sezione I penale; sentenza 5 novembre 1990; Pres. Carnevale, Est. Saccucci, P.M. (concl. conf.);ric. Mignani. Conferma Trib. Lucca, ord. 5 giugno 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.143/144-147/148Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186333 .
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PARTE SECONDA
coercizione dinanzi al tribunale in camera di consiglio con ga ranzia del contraddittorio e ricorribilità per cassazione». In li
nea con questa direttiva si pone l'art. 309. Ad analoga finalità
di tutela difensiva, di completezza di contraddittorio, di «ridi
scussione» delle ragioni poste a fondamento del provvedimento di sequestro hanno indotto il legislatore a disciplinare in modo
simile il procedimento di riesame nell'art. 324 (richiamato dal
l'art. 318). Certo appare singolare la scelta del tribunale come
giudice del riesame, atteso che può essere chiamato a pronun ziarsi anche su un'ordinanza della corte d'appello, ma è eviden
te che non si è voluto modificare la pregressa impostazione, ritenendo forse che l'istituto avesse dato buona prova nella
pratica. L'attribuzione di questa competenza funzionale al tribunale
è frutto di una costruzione dell'istituto, improntata a determi
nazioni non censurabili in questa sede.
Tale soluzione trova conferma non soltanto nella lettera della
legge, laddove è previsto che la cancelleria del tribunale del rie
same dà immediato avviso «all'autorità giudiziaria procedente»
(art. 324.3), ma anche nell'interpretazione sistematica, essendo
la disposizione de qua inserita nel capo concernente le «impu
gnazioni». Queste ultime riguardano i provvedimenti di seque stro conservativo, che possono essere adottati soltanto «in ogni stato e grado del processo di merito». Si tratta dunque di ordi
nanze pronunciate o dal pretore o da un organo collegiale, che
potrà essere indifferentemente il tribunale, la corte d'assise di
primo o di secondo grado, la corte d'appello. Va a questo punto esaminato preliminarmente il motivo de
dotto in udienza dal difensore, il quale ha evidenziato il difetto
di legittimazione del pubblico ministero a richiedere il sequestro conservativo a tutela della posizione delle parti civili.
Il motivo è tardivo, ma è rilevabile di ufficio. Brevemente
va rilevato che esso è infondato, essendo la richiesta del pubbli co ministero non formulata nel senso innanzi prospettato, ma
in modo estremamente sintetico con il richiamo alla sussistenza
dei presupposti di cui all'art. 316, che è volto a garantire —
nel 1° comma — il pagamento della pena e di ogni somma
o spesa dovuta all'erario. È evidente, pertanto, che non sussiste
difetto di legittimazione (si potrebbe dire né ad causam, né ad
processimi). È il giudice di merito ad essersi richiamato alla necessità di
tutela degli interessi della parte civile. Sotto questo profilo la
parte avrebbe potuto addurre un difetto di motivazione, che
però non ha rappresentato in alcuna sede.
Venendo ora all'esame dei motivi dedotti dall'imputato, essi
sono infondati.
Va al riguardo brevemente osservato che il ricorso per cassa
zione regolato dall'art. 325 può essere proposto «per violazione
di legge». Con questa espressione il legislatore da un lato ha
inteso escludere che oggetto dell'impugnazione possa essere il
merito e dall'altro non ha però voluto riferirsi soltanto al vizio
di cui all'art. 606, lett. b) (inosservanza o erronea applicazione della legge penale) ma — con formula onnicomprensiva — si
è richiamato a qualsiasi violazione e quindi anche della legge
processuale. Tra queste va menzionato l'art. 125, che prevede
l'obbligo della motivazione per le ordinanze. Deve quindi rite
nersi che motivo deducibile è anche quello di cui all'art. 606, lett. e). Una diversa conclusione condurrebbe a risultati singola ri: un difetto di motivazione del provvedimento di sequestro e dell'ordinanza del tribunale del riesame non potrebbe essere
prospettato in Cassazione. Tanto premesso, si deve rilevare in
ordine alla disciplina del «peculio» che quest'ultima è estranea
alla materia del sequestro, mirando a conseguire una ben diver
sa finalità. L'art. 25 1. 26 luglio 1975 n. 354 (ord. penit.) preve de un semplice deposito e la possibilità di spendita della somma
sia pure entro limiti specifici: l'istituto è volto a regolare l'uti
lizzazione del denaro da parte del detenuto. L'art. 316 è invece
diretto ad assicurare il pagamento della pena pecuniaria e di
ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato, nonché la ga ranzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Si può cioè
affermare — con riferimento al «peculio — che il sequestro conservativo mira ad impedire la spendita anche di quella «par te... disponibile dai detenuti...» (art. 25 cit.) o restituibile al
l'atto della dimissione. Sotto questo profilo è, pertanto, corret
ta la decisione dei giudici del riesame. Secondo il ricorrente il
rischio di dispersione della garanzia sarebbe soltanto quello con
nesso alla deperibilità obiettiva dei beni o dell'intrinseca scarsa
Il Foro Italiano — 1991.
durevolezza nel tempo. Trattasi di affermazione riduttiva e del
tutto arbitraria, che non trova alcuna base letterale e logica nel
la norma.
Ritiene il collegio che il timore di dispersione delle garanzie
patrimoniali vada individuato non soltanto in funzione degli estre
mi indicati dal ricorrente, ma anche ed ancor più con riferimen
to alla facilità di consumazione derivante dalla possibilità di
spendita del denaro.
Il rilievo difensivo, secondo cui tale carattere sussiste anche
per gli immobili, è esatto: l'appartamento di proprietà dell'im
putato è stato infatti sottoposto a sequestro in sede civile.
Il terzo motivo è inammissibile. Con esso il ricorrente lamen
ta l'inesattezza della valutazione compiuta dal giudice di merito
circa il valore economico dei beni stessi.
Deve in contrario osservarsi che, mentre il tribunale del riesa
me ha richiamato nella sua decisione il documento e cioè la
nota di trascrizione, sulla quale ha fondato le proprie determi
nazioni, il ricorrente ha svolto nella sua memoria calcoli fonda
ti su apprezzamenti di valore, frutto di ipotesi personali. Deve
quindi affermarsi che le valutazioni del tribunale anche in ordi
ne alla congruità della garanzia, quando siano motivate logica mente e con richiamo a specifici atti di causa o a documenti, sono incensurabili in Cassazione, perché attinenti al merito.
Con l'ultimo motivo l'imputato contesta la fondatezza del
l'accusa. Ritiene il collegio che, non essendo richiamata tra i
presupposti applicativi della misura cautelare in esame la neces
sità dei sufficienti indizi, l'accertamento giudiziale del fumus boni iuris deve essere limitato alla pendenza del processo penale ed alla sussistenza di una imputazione, senza alcuna possibilità di valutazione in ordine alla fondatezza dell'accusa e della pro babilità di una pronuncia di condanna o comunque sfavorevole
all'imputato.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 5 no
vembre 1990; Pres. Carnevale, Est. Saccucci, P.M. (conci,
conf.); ric. Mignani. Conferma Trib. Lucca, ord. 5 giugno 1990.
Misure cautelari personali — Misure coercitive — Riesame —
Richiesta — Presentazione nella cancelleria della pretura del
luogo di residenza — Ammissibilità — Esclusione — Limiti
(Cod. proc. pen., art. 309, 582).
Il rinvio effettuato dall'art. 309, 4° comma, c.p.p. alle forme
previste dall'art. 582 stesso codice non comprende anche il
2° comma di quest'ultimo articolo, secondo il quale le parti
private ed i difensori possono presentare l'atto di impugna
zione anche nella cancelleria della pretura del luogo in cui
si trovano, per la prevalenza della norma specifica, di cui
alla prima parte del 4° comma dell'art. 309, secondo la quale la richiesta è presentata alla cancelleria del tribunale indicato
nel 7° comma e per la ratio di tale norma che è quella di
assicurare la celerità della procedura; tuttavia, la domanda
di riesame è egualmente ammissibile qualora, presentata nella
cancelleria della pretura, pervenga ugualmente alla cancelle
ria del tribunale indicato nel 7° comma dell'art. 309 entro
il termine previsto dal 1° comma di tale ultimo articolo. (1)
(1-2) Benché le sentenze siano relative a provvedimenti impositivi di
misure diverse (la prima si riferisce ad una misura coercitiva, la seconda ad una misura cautelare reale), le stesse ben possono essere considerate
unitariamente, attesa l'identità della disciplina dettata, rispettivamente, dagli art. 309 e 324 c.p.p., in tema di modalità di presentazione della richiesta di riesame; infatti, entrambe le norme (l'art. 309 in un unico comma — il 4° — e l'art. 324 nel combinato disposto dei commi 1° e 2°) prevedono, da un lato, che la richiesta di riesame «è presentata nella cancelleria del tribunale» competente a conoscere del riesame, e, dall'altro, che per la presentazione si osservano «le forme previste dal l'art. 582».
Come è agevole evincere dalla loro lettura, le due sentenze esprimo
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 11 otto
bre 1990; Pres. Guasco, Est. Lattanzi, P.M. Martuscello
(conci, conf.); ric. Putrino. Annulla Trib. Agrigento, ord. 20
giugno 1990.
Sequestro penale — Riesame — Richiesta — Presentazione nel
la cancelleria della pretura del luogo di residenza — Ammis
sibilità (Cod. proc. pen., art. 324, 582).
In tema di riesame dei provvedimenti di sequestro, poiché l'art.
324, 2° comma, c.p.p. rinvia all'intero art. 582, senza limita
zioni di sorta, deve ritenersi applicabile la previsione di cui
al 2° comma del suddetto art. 582, e, dunque, consentita la
presentazione della richiesta di riesame anche nella cancelleria
della pretura del luogo ove la parte privata o il difensore si
trova, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il
provvedimento. (2)
I
Fatto e diritto. — Con ordinanza in data 5 giugno 1990 il
Tribunale penale di Lucca dichiarava inammissibile la richiesta
di riesame presentata nell'interesse di Giuseppe Mignani e di
Lodovico Tancredi avverso l'«ordine di cattura» emesso dal g.i.p. di Lucca il 4 maggio 1990 contro i predetti per i reati di cui
agli art. 110, 56 e 575 c.p., 10, 12 e 14 1. 497/74 perché presen tata alla cancelleria della Pretura circondariale di Massa anzi
ché a quella del tribunale del capoluogo della provincia nella
quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso per
cassazione i difensori del Mignani e del Tancredi denunciando
violazione dell'art. 309, 4° comma, c.p.p. per avere erronea
mente il tribunale ritenuto di non ammettere la possibilità di
presentazione della richiesta nella cancelleria del luogo in cui
la parte privata o il difensore si trovino.
I ricorsi sono infondati. È, infatti, pur vero che l'art. 309, 4° comma, c.p.p. nel disciplinare la presentazione della richie
sta di riesame, fa riferimento alle forme previste dall'art. 582 — il quale prevede, al 2° comma, che le parti private e i difen
sori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella can
celleria della pretura del luogo in cui si trovano — e che, in
generale, nel concetto di forma di presentazione rientra anche
il luogo nel quale l'atto deve essere presentato, tuttavia si deve
ritenere che in questo caso il legislatore abbia inteso fare ecce
zione a questa regola generale e che il richiamo alle forme di
cui all'art. 582 c.p.p. non comprenda anche il luogo di presen tazione previsto dal 2° comma del detto art. 582. Ciò perché in questo caso, in tema di luogo di presentazione, prevale la
norma specifica di cui alla prima parte del detto 4° comma
dell'art. 309, secondo la quale la richiesta di riesame è presenta ta alla cancelleria del tribunale indicato nel 7° comma, cioè quello del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del
giudice che ha emesso l'ordinanza. A tali conclusioni induce, oltre la lettera della legge, anche la sua ratio ispirata alla neces
sità, come hanno riconosciuto gli stessi ricorrenti, di rendere
celere il procedimento in esame, assicurando la massima accele
no, dunque, avvisi contrastanti per quel che attiene alla possibilità di far luogo alla presentazione della richiesta, ai sensi del 2° comma del l'art. 582 del codice di rito, nella cancelleria della pretura indicata in
tale ultima norma; possibilità ammessa dalla seconda (che trova un pre cedente conforme in Cass. 9 maggio 1990, Galasso, Cesi, pen., 1990,
II, 342) e sostanzialmente negata dalla prima, che peraltro ritiene, per cosi dire, «sanato» il vizio derivante dalla presentazione della richiesta in tale luogo qualora la richiesta medesima pervenga comunque alla
cancelleria del tribunale entro il termine previsto per la proposizione del riesame.
Nel mentre per le ragioni che militano a favore dell'una o dell'altra tesi si rinvia alle motivazioni delle sentenze in epigrafe, giova in questa sede ricordare come anche in dottrina vi siano contrasti sul punto: per le varie posizioni, v., tra gli altri, Amato, in Commentario del nuovo
codice di procedura penale, 1990, III, 2, 195; Galantini, ivi, 291; Gian
none, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 265; Dubolino-Baglione-Bartolini, Il nuovo codice di procedura penale illustrato per articolo, Piacenza,
1990, 576.
Il Foro Italiano — 1991.
razione del riesame con l'eliminazione dei tempi morti occor
renti per la trasmissione della richiesta di riesame dalla pretura al tribunale. Tale ratio viene ugualmente salvaguardata qualora la richiesta di riesame, pur presentata nel luogo indicato dal
l'art. 582, 2° comma, c.p.p., pervenga ugualmente alla cancel
leria del tribunale competente, ai sensi dell'art. 309, 7° comma, del medesimo codice, entro il termine di dieci giorni indicato
dall'art. 309, 1° comma: in tal caso, quindi, la richiesta deve
essere ritenuta ugualmente ammissibile. Ma ciò non si è verifi
cato nel caso in esame. Poiché, infatti, il dies a quo del termine
di cui al detto art. 309, 1° comma, deve ritenersi quello degli
interrogatori (9 maggio 1990) e le richieste di riesame risultano
pervenute alla cancelleria del tribunale competente, come si de
sume dal timbro del detto ufficio a margine dell'atto, il 23 mag
gio 1990, si deve concludere che esse sono pervenute alla can
celleria del tribunale competente oltre il detto termine di dieci
giorni previsto dall'art. 309, 1° comma, e che, quindi, il detto
tribunale giustamente ne ha dichiarato, con l'impugnata ordi
nanza, l'inammissibilità.
I ricorsi devono, in conseguenza, essere rigettati e i ricorrenti
condannati, in solido, al pagamento delle spese del procedimento.
II
Antonio Putrino ha proposto ricorso per cassazione contro
un'ordinanza del Tribunale di Agrigento che ha dichiarato inam
missibile la richiesta di riesame di un decreto con il quale il
procuratore della repubblica presso lo stesso tribunale aveva con
validato il sequestro della patente del ricorrente.
Il tribunale ha rilevato che la richiesta di riesame, invece che
nella propria cancelleria, era stata presentata nella cancelleria
della Pretura di Catania ed ha ritenuto che ciò comportasse l'inammissibilità della richiesta, aggiungendo che, anche se fos
se stata data rilevanza alla trasmissione della richiesta da parte della cancelleria della pretura a quella del tribunale, si sarebbe
dovuta ravvisare un'inammissibilità perché l'atto era pervenuto al tribunale quando era già decorso il termine di dieci giorni stabilito dall'art. 355, 3° comma, c.p.p.
Il ricorrente a sostegno del ricorso ha dedotto che il tribunale
ha errato nel dichiarare l'inammisibilità perché per effetto del
rinvio operato dall'art. 324, 2° comma, c.p.p. è applicabile alla
richiesta di riesame l'art. 582, 2° comma, c.p.p., a norma del
quale «le parti private e i difensori possono presentare l'atto
di impugnazione anche nella cancelleria della pretura del luogo in cui si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu
emesso il provvedimento». Il ricorso è fondato. L'art. 324 c.p.p., dopo aver previsto
nel 1° comma la presentazione della richiesta nella cancelleria
del tribunale del riesame, aggiunge, nel 2° comma, che «la ri
chiesta è presentata con le forme previste dall'art. 582» e questa corte ha già avuto occasione di affermare che non vi è alcun
consistente argomento interpretativo che in presenza di un rin
vio all'intero art. 582, senza limitazioni di sorta, possa far esclu
dere l'applicabilità del 2° comma di questo articolo e che perciò deve ritenersi consentita la presentazione della richiesta di riesa
me anche nella cancelleria della pretura (in questo senso, v. sez.
I 9 maggio 1990, Galasso). Non vale obiettare, come fa l'ordinanza impugnata, che la
richiesta di riesame deve essere presentata nella cancelleria del
giudice del riesame e non nella cancelleria di quello che ha emesso
il provvedimento impugnato, come è previsto in generale dal
l'art. 582 c.p.p., per concludere che in sostanza la disciplina
speciale dell'art. 324 c.p.p. comporta una deroga anche rispetto alla previsione del 2° comma dell'art. 582.
Dato il rinvio operato dall'art. 324 all'intero art. 582 la dero
ga non può che riguardare solo la cancelleria presso la quale deve essere presentata la richiesta di riesame (o alla quale que sta va trasmessa dalla cancelleria del pretore), in conformità
della riserva formulata all'inizio dell'art. 582 c.p.p. con le pa role: «Salvo che la legge disponga altrimenti». L'art. 324 c.p.p.
rappresenta appunto uno dei casi in cui la legge dispone altri
menti per quanto concerne la cancelleria destinataria della pre
sentazione, ferma rimanendo la facoltà riconosciuta alle parti dal 2° comma dell'art. 582, il cui richiamo altrimenti risultereb
be poco utile una volta indicato l'organo cui va presentata la
richiesta.
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PARTE SECONDA
Né può ritenersi, come prospetta l'ordinanza impugnata, che
le parole «con le forme previste dall'art. 582» non possano rife
rirsi anche all'ufficio giudiziario presso il quale va presentato l'atto perché «la sede spaziale di deposito dell'atto non appare annoverabile nella dizione 'forme'». Per convincersi del contra
rio è infatti sufficiente osservare che il codice quando opera un rinvio ad altra disposizione con la parola «forme» in genere si riferisce a tutte le modalità procedimentali disciplinate dalla
disposizione alla quale è fatto rinvio e non solo ai requisiti for
mali di un atto: è quanto si desume anche dall'art. 324, 6°
comma, c.p.p., che, analogamente a numerosi altri articoli del
codice, richiama le «forme previste dall'art. 127», o, ad esem
pio, dall'art. 443, 6° comma, c.p.p., il quale stabilisce che nel
rito abbreviato «il giudizio di appello si svolge con le forme
previste dall'art. 599».
È ovvio che, una volta ritenuta applicabile la disposizione dell'art. 582, 2° comma, c.p.p., è al momento in cui l'atto è
presentato nella cancelleria del pretore che deve farsi riferimen
to per valutarne la tempestività e che diventa irrilevante, ai fini
dell'ammissibilità, il momento in cui l'atto, in seguito alla tras
missione, perviene al tribunale del riesame.
Per le ragioni esposte l'ordinanza di inammissibilità pronun ciata dal Tribunale di Agrigento deve essere annullata con rin
vio allo stesso tribunale per nuovo esame.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione feriale penale; sentenza 23
agosto 1990; Pres. Consoli, Est. Marrone, P.M. (conci, diff.); ric. Macrì. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Reg
gio Calabria, ord. 24 luglio 1990.
Misure cautelari personali — Ricorso «per saltum» avverso or
dinanza dispositiva della misura — Rigetto — Successiva istan
za di revoca della misura — Rigetto — Appello — Reiezione — Ricorso per cassazione — Inammissibilità — Fattispecie
(Cod. proc. pen., art. 299, 309, 310, 311).
È inammissibile il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza
con cui il tribunale rigetta l'appello proposto contro l'ordi
nanza di reiezione di istanza di revoca di una misura cautela
re personale ove nei confronti dell'ordinanza dispositiva della
misura sia già stato inutilmente proposto ricorso per cassa
zione per saltum e la successiva istanza di revoca non sia fon data su modificazioni sopravvenute della posizione processuale
dell'imputato che legittimino il riesame della situazione (nella
specie, dopo il rigetto del ricorso «per saltum» avverso l'ordi
nanza del g.i.p., impositiva di misura cautelare personale coer
citiva, l'imputato aveva proposto allo stesso g.i.p. istanza di
revoca della misura medesima per motivi ritenuti dalla corte
sostanzialmente analoghi a quelli già addotti a sostegno del
ricorso per saltum). (1)
(1) Revoca o sostituzione di misure cautelari personali e reiterabilità delle relative istanze secondo il nuovo codice di rito penale.
Il nuovo codice di procedura penale, pur estremamente preciso ed attento nella disciplina delle misure cautelari personali, con particolare riguardo ai modi della loro estinzione ed ai rimedi proponibili avverso i provvedimenti giudiziali in materia, nulla ha previsto in punto di reite rabilità o meno delle istanze con cui le parti possono, a norma dell'art.
299, 3° comma, chiedere la revoca o la sostituzione delle misure adotta
te, limitandosi ad imporre al giudice di provvedere con ordinanza entro
cinque giorni dal deposito della richiesta (termine identico a quello già fissato dall'art. 3, 3° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, sulla responsabi lità civile dei magistrati, per la decisione di istanze sulla responsabilità personale).
Nel silenzio della legge, ed affrontando (a quanto è dato conoscere) per la prima volta il problema sotto il vigore del codice del 1988, la Corte di cassazione si è richiamata ad un filone giurisprudenziale matu rato sotto la vigenza del codice precedente, facendone, peraltro, appli cazione assai discutibile nel caso di specie.
L'indirizzo in parola, elaborato con prevalente riguardo alla reiezio ne di istanze di scarcerazione per insufficienza di indizi, pur premetten
1l Foro Italiano — 1991.
Svolgimento de! processo. — Con ordinanza in data 23 aprile 1990 il g.i.p. di Palmi imponeva il divieto di dimora in Tauria nova nei confronti di Francesco Macrì, accusato dei delitti di
cui A) agli art. 110, 112, n. 1, 117, 324 c.p.; B) agli art. 61, n. 2, 110, 112, n. 1, 117 e 479 c.p.; C) agli art. 61, n. 2, 110
e 479 c.p., commessi in Taurianova tra il 19 ed il 22 marzo 1986.
Con successiva ordinanza in data 26 giugno 1990 il g.i.p. di
Palmi rigettava l'istanza di revoca della misura coercitiva.
Avverso tale provvedimento proponeva appello l'imputato da
vanti al Tribunale della libertà di Reggio Calabria che con ordi
nanza in data 24 luglio 1990 rigettava l'impugnazione. Riteneva il tribunale che la contestata misura cautelare perso
nale ex art. 283 c.p.p. era stata applicata nella previsione nor
do, in linea di principio, che i provvedimenti sulla libertà personale non determinano mai situazioni intangibili e che, in detta materia, gli effetti preclusivi del giudicato operano con modalità del tutto particola ri, dovendo esse armonizzarsi con l'esigenza di realizzare un costante
adeguamento dello status libertatis dell'imputato alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento del richiesto esame, è, invero, costante nell'ammettere la formazione di un giudicato rebus sic stantibus sulle decisioni definitive di rigetto di istanze attinenti alla libertà personale, con conseguente preclusione ed inammissibilità di ulteriori istanze non fondate sull'allegazione di fatti nuovi, idonei a modificare la situazione
processuale precedente (in questo senso Cass. 15 maggio 1989, Stimoli, Giust. pen., 1990, III, 437, relativa ad una fattispecie di reiterazione di istanza di scarcerazione per insufficienza di indizi ed attenta nel pun tualizzare che diversamente andrebbe impostato il caso di un'istanza di rimessione in libertà — oggi di revoca della misura della custodia cautelare od altra assimilata — per cui assume rilevanza anche il sem
plice decorso del tempo; Cass. 14 giugno 1989, Caruso, Cass, pen., 1990, 1762; 17 ottobre 1988, Costantino, Foro it., Rep. 1989, voce Li bertà personale dell'imputato, n. 287; 15 dicembre 1986, Palma, id.,
Rep. 1988, voce cit., n. 206; 27 maggio 1985, Castiello, id., Rep. 1986, voce cit., n. 142; 24 giugno 1980, Speranza, id., Rep. 1981, voce cit., n. 26. Più drasticamente, invece, Cass. 27 agosto 1984, Desiderio, id.,
Rep. 1985, voce Istruzione penale, n. 60, afferma che i provvedimenti sulla libertà personale, anche se impugnati con esito negativo o non
impugnati, non determinano mai situazioni intangibili). Nel caso di specie, tuttavia, l'automatico adeguamento della corte
al surriferito indirizzo giurisprudenziale sembra ingiustificato e censura bile sotto molteplici profili: in primo luogo, il giudicato poteva ritenersi formato non già sulla revocabilità o meno della misura cautelare, ma sulla legittimità o meno della sua originaria adozione da parte del g.i.p., posto che la decisione di rigetto intervenuta con la sentenza 6 giugno 1990 concerneva il ricorso avverso l'ordinanza impositiva della misura e non già un ricorso avverso decisione in materia di revoca della misura medesima (del tutto diversi erano, dunque, i petita dei due gravami nonché i presupposti, la natura ed il contenuto dei provvedimenti impu gnati); in secondo luogo, una volta intervenuta la decisione sull'istanza di revoca da parte del g.i.p., cui, semmai, sarebbe spettato dichiararne
l'inammissibilità, ed intervenuta, altresì', la decisione del tribunale in
grado di appello, non è dato ravvisare il fondamento di un diniego dell'invocato controllo di legittimità del provvedimento ormai pronun ziato dal giudice di merito sull'assunto dell'intangibilità di un preteso giudicato, che non aveva, comunque, impedito, nei precedenti gradi, il compiuto esame dell'istanza; in terzo luogo, è agevole rilevare che la corte, contraddicendo se stessa, dopo aver affermato l'assenza di modificazioni del quadro processuale quale delineato a fondamento del
precedente ricorso per saltum, ha, invece, preso espressamente in consi
derazione, entrando nel merito della questione, gli effetti della soprav venuta entrata in vigore della 1. n. 86 del 1990 (recante modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) sulla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 324 c.p. allineandosi a Cass., sez. un., 20 giugno 1990, Monaco (id., 1990, II, 637, con nota di Fian
daca) nel negare alle nuove norme efficacia di abolitio criminis nei confronti del delitto di interesse privato in atti d'ufficio: il ricorrente
aveva, dunque, contrariamente all'assunto della corte, prospettato una rilevante modificazione della situazione anteatta, essendo, addirittura, mutato medio tempore il quadro normativo di riferimento e, comun
que, inconcepibile appare una pronunzia di inammissibilità del ricorso una volta intervenuto l'esame, nel merito, di taluna delle questioni dedotte.
I giudici di legittimità hanno, inoltre, totalmente ignorato la recente ordinanza n. 269 in data 25 maggio 1990 della Corte costituzionale che, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità co stituzionale degli art. 254 bis e 279 c.p.p. del 1930, sottopostale da Trib. Napoli, ord. 5 dicembre 1989, per sospetto contrasto con l'art. 97 Cost., nella parte in cui le citate norme processuali consentivano la reiterazione di istanze in materia di libertà personale pur in assenza di nuovi elementi di giudizio, ha escluso ogni profilo di arbitrarietà ed irragionevolezza della disciplina impugnata, rimarcandone, per con
tro, la piena rispondenza alle esigenze di una «effettiva, integrale difesa
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