sezione III penale; sentenza 12 maggio 1987; Pres. Gambino, Est. Damasco, P.M. Cotronei (concl.conf.); ric. Caprio. Annulla App. Perugia 24 febbraio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.13/14-15/16Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182692 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 12 mag
gio 1987; Pres. Gambino, Est. Damasco, P.M. Cotronei (conci,
conf.); ric. Caprio. Annulla App. Perugia 24 febbraio 1986.
Tributi in genere — Reati — Omessa, infedele od incompleta dichiarazione dei redditi — Nozione di reddito e imposta (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposizioni comuni in materia di
accertamento delle imposte sui redditi, art. 56).
Ai fini dell'applicazione della fattispecie di omessa, infedele od incompleta dichiarazione dei redditi, di cui all'art. 56, 1 ° com
ma, d.p.r. 600/73, la verifica dell'avvenuto superamento della
soglia di punibilità, fissata in lire cinque milioni di imposta evasa, deve essere operata con riguardo all'ammontare della
singola imposta e non già alla somma delle varie imposte even
tualmente gravanti sul medesimo reddito. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 1° apri le 1987; Pres. Battimelli, Est. De Maio, P.M. Bracci (conci,
conf.); ric. Franceschinis. Conferma App. Trieste 20 novembre
1986.
Tributi in genere — Reati — Omessa, infedele od incompleta dichiarazione dei redditi — Nozione di reddito e imposta (D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, art. 56).
Laddove la disposizione di cui all'art. 56, 1° comma, d.p.r. 600/73
utilizza i concetti di «reddito» e di «imposta», intende riferirsi,
per il contesto generale normativo che regola la dichiarazione
unica dei redditi e per l'espresso rinvio all'art. 46 sull'illecito
(1-2) La questione affrontata dalle due pronunce concerne l'individua zione dei presupposti sostanziali sui quali occorre fondare l'accertamento
del quantum d'evasione, che l'art. 56, 1° comma, d.p.r. 600/73 pone come condizione per la punibilità del reato di omessa, infedele o incom
pleta dichiarazione dei redditi. La divergenza interpretativa che emerge dalle presenti sentenze della Corte suprema si era da tempo manifestata
anche nell'ambito della dottrina intervenuta a commento delle fattispecie
penali introdotte con la legislazione delegata del 1973. Si veda, ad esem
pio, nel senso della esclusione della possibilità di procedere ad un cumulo
delle evasioni d'imposta relative all'Irpef e all'Ilor, Nuvolone, La re
sponsabilità penale degli amministratori e dei sindaci di società nella nuo
va legislazione tributaria, ora in Nuvolone, Il diritto penale degli anni
settanta, Studi, Padova, 1982, 549; Giuliani, Violazioni e sanzioni delle
leggi tributarie, Milano, 1981, 218; più di recente, Traversi, I reati tribu
tari in materia di imposte dirette e Iva, Milano, 1986, 41. Favorevoli
invece alla opposta soluzione, Caracciolo Le sanzioni penali nella nuo
va disciplina delle imposte sui redditi, in Dir. e pratica trib., 1975, I,
276; Id., Le sanzioni penali in materia di imposte dirette, in Le sanzioni in materia tributaria, 1979, 71; Id., I reati tributari. Norme generali.
Imposte dirette. Iva, Milano, 1980, 110; Flora, Profili penali in materia
di imposte dirette ed Iva, Padova, 1979, 191; Grosso, Sanzioni penali e sanzioni non penali nell'illecito fiscale, in Le evasioni fiscali, Bari, 1979, 145.
Il blocco determinato dal meccanismo della pregiudizialità tributaria
ha certamente ritardato l'occasione di pronunce giurisprudenziali sulla
questione in oggetto, ma, come è dato vedere, il ritardo non ha evitato
l'insorgere di un contrasto, che, nella rigidità con la quale viene oggi a prospettarsi, sembra aprire le porte per un prossimo intervento delle
sezioni unite. Secondo quanto risulta, sono queste le prime pronunce con
le quali la Corte di cassazione ha affrontato l'argomento, ma il contrasto
non aveva mancato di evidenziarsi anche nella giurisprudenza di merito:
oltre ad un più remoto precedente favorevole alla esclusione della possi bilità di cumulo (v. App. L'Aquila 28 settembre 1983, Foro it., 1985,
II, 83, con nota di richiami), in quest'ultima prospettiva si veda ora an
che Trib. Pesaro 18 dicembre 1987, Rass. trib., 1988, II, 773; Trib. Vero
na 17 maggio 1988, ibid., 774; App. Bologna 12 gennaio 1987, inedita.
In linea con l'opposto orientamento, invece App. Venezia 13 aprile 1988,
ibid., 774. In relazione a queste ultime pronunce si veda inoltre il com
mento di Fortuna, Un contrasto da sanare al più presto, ibid., 785.
È forse superfluo segnalare che, nonostante l'intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 56 cit. da parte della più recente 1. 516/82, la questione conserva ancora notevole interesse ed at
tualità per tutti quei fatti, commessi in epoca antecedente al 31 dicembre
1982, che, una volta divenuto definitivo il relativo accertamento tributa
rio, vedono oggi valutata l'eventuale rilevanza penale alla luce delle di
sposizioni incriminatrici all'epoca vigenti. [A. Melchionda]
Il Foro Italiano — 1989.
amministrativo, alla somma dei vari redditi ed imposte; l'avve
nuto superamento della soglia di punibilità fissata per il reato
di omessa, infedele o incompleta dichiarazione dei redditi deve,
pertanto, essere accertato sulla base del cumulo delle varie im
poste evase. (2)
I
Fatto. — Ritenuto che, con sentenza del 14 febbraio 1985, il
Tribunale di Orvieto dichiarava Caprio Averno colpevole del rea
to di cui all'art. 56, 1° comma, d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600
(infedele dichiarazione dei redditi) e, con la concessione delle at
tenuanti generiche ed i doppi benefici di legge, lo condannava
alla pena di mesi due di arresto; — che, con sentenza del 24 febbraio 1986, la Corte d'appello
di Perugia rigettava l'appello dell'imputato, integralmente con
fermando la sentenza del tribunale; — che il Caprio ricorre per cassazione denunciando la nullità
della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 56 del
menzionato d.p.r. 600/73.
Diritto. — Con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza
impugnata per aver affermato la penale responsabilità del Caprio sommando tra loro gli importi delle singole imposte evase (nella
specie: Irpef per lire 3.885.000 ed Ilor per lire 1.323.000) senza
considerare che, invece, come dimostrato dalla chiara formula
zione della legge, il reato di cui all'art. 56, 1° comma, del citato
d.p.r. del 1973 sanziona l'evasione di singole imposte che eccedo
no l'ammontare di cinque milioni e non già l'ipotesi di diverse
violazioni che, sommate tra loro, superino tale limite.
La censura si presenta fondata.
Ai fini del decidere, non può, infatti, non tenersi presente la
formulazione letterale della menzionata disposizione di legge che
testualmente sanziona penalmente la dichiarazione infedele qua lora «l'imposta relativa al reddito accertato è superiore a cinque milioni di lire».
Ora l'espressione «imposta» (come sopra usata al singolare) non può che significare indiscutibilmente che, ai fini del supera mento o meno del menzionato limite di cinque milioni, l'unico
punto di riferimento fissato dal legislatore è rappresentato esclu
sivamente dall'ammontare della singola imposta e non già dalla
somma delle varie imposte eventualmente gravanti sul medesimo
reddito.
Opinare diversamente non solo significa porsi in contrasto con
il chiaro testo letterale della norma, confondere tra reddito di
chiarato ed imposta (od imposte) ad esso relativa (e), e non tener
conto della autonomia di ogni singola imposta rispetto alle altre
(tanto che il maggior versamento effettuato per una non è com
pensabile con quello minore effettuato per un'altra), ma significa
altresì obliterare che, laddove, con la stessa legge, il legislatore ha ritenuto l'opportunità di effettuare valutazioni diverse e glo
bali, lo ha esplicitamente precisato. A tal fine è sufficiente ricordare il disposto del 2° comma del
citato art. 56 che, nei casi preveduti dall'art. 47, punisce penal mente la dichiarazione infedele «quando l'ammontare complessi
vo delle somme non dichiarate è superiore a duecento milioni
di lire», nonché il successivo 4° comma che, per alcune particola ri ipotesi ivi specificate parla di evasioni di imposte per un am
montare complessivo superiore ad un determinato limite.
In definitiva, pertanto, deve darsi per certo che la fattispecie
di reato preveduta dall'art. 56, 1° comma, d.p.r. 29 settembre
1973 n. 600, sull'accertamento delle imposte dei redditi, ricorre
solo qualora l'evasione per un importo superiore a cinque milioni
di lire riguardi una singola imposta e non pure più imposte cu
mulate; per cui, considerato che nel caso di specie tale limite si
curamente non è stato superato, l'impugnata sentenza deve essere
annullata senza rinvio, perché il fatto non è preveduto dalla legge
come reato.
II
Il ricorrente è stato ritenuto colpevole dei seguenti reati, unifi
cati per la continuazione ed attenuati dalle circostanze generiche:
(omissis) 3) Proc. 39/84 - Contravvenzione ex art. 56, 1° comma, d.p.r.
600/73 (esclusa l'aggravante della seconda ipotesi, imposta supe
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PARTE SECONDA
riore a trenta milioni) perché ometteva le dichiarazioni di redditi:
per lire 21.870.000 pel 1978; lire 29.516.000 (cosi rettificate da lire 32.307.000) pel 1979; per lire 76.270.000 per il 1980 con con
seguente evasione delle imposte Irpef e Ilor. (Monfalcone, pro cesso verbale del 10 dicembre 1983).
Ora con i motivi, deduce: (omissis)
b) in ordine al reato di omessa dichiarazione dei redditi ritiene
violato l'art. 56 d.p.r. 600/73; questo non consentirebbe la som
ma delle imposte Irpef e Ilor ai fini del calcolo dell'importo mini
mo di cinque milioni per fare scattare l'illecito da amministrativo
a penale; si dovrebbe, invece, avere riguardo all'ammontare se
parato di ciascuno dei tributi.
Il ricorso è infondato. (Omissis) Del pari inconsistente è il secondo mezzo relativo al reato di
omessa dichiarazione dei redditi.
È ben vero che l'art. 56 d.p.r. 600/73 afferma «quando l'im
posta relativa al reddito accertato è superiore a cinque milioni», con ciò adoperando il singolare per l'imposta e per il reddito, ma tanto non conduce a ritenere che il legislatore ha avuto ri
guardo a ciascun reddito e alla relativa imposta. La norma, infatti, va letta nel contesto normativo che ha stabi
lito l'unicità della dichiarazione annuale dei redditi soggetti ad
imposte dirette sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche ed in essa si distinguono e si fondono i singoli cespiti mobiliari
ed immobiliari per cui la globalità di questi addendi configura il «reddito» del dichiarante e da esso ne scaturisce l'imposta ov
vero la somma delle impost'. 'Gnaticamente discndcnti ««•
legge. Non va, poi, dimenticato dì? i'v-fuK^fa - rebbe
scorporare ai fini del computo, costituisce, Iti .if.! .Cf-.l
una mera addizionale ovvero un accessorìum p ; t , ,;i: ■■riposta
principale Irpef.
Essa, infatti, non è accertata separatamente ma unitariamente
con l'Irpef e di questa ne segue le sorti anche nella riscossione.
Comunque anche dalla espressione letterale della norma si co
glie la stretta dipendenza dell'ipotesi di reato da quella di illecito
amministrativo che la precede, diversificandosi le stesse soltanto
per l'entità dell'evasione.
Il 1° contestato comma dell'art. 56 d.p.r. 600/73, infatti, dopo aver detto che «chi non presenta la dichiarazione o . . ., quando
l'imposta relativa ... è superiore a cinque milioni » prescrive che sia punito oltreché, con la pena pecuniaria prevista dall'art.
46, con l'arresto . . .».
Il rinvio, quindi, alla configurazione dell'illecito amministrati
vo è espresso e l'art. 46 richiamato determina ripetutamente la
pena pecuniaria sulla base di tutti i redditi e dell'ammontare delle
imposte o delle maggiori imposte dovute in relazione ai redditi
non dichiarati.
Si deve, pertanto, concludere che, laddove, nell'art. 56, la nor
ma parla di reddito e di imposta, si riferisce, per il contesto gene rale normativo che regola la dichiarazione unica dei redditi e per il rinvio espresso all'art. 46 sull'illecito amministrativo, alla som
ma dei redditi e delle imposte.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; ordinanza 31
gennaio 1987; Pres. Montanari, Rei. Dinacci, P. M. (conci,
conf.); ric. P. m. in causa De Franco. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Potenza, ord. 12 settembre 1985.
Libertà personale dell'imputato — Ordinanza di riesame — Ri
corso per cassazione — Pubblico ministero — Legittimazione (Cod. proc. pen., art. 263 quater).
Legittimato a proporre ricorso per cassazione, a norma dell'art. 263 quater c.p.p., avverso l'ordinanza pronunciata dal tribuna le della libertà a seguito del riesame di un provvedimento re
strittivo della libertà personale emesso da organi giudiziari
operanti in diverso circondario, non è il procuratore della re
pubblica presso tale tribunale bensì quello che ha emesso il prov
ila Foro Italiano — 1989.
vedimento o che esercita le funzioni presso l'ufficio del giudice istruttore che ha emesso il provvedimento. (1)
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Poten
za ha revocato, in sede di riesame, l'ordine di cattura emesso dal
(1) Le sezioni unite risolvono il contrasto manifestatosi in seno alla Cassazione in ordine alla individuazione del procuratore della repubblica
legittimato a proporre ricorso per cassazione, a norma dell'art. 263 qua ter c.p.p., avverso l'ordinanza emessa dal tribunale della libertà a seguito del riesame di un provvedimento restrittivo della libertà personale, quan do lo stesso sia stato emesso dal pubblico ministero o dal giudice istrutto re presso il tribunale non avente sede nel capoluogo di provincia.
Un primo orientamento aveva, infatti, ritenuto che la titolarità del di ritto di impugnazione nel caso di specie spetta al pubblico ministero che ha emesso il provvedimento restrittivo o all'ufficio corrispondente presso il giudice istruttore, che ha emesso il suddetto provvedimento (Cass. 17
gennaio 1983, Canzi, Foro it., 1983, II, 353; e, in dottrina, Lemmo, Luci ed ombre nei primi orientamenti giurisprudenziali sul tribunale della li
bertà, in Tribunale della libertà e garanzie individuali, a cura di V. Gre
vi, Bologna, 1983, 296). Secondo un altro indirizzo, invece, la legittimazione al ricorso per cas
sazione sarebbe del pubblico ministero che ha sede presso il tribunale
competente a decidere su! riesame in quanto nel vigente sistema proces sus , titolare dei tLntio di impugnazione è normalmente il pubblico mi nis: o presso il giudice che ha emesso il provvedimento oggetto del''.w"venazione (Cass. 31 gennaio 1984, Federico, Foro it., Rep. 1985, voce Libertà personale dell'imputato, n. 306; e, in dottrina, Mele, P.m. legittimato a ricorrere contro il provvedimento del tribunale della libertà e natura giuridica del riesame, in Cass. pen., 1984, 2468, secondo il quale, essendo l'istanza di riesame un mezzo di impugnazione, si appli ca la regola generale per cui legittimato a proporre il ricorso per cassazio ne non può che essere il p.m. presso il giudice che ha emesso il
provvedimento di riesame con esclusione di ogni alternativa o di cumula tività di legittimazione»).
Non sono, infine, mancate decisioni che hanno ritenuto legittimato al
l'impugnazione sia il procuratore della repubblica presso il tribunale del
riesame, sia quello nella cui circoscrizione territoriale opera l'organo che ha emesso il provvedimento restrittivo (Cass. 7 ottobre 1985, Calcagno, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 244).
Le considerazioni che hanno indotto le sezioni unite a propendere per la tesi che riconosce la legittimazione all'impugnazione al pubblico mini stero a quo risiedono nella natura di rimedio sui generis del riesame e nella mancata previsione dell'intervento del pubblico ministero alla deci sione del tribunale della libertà.
In particolare, la Corte di cassazione, dopo un'attenta disamina della struttura e della funzione della richiesta di riesame, ha osservato che il suo inquadramento nella categoria delle impugnazioni e dei gravami co stituisce «un errore di fondo privo di ogni supporto giustificativo» (ana logamente, cfr., per tutte, Cass. 27 ottobre 1986, Ferrario, ibid., n. 208; contra, nel senso che si tratta di una impugnazione, sia pure atipica, v., in dottrina, Di Nanni, Fusco, Vacca, Il tribunale della libertà, Na
poli, 1983, 163; Ebner, Filadoro, Il tribunale della libertà, Milano, 1982, 34; Grilli, Il tribunale della libertà, in Giust. pen., 1983, II, 380; Illumi
nati, in Legislazione pen., 1983, 100; Mazzanti, La l. 12 agosto 1982 n. 532 sul riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e dei provvedimenti di sequestro, in Giust. pen., 1982, III, 598; Mele, op. loc. cit.; Mencarelli, La nuova disciplina in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale e sui sequestri, in Riv. it. dir. e. proc. pen., 1982, 1423).
La Cassazione ha poi rilevato che, poiché la competenza del procurato re della repubblica deve essere individuata con riferimento al tribunale
competente per il giudizio (v., in generale, Cass. 8 maggio 1978, Ceder
na, Foro it., 1979, II, 548), «una volta individuato alla luce di tale crite rio» l'organo del pubblico ministero, esso «non può non rimanere unico e immutabile durante il compimento dell'intera fase istruttoria e degli eventuali procedimenti incidentali», ivi compreso il procedimento di rie same (analogamente, v. Cass. 14 gennaio 1983, Canzi, cit.; e, in dottrina, Lemmo, op. loc. cit.).
Ed ancora — ha aggiunto la corte — se il pubblico ministero presso il tribunale della libertà «è rimasto estraneo» alla decisione di quest'orga no, «nessuna legittimazione sostitutiva può pretendere» in relazione al
corrispondente ufficio che ha assunto l'iniziativa della cautela ed ha in carico il procedimento (analogamente, v. Lemmo, op. cit., 297).
Quest'ultima affermazione, che fa leva sulla mancata previsione del contraddittorio nel procedimento di riesame, potrà essere, probabilmen te, riconsiderata, alla prima occasione, dalla Suprema corte alla luce delle modifiche apportate dalla 1. 5 agosto 1988 n. 330 (Le leggi, 1988, 1661). Il 6° comma del nuovo art. 263 ter c.p.p. prevede, infatti, che il pubblico ministero partecipi in camera di consiglio, sia pure subordinatamente alla circostanza che il difensore, nella richiesta di riesame, abbia manifestato la volontà di intervenire per «illustrarla».
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