Date post: | 31-Jan-2017 |
Category: |
Documents |
Upload: | nguyenlien |
View: | 215 times |
Download: | 0 times |
sezione III penale; sentenza 21 dicembre 1993; Pres. Tridico, Est. Siena, P.M. Ranieri (concl.conf.); ric. Pelacani. Annulla senza rinvio Trib. Macerata 15 ottobre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.337/338-339/340Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188482 .
Accessed: 28/06/2014 12:41
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 193.142.30.103 on Sat, 28 Jun 2014 12:41:21 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA PENALE
Ma tale ultima tesi — che è quella sostenuta dal ricorso —
è stata considerata infondata dalla giurisprudenza di questa corte
(cfr. sez. Ili 24 giugno 1987, Bergolini, Foro it., Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 1206), la quale ha affermato che l'art.
1, ultimo comma, 1. 516/82 con il richiamo all'art. 14 d.p.r. 600/73, «non ha certo lo scopo di individuare i destinatari del
relativo obbligo (obbligo che può essere imposto da norme civi
listiche e/o fiscali), ma unicamente di specificare quali sono le
scritture la cui mancata tenuta o conservazione costituisce reato».
Tuttavia, posto questo criterio interpretativo dal quale non
si ravvisano ragioni valide per discostarsi, la riflessione sui ter
mini e sulla portata del rinvio in questione non può però condi
videre l'enucleazione dell'indicazione del punto b) dell'art. 14
richiamato (i registri prescritti ai fini dell'imposta sul valore ag
giunto) dalle proposizioni che immediatamente la precedono e
la determinano nel suo senso più completo e appropriato. La indicazione ora ricordata non è quella dei registri prescrit
ti ai fini dell'Iva per qualsiasi categoria di contribuenti, bensì
di quei registri alla cui tenuta sono obbligate le categorie indivi
duate dalla prima alinea dell'art. 14 (le società, gli enti impren ditori commerciali di cui al 1° comma dell'art. 13 stesso d.p.r.).
Se tali sono i termini dell'indicazione del richiamo, per i sog
getti compresi nel 2° comma dell'art. 13 (e fra queste le persone fisiche che esercitano arti e professioni) i registri ai fini Iva la
cui omessa tenuta o conservazione è sanzionata penalmente, so
no quelli stessi che essi hanno in comune per legge fra quelli cui sono tenuti i soggetti di cui al 1° comma dell'art. 13.
La soluzione risponde alla compiuta lettura logico-letterale e sistematica della norma ed alla sua finalità, che è quella di
sanzionare penalmente non già l'omissione riferita a tutti i libri
e le scritture contabili cui le diverse categorie di contribuenti
sono tenute, bensì a quelle scritture che il legislatore ha ritenuto
essenziali ai fini della verifica dell'assolvimento dell'obbligo con
tributivo ed irrinunciabili per la trasparenza basilare della con
tabilità. La novella del 1991, che, come si è ricordato, ha risolto le
perplessità e le incertezze interpretative, indicando specificamente le poche, essenziali scritture la cui omessa tenuta o conservazio
ne è sanzionata penalmente, conferma la correttezza della solu
zione, alla quale qui si è pervenuti. La definizione del senso e dei limiti del rinvio, riferito al caso
in esame, porta a escludere che l'omessa tenuta del registro del
le somme in deposito — prescritto dal d.m. 31 ottobre 1974 — sia riconducibile ai registri prescritti ai fini Iva, la cui omessa
tenuta o conservazione sia sanzionata penalmente dall'art. 1, 6° comma, 1. 516/82.
Pertanto, il ricorso deve essere accolto, restando assorbito
il primo dei motivi dedotti.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 21 di
cembre 1993; Pres. Tridico, Est. Siena, P.M. Ranieri (conci,
conf.); ric. Pelacani. Annulla senza rinvio Trib. Macerata 15
ottobre 1990.
Tributi in genere — Omessa tenuta e/o conservazione di scrit
ture contabili — Libro giornale — Vidimazione annuale tar
diva — Reato — Esclusione (D.l. 10 luglio 1982 n. 429, nor
me per la repressione della evasione in materia di imposte
sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione
delle pendenze in materia tributaria, art. 1; 1. 7 agosto 1982
n. 516, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 10
luglio 1982 n. 429, art. 1).
Non integra la contravvenzione di omessa o irregolare tenuta
delle scritture contabili obbligatorie, prevista dall'art. 1, ulti
II Foro Italiano — 1994.
mo comma, I. 516/82 (nella versione precedente alle modifi che apportate con l. 154/91), la condotta di chi abbia proce duto solo con pochi mesi di ritardo alla vidimazione annuale
del libro giornale. (1)
Motivi della decisione. — Il ricorso è fondato.
Occorre premettere che all'imputato è stata contestata la vio
lazione di cui all'art. 1, 6° comma, 1. 516/82 per aver vidimato
tardivamente il libro giornale. La citata norma punisce chi «non tiene o non conserva, in
conformità all'art. 22 d.p.r. 600/73, talune delle scritture con
tabili obbligatorie indicate ai punti a) e b) dell'art. 14 del mede simo decreto. Quest'ultima disposizione prevede la tenuta dei
seguenti libri obbligatori: a) libro giornale e libro degli inventa
ri; b) registri prescritti ai fini dell'Iva (e cioè registri acquisti, registri fatture emesse e registri dei corrispettivi). E a sua volta
il citato art. 22 prevede che, «fermo restando quanto stabilito
dal codice civile per il libro giornale..., le scritture contabili
devono essere tenute a norma dell'art. 2219 e numerate e bolla
te a norma dell'art. 2215 c.c.».
In base alle predette norme, collegate le une alle altre, non
sembra che l'irregolarità formale contestata (ritardo di pochi mesi nella vidimazione del libro giornale) possa costituire il rea
to ascritto al Pelacani.
A parte il dato letterale dell'omesso richiamo dell'art 2216
c.c., che disciplina la vidimazione del libro giornale, si deve
osservare che la citata norma (prima della sua modifica) si limi
tava a stabilire che il libro giornale dovesse essere vidimato «an
nualmente».
Orbene, di fronte ad espressioni generiche dell'art. 1, 6° com
ma, 1. 516/82 («non tiene in conformità») e a norme del codice
civile in materia di tenuta delle scritture contabili non più ade
guate ai tempi attuali, il legislatore ha sentito la necessità:
1) di modificare gli art. 2216 e 2217 c.c. (art. 8, 1° e 2° comma, 1. 30 dicembre 1991 n. 413), stabilendo — per quanto concerne la vidimazione — che questa deve avvenire «entro la
fine del secondo mese successivo alla scadenza di ciascun anno
della data di bollatura»;
2) di riscrivere l'art. 1, 6° comma, 1. 516/82, mediante la
modifica approvata con la 1. 15 maggio 1991 n. 154 (art. 1,
6° comma), precisando tra l'altro che «si considerano non te
nute le scritture contabili non bollate e non vidimate per alme
no due anni consecutivi, nonché quelle inattendibili nel loro com
plesso a causa di irregolarità gravi, numerose e ripetute».
In tal modo il legislatore ha voluto indicare, ai fini penalisti
ci, quali irregolarità formali possano essere ritenute effettiva
mente ostative alla ricostruzione della condizione economica di
un imprenditore.
(1) - Il problema della riconducibilità alla contravvenzione sulla irre
golare tenuta delle scritture contabili (art. 1, ultimo comma, 1. 516/82) delle violazioni relative alla disciplina in tema di vidimazione delle scrit
ture medesime ha formato oggetto di un ampio dibattito interpretativo, al quale ha fatto seguito una serie di più specifiche modifiche normati
ve che la 1. 154/91 ha apportato alla disposizione incriminatrice in oggetto. Nell'escludere la rilevanza penale della tardiva vidimazione annuale
del libro giornale (che nella specie risultava però già regolarmente vidi
mato prima dell'uso) la corte ha fatto richiamo esplicito a quella neces
sità di tener conto dei profili di offensività delle condotte concretamen
te sanzionabili, che aveva avuto modo di essere espressamente valoriz
zata da parte della stessa Corte costituzionale, nel rigettare una questione di legittimità costituzionale della relativa norma incriminatrice (v. sent.
25 luglio 1989, n. 437, Foro it., 1990, I, 802, con nota di richiami). Con riferimento anche a scritture diverse da quella considerata in sen
tenza, v. in precedenza G.i.p. Trib. Torino 17 gennaio 1991, id., Rep.
1991, voce Tributi in genere, n. 1422; Trib. Latina 4 novembre 1988,
ibid., n. 1434.
La Corte di cassazione ha peraltro già avuto occasione di intervenire
anche sulla questione connessa alla riformulazione dell'art. 1, cit., cosi
come operata da parte della citata 1. 154/91. A questo riguardo, v.
infatti, Cass., sez. III, 24 settembre 1992, Proc. gen. App. Campobasso in c. Scasserà, id., 1993, II, 71, con ampia nota di richiami, alla quale si rinvia anche per quanto attiene agli ulteriori aspetti sottesi alla pro nuncia in epigrafe.
This content downloaded from 193.142.30.103 on Sat, 28 Jun 2014 12:41:21 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
PARTE SECONDA
Se cosi è, non par dubbio che la situazione normativa prece dente alle suindicate modifiche non consentiva di stabilire con
uguale chiarezza quali fossero le irregolarità formali sicuramen
te integranti il reato in esame.
Tant'è che la dottrina sosteneva che dovessero considerarsi
rievanti non singole irregolarità formali o sostanziali di scarso
significato, ma omissioni, irregolarità reiterate o sistematiche, tali da compromettere la funzione probatoria delle scritture con
tabili e da creare un concreto ostacolo all'accertamento dei
tributi. Nella specie si è trattato di un semplice ritardo nella vidima
zione annuale del libro giornale e tale irregolarità formale non
appare, in relazione alla normativa vigente all'epoca del fatto, costituire il reato contestato, sia per le ragioni di stretta inter
pretazione della norma in questione, sia in considerazione delle
altre argomentazioni in precedenza svolte, che portano ad esclu
dere l'offensività del fatto, cosi come contestato. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12
ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Satta Flo
res, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Vene
zia in c. Bosco. Conferma Pret. Venezia-Mestre 2 dicembre
1992.
Pena (applicazione su richiesta) — Sanzioni sostitutive — Disci
plina (Cod. proc. pen., art. 444; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 53).
Nel patteggiamento ex art. 444 c.p.p., la richiesta di applicazio ne di sanzione sostitutiva a norma degli art. 53 ss. I. 24 no
vembre 1981 n. 689 deve essere necessariamente congiunta a
quella della applicazione della pena; in tal caso, la sanzione sostitutiva va individuata e, se lo si ritiene, applicata in rela
zione alla pena detentiva da infliggere in concreto, dopo che
questa sia stata determinata con tutte le valutazioni e i calcoli necessari in aumento o in diminuzione, compresa la riduzione
«premiale» fino ad un terzo. (1)
(1-4) Le sezioni unite hanno risolto con le sentenze che si riportano il contrasto manifestatosi nella giurisprudenza in ordine ai rapporti tra l'istituto del «patteggiamento» di cui all'art. 444 c.p.p. e quello dell'ap plicazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive di breve durata ai sensi degli art. 53 ss. 1. 24 novembre 1981 n. 689 e successive modifi cazioni.
Tre erano state le soluzioni ipotizzate dalla giurisprudenza. Secondo un primo orientamento l'applicazione di sanzioni sostitutive
e la riduzione fino ad un terzo della pena ex art. 444 c.p.p. non sareb bero cumulabili in quanto il legislatore ha voluto accordare all'imputa to che accede al «patteggiamento» un premio di natura processuale con
figurato secondo una triplice possibilità: una sanzione sostitutiva, una
pena pecuniaria ridotta fino ad un terzo, una pena dententiva ridotta fino ad un terzo (Cass. 15 aprile 1993, P.m. in c. Amò, Arch, nuova
proc. pen., 1993, 760; 18 marzo 1993, P.m. in c. Favero, ibid.; 11 febbraio 1992, Mancaruso, Foro it., Rep. 1992, voce Pena (applicazio ne su richiesta), n. 151).
Un secondo indirizzo ha invece ritenuto che la richiesta di applicazio ne della sanzione sostitutiva sarebbe pienamente cumulabile con quella di applicazione della pena, precisando però che l'operazione di sostitu zione della pena in sanzione deve essere effettuata sulla specie e misura di pena detentiva determinata in concreto sulla base della gravità del reato e della capacità a delinquere del soggetto e che solo dopo il com
pimento di questa attività si deve eseguire la diminuzione della sanzione sostitutiva nella misura stabilita dall'art. 444 c.p.p. (Cass. 18 dicembre 1992, Crisci, Cass. pen., 1993, 1785; 21 ottóbre 1992, Persiani, Arch, nuova proc. pen., 1993, 608; Pret. Potenza 16 novembre 1990, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 50; e, in dottrina, De Nictolis, Sanzioni
Il Foro Italiano — 1994.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12 ottobre 1993; Pres. Zucconi Gaìli Fonseca, Est. Satta Flo
res, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Vene
zia in c. Bocchese. Conferma Pret. Vicenza-Argìgnano 2 di
cembre 1992.
Pena (applicazione su richiesta) — Sanzioni sostitutive — Disci plina (Cod. proc. pen., art. 444; 1. 24 novembre 1981 n. 689, art. 53).
In sede di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., solo dopo eseguite tutte le determinazioni previste da detta norma, compresa la
riduzione «premiale» fino ad un terzo, può valutarsi l'am
missibilità e l'opportunità di sostituire l'esecuzione di tale pe na, cosi individuata, con l'esecuzione di una sanzione sostitu
tiva a norma degli art. 53 ss. I. 24 novembre 1981 n. 689;
è ovvio che al giudice spetta anche il compito, ove la richiesta
di applicazione della pena comprenda pure la sostituzione della
pena detentiva, di controllare l'ammissibilità della disciplina
dettata, per le sanzioni sostitutive, dalla legge, rigettando la
richiesta ove ritenga non applicabile la detta sostituzione. (2)
III
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12
ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Satta Flo
res, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. Proc. gen. App. Vene
zia in c. Scopel. Conferma Pret. Belluno-Feltre 17 dicembre
1992.
Cassazione penale — Patteggiamento — Ricorso — Procedi
mento (Cod. proc. pen., art. 444 , 611). Pena (applicazione su richiesta) — Sanzioni sostitutive — Disci
plina (Cod. proc. pen., art. 444; 1. 24 novembre 1981 n. 689, art. 53).
Il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della
pena su richiesta delle parti deve essere deciso mediante il
procedimento in camera di consiglio secondo quanto prevede l'art. 611 c.p.p. quando si tratti di sentenze non emesse nel
dibattimento; si deve invece procedere alla trattazione in pub blica udienza nel caso di sentenze emesse dopo la chiusura
del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugna zione qualora il giudice abbia ritenuto ingiustificato il dissen
so del pubblico ministero. (3)
sostitutive e diminuente fino ad un terzo in sede di patteggiamento, in Giur. it., 1991, II, 379; Lupo, Processi senza dibattimento, in Com mento al codice di procedura penale coordinato da Chiavario, primo aggiornamento, Torino, 1993, 725; Turel-Buonocore, Il nuovo rito
penale, Udine, 1989, 354). Altra parte della giurisprudenza infine, pur concordando sulla cumu
labilità della richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva con quella di applicazione della pena, ha affermato che le sanzioni sostitutive si
applicano commisurandole alla pena detentiva determinata in concreto
dopo avere operato anche la diminuzione fino ad un terzo prevista dal l'art. 444, 1° comma, c.p.p. (Cass. 23 aprile 1993, Bassetti, Cass, pen., 1993, 1784; 22 marzo 1993, P.m. in c. Di Placido, Arch, nuova proc. pen., 1993, 761; Pret. Bassano del Grappa 30 novembre 1992, Foro
it., 1994, II, 66, con nota di richiami; e, in dottrina, Macchia, Il pat teggiamento, Milano, 1992, 14).
La Corte di cassazione, con le sentenze in epigrafe, ha aderito a que st'ultimo orientamento statuendo che la richiesta della sanzione sostitu tiva deve essere necessariamente congiunta e non alternativa a quella della applicazione della pena in quanto «la sanzione sostitutiva non
può essere applicata autonomamente ex se», ma solo in riferimento ad una pena detentiva determinata in concreto, tenendo conto anche della diminuzione fino ad un terzo di cui all'art. 444, 1° comma, c.p.p.
Nel procedere alla ricostruzione dell'istituto delle sanzioni sostitutive, le sezioni unite evidenziano che il d.l. 14 giugno 1993 n. 187, convertito nella 1. 12 agosto 1993 n. 296, ha modificato l'art. 53 1. n. 689 del 1981 in tema di livelli di pena detentiva sostituibile con una sanzione
sostitutiva, ribadendo però che «l'applicazione della sanzione in luogo della pena detentiva è possibile solo per i reati di competenza del preto re...» e che «il giudice nell'infliggere per un reato di competenza pre
This content downloaded from 193.142.30.103 on Sat, 28 Jun 2014 12:41:21 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions