sezione III penale; sentenza 17 gennaio 1989; Pres. Battimelli, Est. Accattatis, P.M. (concl.conf.); ric. Buzzi. Conferma Trib. Alessandria 5 ottobre 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.405/406-411/412Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182754 .
Accessed: 25/06/2014 03:59
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:59:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
tura e che fu emanato, ed anche modificato, in un contesto legis lativo diverso da quello del codice penale; inoltre, la sospensione condizionale viene applicata in sede di cognizione dal giudice del
dibattimento, mentre l'affidamento in prova è un tipico istituto
della fase esecutiva; la liberazione condizionale è concessa dopo l'accertamento del sicuro ravvedimento del condannato, mentre
l'affidamento in prova al servizio sociale — che, peraltro, è ap
plicato all'inizio della detenzione — non è correlato né al ravve
dimento né alla cessazione della pericolosità sociale, ma ad un
giudizio prognostico che concerne la sufficienza di determinate
prescrizioni a contribuire alla rieducazione del reo, ancora ritenu
ta necessaria, e ad evitare il periculum libertatis, ritenuto ancora
sussistente.
Quindi, ai fini della presente decisione non è necessario accer
tare se sia valida o no l'interpretazione della giurisprudenza in
tema di liberazione condizionale.
Quanto alle altre osservazioni, in particolare quelle concernenti
il coordinamento con le regole che disciplinano il cumulo giuridi co delle pene concorrenti, entrambi gli orientamenti giurispru denziali in esame presuppongono, implicitamente ma in modo
evidente, l'assoluta intangibilità delle sentenze irrevocabili di con
danna, con la conseguenza che pervengono a conclusioni altret
tanto assolute sulla rilevanza o sull'irrilevanza di cause
sopravvenute incidenti sulla pena. Ma proprio il principio dell'assoluta intangibilità del giudicato
non può essere condiviso, perché esistono, invece, casi legislati vamente regolati in cui cause sopravvenute incidono sul giudicato ed in particolare, per quanto interessa ai fini della presente deci
sione, proprio sulla pena inflitta, che viene sostituita od elimina
ta, e non sulla sola esecuzione della pena stessa.
Il caso più evidente è la sopravvenuta abolitio criminis secondo
una legge posteriore — regolata dall'art. 2, 2° comma, c.p. —,
che travolge anche il giudicato formatosi sotto la legge anteriore,
con cessazione di ogni effetto penale. Quindi è palese che, in
tal caso, con il reato, che per la legge posteriore non è più tale,
viene eliminata anche la pena inflitta con la sentenza irrevocabi
le, sicché di essa non può tenersi conto a nessun effetto nel cu
mulo delle pene concorrenti.
Altra ipotesi è quella prevista dall'art. 579 c.p.p. per la plurali tà di sentenze irrevocabili di condanna nei confronti della stessa
persona per il medesimo fatto (anche se diversamente considerato
per il titolo, il grado e le circostanze), dato che la Corte di cassa
zione è tenuta, in tal caso, a dichiarare doversi eseguire la senten
za con cui venne pronunciata la condanna meno grave e ad
annullare le altre.
Analoga situazione si ha nel caso di contraddizione tra la sen
tenza di condanna impugnata con ricorso per cassazione ed altra
sentenza anteriore irrevocabile di condanna concernente la stessa
persona ed il medesimo oggetto (art. 539, n. 7, c.p.p.), dovendo,
in tal caso, la Cassazione ordinare l'esecuzione della sentenza che
inflisse la condanna meno grave (art. 540 c.p.p.) ed annullare
l'altra senza rinvio.
Qualora sopravvenga, dopo una o più sentenze irrevocabili di
condanna, l'estinzione di uno dei reati concorrenti o di uno dei
reati confluenti nel cumulo delle pene, tale estinzione — come
nel caso dell'amnistia impropria — incide addirittura sul reato ed elimina totalmente la pena ad esso relativa, sicché, anche se
permangono altri effetti penali, ha anche diretta incidenza sulla
pena inflitta.
Il cumulo giuridico delle pene principali, previsto dall'art. 78
c.p. nel caso di più reati oggetto di una stessa sentenza, viene
applicato dal giudice del dibattimento e la pena unica (art. 76
c.p.) è quella risultante dal cumulo e non quella di ogni singolo
reato (che rivive, con parziale scioglimento del cumulo, soltanto
qualora possa derivarne un qualche beneficio per il condannato:
tra le altre sez. I 17 gennaio 1985, Sgaramella, id., Rep. 1986,
voci Esecuzione penale, n. 21 e Ordinamento penitenziario, n.
104). Tale cumulo, con conseguente unicità della pena, trova ap
plicazione, ai sensi dell'art. 80 c.p., in sede sia di cognizione e sia di esecuzione (in quest'ultima ipotesi attraverso il meccanismo
dell'art. 582 c.p.p.), anche nel caso di pene inflitte con più sen
tenze di condanna, sicché la situazione, qualora il cumulo sia
operato in sede esecutiva, è identica a quella dell'applicazione
del cumulo giuridico in sede di cognizione, con la conseguenza
Il Foro Italiano — 1989.
che necessariamente, altrimenti si incorrerebbe in una disparità di trattamento, anche in questo caso alle distinte pene detentive
temporanee, inflitte con diverse sentenze da eseguire, si sostitui
sce totalmente quella unica predeterminata per legge. Non senza considerare che per l'affidamento in prova al servi
zio sociale, essendo previsto il limite di tre anni di pena detenti
va, può interessare soltanto il cumulo giuridico con riferimento
al limite del quintuplo della pena più grave inflitta in concreto
fra le pene concorrenti della stessa specie, in via astratta ipotizza bile anche in misura non superiore a tre anni, ma difficilmente
riscontrabile in concreto.
Non incidono, invece, sulla pena inflitta con la sentenza o le
sentenze di condanna le cause estintive della sola pena, come l'in
dulto, in quanto la pena inflitta rimane sempre quella irrogata con la sentenza o le sentenze di condanna, influendo tali cause
estintive soltanto sulla determinazione della pena in concreto da
eseguire. Parimenti non incide sulla pena inflitta la detrazione del perio
do di detenzione sofferto in precedenza per altro reato, qualora sussistano le condizioni per la fungibilità, in quanto si tratta in
effetti di pena già scontata. Ed è del tutto pacifico, anche in
giurisprudenza (tra le altre: sez. I 14 febbraio 1986, Grande, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 47; 5 aprile 1978, Fedeli, id., Rep. 1978, voce cit., n. 95), che, ai fini del limite per la concedibilità dell'af
fidamento in prova al servizio sociale, non assume alcun rilievo
la distinzione tra parte di pena già scontata e quella residua anco
ra da scontare.
In base alle svolte considerazioni restano anche superati i rilie
vi concernenti il coordinamento con le regole del cumulo giuridi co delle pene e gli inconvenienti che ne deriverebbero.
Applicando al caso di specie i principi sopra precisati, non po teva essere tenuto conto, al fine di determinare la quantità di
pena inflitta, della parte di pena (anni due di reclusione) dichia
rata condonata per l'indulto concesso con il d.p.r. 16 dicembre
1986 n. 865, con la conseguenza che la pena inflitta resta quella
irrogata con la sentenza irrevocabile di condanna, ossia tre anni
ed un mese di reclusione.
Quindi, l'affidamento in prova al servizio sociale è stato illegit timamente disposto con violazione del limite posto dalla legge
per la concedibilità del beneficio.
Ne consegue, in accoglimento del ricorso del procuratore gene rale presso il giudice a quo, l'annullamento senza rinvio dell'or
dinanza impugnata ai sensi dell'art. 539, n. 9, c.p.p., essendo
superfluo il rinvio.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 17 gen naio 1989; Pres. Battimelli, Est. Accattatis, P.M. (conci,
conf.); ric. Buzzi. Conferma Trib. Alessandria 5 ottobre 1988.
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Attività di smaltimento ante
riore al d.p.r. 915/82 — Proseguimento senza autorizzazione — Disciplina transitoria — Reato configurabile (D.p.r. 10 set
tembre 1982 n. 915, attuazione delle direttive (Cee) n. 75/442
relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei poli clorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiu ti tossici e nocivi, art. 25, 31).
Il titolare di attività di smaltimento dei rifiuti, iniziata prima del l'entrata in vigore del d.p.r. n. 915 del 1982 e proseguita alla
scadenza della fase transitoria, in difetto della prescritta auto
rizzazione, è punibile ai sensi dell'art. 25 del citato decreto:
tale disposizione, infatti, instaurando il regime ordinario nella
disciplina delle attività di smaltimento dei rifiuti, sottopone a san
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:59:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
zione, oltre le attività nuove, anche le attività pregresse svolte
senza autorizzazione oltre i termini indicati nell'art. 31. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 16 feb
braio 1988; Pres. Mastrocinque, Est. Pioletti, P.M. Mam
marella (conci, diff.); ric. Ridolfi. Annulla senza rinvio Trib.
Bologna 11 luglio 1986.
Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Disciplina — Questioni mani festamente infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 76, 77;
d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 24, 25). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Nozione di rifiuto — Contra
sto tra norma interna e norma comunitaria — Insussistenza
(D.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, art. 2). Sanità pubblica — Rifiuti solidi — Attività di smaltimento ante
riore al d.p.r. 915/82 — Proseguimento senza autorizzazione — Disciplina transitoria — Reato configurabile (D.p.r. 10 set
tembre 1982 n. 915, art. 25, 31).
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 25 d.p.r. n. 915 del 1982, che sanziona penalmen te la realizzazione o la gestione di una discarica non autorizzata, in riferimento all'art. 3 Cost., proposta sotto il profilo della
diversità di trattamento rispetto allo scarico dei rifiuti in aree
pubbliche, che è punito con sanzione amministrativa, perché diverse sono le situazioni messe a raffronto, in quanto in un
caso si ha occasionale abbandono di rifiuti, mentre nell'altro
si ha la destinazione definitiva di un 'area a discarica di rifiuti; è ugualmente infondata la questione di legittimità costituziona
le dell'art. 25 cit. in riferimento agli art. 76 e 77 Cost., per
violazione dell'art. 2 della legge delega 9 febbraio 1982 n. 42, che detta i criteri per determinare le sanzioni penali ed ammini
strative per le infrazioni alle norme di attuazione delle direttive
Cee, perché l'esercizio incontrollato di una discarica lede l'inte
resse generale dello Stato alla tutela dell'ambiente. (2) Premesso che secondo la direttiva Cee si definisce rifiuto «qual
siasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi...» e che
secondo l'art. 2 d.p.r. 915/82 si definisce rifiuto «qualsiasi so stanza od oggetto abbandonato...», non sussiste contrasto tra
la norma interna e quella comunitaria, tale quindi da richiedere
l'interpretazione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia Cee
ex art. 177 trattato di Roma, giacché tra i termini «disfarsi» ed «abbandono» esiste equivalenza, considerato che la situa
zione di abbandono della cosa ha l'implicito requisito della di smissione da parte del detentore. (3)
Il titolare di attività di smaltimento dei rifiuti, iniziata prima del l'entrata in vigore del d.p.r. 915/82 e proseguita alla scadenza
della fase transitoria in difetto della prescritta autorizzazione, è punibile ai sensi dell'art. 31 che incrimina chi omette di pre sentare nel termine fissato la domanda di autorizzazione, po nendosi cosi in situazione di permanente illiceità, con esclusione
della diversa contravvenzione prevista dall'art. 25 stesso
decreto. (4)
(1,4) In argomento, v. Cass. 29 settembre 1987, Asinoro, Foro it., 1989, II, 109, con nota di richiami e con nota di Amendola, Smaltimento dei
rifiuti: due brutti scivoloni della Suprema corte, che aderisce alla seconda delle sentenze riportate. Poiché sulla questione le opinioni all'interno del la stessa sezione del Supremo collegio sono diametralmente opposte, par rebbe opportuno anche in questo caso, come già si è verificato in tema di discariche comunali (su cui v. Cass., sez. un., 28 febbraio 1989, Porto, ibid., 353) un intervento chiarificatore delle sezioni unite.
Va notato che secondo la sentenza sub II il reato di cui all'art. 31 del decreto n. 915 costituisce un reato permanente che perdura fino a
quando non sia stata presentata la domanda di autorizzazione all'autorità
competente: questa impostazione spiega perché la Cassazione abbia rite nuto nella specie di dover dichiarare estinta la contravvenzione per appli cazione del beneficio dell'amnistia e non per intervenuta prescrizione del reato.
In tema di reato permanente, v., da ultimo, Rampioni, Reato perma nente, voce dell' Enciclopedia de! diritto, Milano, 1988, XXXVIII, 856 ss.
(2) Anche Cass. 22 settembre 1986, Bagna, Foro it., 1988, II, 8 (non massimata sul punto) aveva ritenuto manifestamente infondata la que
II Foro Italiano — 1989.
I
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 29 dicembre
1987 il Pretore di Alessandria ha condannato i ricorrenti alla pe
na di tre mesi di arresto e di lire due milioni e cinquecentomila di ammenda, con pena sospesa e risarcimento danni in favore
delle parti civili, in ordine al reato «di cui agli art. 25 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, 110 c.p., per avere, in concorso fra
loro, effettuato lo smaltimento di rifiuti speciali prodotti da terzi
gestendo la discarica, sita sul terreno della Buzzi in località Zien
da del comune di Sezzadio, senza essere muniti dell'autorizzazio
ne prevista dallo stesso art. 6, lett. d), stesso decreto». In Sezzadio
fino al luglio 1984.
Con la sentenza in epigrafe citata il Tribunale di Alessandria
ha confermato la sentenza del pretore. Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per dedurre:
1. travisamento del fatto con riferimento alla affermazione del
tribunale secondo la quale i rifiuti non sono stati immessi nella
discarica comunale ma in una cava di proprietà della Buzzi che
avrebbe, pertanto, gestito una discarica in proprio (diversa da
quella comunale regolarmente autorizzata); 2. nullità della sentenza per il fatto che il tribunale ha introdot
to una nuova contestazione, in violazione dell'art. 477 c.p.p., asserendo che gli imputati non solo avrebbero effettuato attività
di smaltimento rifiuti, ma avrebbero anche gestito una discarica
abusiva in proprio ingerendosi anche nella fase di raccolta dei
rifiuti; 3. che il reato sarebbe quello di cui all'art. 31 d.p.r. citato
(non richiesta autorizzazione entro il termine prescritto) e non
già quello contestato ex art. 25, posto che, all'entrata in vigore del citato decreto, la Buzzi aveva già effettuato attività di smalti
mento rifiuti nella discarica;
4. che il reato è estinto per amnistia, in forza del d.p.r. 16
dicembre 1986 n. 865, visto che la contestazione riguarda il 2°
comma dell'art. 25, anche se in imputazione ciò non risulta pre
cisato; 5. nullità della sentenza ex art. 475, n. 3, c.p.p. per mancanza
di motivazione in ordine al diniego della richiesta riduzione di pena.
Nella discussione orale il difensore dei ricorrenti, tenuto pre sente il 1° comma dell'art. 152 c.p.p., ha asserito che, in ogni
caso, il reato è prescritto. (Omissis) 3. - Il tribunale ha correttamente affermato che, esaurita la
fase transitoria disciplinata dal d.p.r. 915/82, diviene applicabile, anche per le attività di smaltimento preesistenti, l'art. 25 che, in via generale e senza eccezione alcuna, vieta lo smaltimento
dei rifiuti senza autorizzazione (senza distinguere attività preesi stenti e no).
Il 1° comma dell'art. 31 d.p.r. 915 dispone che chiunque, alla
data di entrata in vigore del decreto, stava effettuando attivi
stione di legittimità costituzionale sollevata nel giudizio conclusosi con la sentenza in epigrafe. Per altra fattispecie in cui sono state poste que stioni di costituzionalità, v. Pret. Voltri 16 marzo 1987, ibid., 266, con nota di richiami. Sul punto, cfr. Vinciguerra, Problemi generali dello smaltimento dei rifiuti dopo l'attuazione delle direttive comunitarie (d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915), in AA. VV., Diritto penale dell'impresa, Pa
dova, 1988, 190-192, il quale esprime il dubbio che «sia incostituzionale
quella parte della normativa penale contenuta nel d.p.r. 915/82, che ha violato il criterio direttivo della legge di delegazione per aver previsto come reato fatti privi di particolare gravità» nel senso attribuito a tale
espressione dal legislatore delegante e che è ricavabile per via di interpre tazione, tenendo conto dell'intrinseca differenza esistente tra le tre specie di rifiuto (urbano, speciale e tossico-nocivo) e della maggior pericolosità del rifiuto di quest'ultima specie».
(3) Sulla questione, v. Cass. 14 aprile 1987, Perino, Foro it., 1988, II, 9, con nota di richiami; Pret. Lecco 23 ottobre 1987, ibid., 371, con nota di richiami. Si segnala, inoltre, che con ordinanza 18 dicembre 1987
(inedita), Pret. Asti ha chiesto alla Corte di giustizia Cee di pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 1 della direttiva Cee n. 75/442 e dell'art. 1 direttiva Cee n. 78/319 relativamente alla nozione di rifiuto ricavabile dalle citate disposizioni. La decisione della corte non è ancora stata emessa.
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:59:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
tà di smaltimento rifiuti per il quale il decreto prevede l'autoriz
zazione, entro tre mesi doveva presentare domanda per ottenerla, sotto comminatoria di sanzione penale (prevista dal 3° comma, arresto fino a 6 mesi o ammenda fino a 3 milioni).
Il 1° comma dell'art. 25 dispone che i titolari degli enti e delle
imprese che effettuano smaltimento dei rifiuti urbani e speciali
prodotti da terzi non muniti di autorizzazione sono puniti con
pena più severa. Se la discarica non autorizzata è realizzata o
gestita da impresa che effettua lo smaltimento di rifiuti prodotti da terzi, il titolare è punito con l'arresto da 3 mesi ad un anno
e con l'ammenda da 2 milioni a 5 milioni. L'art. 31 disciplina evidentemente una materia transitoria —
lo afferma, espressamente, il titolo VI sotto il quale l'art. 31 è
collocato — e cioè la transizione fa le due diverse normative.
Più precisamente, l'art. 31 disciplina le attività di smaltimento
già esistenti fino al 16 marzo 1983 per coloro che non abbiano
presentato la domanda e fino al 16 settembre 1983 per coloro
che la abbiano presentata. Dalle due date indicate, nei confronti
di coloro che proseguono le attività pregresse senza autorizzazio
ne (sia stata essa rifiutata, revocata o, semplicemente, non con
cessa) è applicabile, precisamente, l'art. 25, come dal tribunale
correttamente ritenuto.
Le due norme in esame, non concorrono fra loro, ma regolano le condotte in fasi e tempi diversi.
L'art. 31 consente — ai titolari delle imprese che già lo eserci
tavano — lo smaltimento dei rifiuti senza autorizzazione per tem
po limitato (per tre o per nove mesi) ed a titolo provvisorio; l'art.
25 sottopone invece a sanzione qualsiasi attività nuova o le attivi
tà pregresse, svolte senza autorizzazione dopo i termini indicati;
perché instaura il regime ordinario, valido in ogni caso, dopo la fase transitoria.
Non è esatto affermare — sottolinea la Corte di cassazione
nella sentenza n. 2306/88 —, come pure è stato affermato, che
colui che prosegue nella sua attività dopo il 16 marzo 1983 (o 16 settembre) sarebbe punito, per uno stesso fatto, due volte (ex art. 31 ed ex art. 25), visto che l'art. 31, come già affermato,
sottopone a sanzione la condotta di colui che non presenta la
richiesta domanda, mentre l'art. 25 sottopone a sanzione la pro secuzione dell'attività di smaltimento dopo il periodo di morato
ria dal legislatore fissato, periodo di moratoria che non può durare
indefinitamente. Il legislatore differenzia la condizione di colui
che il 17 settembre 1983 ha intrapreso l'attività da quella di colui
che l'ha soltanto proseguita, visto che non sottopone immediata
mente la condotta del secondo alla sanzione di cui all'art. 25.
Andare oltre nella interpretazione a lui favorevole significa anda
re contro la volontà di legge che non può volere una indefinita
più tenue sanzione nei confronti di colui che esercitava già prima l'attività rispetto a chi non la esercitava.
In punto di fatto va notato che i ricorrenti mai hanno presen tato domanda per ottenere l'autorizzazione ai fini dell'esercizio
di una discarica in proprio come dal tribunale correttamente rite
nuto alla stregua delle risultanze processuali dal tribunale ampia mente vagliate.
4. - Va esclusa la invocata amnistia perché, in base alla impu
tazione ed alle argomentazioni svolte dalle sentenze di primo e
secondo grado, va ritenuto che il reato è quello di cui all'ultimo
comma, ultima parte, dell'art. 25 (impresa che effettua lo smalti
mento dei rifiuti prodotti da terzi). Gli imputati sono stati infatti imputati per avere effettuato smaltimento di rifiuti speciali pro dotti da terzi gestendo una discarica non autorizzata e ricono
sciuti colpevoli in ordine a tale reato. (Omissis)
II
Svolgimento del processo. — Con sentenza del Tribunale di
Bologna dell'11 luglio 1986, confermativa di decisione del preto
re di quella città del 24 maggio 1985, Ridolfi Roberto è stato
condannato alla pena di giorni venti di arresto e lire 300.000 di
ammenda per il reato di cui agli art. 10, 25 d.p.r. 10 settembre
1982 n. 915 (attuazione delle direttive Cee n. 75/442 relativa ai
rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e noci
vi) perché, quale titolare della ditta Siapa, gestiva una discarica
Il Foro Italiano — 1989.
non autorizzata per lo smaltimento in conto proprio dei rifiuti
speciali costituiti dai residui solidi delle lavorazioni industriali della
ditta stessa; accertato in Galliera, il 24 maggio 1984.
Avverso tale sentenza l'imputato propone ricorso per cassazio
ne esponendo sette motivi di annullamento. Con il primo deduce
la violazione degli art. 475, n. 3, e 522 c.p.p. in relazione all'art.
188, nn. 1 e 2, c.p.p., perché la sentenza pretorile è stata redatta
dall'uditore giudiziario che aveva svolto le funzioni di pubblico ministero nel giudizio; con il secondo motivo rileva l'erronea ap
plicazione degli art. 25 d.p.r. n. 915 del 1982, l'inosservanza del
la direttiva Cee n. 78/319 del 20 marzo 1978 e la mancanza di
motivazione della sentenza, per la diversa definizione di rifiuto
del decreto presidenziale rispetto alla direttiva; con il terzo moti
vo denuncia l'omesso ricorso alla Corte di giustizia delle Comu
nità europee ex art. 177 del trattato istitutivo della Cee per
l'interpretazione della direttiva, sul punto indicato; con il quarto motivo poi il ricorrente si duole dell'omessa motivazione sull'ele
mento soggettivo del reato; con il quinto sostiene che comunque sussiste il vizio di violazione di legge perché non doveva applicar si l'art. 25 d.p.r. cit., ma il 31, disposizione transitoria questa
applicabile alle «discariche» in atto alla data di entrata in vigore del decreto; con il sesto motivo di ricorso deduce questione di
legittimità costituzionale dell'art. 25 d.p.r. n. 915 del 1982 sia
per contrasto con l'art. 3, sia per violazione degli art. 76, 77
Cost.; con il settimo motivo infine il ricorrente denuncia l'erro
nea applicazione dell'art. 25, che, per essere adeguato ai principi della legge delega, deve essere interpretato secondo contenuti di
lesività rispetto agli interessi generali dell'ordinamento ed anche
di particolare gravità, e non in termini meramente formali.
Con successiva memoria il ricorrente afferma inoltre che il d.l.
31 agosto 1987 n. 361, convertito in 1. 29 ottobre 1987 n. 441
(disposizioni urgenti in materia di smaltimento di rifiuti), all'art. 8, avendo prorogato i termini di adeguamento delle discariche
alle disposizioni del d.p.r. n. 915 del 1982, ha necessariamente
prorogato anche il termine per la domanda di autorizzazione di
cui all'art. 31 d.p.r. cit.
Motivi della decisione. — La pregiudiziale di costituzionalità è manifestamente infondata.
È tale invero la questione di costituzionalità dell'art. 25 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, che sanziona penalmente la realizzazio
ne o la gestione di una discarica non autorizzata sia in relazione
all'art. 3 Cost, proposta sotto il profilo della diversità di tratta
mento, rispetto all'analogo divieto di scarico in aree pubbliche
(di cui agli art. 9, 24) che è punito invece con sanzione ammini
strativa, sia in riferimento agli art. 76 e 77 Cost., prospettata una supposta violazione dell'art. 2 della legge delega n. 42 del
9 febbraio 1982 (che ha dato luogo al d.p.r. n. 519 del 1982), 11 quale stabilisce che per le infrazioni alle norme emanate «sa
ranno di regola previste sanzioni amministrative» e che le sanzio
ni penali saranno previste solo quando le infrazioni «ledano
interessi generali dell'ordinamento interno dello Stato e siano co
munque di particolare gravità»: si sostiene che la violazione della
delega sussiste perché l'art. 25 prevede una sanzione penale per la discarica non autorizzata cioè per un fatto di mera inosservan
za formale, privo di idoneità lesiva rispetto agli interessi generali dell'ordinamento interno e certo non di particolare gravità.
Per quanto concerne il primo raffronto della norma denuncia
ta, quello con l'art. 3 Cost., è sufficiente rilevare che la diversità
di situazioni tra il divieto di scarico dei rifiuti in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico (art. 9 e 24) o il divieto di
realizzazione o gestione di discarica non autorizzata (art. 25, 2°
comma) giustifica la diversità del trattamento sanzionatorio. In
vero il primo fatto consiste nell'occasionale abbandono o scarico
di rifiuti, mentre il secondo si verifica quando, per effetto della
condotta abituale dell'agente, una determinata area abbia assun
to la destinazione di luogo di scarico e deposito di rifiuti (cfr. Cass., sez. Ili, 17 marzo 1987, n. 5473, Sani, n. 175.871; 14
maggio 1986, Torriani, Foro it., 1987, II, 523) ed è chiaro che
solo nella seconda ipotesi si ha la destinazione del luogo a disca
rica e non nel primo che è connotato dalla occasionalità del fatto
di abbandono di rifiuti. Non sussiste, inoltre, il contrasto della norma denunciata con
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:59:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
gli art. 76 e 77 Cost, per violazione dell'art. 2 1. 9 febbraio 1982
n. 42 di delega al governo ad emanare norme per l'attuazione
delle direttive della Comunità economica europea, che, nel porre i criteri cui deve attenersi il governo nell'esercizio della delega, stabilisce che, di regola, per le infrazioni alle norme emanate in
attuazione delle direttive, saranno previste sanzioni amministrati
ve, mentre le «sanzioni penali saranno previste solo nei casi in
cui le infrazioni alle norme di attuazione delle direttive ledano
interessi generali dell'ordinamento interno dello Stato e siano, co
munque, di particolare gravità».
Orbene, non vi è dubbio che l'esercizio incontrollato di discari
ca leda l'interesse generale dello Stato alla tutela dell'ambiente, riaffermato ed evidenziato con la istituzione del ministero del
l'ambiente (1. 8 luglio 1986 n. 349) e che tale lesione sia di parti colare gravità perché la discarica non autorizzata attribuisce con
carattere di stabilità tale destinazione ad una determinata area,
compromettendo l'ambiente e la situazione igienico-sanitaria del
luogo. È inoltre infondato il motivo di censura con il quale l'erronea
applicazione degli art. 2 e 25 d.p.r. n. 915 del 1982 nonché del
l'art. 1 della direttiva Cee n. 78/319 del 20 marzo 1978 e la man
canza di motivazione.
In proposito il ricorrente rileva che la direttiva definisce rifiuto
«qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l'obbligo di disfarsi», mentre l'art. 2 d.p.r. n. 915 del 1982 che
dà attuazione alla direttiva definisce rifiuto «qualsiasi sostanza
od oggetto abbandonato o destinato all'abbandono». Secondo il
ricorrente vi è contrasto tra la norma interna e quella comunita
ria perché la prima con il termine «abbandono» si riferisce ad
uno stato obiettivo delle cose, mentre la seconda dà una nozione
più ristretta di rifiuto perché con il termine disfarsi» richiama
una condotta umana. Soggiunge il ricorrente, sul presupposto che
il tribunale ha omesso di motivare sulla volontà inequivoca di
disfarsi dei residui di lavorazione, che il tribunale avrebbe dovuto
dare una interpretazione della norma interna conforme a quella
comunitaria, o, rilevato il contrasto, ricorrere in via pregiudiziale alla Corte di giustizia della Comunità ex art. 177 del trattato per
l'interpretazione dell'art. 1 della direttiva.
Ma la censura, pur cosi articolata, è infondata, perché si so
stanzia nel difetto di motivazione del tribunale sul requisito di
psichicità della condotta.
Invero, il tribunale, pur non pronunciandosi sull'equivalenza dei due termini che invece — premesso che è chiaro e indiscutibi
le il riferimento al comportamento del detentore del termine «di
sfarsi» adottato dalla direttiva — può agevolmente affermarsi sol
avendo riguardo alla considerazione che la situazione di abban
dono della cosa ha l'implicito requisito della dismissione da parte del detentore, ha ritenuto che nella specie l'imputato si fosse «di
sfatto dei residui di lavorazione rilevati nel macero; e ha motiva
to il requisito di psichicità della nozione di rifiuto richiesto dal
ricorrente, anche con riferimento alla decisione di primo grado, e in relazione all'elemento soggettivo del reato di gestione di di
scarica, con il lungo tempo durante il quale i rifiuti erano am
massati in maniera continuativa (circa due anni), con la loro
ingente quantità, con la mancanza di qualsiasi prova sul loro riu
tilizzo che facevano escludere il preteso carattere di provvisorietà dell'accumulo. Pertanto, priva di rilevanza ogni questione di in
terpretazione della direttiva comunitaria, la decisione del tribuna
le, che è adeguatamente motivata sul punto, è esente da vizio
di legittimità. (Omissis) È invece fondato il motivo di ricorso con il quale il ricorrente
afferma che, essendo la discarica anteriore all'entrata in vigore del decreto presidenziale, e ciò è un dato incontroverso nelle deci
sioni dei giudici di merito, era applicabile la disposizione transi toria di cui all'art. 31. Infatti in proposito questa Suprema corte
ha osservato (sez. III 24 giugno 1987, La Cava) non solo che
in presenza del comportamento omissivo sanzionato penalmente dall'art. 31,3° comma, non è ipotizzabile nella forma concorren
te anche il reato di cui all'art. 25, dettato per chiunque realizzi
o gestisca una discarica successivamente all'entrata in vigore del la legge, ma ha anche sottolineato l'autonoma rilevanza precetti va della norma transitoria che incrimina il fatto di chi avendo
in atto una discarica (e, più in generale, attività di smaltimento
di rifiuti) alla data di entrata in vigore del decreto, omette di
Il Foro Italiano — 1989.
presentare nel termine fissato domanda di autorizzazione all'au
torità competente, ponendosi cosi in situazione di permanente il
liceità. Questa ipotesi di reato deve essere dichiarata estinta per amni
stia ai sensi del d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, non sussistendo
gli estremi per il proscioglimento nel merito in costanza di causa
estintiva del reato ex art. 152, cpv., c.p.p. In particolare, non
è applicabile al reato de quo, come invece richiesto dal ricorren
te, l'art. 8 d.l. 31 agosto 1987 n. 361 convertito in 1. 28 ottobre
1987 n. 441 (disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti) che differisce i termini per l'adeguamento degli impianti, delle discariche e attrezzature fisse esistenti per lo smaltimento
dei rifiuti alle disposizioni del d.p.r. n. 915 del 1982 perché l'ade
guamento degli impianti esistenti è fatto diverso da quello del
l'obbligo della richiesta di autorizzazione per gli impianti in atto.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza
rinvio per la causa indicata.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 16 gen naio 1989; Pres. Carnevale, Est. Sibilla, P.M. (conci, conf.);
imp. Radulovic. Conflitto di competenza.
Tribunale per i minorenni — Competenza — Incertezza circa l'e
tà dell'imputato — Disciplina (Cod. proc. pen., art. 83; r.d.l.
20 luglio 1934 n. 1404, istituzione e funzionamento del tribuna
le per i minorenni, art. 9).
Ai fini della determinazione della competenza, in caso di incer
tezza circa la maggiore o minore età dell'imputato, il tribunale
per i minorenni, investito del procedimento, deve provvedere, in applicazione analogica dell'art. 83 c.p.p., agli opportuni ac
certamenti e, persistendo il dubbio all'esito di questi ultimi, deve ritenere la propria competenza in applicazione del princi
pio del favor rei. (1)
Fatto e diritto. — Nel procedimento penale a carico di Radulo
vic Rade e Radulovic Zoran — sorpresi in flagranza di tentativo
di furto aggravato (acc. il 25 dicembre 1987) e tratti a giudizio davanti al Tribunale per i minorenni di Milano — detto tribuna
le, con ordinanza emessa il 9 febbraio 1988 nel corso degli atti
preliminari del giudizio, essendo sorti dubbi sulla esatta data di
nascita degli imputati e quindi sulla loro maggiore o minore età, dichiarava la nullità del decreto di citazione, ai sensi degli art.
407, n. 1, e 412 c.p.p., e ordinava la trasmissione degli atti al
pubblico ministero in sede per il compimento di «ulteriori accer
tamenti di sua competenza in ordine alla identificazione degli im
putati». L'anzidetto pubblico ministero, osservato che nel dubbio sulla
minore età degli imputati la competenza spettava al «giudice dei
maggiori», trasmetteva gli atti al locale pretore, ritenuto compe tente per il giudizio.
Il pretore, però, dopo aver espletato opportune indagini, resti
tuiva gli atti al prrocuratore della repubblica per i minorenni, osservando che da detti accertamenti (e in particolare dalla esibi
zione dei passaporti degli imputati) risultava la minore età degli
stessi, sicché il procedimento era di competenza del Tribunale
per i minorenni di Milano. Quest'ultimo giudice, reinvestito del giudizio, e rilevato che per
sistevano gli stessi dubbi che avevano dato luogo al precedente
(1) Nel senso della prevalenza del principio del favor rei, e dunque della attribuzione della competenza al tribunale minorile nel caso di per sistenti dubbi circa l'età dell'imputato, v. già, nella giurisprudenza di me rito, App. Milano 20 aprile 1988, Foro it., 1989, II, 181, con nota di Renda.
This content downloaded from 91.229.229.210 on Wed, 25 Jun 2014 03:59:33 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions