Sezione II penale; sentenza 21 giugno 1949; Pres. Biressi P., Est. Ricciardelli, P. M. Pioletti(concl. conf.); ricc. Graziani ed altri (Avv. Verelli, Errani)Source: Il Foro Italiano, Vol. 73, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1950), pp. 7/8-9/10Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23139087 .
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PARTE SECONDA
Il rilievo appare tanto più decisivo ove si consideri
che è rimasta inveoe immutata la formulazione dell'arti
colo 648 nel quale, per il reato di ricettazione, che pur
presenta notevoli analogie con quello di favoreggiamento, si è affermato il diverso principio che il reato sussiste an
che quando l'autore del delitto, al quale esso si ricollega, non è imputabile o non è punibile.
Di interpretazione estensiva nella specie non può per tanto parlarsi, perchè estendendo il concetto della non
imputabilità sino a comprendervi quello della non puni bilità si farebbero rientrare nella previsione della norma
non già i casi che il legislatore aveva presenti ed inten
deva sottoporre alla stessa disciplina giuridica, ma casi
ben diversi, non soltanto non contemplati, ma volutamente
esclusi.
Si è osservato, in dottrina, ed ha ricordato il ricorrente
nello svolgimento del motivo di ricorso, che in tal modo
si giunge all'assurdo risultato di punire il favoreggiatore
quando il favoreggiato è, per mancanza della capacità pe
nale, sempre un incolpevole, e di lasciarlo impunito nel
caso ben più grave in cui il secondo è persona normal
mente colpevole e solo occasionalmente non punibile per una causa soggettiva. L'osservazione può essere esatta e
spiega i tentativi della dottrina per eliminare tale con
traddizione, ma non è certo decisiva, perchè tra i mezzi
che la legge appresta all'interprete per ricercare il signifi cato ed i limiti di applicabilità della norma non rientrano
quelli relativi alla irrazionalità di essa ed agli inconve
nienti pratici che possono derivarne. E la Corte di cassa
zione, nell'esercizio della sua funzione di supremo organo
regolatore, non può certo confortare col proprio consenso
questi sforzi che, nonostante i lodevoli intenti ai quali sono
ispirati, si risolvono sostanzialmente in una sostituzione
del potere giudiziario a quello legislativo, al quale soltanto
spetta di valutare la opportunità di modificare con nuove
norme quelle vigenti. Per questi motivi, rigotta, ecc.
CORTE SDPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione III penale ; sentenza 27 giugno 1949 ; Pres. Di
Blasi P., Est. Donzellimi, P. M. Perbetti (conci,
conf.); ric. Aebiscer (Avv. Oldrini).
(Sent, denunciata : A pp. Milano 17 maggio 1948)
Amnistia e indulto — D. pres. 8 maggio 1947 n. 460 —
Deportati in Germania per lavoro — Inapplicabilità
(D. pres. 8 maggio 1947 n. 460, amnistia e indulto per reati riguardo ai quali è stato sospeso il procedimento 0 l'esecuzione per causa di guerra, art. 1).
L'amnistìa concessa con d. pres. 8 maggio 1947 n. 460 non è applicabile ai deportati in Germania per lavoro coatto, 1 quali non possono essere equiparati agli internati in
campi nemici di concentramento. (1)
La Corte, ecc. — 11 ricorso ha per oggetto questo unico
quesito : se i deportati in Germania per lavoro coatto siano da considerare alla stessa stregua degli internati in campi nemici di concentramento e se quindi possano, concorrendo le altre condizioni di legge, beneficiare dell'amnistia, a que st'ultimi concessa con il d. presid, 8 maggio 1947 n. 460.
La soluzione negativa a questo quesito non pare dub bia non tanto perchè il provvedimento non possa interpre tarsi estensivamente, come ha affermato la Corte di me
rito, confondendo l'atto di clemenza con la legge penale, ma perchè ostano la dizione stessa del decreto e la ratio
legis. La Relazione ministeriale al decreto in esame non of
(1) Non ci risultano precedenti. Vedila Relazione sul decreto in oggetto in Le Leggi, 1947,
348, la quale, peraltro, come è detto in testo, non offre alcun elemento di chiarimento.
fre, a tale proposito, elementi precisi, essendosi limitata ad illustrare le ragioni pratiche e quelle di equità a fa vore di correi dei militari amnistiati, come cause deter minanti il provvedimento. La ragione invece dell'atto di
clemenza, come si desume dal contesto dell'art. 1, fu quella di indulgere soltanto verso determinate categorie di per sone, le quali : o avevano dei meriti verso la Patria, op pure, per crudeltà dei nemici, erano state sottoposte a trattamento iniquo : le prime, i militari delle Forze ar mate od alleate o partigiane, che avevano partecipato alla
guerra di liberazione ; le seconde gli internati in campi nemici di concentramento. Riconoscenza per gli uni: giu stizia riparatrice per gli altri, dunque.
La sorte degli internati nei campi di concentramento
nemici, specie quelli tedeschi, è purtroppo nota. Furono
privati non solo della libertà, ma sottoposti spesso a se vizie morali e materiali ; nè ebbero mai la possibilità di comunicare con alcuno. I lavoratori coatti, deportati in
Germania, non subirono questo inuma no trattamento. Erano vigilati per impedirne la fuga, ma godevano di una certa libertà ed erano trattati come gli stessi lavoratori
tedeschi, percependo anche una retribuzione per l'opera prestata. Il sacrificio di essi dunque fu soltanto quello del
l'obbligatorietà del la voro in terra straniera. La differenza fra i patimenti degli uni ed il sacrificio degli altri è no tevole ; in tale differenza appunto va ricercata la ragione dell'esclusione dall'amnistia dei deportati per ragioni di lavoro.
Un argomento contrario a questa soluzione negativa non si può trarre dal decreto del Capo dello Stato 23 ago sto 1940 n. 272 (Le Leggi, 1946, pag. 658) come sostiene la difesa del ricorrente, perchè questo decreto ha altro
oggetto ed altra finalità. Esso infatti concerne soltanto i condannati detenuti ; prelevati dalle carceri ed obbligato riamente deportati in Germania od altrove e quivi inter nati in campi di concentramento, oppure adibiti a lavoro coatto ; tutto ciò unicamente per il computo del tempo là trascorso ai fini della espiazione della pena. Limitato
l'oggetto del provvedimento, si spiega la ragione della pa rificazione dei detenuti internati ai detenuti lavoratori coatti : entrambi, per ragioni estranee alla loro volontà, si trovarono in condizione di non potere espiare la pena a
tempo debito. Quindi nessuna analogia fra queste norme e quelle del provvedimento di amnistia del 1947.
Comunque, dal raffronto dei due provvedimenti, si trae anzi un argomento contrario alla tesi del ricorrente. Se nel decreto del 1946 si indicarono distintamente le due
categorie di internati e di deportati, altrettanto avrebbe fatto il decreto di amnistia del 1947, qualora avesse voluto estendere il beneficio anche ai secondi. Trattasi quindi di omissione volontaria, che dimostra ancora di più la deter minazione di escludere i lavoratori coatti in Germania dall'amnistia.
Risulta dalla impugnata sentenza che l'Aebiscer fu de
portato in Germania, a scopo di lavoro, ma che non fu in ternato in un campo di concentramento.Quindi, in appli cazione del principio accennato, egli non può godere del l'amnistia 8 maggio 1947.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II penale; sentenza 21 giugno 1949 ; Pres. Bikessi
P., Est. Ricciakdelli, P. M. Pioletti (conci, conf.) ; ricc. Graziani ed altri (Avv. Verelli, Erbani).
(Sent, denunciata : App. Perugia 25 marzo 1947)
Appropriazione indebita — Esercizio arbitrario di ragioni — Mezzadro che trattiene quantitativi di prodotti spettanti al proprietario — Insussistenza dell'uno e del l'altro reato —
Fattispecie (Cod. pen., art. 392, 646)
Il mezzadro, il quale nella divisione dei prodotti ne trat tiene quantitativi superiori a quelli spettatigli, con il
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GIURISPKUDENZA PENALE 10
dichiarato proposito di esercitare un preteso diritto, in
adempimento delle disposizioni della camera del lavoro, non risponde di appropriazione indebita, e se non ha
usato violenza o minaccia, non risponde neppure di eser
cizio arbitrario delle proprie ragioni. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). Nella specie in vero non
può trovarsi applicazione al costante insegnamento della
Corte di cassazione (v. sentenza 22 maggio 1942 ric.
Galati, Foro it., Eep. 1942, voce Appropriazione indebita, nn. 14, 15), conforme peraltro alla dottrina di gran lunga
predominante, che il mezzadro, il quale si appropria dei
frutti raccolti per una parte eccedente la propria quota, in
verte per detta parte il titolo del possesso, e commette
così il reato di appropriazione indebita aggravata per l'a
buso di relazioni di prestazione d'opera. Nel caso in esame infatti, come emerge dalla lettura
della sentenza impugnata, i mezzadri Graziani Eenato e
Filosi Mariano, con l'assistenza, o sia pure con l'incorag
giamento degli altri coimputati, spinti tutti dallo stesso
interesse, dopo di avere preteso infruttuosamente l'adesione
del proprietario Graziani Cesare alla divisione del grano trebbiato e ammuccbiato nell'aia, in ragione del t>0 per cento al colono e del 40 per cento al padrone, procedet tero di loro arbitrio a tale divisione secondo quella pro
porzione, con la volontà dichiarata (anche per iscritto in
apposito documento) di esercitare un preteso diritto, in
adempimento delle disposizioni emanate in via generale dalla camera del lavoro del posto. È evidente dunque che
essi trattennero o prelevarono parte del prodotto ecce
dente le quote loro spettanti, non col dolo specifico del
delitto d'appropriazione indebita, e cioè con l'intenzione
di procurarsi un ingiusto profitto in danno del patrimonio
altrui, una volta che essi erano fermamente convinti di
esercitare una pretesa giuridica, in conformità delle dispo sizioni emanate dalla camera del lavoro : convincimento
che esclude necessariamente il fine di lucro, in quanto essi
erano persuasi di trattenere il proprio e non il bene alieno.
Nell'azione degli imputati fa dunque difetto il fine di
trarre profitto della cosa altrui, che costituisce un fine spe cifico necessat io a integrare l'elemento psichico dello stesso
reato. E mancando l'elemento subiettivo, per cui il nostro
ordinamento giuridico fonda la responsabilità penale in
genere (art. 42 cod. pen.), non sussiste il reato di appro
priazione indebita ascritto ai ricorrenti.
Vero che costoro furono animati e sospinti all'azione
arbitraria dall'intenzione rivolta al fine di esercitare un
preteso diritto, sia pure insussistente, ossia una pretesa
giuridica facendosi ragione per proprio conto, e senza ri
correre all'autorità giudiziaria, e quindi in essa ricorrerebbe
il dolo del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ra
gioni (v. art. 392 cod. penale). Senonchè non può nella
specie parlarsi neppure di tale reato perchè nell'operato
degli imputati manca ogni minaccia alle persone e violenza
alle cose (come si evince in maniera sicuramente evidente
dalla sentenza impugnata). Per questi motivi, cassa, ecc.
(1) Come è accennato nel testo, la giurisprudenza è nel senso
che il mezzadro, il quale si appropria dei frutti per una parte ec
cedente la propria quota, commetto appropriazione indebita. Vedi
da ultimo : Pret. Gubbio 17 febbraio 1949, Panico e Moscetti,
Foro it., 1949, II, 101, con nota di richiami ; quella sentenza però
ha ritenuto che si tratti di appropriazione semplice, non aggra
vata, per la natura della mezzadrìa secondo il codice civile.
Si avvicina alla sentenza del Sapremo collegio surriferita quella
della Pretura di Soveria Mannelli 22 marzo 1947, Bunacci (id.,
Rep. 1947, voce Appropriazione ind., n. 11), la quale ha escluso
il reato di appropriazione indebita per difetto dell'elemento inten
zionale nel colono che preleva la quota a lui spettante o presunta
tale, assumendo l'impegno di uniformarsi ad una diversa ripartizione
stabilita dalla commissione competente. Vedi in dottrina ; Berti, Vertenze agrarie e reati, in Riv. pen.,
1948, pag. 1048.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II penale ; sentenza 13 giugno 1949 ; Pres. bi
kessi P., Est. Db Giovine, P. M. Lattanzi (conci,
conf.) ; ricc. Fiorino e Mulè (Avv. Berlinguer, Co
mandini).
(Sent, denunciata : A pp. Oaltanissetta 17 agosto 1948)
Armi — Detenzione abusiva di materie esplodenti —
Reato permanente (D. legisl. luog. 10 maggio 1945, n. 234, disp. penali di carattere straordinario, art. 3).
Il reato di detenzione abusiva di materie esplodenti, previsto dal primo capov. dell'art. 3 d. legisl. luog. 10 maggio 1945 n. 234, è di natura permanente. (1)
La Corte, ecc. — (Omissis). È comune al ricorso del
Fiorino e a quello del Mulè il motivo che concerne l'ap
plicazione dell'art. 3 deoreto legisl. luog. 10 maggio 1945
n. 234. Si sostiene che avendo il Fiorino raccolto nel 1943
gran parte delle materie esplodenti, egli e, in ipotesi, il
Mulè, non potrebbero rispondere se non della violazione
dell'art. 679 cod, pen. in relazione all'art. 38 legge di p. s. ;
nel 1943, infatti si sarebbe perfezionato e consumato il
reato, a carattere essenzialmente istantaneo anche se in
prosieguo ne fossero continuati in modo permanente gli effetti antigiuridici. Ma tale motivo è infondato perchè il
reato previsto e punito dal primo capov. dell'art. 3 del
decreto del 1945 è di natura permanente. È nota, specie per l'apporto alla questione da parte
della dottrina e della giurisprudenza, la differenza tra reato
istantaneo e reato permanente ; nel primo l'evento si pro duce in un determinato istante e in un solo momento si
esaurisce l'elemento consumativo ; nel secondo, invece, la
consumazione si protrae nel tempo finché dura quella spe cifica condotta antigiuridica prevista dalla legge. Beato
istantaneo è l'omicidio, la lesione personale, l'ingiuria,
perchè col verificarsi dell'evento si è esaurita l'azione rela
tiva ; è invece reato permanente il sequestro di persona, il
ratto, la violazione di domicilio perchè, anche dopo il fatto
iniziale, si protrae l'azione antigiuridica di privare altri
della libertà personale o del diritto alla inviolabilità del
proprio domicilio ; in tali casi il reato si esaurisce solo
quando vengano rimosse le cause che distruggono o com
primono il bene giuridico. Diversi dai reati permanenti sono quelli istantanei con
effetti permanenti, nei quali in un solo momento si esau
risce l'azione antigiuridica, ma perdura, invece il danno
prodotto dal reato ; è opportuno il richiamo fatto dai
primi giudici, a titolo esemplificativo, del reato di bigamia che si commette da colui che, legato da matrimonio con
effetti civili, ne contrae un altro, in quanto la consuma
zione del reato si ha nel momento in cui si contrae il se
condo matrimonio, anche se permangono gli effetti anti
giuridici della vita coniugale, cosi come questa Corte su
prema ha più volte ritenuto.
In applicazione di tali principi, si è sempre ritenuto
che l'omessa denuncia e l'omessa consegna, senza limiti
di tempo, e la detenzione abusiva, sono reati permanenti e
non già reati istantanei (ipotesi degli art. 678, 679, 697
cod. pen. ; 1 e 5 r. decreto 3 agosto 1919) ; altrettanto
deve dirsi della ipotesi del secondo comma dell'art. 3 del
decreto legisl. luog. 10 maggio 1945 n. 234, il quale com
minando sanzioni penali per chiunque detenga abusiva
(1) La questione si è presentata per la detenzione abusiva di
armi prevista dallo stesso art. 3 del citato decreto, ed è stata
conformemente decisa : Caes. 29 maggio 1948, Lavorino ; 5 febbraio
1949, Scarponi ; 5 maggio 1949, Biv. pen., 1949, II, pagg. 72, 269,
682. Conforme in dottrina : Verchìo, Omessa consegna e deten
zione abusiva di armi, ibid., 72.
L'articolo succitato fu prima sostituito dall'art. 2 del d. 1. 5
febbraio 1948 n. 100, e questo ancora sostituito dall'art. 3 della
legge 23 luglio 1948 n. 970. Sulla nozione del reato permanente, v. Oass. 19 maggio 1943,
Parelio, Foro it., Rep. 1943-45, voce Reato permanente, n. 2.
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