Sezione II penale; sentenza 20 gennaio 1952; Pres. Pannullo P., Est. D'Arienzo, P. M. Aromatisi(concl. diff.); ric. Delle DonneSource: Il Foro Italiano, Vol. 75, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1952), pp.115/116-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23142966 .
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115 PARTE SECONDA 116
Nei te.mini su esposti le Sezioni semplici della Cassa
zione hanno sempre interpretato l'art. 45 del Trattato, a
cominciare dalla sentenza 10 maggio 1950 della II Sez., ric. Cartonnet (Foro it., Rep. 1950, voce Estradizione, n. 13), nella quale, adottandosi la conforme requisitoria dell'Av
vocato generale della Cassazione, si è ritenuto applicare l'art. 45 del Trattato anche a coloro che, condannati in
contumacia, avevano, nello Stato richiedente, il diritto, se
arrestati, ad un nuovo giudizio in conformità di quanto
disponeva il nostro codice di rito del 1913 con l'art. 475.
In tal caso l'estradando, si legge testualmente nella requi sitoria e quindi nella sentenza, si trova ancora nella posi zione processuale di imputato, rientrando così pienamente nella previsione della norma contenuta nell'art. 45 del
Trattato, formulato in modo da apparire riferito agli im
putati e non ai condannati.
Soggiungono requisitoria e sentenza che, nel caso di
specie, non era necessario far ricorso alla diversa e più
ampia formulazione adottata nell'art. 2 decreto 26 feb
braio 1948, dove si parla di imputati o condannati, for
mulazione la cui portata amplificatrice rispetto al Trattato
di pace potrebbe dar luogo a riserve circa la sua legitti mità costituzionale, trattandosi di legge successiva alla
Costituzione, e che perciò non potrebbe aggiungere una
nuova deroga alla disposizione dell'art. 10, 3° comma, della
Costituzione stessa. In verità, nei confronti delio Stato ri
chiedente basterebbe, per negare l'estradizione, richiamarsi
al disposto dell'art. 45 e osservare che questo impone la
consegna degli imputati, ai lini di un successivo giudizio, e non già dei condannati definitivi, come si verifica nel
caso odierno del Court.
Ma non si può prescindere dall'esame della legge in
terna, emanata per l'applicazione dell'art. 45 del Trattato, e cioè del decieto 26 febbraio 1948 n. 363, che ammette
invece, indifferenziatamente, la consegna degli imputati e dei condannati politici. La sentenza della sezione istrut
toria della Corte di appello di Roma ha sottoposto a
sindacato tale decreto sia per quanto attiene alla sua
conformità alla legge di delega, sia per quanto attiene alla
sua legittimità costituzionale e cioè alla sua conformità
alle norme della Carta costituzionale.
Il decreto legisl. 28 novembre 1947 n. 1430, che ha
dato esecuzione al Trattato di pace, stabilisce testualmente
all'art. 2 : « Con decreti del Capo dello Stato, previa de
liberazione del Consiglio dei ministri, a norma dell'art. 3,
n. 1, della legge 31 gennaio 1926 n. 100, saranno emanati
i provvedimenti necessari anche in deroga alle leggi vi
genti, per l'esecuzione del Trattato di pace fra l'Italia e
le Potenze alleate e assoc.ate».
Con tale disposizione si è delegato al Governo il potere di emanare norme di esecuzione delTiattato, e più preci
samente, per quanto interessa la decisione odierna, norme
di esecuzione dell'art. 45 del Trattato stesso. Al Governo,
quindi, per l'emanazione delle norme di esecuzione, fu
data facoltà di emanare disposizioni anche in deioga alle
leggi vigenti nello Stato, ma non certo in deroga al Trat
tato stesso, perchè la legge di delega, ampia quanto si
vuole, non poteva consentire che si oltrepassassero i limiti
della delegazione e cioè che le disposizioni emanate an
dassero al di là della mera esecuzione del Trattato.
Non si contesta, nè dal P. m. ricorrente nè dal Procu
ratore generale di questa Corte, il potere-dovere dell'auto
rità giudiziaria di sindacare la legittimità delle leggi de
legate. La nostra tradizione giuridica è in tal senso, e cioè
che il magistrato può sempre esaminare se i limiti della
legge di delega siano stati osservati e quindi negare effi
cacia alle norme che costituiscano un eccesso o comunque una deviazione rispetto alla delega. Nessuna modificazione
è stata apportata, a questo principio, dalla legge 31 gen naio 1926 n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di
emanare norme giuridiche, la quale all'art. 3, n. 1, stabilisce
che « con decreto reale possono emanarsi norme aventi
forza di legge quando il Governo sia a ciò delegato da
una legge ed entro i limiti della delegazione». Nè potrebbe diversamente argomentarsi dall'art. 76 della Costituzione,
par il quale l'ese.cizio della funzione legislativa non può
essere delegata al Governo se non con determinazione di
principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e
per oggetti definiti.
Ora se il Trattato di pace autorizza, o meglio impone, la consegna delle persone ancora giudicabili e non già di
quelle condannate, il Gove no, nell'emanare le norme per l'esecuzione dell'art. 45 del Trattato di pace, non aveva
facoltà di comprendere fra gli estradandi anche i condan
nati (nel significato tecnico giuridico di sopra accennato) e avendo perciò oltrepassato i limiti della legge di delega, il giudice dovrà dichiarare la inefficacia della norma re
lativa, limitatamente, s'intende, alla previsione fatta nel
decreto dei condannati politici ed al caso deciso.
Inoltre, sulle norme emanate con decreto 26 febbraio
1948 n. 363 la Sez. istruttoria, con la sentenza impugnata, ha esercitato, sotto altro profilo, un sindacato di legitti mità costituzionale, rip endendo i rilievi già fatti dalla
Cassazione nella citata causa Cartonnet ; rilievi che non
possono non ritenersi esatti.
Basterà infatti ricordale che, se le Sezioni unite penali nella decisione Eerti del 15 marzo 1948 hanno riconosciuto
efficacia dopo la promulgazione della Costituzione ai Trat
tati conclusi anterio mente, anche se contrari all'art. 10, 3° comma, della Costituzione, tal- efficacia non può essere
ammessa se non nei limiti stabiliti dai trattati stessi.
Quiudi, una volta ritenuto che l'art. 45 del Trattato di
pace riguarda unicamente gli imputati, una legge che abbia,
dopo il 1° gennaio 1948, riconosciuto la possibilità di con
cede e l'est adizione ai condannati politici, alla gando così
la portata del Trattato inte nazionale oltre i limiti da questo
segnati, è in evidente contrasto col citato art. 10 della
Costituzione.
Questa seconda indagine non è oggi vietata agli o gani
giurisdizionali in virtù degli art. 134, 136 e 137 della
Costituzione e dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948
n. 1 pe chè, fino a quando non entri in funz'one la Corte
costituz'onale, la decisione delle controversie indicate nel
l'art. 134 della Costituzione ha luogo nelle forme e nei
limiti delle norme preesistenti all'entr ata in vigo e de la
Costituzione stessa (VII disp. transitoria Cost.). L'esercizio
di questo sindacato di legittimità costituzionale va effet
tuato limitatamente al caso deciso. Il giudice cioè può conoscere di tutte le questioni di costituzionalità ineidenter
tantum, al solo effetto di ammettere o di negare l'appli cazione della legge al caso concreto : in tal senso si è pro nunciata sostanzialmente la IV Sezione del Consiglio di
Stato con decisione 9 maggio 1951 (Demetz ed altri c. Mi
nistero interni, Foro it., 1951, III, 105) con l'adesione di
auto evole dottrina.
Per questi motivi, ecc.
CORTE DI CASSAZIONE.
Sezione li penale; sentenza 20 gennaio 1952; Pres. Pan
nullo P., Est. D'Arienzo, P. M. Aromatisi (conci,
diff.) ; ric. Delle D^nne.
(Sent, denunciata : Trib. Napoli 13 dicembre 1948)
Difensore nel giudizi penali — Impossibilità a com
parire del difensore di fiduciu — Istanza di rin
vio — Prosecuzione del dibattimento e nomina del
difen-ore d'ufficio —Violazione dei diritti di assi
stenza dell'imputato — Insussistenza (Cod. proc.
pen., art. 128, 185, 497).
Nell'ipotesi di legittimo impedimento del difensore di fidu cia a comparire al dibattimento, non s ino violati i di
ritti di dife a dell'imputato, se il giudice di merit >, di
sattendendo l'istanza di rinvio, no nini un difensore di
ufficio ed ordini la prosecuzione del dibattimento. (1)
(1) Non risultano precisi precedenti giurisprudenziali editi. Per una ipotesi di nullità del dibattimento • per irregolare
costituzione del contraddittorio >, nel caso del difensore che non
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117 GIURISPRUDENZA PENALE 118
La Corte, ecc. — Delle Donne Luciano, querelato per minacce ed ingiurie da G-ragnaniello Nicola, fu prosciolto por insufficienza di prove dal Pretore di Nola e poi dal
Tribunale di Napoli. Ricorre ora per cassazione, e denun
cia che il d, battimento di appello venne celebrato, il 13
dicembre 1948, nell'assenza del dfensore di fiducia legit timamente impedito.
Il ricorso è infondato. Rilevasi dagli atti che alla udienza
conclusiva del giudizio di secondo grado, datasi lettura di
un ce tificato medico attestante la malattia del difenso-e di
fiducia dell'imputato, venne lifiutato, su confo ine richiesta
del P. m. e malgrado l'opposizione del difensore di ufficio, il rinvio della causa. In quella occasione fu osservato fra
l'altro, che già due volte il dibattimento era stato riman
dato per l'impedimento a parteciparvi del difensore di
fiducia.
Ossei va il Supremo collegio che il provvedimento con
tenente l'o dine di prosecuzione del giudizio fu legittima mente pronunciato, giacche il Tribunale non mancò di esa
minare la istanza pervenutagli, ed era libero di valutarla
e di decidere insindacabilmente su di essa nel senso sfavo
revole. Nè con esso sono stati lesi i diritti di esercizio e
di assistenza p ocessuale dell'imputato, giacché non si
omise di tutelarli adeguatamente con la nomina di un di
fensore di ufficio, il quale intervenne nella discussione
sull'incidente e continuò a prestare la sua attività durante
tutta la fase dell'udienza pubblica, di guisa che il preve nuto non rimase privo mai della protezione spettantegli.
Al riguardo occorrerà appena richiamarsi all'art. 128
cod. p'oc. pen., il quale considera appunto la eventualità
in cui l'impntato rimanga comunque sprovvisto del difen
sore di fiducia: e codesta circostanza non viene regolata con riferimento alla cagione di essa, giacché il principio della obbligatorietà del concorso del patrocinato impone soltanto che si p-oceda alla sostituzione del difensore as
sente, e non distingue ri-ca le ragioni che giustifichino o
meno la mancata comparizione di quello di fiducia.
Codesto criterio corrisponde esattamente alla concezione
che deve aversi del difensore, il quale assume lo stes-o
aspetto e viene parimenti definito, sia che la di lui legitti mazione rappresentativa derivi da una nomina conven
zionale, sia che tragga origine da una nomina legale: l'isti
tuto della difesa, infatti, resta in entrambi i casi assolu
tamente unitario, ed ha unitaria disciplina, intesa p-eci
puamente a conseguire una collaborazione professionale per uno scopo di pubblico interesse. È pe-ciò che il cod'ce d
rito, nell'impor e come indispensabile l'intervento del di
fensore in ciascun grado del p-ocedimento, è soddisfatto
della di lui presenza e della di lui partecipazione fattiva,
e non si preoccupa di fare differenza tra difensore di fidu
cia e difensore di ufficio ai fini dell'attuazione della regola della necessità dell'assistenza difensiva.
D'alt o canto, non si può nemmeno pretendere che al
difensore di fiducia sia rionosciuta la stessa condizione
processuale che è- p-evista per l'imputato dall'art. 497, in caso di giustificata sua impossibilità a presentarsi, giacché per tale assimilazione manca in proposito una disposizione espressa (cfr. invece l'art. 123 per il responsabile civile e per il civilmente obbligato per l'ammenda). Qualsiasi
opinione si abbia circa la natura giuridica della difesa nel
rapporto penale, anche se volesse d ivvero adottarsi il con
cetto che difensore ed imputato costituiscano due organi raccolti strettamente in un'unica figura di parte-difesa, è
certo che ciascuno dei due soggetti ha una situazione ed una funzione distinta e di diverso valore, giacché solo la
persona dell'imputato assume nel rapporto giuridico pe nale la qualità di parte principale, in misura tale da non
poter giammai essere sostituita.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
abbia potuto svolgere interamente le proprie conclusioni orali a causa del tumulto minaccioso del pubblico, cfr. : Cass. 8 marzo
1948, Battistini, Foro it., Rep. 1^48, v ce Difensore pen., n. 6. In dottrina confi*. : Sabatini (Giuseppe), Del legittimo im
pedimento del difensore di fiducia a comparire al dibattirhento, in Giust. pen., 1052, III, 208 ; Sulla funzione della difesa nel processo penale, id., 1948, III, 316.
TRBDN1LE SUPREMO MILITARE.
Sentenza 30 maggio 1952 ; Pres. Buoncompagni, Est
Ciardi, P. M. Olivieri (conci, conf.) ; ric. P. M. c Palumbo.
(Sent, denunciata : Trib. mil. terr. Taranto 6 marzo 1951)
TruHa — Truffa in danno dell'Amministrazione mi litare — Riscossione di assegni per servizio pre stato con grado superiore a quello legittimamente rivestito — Danno dell'Amministrazione militare
(Cod. pen. mil. pace, art. 234 ; cod. pen. mil. gueira, art. 47).
Deve rispondere di truffa il militare che abbia percepito as
segni superiori a quelli speltantigli, per aver prestato, a
seguito di raggiro, servizio con un grado superi re a
quello di cui era legittimamente rivestito, anche se il con
creto esercizio delle funzioni inerenti al grado usurpato sia stato idoneo e meritorio. (1)
Sussiste il danno dello Stato, quando questo paga quanto non è dovuto e il danno si identifica con la somma cor
risposta a titolo di indebito pagamento. (2)
Il Tribunale, ecc. — Il ricorso del P. m. è fondato.
Questo Tribunale supremo militare, già con sentenze 28 novembre 1950 (ric. Cali) e 9 maggio 1952 (ric. Pe
truzzelli) ha affermato in fattispecie analoghe il principio
(1-2) 11 Tribunale supremo militare ha più volte deciso con formemente con le sentenze 1 agosto 1947, Nipoti ; 28 novembre
1950, Cali ; 11 maggio 1951, Dominici ; 26 giugno 1951, Bellucco ; 9 maggio 1952, Petruzzelli, annullando, su ricorso del P. m., le sentenze assolutorie dal reato di truffa dei tribunali militari ter ritoriali e ripetendo la massima per la prima volta affermata nella sentenza Nipoti (Foro it., Rep. 1947, voce Truffa, n. 18) che deve rispondere di truffa chi, indebitamente assumendo un
grado superiore e prestando il servizio corrispondente, abbia per cepito i relativi maggiori assegni.
Ora il fatto stesso che i tribunali territoriali dal 1947 fino ad oggi si sono più volte ribellati a questa affermazione, già di mostra che la diversa tesi giuridica da essi seguita non è proprio una i tesi peregrina » come è detto nella motivazione della su ri
portata decisione. Anche la dottrina è insorta contro l'indirizzo del Supremo
collegio fin dalla pronuncia della sentenza Nipoti, e con argomen' i di seria rilevanza ; v. Fornaciabi, Sul profitto ingiusto nel a truffa, in Giust. pen., 1948, II, 392.
L'elemento più importante integratore di tutti i reati pa trimoniali, e quindi della truffa, è il danno, e questo danno, per consolidata opinione di dottrina e di giurisprudenza, non può in tendersi in questa materia >n senso giuridico od in senso potenziale bensì in senso effettivo, concreto, ossia come reale menomazione e
squilibrio di patrimonio (v. Angelotti, Le appropriazioni inde bi e, pag. 20 e segg. con gli altri autori ivi citati ; e da ultimo Bettiol, Concetto penalistico del danno nella truffa, in Giur. it., 1947, IV, 4).
Ad un concetto formale e tutt'altro che realistico del danno si giungerebbe d'altra parte nell'assimilarlo sic et simpliciter con l'illecito profitto. Quest'assimilazione non è postillilo, senza for zare il concetto di danno fuori del suo proprio àmbito patrimo niale, per cui il riconoscere truffa là dove, come nella specie, un danno materiale non vi fu o implica un'evanescente espansione del concetto di danno (il che è inammissibile) o equivale a ricono scere un reato di danno, senza danneggiato (il che è assurdo).
Se Tizio vende a Caio una medaglia, attribuendole falsamente un valore storico che non ha, ma tuttavia quella medaglia fu pa gata con somma non superiore al suo valore effettivo, sarebbe
possibile vei'ere in ciò una truffa ? Noi non lo crediamo, chè pur essendovi un inganno e in certo modo anche un illecito profitto dato il modo ingannevole della vendita, tuttavia in definitiva non vi fu alcun pregiudizio economico per l'acquirente.
Certo il Palumbo spacciò con inganno all'Amministrazione mi litare le sue prestazioni di capo cannoniere, ma in realtà esse, lungi dall'essere inferiori alla bisogna, furono anzi tanto me ritorie da provocare perfino una proposta di avanzamento.
Vi fu un abuso di grado, vi fu un raggiro, probabilmente anche un illecito profitto, ma tutto ciò non fu effettuale ai fini del danno. Il circuito costitutivo della truffa non si chiuse, a nostro avviso, con l'estremo essenziale del danno.
G. S. g. a
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