sezione I penale; sentenza 6 aprile 1987; Pres. Carnevale, Est. Esposito, P.M. (concl. conf.); imp.Minore. Conflitto di competenzaSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.639/640-641/642Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179800 .
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PARTE SECONDA
pio generale della inviolabilità della libertà personale, enunciato
dal 1° comma, della più particolare regolazione di determinati
aspetti della libertà stessa con prevalente riguardo alle esigenze della difesa penale e pertanto all'esplicazione di poteri coercitivi
concernenti la detenzione, l'ispezione o la perquisizione personale. Per l'esatta determinazione della portata di questo 2° comma
è, tuttavia, indispensabile interpretare il significato della formula
di chiusura ivi apposta: «Né qualsiasi altra restrizione della liber
tà personale». La formulazione ampia e generalizzata del 1° comma dell'arti
colo in questione ed il riferimento nel 2° comma a restrizioni
coercitive ed a qualsiasi altra restrizione fa intendere che que st'ultima è qualcosa di altro dalle restrizioni ivi specificate in mo
do esemplificativo e non certo tassativo.
Nella stessa Carta costituzionale la «libertà personale» è stata
anche richiamata nell'art. 68 che, al 2° comma, ribadisce il di
sposto dell'art. 13: «. . . nessun membro del parlamento può es
sere sottoposto a procedimento penale né può essere arrestato
o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perqui sizione personale o domiciliare . . .».
L'inserimento nell'art. 13 (ed anche nell'art. 68) del divieto espli cito di qualsiasi altra restrizione oltre quelle già elencate fa inten
dere che il costituente ha voluto garantire non solo quelle restrizioni
che annullano totalmente, attraverso misure coercitive, la dispo nibilità che l'individuo ha della propria persona fisica (detenzio
ne, ispezione o perquisizione personale) ma anche altre privazioni della libertà personale che comprimono o restringono tale libertà.
Il significato del termine «restrizione» infatti non è quello di
una completa soggezione dell'individuo alla coercizione esercita
bile dalle autorità pubbliche; ma sta ad indicare qualsiasi costri
zione che restringa la libertà individuale.
Oltre a quelle misure coercitive, enunciate in via esemplificati va nell'articolo in esame, il costituente, dunque, con la formula
di chiusura apposta, ha voluto altresì' garantire qualsiasi altra re
strizione che comprima la libertà individuale. Si è voluto impedi
re, cosi, «qualunque forma vessatoria» (art. 8 del progetto).
Pertanto, la Carta costituzionale ha inteso la libertà personale come disponibilità della propria persona fisica; ha individuato
detta disponibilità, in modo precipuo in quelle misure coercitive
(detenzione, ispezione o perquisizione personale) che annullano
totalmente la manifestazione essenziale della libertà di disposizio ne del proprio corpo impedendo, naturaliter, la libertà di movi
mento; ha, infine, indicato come sua violazione qualunque
soppressione e qualsiasi altra compressione di tale libertà.
È infatti, in rapporto alla disponibilità che ognuno ha del pro
prio corpo, la libertà personale è la possibilità di determinare
l'azione dei propri organi secondo la propria volontà e, cioè, li
bertà di movimento in senso lato.
Orbene il ritiro o il rifiuto del passaporto restringe il cittadino
in un ambito territoriale circoscritto togliendogli la facoltà di uscire dal territorio dello Stato; cosicché, in sostanza, l'individuo non
ha più a sua disposizione una serie indeterminata di direzioni a
cui esplicare la propria libertà con conseguente restrizione del di
ritto di disporre fisicamente di se stessa e quindi della sua libertà
personale. Tale restrizione, anche se non comprende una coercizione fisi
ca sulla persona, impedisce quella libertà di movimento che è
estrinsecazione della più generale libertà personale ed è diversa
solo quantitativamente dall'arresto o dalla detenzione.
La volontà e la possibilità di spostarsi al di fuori dei confini
dello Stato incide, dunque, direttamente su quella libertà di di
sposizione della propria persona fisica, il cui contenuto essenziale
è la libertà di locomozione e, solo indirettamente, su quel diritto
di espatrio che è garantito prima ancora che dalla legge della
stessa Costituzione.
Tale diritto non può, quindi, ritenersi estraneo alla garanzia indicata dal costituente garanzia che tende a preservare l'indivi
duo da ogni illegale impedimento nei confronti della sua persona. Il ricorso, dunque, è ammissibile.
Non sussiste, però, il denunziato difetto di motivazione. Il giudice ha chiaramente motivato, in base ad una valutazione
discrezionale degli atti, il suo convincimento.
Egli, infatti, ha fatto esplicito ed espresso richiamo alla delica
tezza e complessità delle indagini e di conseguenza alla necessità
di assicurare la presenza fìsica dell'imputato nella successiva fase
dibattimentale; ha indicato, inoltre, in relazione alla gravità dei
fatti, il pericolo di fuga da parte dell'imputato; pericolo che, in
Il Foro Italiano — 1988.
rapporto alla necessità della tutela della pretesa punitiva statuale,
può comportare, naturalmente, valutazioni diverse in relazione
ai vari stati e gradi del procedimento. Il rigetto del ricorso, infine, comporta la condanna del ricor
rente alle spese del procedimento.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 aprile
1987; Pres. Carnevale, Est. Esposito, P.M. (conci, conf.);
imp. Minore. Conflitto di competenza.
Perizia in materia penale — Liquidazione del compenso ad opera di organo collegiale — Reclamo — Competenza — Decisione — Ricorso per cassazione — Ammissibilità (Cost., art. Ili; cod. proc. pen., art. 190; 1. 13 giugno 1942 n. 794, onorari
di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in mate
ria civile, art. 29; 1. 8 luglio 1980 n. 319, compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le ope razioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, art. 11).
La liquidazione dei compensi spettanti ai periti per le operazioni
eseguite a richiesta di organi collegiali è effettuata, con decreto
emesso de plano, dallo stesso organo che ha proceduto alla
nomina; avverso tale provvedimento l'interessato può proporre reclamo allo stesso giudice il quale provvederà — secondo lo
speciale procedimento in contraddittorio previsto dall'art. 29
I. n. 794 del 1942 — con ordinanza ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost. (1)
(1) La Cassazione, risolvendo con la sentenza in rassegna il conflitto, insorto tra il Tribunale di Trapani e la Corte d'appello di Palermo, in ordine alla competenza a decidere sul ricorso avverso il decreto che di
spone la liquidazione dei compensi spettanti al perito, qualora sia stato nominato da un giudice collegiale, ha statuito che compete allo stesso
giudice sia procedere alla «prima liquidazione», con decreto emesso de
plano, che decidere con ordinanza — nel contraddittorio tra le parti se condo la speciale procedura prevista dall'art. 29 1. 13 giugno 1942 n. 794 — in ordine all'eventuale «ricorso» proposto dagli interessati.
Il conflitto trovava origine nella circostanza che la vigente disciplina regola l'ordinario caso di provvedimento di liquidazione dei compensi emesso da un giudice monocratico, mentre non prende in considerazione
l'ipotesi, sia pure eccezionale, nella quale tale provvedimento venga pro nunciato da un organo collegiale. Secondo l'art. 11 1. 8 luglio 1980 n.
319, infatti, la liquidazione dei compensi spettanti al perito, all'interprete ed al traduttore deve essere disposta con decreto motivato del giudice (o del pubblico ministero, se si procede con istruzione sommaria) che 10 ha nominato ed avverso tale provvedimento gli interessati, il pubblico ministero e le parti private possono proporre «ricorso» al tribunale o alla corte d'appello alla quale appartiene il giudice o presso cui esercita la sua funzione il pubblico ministero, ovvero nel cui circondario ha sede 11 pretore che ha emesso il decreto.
La declaratoria di incompetenza del Tribunale di Trapani si fondava sulla configurazione del «ricorso» quale mezzo di impugnazione e sulla
conseguente necessaria devoluzione della cognitio causae al giudice di grado superiore. Viceversa, la Corte d'appello di Palermo si era dichiarata in
competente adducendo che, nel caso di specie, il decreto di liquidazione era inoppugnabile in quanto già deliberato da un organo collegiale. In altri termini, la garanzia opererebbe esclusivamente nell'ipotesi di liqui dazione disposta da un giudice monocratico per consentirne il controllo da parte dell'organo collegiale.
La Corte di cassazione, pur attribuendo la competenza a decidere sul «ricorso» al Tribunale di Trapani, e cioè allo stesso organo che aveva emesso il decreto di liquidazione, ha disatteso le argomentazioni addotte dalla Corte d'appello di Palermo.
Ed invero, secondo il Supremo collegio, la ratio della norma di cui all'art. 11 1. 319/80 va individuata nell'esigenza di consentire comunque un controllo, nel contraddittorio tra le parti, del decreto di liquidazione dei compensi adottato de plano. E ciò sia nell'ipotesi, disciplinata espres samente, che il provvedimento sia stato emesso dal giudice monocratico, il quale «ordinariamente» dispone la perizia, che in quella, del tutto ana
loga, in cui la liquidazione sia effettuata dall'organo collegiale che ha conferito l'incarico peritale. Conseguentemente, il «ricorso» deve confi
gurarsi quale «opposizione o reclamo» senza la necessaria devoluzione al giudice superiore, mentre la non impugnabilità, prevista espressamente dall'art. 29 1. 13 giugno 1942 n. 794 — richiamato dall'art. 11, 6° com
ma, 1. 319/80 — per l'ordinanza che decide sul «ricorso», non può evi
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GIURISPRUDENZA PENALE
Premesso. — 1. - Con ordinanza del 17 ottobre 1986 il Tribu
nale di Trapani ha dichiarato la propria incompetenza a decidere
il ricorso proposto dal geometra Rosario Bellissimo e dal dott.
Onofrio Fici avverso il decreto con il quale quel tribunale aveva
disposto la liquidazione dei compensi spettanti ai predetti in rela
zione all'opera espletata nella loro qualità di periti nel procedi mento instaurato a carico di Minore Calogero per l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubbli ca sicurezza ed ha ordinato la trasmissione degli atti alla Corte
d'appello di Palermo, ritenuta competente. L'adita corte ha, però, ricusato di prendere cognizione dal pro
cedimento e, con ordinanza del 20 gennaio 1987, ha ordinato
la trasmissione degli atti a questa corte per la soluzione del con
flitto. 2. - Il rifiuto della cognizione del procedimento vien correlato,
da parte del tribunale, alla individuazione del «ricorso» previsto dall'art. 11 1. n. 319 del 1980 quale tipico mezzo di gravame a
cognizione necessariamente devoluta al giudice ad quem, e, da
parte della corte di merito, alla ritenuta «inoppugnabilità» del
decreto di liquidazione, che sia stato ab initio deliberato da giudi
ce collegiale. Osserva. — 1. - Il conflitto, ammissibile in rito, va risolto nel
senso indicato dalla corte di appello, sia pure per ragioni diverse
da quelle della stessa prospettate. 2. - È opportuno premettere che nel sistema indicato dall'art.
11 della citata legge il «ricorso» è chiaramente connotato come
«opposizione» o «reclamo» avverso il decreto motivato di liqui
dazione dei compensi, posto che la sua cognizione — fuor dei
casi, funzionalmente diversi, di provvedimenti adottati dal pub
blico ministero o dal pretore — è attribuita all'organo collegiale
al quale appartiene il giudice che tale decreto ha emesso, mentre
la tesi della «inoppugnabilità» dei decreti emessi da organi colle
giali svolta dalla corte di merito risulta in insanabile contrasto
con la ratio nell'istituto e testualmente ed evidentemente smentita
dalla disposizione del 5° comma dell'articolo in esame, mirante
chiaramente ad istituire un rimedio di carattere generale contro
ogni decreto di «prima» liquidazione, emesso ai sensi del 1° com
ma dello stesso articolo.
In altri termini, il sistema prevede, dapprima, una liquidazio
ne, adottata con decreto — che viene emesso, de plano e senza
alcun contraddittorio, da parte del giudice che ha nominato il
perito, consulente, interprete o traduttore — e, quindi, la possi
bilità di un ricorso di tali soggetti avverso il decreto predetto;
ricorso devoluto alla cognizione dell'organo collegiale di appar
tenza, il quale, nel contesto, di tale «riesame», deve provvedere
con «ordinanza non impugnabile» ed a seguito di contraddittorio
con l'interessato, secondo la speciale procedura prevista dall'art.
29 1. 794/42, espressamente richiamato dall'art. 11 (6° comma).
3. - Ora, è ben vero che la norma in esame contiene una previ
sione riferita esclusivamente all'ordinario caso di incarico confe
rito da un organo monocratico, ma — come giustamente osserva
il procuratore generale presso questa corte nella sua requisitoria
scritta — non occorrono grandi sforzi ermeneutici per adattare,
in via estensiva, il disposto alla ipotesi, non espressamente previ
sta, di «prima» liquidazione effettuata dall'organo collegiale di
rettamente, con decreto emesso de plano. In tale ipotesi, invero, la situazione non trova soluzione né con
l'attribuzione al «ricorso» di una natura giuridica che non gli
compete strutturalmente, implicante una inammissibile cognizio
ne di un giudice ad quem; né con la pretesa «definitività» del
decreto emesso in prima liquidazione e senza contraddittorio, ine
dentemente estendersi al decreto emesso in prima liquidazione e senza
contraddittorio. In ogni caso, la corte ha affermato, sia pure per inciso, che l'ordinanza
emessa a seguito del «ricorso» è ricorribile ex art. Ill Cost., cosi' unifor
mandosi all'orientamento prevalente che fonda l'ammissibilità del ricorso
per cassazione sul presupposto che trattasi di provvedimento, non altri
menti impugnabile, «che incide certamente su posizioni di diritto sogget tivo ed ha natura sostanziale di sentenza» (Cass. 5 febbraio 1985, Lanciano,
Foro it., Rep. 1986, voce Perìzia penale, n. 25, e, per esteso, in Cass.
pen., 1986, 1129; 17 novembre 1983, n. 6857, Foro it., 1984, I, 3016;
e, in dottrina, Luccioli, Il ricorso per cassazione nel procedimento per la liquidazione dei compensi ai periti, in Cass. pen., 1986, 1132; contra, Cass. 22 maggio 1985, Di Lonardo, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n.
26, e, per esteso, in Cass. pen., 1986, 1130). [E. D'Angelo]
Il Foro Italiano — 1988.
rendo tale definitività alla sola ordinanza — omessa in contrad
dittorio — nel contesto della speciale procedura ex art. 29 1.
794/42, che non può restare preclusa alla parte per effetto del
precedente decreto (tra l'altro, trattasi di inoppugnabilità che non
esclude il ricorso ex art. Ill Cost., come hanno giustamente rite
nuto le sezioni civili di questa corte in numerose decisioni). L'ovvia soluzione resta, invece, individuata nel senso che, in
caso di organo collegiale che abbia proceduto a nomina, al mede
simo organo compete il potere di «prima» liquidazione con de
creto adottato de plano, in applicazione — anche per ciò che
concerne la competenza funzionale — del disposto del 1 ° comma
dell'articolo in esame, senza che la natura collegiale del provvedi mento possa essere di ostacolo alla proposizione del «ricorso».
La cognizione del rimedio concesso agli interessati resta, in tal
caso, attribuita al medesimo organo collegiale che — quale giudi ce di tale speciale «riesame» — dovrà tuttavia provvedere, in tale
diversa veste (e nel rispetto della procedura in contraddittorio,
essenziale a tale fase di riesame), con l'ordinanza non impugnabi le prevista dall'art. 29 1. 794/42.
4. — Dichiarata la competenza del Tribunale di Trapani, gli atti vanno trasmessi allo stesso giudice per il corso ulteriore.
I
TRIBUNALE DI CUNEO; sentenza 6 maggio 1988; Pres. ed est.
Franco; imp. Re e altri.
TRIBUNALE DI CUNEO;
Incolumità pubblica (reati e sanzioni amministrative contro la) — Uso di prodotti anabolizzanti — Adulterazione di carni bo
vine — Reato — Sussistenza (Cod. pen., art. 440). Incolumità pubblica (reati e sanzioni amministrative contro la)
— Adulterazione di sostanze alimentari — Pericolo per la salu
te pubblica — Ricorrenza — Estremi (Cod. pen., art. 440).
L'uso di sostanze anabolizzanti da parte di un allevatore costitui
sce adulterazione e corrompimento delle carni bovine a norma
dell'art. 440 c.ptale attività, infatti, realizza un pericolo ef
fettivo e concreto per la salute pubblica soprattutto allorché
dette sostanze sono utilizzate senza alcun criterio di carattere
tecnico-scientifico accettabile e cioè senza un dosaggio o fre
quenza prefissati da intenditori e quindi senza quelle cautele
di carattere sanitario che potrebbero rendere le sostanze in og
getto meno o per nulla pericolose. (1)
(1) I. - Le sentenze in rassegna, oltre a rappresentare un diverso punto di vista sul medesimo problema, intervengono in un settore, quello della
repressione penale dell'impiego fraudolento di sostanze anabolizzanti, nel
quale, per la verità, sono estremamente scarsi i precedenti giudiziari sia
di merito che di legittimità. A questo ultimo riguardo, è assai poco vero
simile ipotizzare che il modesto numero di pronunce penali in materia
di uso di estrogeni rifletta realmente lo «stato della legalità» nel nostro
paese: in realtà, l'utilizzazione di ormoni per favorire la crescita artificia
le dei bovini è ancora diffusa e non poche sono le difficoltà di ordine
tecnico e giuridico, soprattutto sul piano del riscontro probatorio, per
reprimere adeguatamente tale fenomeno. Basti pensare, a titolo di esem
pio, che non sono ancora sufficientemente affinate le metodiche analiti
che per la ricerca degli anabolizzanti in modo da renderle più efficaci
di quelle tradizionali che oggi appaiono largamente superate. Le decisioni meritano un'attenzione particolare anche alla luce di quanto
è accaduto in campo comunitario sul problema degli estrogeni. Ha infatti
destato preoccupazione nell'opinione pubblica la decisione della Corte
di giustizia del 23 febbraio 1988 che, in accoglimento del ricorso presen tato dal Regno Unito, con l'appoggio della Danimarca, ha annullato,
per vizio di forma, la direttiva Cee del 31 dicembre 1985 n. 85/649 (Gaz
zetta ufficiale Cee, n. 382/228 del 31 dicembre 1985). Questa direttiva
aveva completato il programma già avviato con la precedente direttiva
del 31 luglio 1981, n. 81/602 (Gazzetta ufficiale Cee, L 222 del 7 agosto
1981), concernente il divieto di impiego di talune sostanze ad azione or
monale. Tale direttiva, infatti, vietava l'uso delle sostanze stilbeniche e
tireostatiche; consentiva invece la somministrazione di talune sostanze a
scopo di ingrasso, quali il 17 beta estradiolo, il progesterone, il testoste
rone, il trembolone e lo zeranolo. La direttiva del dicembre 1985 ha inve
ce vietato categoricamente l'utilizzo nell'alimentazione degli animali destinati
all'ingrasso di qualsiasi sostanza ormonale; ha autorizzato la sommini
strazione del 17 beta estradiolo, del testosterone e del progesterone unica
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