 324, 582).

In tema di riesame dei provvedimenti di sequestro, poiché l'art.

324, 2° comma, c.p.p. rinvia all'intero art. 582, senza limita

zioni di sorta, deve ritenersi applicabile la previsione di cui

al 2° comma del suddetto art. 582, e, dunque, consentita la

presentazione della richiesta di riesame anche nella cancelleria

della pretura del luogo ove la parte privata o il difensore si

trova, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il

provvedimento. (2)

I

Fatto e diritto. — Con ordinanza in data 5 giugno 1990 il

Tribunale penale di Lucca dichiarava inammissibile la richiesta

di riesame presentata nell'interesse di Giuseppe Mignani e di

Lodovico Tancredi avverso l'«ordine di cattura» emesso dal g.i.p. di Lucca il 4 maggio 1990 contro i predetti per i reati di cui

agli art. 110, 56 e 575 c.p., 10, 12 e 14 1. 497/74 perché presen tata alla cancelleria della Pretura circondariale di Massa anzi

ché a quella del tribunale del capoluogo della provincia nella

quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso per

cassazione i difensori del Mignani e del Tancredi denunciando

violazione dell'art. 309, 4° comma, c.p.p. per avere erronea

mente il tribunale ritenuto di non ammettere la possibilità di

presentazione della richiesta nella cancelleria del luogo in cui

la parte privata o il difensore si trovino.

I ricorsi sono infondati. È, infatti, pur vero che l'art. 309, 4° comma, c.p.p. nel disciplinare la presentazione della richie

sta di riesame, fa riferimento alle forme previste dall'art. 582 — il quale prevede, al 2° comma, che le parti private e i difen

sori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella can

celleria della pretura del luogo in cui si trovano — e che, in

generale, nel concetto di forma di presentazione rientra anche

il luogo nel quale l'atto deve essere presentato, tuttavia si deve

ritenere che in questo caso il legislatore abbia inteso fare ecce

zione a questa regola generale e che il richiamo alle forme di

cui all'art. 582 c.p.p. non comprenda anche il luogo di presen tazione previsto dal 2° comma del detto art. 582. Ciò perché in questo caso, in tema di luogo di presentazione, prevale la

norma specifica di cui alla prima parte del detto 4° comma

dell'art. 309, secondo la quale la richiesta di riesame è presenta ta alla cancelleria del tribunale indicato nel 7° comma, cioè quello del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del

giudice che ha emesso l'ordinanza. A tali conclusioni induce, oltre la lettera della legge, anche la sua ratio ispirata alla neces

sità, come hanno riconosciuto gli stessi ricorrenti, di rendere

celere il procedimento in esame, assicurando la massima accele

no, dunque, avvisi contrastanti per quel che attiene alla possibilità di far luogo alla presentazione della richiesta, ai sensi del 2° comma del l'art. 582 del codice di rito, nella cancelleria della pretura indicata in

tale ultima norma; possibilità ammessa dalla seconda (che trova un pre cedente conforme in Cass. 9 maggio 1990, Galasso, Cesi, pen., 1990,

II, 342) e sostanzialmente negata dalla prima, che peraltro ritiene, per cosi dire, «sanato» il vizio derivante dalla presentazione della richiesta in tale luogo qualora la richiesta medesima pervenga comunque alla

cancelleria del tribunale entro il termine previsto per la proposizione del riesame.

Nel mentre per le ragioni che militano a favore dell'una o dell'altra tesi si rinvia alle motivazioni delle sentenze in epigrafe, giova in questa sede ricordare come anche in dottrina vi siano contrasti sul punto: per le varie posizioni, v., tra gli altri, Amato, in Commentario del nuovo

codice di procedura penale, 1990, III, 2, 195; Galantini, ivi, 291; Gian

none, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 265; Dubolino-Baglione-Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale illustrato per articolo, Piacenza,

1990, 576.

Il Foro Italiano — 1991.

razione del riesame con l'eliminazione dei tempi morti occor

renti per la trasmissione della richiesta di riesame dalla pretura al tribunale. Tale ratio viene ugualmente salvaguardata qualora la richiesta di riesame, pur presentata nel luogo indicato dal

l'art. 582, 2° comma, c.p.p., pervenga ugualmente alla cancel

leria del tribunale competente, ai sensi dell'art. 309, 7° comma, del medesimo codice, entro il termine di dieci giorni indicato

dall'art. 309, 1° comma: in tal caso, quindi, la richiesta deve

essere ritenuta ugualmente ammissibile. Ma ciò non si è verifi

cato nel caso in esame. Poiché, infatti, il dies a quo del termine

di cui al detto art. 309, 1° comma, deve ritenersi quello degli

interrogatori (9 maggio 1990) e le richieste di riesame risultano

pervenute alla cancelleria del tribunale competente, come si de

sume dal timbro del detto ufficio a margine dell'atto, il 23 mag

gio 1990, si deve concludere che esse sono pervenute alla can

celleria del tribunale competente oltre il detto termine di dieci

giorni previsto dall'art. 309, 1° comma, e che, quindi, il detto

tribunale giustamente ne ha dichiarato, con l'impugnata ordi

nanza, l'inammissibilità.

I ricorsi devono, in conseguenza, essere rigettati e i ricorrenti

condannati, in solido, al pagamento delle spese del procedimento.

II

Antonio Putrino ha proposto ricorso per cassazione contro

un'ordinanza del Tribunale di Agrigento che ha dichiarato inam

missibile la richiesta di riesame di un decreto con il quale il

procuratore della repubblica presso lo stesso tribunale aveva con

validato il sequestro della patente del ricorrente.

Il tribunale ha rilevato che la richiesta di riesame, invece che

nella propria cancelleria, era stata presentata nella cancelleria

della Pretura di Catania ed ha ritenuto che ciò comportasse l'inammissibilità della richiesta, aggiungendo che, anche se fos

se stata data rilevanza alla trasmissione della richiesta da parte della cancelleria della pretura a quella del tribunale, si sarebbe

dovuta ravvisare un'inammissibilità perché l'atto era pervenuto al tribunale quando era già decorso il termine di dieci giorni stabilito dall'art. 355, 3° comma, c.p.p.

Il ricorrente a sostegno del ricorso ha dedotto che il tribunale

ha errato nel dichiarare l'inammisibilità perché per effetto del

rinvio operato dall'art. 324, 2° comma, c.p.p. è applicabile alla

richiesta di riesame l'art. 582, 2° comma, c.p.p., a norma del

quale «le parti private e i difensori possono presentare l'atto

di impugnazione anche nella cancelleria della pretura del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu

emesso il provvedimento». Il ricorso è fondato. L'art. 324 c.p.p., dopo aver previsto

nel 1° comma la presentazione della richiesta nella cancelleria

del tribunale del riesame, aggiunge, nel 2° comma, che «la ri

chiesta è presentata con le forme previste dall'art. 582» e questa corte ha già avuto occasione di affermare che non vi è alcun

consistente argomento interpretativo che in presenza di un rin

vio all'intero art. 582, senza limitazioni di sorta, possa far esclu

dere l'applicabilità del 2° comma di questo articolo e che perciò deve ritenersi consentita la presentazione della richiesta di riesa

me anche nella cancelleria della pretura (in questo senso, v. sez.

I 9 maggio 1990, Galasso). Non vale obiettare, come fa l'ordinanza impugnata, che la

richiesta di riesame deve essere presentata nella cancelleria del

giudice del riesame e non nella cancelleria di quello che ha emesso

il provvedimento impugnato, come è previsto in generale dal

l'art. 582 c.p.p., per concludere che in sostanza la disciplina

speciale dell'art. 324 c.p.p. comporta una deroga anche rispetto alla previsione del 2° comma dell'art. 582.

Dato il rinvio operato dall'art. 324 all'intero art. 582 la dero

ga non può che riguardare solo la cancelleria presso la quale deve essere presentata la richiesta di riesame (o alla quale que sta va trasmessa dalla cancelleria del pretore), in conformità

della riserva formulata all'inizio dell'art. 582 c.p.p. con le pa role: «Salvo che la legge disponga altrimenti». L'art. 324 c.p.p.

rappresenta appunto uno dei casi in cui la legge dispone altri

menti per quanto concerne la cancelleria destinataria della pre

sentazione, ferma rimanendo la facoltà riconosciuta alle parti dal 2° comma dell'art. 582, il cui richiamo altrimenti risultereb

be poco utile una volta indicato l'organo cui va presentata la

richiesta.

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PARTE SECONDA

Né può ritenersi, come prospetta l'ordinanza impugnata, che

le parole «con le forme previste dall'art. 582» non possano rife

rirsi anche all'ufficio giudiziario presso il quale va presentato l'atto perché «la sede spaziale di deposito dell'atto non appare annoverabile nella dizione 'forme'». Per convincersi del contra

rio è infatti sufficiente osservare che il codice quando opera un rinvio ad altra disposizione con la parola «forme» in genere si riferisce a tutte le modalità procedimentali disciplinate dalla

disposizione alla quale è fatto rinvio e non solo ai requisiti for

mali di un atto: è quanto si desume anche dall'art. 324, 6°

comma, c.p.p., che, analogamente a numerosi altri articoli del

codice, richiama le «forme previste dall'art. 127», o, ad esem

pio, dall'art. 443, 6° comma, c.p.p., il quale stabilisce che nel

rito abbreviato «il giudizio di appello si svolge con le forme

previste dall'art. 599».

È ovvio che, una volta ritenuta applicabile la disposizione dell'art. 582, 2° comma, c.p.p., è al momento in cui l'atto è

presentato nella cancelleria del pretore che deve farsi riferimen

to per valutarne la tempestività e che diventa irrilevante, ai fini

dell'ammissibilità, il momento in cui l'atto, in seguito alla tras

missione, perviene al tribunale del riesame.

Per le ragioni esposte l'ordinanza di inammissibilità pronun ciata dal Tribunale di Agrigento deve essere annullata con rin

vio allo stesso tribunale per nuovo esame.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione feriale penale; sentenza 23

agosto 1990; Pres. Consoli, Est. Marrone, P.M. (conci, diff.); ric. Macrì. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Reg

gio Calabria, ord. 24 luglio 1990.

Misure cautelari personali — Ricorso «per saltum» avverso or

dinanza dispositiva della misura — Rigetto — Successiva istan

za di revoca della misura — Rigetto — Appello — Reiezione — Ricorso per cassazione — Inammissibilità — Fattispecie

(Cod. proc. pen., art. 299, 309, 310, 311).

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza

con cui il tribunale rigetta l'appello proposto contro l'ordi

nanza di reiezione di istanza di revoca di una misura cautela

re personale ove nei confronti dell'ordinanza dispositiva della

misura sia già stato inutilmente proposto ricorso per cassa

zione per saltum e la successiva istanza di revoca non sia fon data su modificazioni sopravvenute della posizione processuale

dell'imputato che legittimino il riesame della situazione (nella

specie, dopo il rigetto del ricorso «per saltum» avverso l'ordi

nanza del g.i.p., impositiva di misura cautelare personale coer

citiva, l'imputato aveva proposto allo stesso g.i.p. istanza di

revoca della misura medesima per motivi ritenuti dalla corte

sostanzialmente analoghi a quelli già addotti a sostegno del

ricorso per saltum). (1)

(1) Revoca o sostituzione di misure cautelari personali e reiterabilità delle relative istanze secondo il nuovo codice di rito penale.

Il nuovo codice di procedura penale, pur estremamente preciso ed attento nella disciplina delle misure cautelari personali, con particolare riguardo ai modi della loro estinzione ed ai rimedi proponibili avverso i provvedimenti giudiziali in materia, nulla ha previsto in punto di reite rabilità o meno delle istanze con cui le parti possono, a norma dell'art.

299, 3° comma, chiedere la revoca o la sostituzione delle misure adotta

te, limitandosi ad imporre al giudice di provvedere con ordinanza entro

cinque giorni dal deposito della richiesta (termine identico a quello già fissato dall'art. 3, 3° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, sulla responsabi lità civile dei magistrati, per la decisione di istanze sulla responsabilità personale).

Nel silenzio della legge, ed affrontando (a quanto è dato conoscere) per la prima volta il problema sotto il vigore del codice del 1988, la Corte di cassazione si è richiamata ad un filone giurisprudenziale matu rato sotto la vigenza del codice precedente, facendone, peraltro, appli cazione assai discutibile nel caso di specie.

L'indirizzo in parola, elaborato con prevalente riguardo alla reiezio ne di istanze di scarcerazione per insufficienza di indizi, pur premetten

1l Foro Italiano — 1991.

Svolgimento de! processo. — Con ordinanza in data 23 aprile 1990 il g.i.p. di Palmi imponeva il divieto di dimora in Tauria nova nei confronti di Francesco Macrì, accusato dei delitti di

cui A) agli art. 110, 112, n. 1, 117, 324 c.p.; B) agli art. 61, n. 2, 110, 112, n. 1, 117 e 479 c.p.; C) agli art. 61, n. 2, 110

e 479 c.p., commessi in Taurianova tra il 19 ed il 22 marzo 1986.

Con successiva ordinanza in data 26 giugno 1990 il g.i.p. di

Palmi rigettava l'istanza di revoca della misura coercitiva.

Avverso tale provvedimento proponeva appello l'imputato da

vanti al Tribunale della libertà di Reggio Calabria che con ordi

nanza in data 24 luglio 1990 rigettava l'impugnazione. Riteneva il tribunale che la contestata misura cautelare perso

nale ex art. 283 c.p.p. era stata applicata nella previsione nor

do, in linea di principio, che i provvedimenti sulla libertà personale non determinano mai situazioni intangibili e che, in detta materia, gli effetti preclusivi del giudicato operano con modalità del tutto particola ri, dovendo esse armonizzarsi con l'esigenza di realizzare un costante

adeguamento dello status libertatis dell'imputato alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento del richiesto esame, è, invero, costante nell'ammettere la formazione di un giudicato rebus sic stantibus sulle decisioni definitive di rigetto di istanze attinenti alla libertà personale, con conseguente preclusione ed inammissibilità di ulteriori istanze non fondate sull'allegazione di fatti nuovi, idonei a modificare la situazione

processuale precedente (in questo senso Cass. 15 maggio 1989, Stimoli, Giust. pen., 1990, III, 437, relativa ad una fattispecie di reiterazione di istanza di scarcerazione per insufficienza di indizi ed attenta nel pun tualizzare che diversamente andrebbe impostato il caso di un'istanza di rimessione in libertà — oggi di revoca della misura della custodia cautelare od altra assimilata — per cui assume rilevanza anche il sem

plice decorso del tempo; Cass. 14 giugno 1989, Caruso, Cass, pen., 1990, 1762; 17 ottobre 1988, Costantino, Foro it., Rep. 1989, voce Li bertà personale dell'imputato, n. 287; 15 dicembre 1986, Palma, id.,

Rep. 1988, voce cit., n. 206; 27 maggio 1985, Castiello, id., Rep. 1986, voce cit., n. 142; 24 giugno 1980, Speranza, id., Rep. 1981, voce cit., n. 26. Più drasticamente, invece, Cass. 27 agosto 1984, Desiderio, id.,

Rep. 1985, voce Istruzione penale, n. 60, afferma che i provvedimenti sulla libertà personale, anche se impugnati con esito negativo o non

impugnati, non determinano mai situazioni intangibili). Nel caso di specie, tuttavia, l'automatico adeguamento della corte

al surriferito indirizzo giurisprudenziale sembra ingiustificato e censura bile sotto molteplici profili: in primo luogo, il giudicato poteva ritenersi formato non già sulla revocabilità o meno della misura cautelare, ma sulla legittimità o meno della sua originaria adozione da parte del g.i.p., posto che la decisione di rigetto intervenuta con la sentenza 6 giugno 1990 concerneva il ricorso avverso l'ordinanza impositiva della misura e non già un ricorso avverso decisione in materia di revoca della misura medesima (del tutto diversi erano, dunque, i petita dei due gravami nonché i presupposti, la natura ed il contenuto dei provvedimenti impu gnati); in secondo luogo, una volta intervenuta la decisione sull'istanza di revoca da parte del g.i.p., cui, semmai, sarebbe spettato dichiararne

l'inammissibilità, ed intervenuta, altresì', la decisione del tribunale in

grado di appello, non è dato ravvisare il fondamento di un diniego dell'invocato controllo di legittimità del provvedimento ormai pronun ziato dal giudice di merito sull'assunto dell'intangibilità di un preteso giudicato, che non aveva, comunque, impedito, nei precedenti gradi, il compiuto esame dell'istanza; in terzo luogo, è agevole rilevare che la corte, contraddicendo se stessa, dopo aver affermato l'assenza di modificazioni del quadro processuale quale delineato a fondamento del

precedente ricorso per saltum, ha, invece, preso espressamente in consi

derazione, entrando nel merito della questione, gli effetti della soprav venuta entrata in vigore della 1. n. 86 del 1990 (recante modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) sulla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 324 c.p. allineandosi a Cass., sez. un., 20 giugno 1990, Monaco (id., 1990, II, 637, con nota di Fian

daca) nel negare alle nuove norme efficacia di abolitio criminis nei confronti del delitto di interesse privato in atti d'ufficio: il ricorrente

aveva, dunque, contrariamente all'assunto della corte, prospettato una rilevante modificazione della situazione anteatta, essendo, addirittura, mutato medio tempore il quadro normativo di riferimento e, comun

que, inconcepibile appare una pronunzia di inammissibilità del ricorso una volta intervenuto l'esame, nel merito, di taluna delle questioni dedotte.

I giudici di legittimità hanno, inoltre, totalmente ignorato la recente ordinanza n. 269 in data 25 maggio 1990 della Corte costituzionale che, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità co stituzionale degli art. 254 bis e 279 c.p.p. del 1930, sottopostale da Trib. Napoli, ord. 5 dicembre 1989, per sospetto contrasto con l'art. 97 Cost., nella parte in cui le citate norme processuali consentivano la reiterazione di istanze in materia di libertà personale pur in assenza di nuovi elementi di giudizio, ha escluso ogni profilo di arbitrarietà ed irragionevolezza della disciplina impugnata, rimarcandone, per con

tro, la piena rispondenza alle esigenze di una «effettiva, integrale difesa

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