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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione III penale; sentenza 4 luglio 1989; Pres. Glinni,...

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sezione III penale; sentenza 4 luglio 1989; Pres. Glinni, Est. De Maio, P.M. Fusaro (concl. conf.); ric. Magnanti. Conferma Pret. Catania 6 luglio 1988 Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp. 705/706-707/708 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23183682 . Accessed: 28/06/2014 08:41 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.220.202.116 on Sat, 28 Jun 2014 08:41:16 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione III penale; sentenza 4 luglio 1989; Pres. Glinni, Est. De Maio, P.M. Fusaro (concl. conf.);ric. Magnanti. Conferma Pret. Catania 6 luglio 1988Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.705/706-707/708Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183682 .

Accessed: 28/06/2014 08:41

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GIURISPRUDENZA PENALE

tuale e trasporto) e quello della discarica (scarico, deposito) e

a distinguere la disciplina delle operazioni in proprio da quelle

per conto terzi.

È, quindi, evidente che non rientra in tale disciplina la raccol

ta, il trasporto e lo scarico episodici, non assistiti cioè dai carat

teri dell'imprenditorialità e della continuità. In questo caso il legislatore non ha più mantenuto la regola

mentazione in due momenti dell'operazione e ne ha previsto un'u

nica complessa attività (consistente nell'art. 9 ed) estrinsecata dal

l'abbandono, dallo scarico o il deposito incontrollato in aree pub bliche e private soggette ad uso pubblico o in acque pubbliche e private.

La normativa non contempla l'operazione di raccolta e tras

porto separatamente e la formulazione letterale lascia intendere

che è in essa compresa. Tale è il significato delle parole «abbandono, deposito». Il fatto in oggetto rientra, quindi, esclusivamente in detta ipo

tesi per la quale correttamente il pretore configurò il relativo ille

cito amministrativo di cui all'art. 24. Egli, inoltre, avrebbe potuto riscontrare il concorso del reato

di cui all'art. 21, 1° comma, ed eventualmente, previa analisi, dell'ultimo comma della 1. 319/76 fatto salvo espressamente dal

citato art. 9 della legge in epigrafe a tutela del diverso interesse

pubblico protetto e cioè il non inquinamento delle acque dal mo

mento che lo scarico fu effettuato in un torrente.

Ma ormai l'azione penale non può essere esercitata per la pre scrizione del reato mentre non può questo essere ritenuto imme

diatamente concorrente con l'illecito amministrativo configurato, difettando la contestazione dello scarico «nel corso del torrente»

e la garanzia della difesa sul punto specifico del fatto.

Né è prospettabile la tesi subordinata difensiva dell'applicabili tà dell'art. 27, circa la violazione delle prescrizioni contenute nel

l'autorizzazione regionale per lo smaltimento dei rifiuti urbani

o assimilati perché, come si è spiegato, il fatto non rientra nell'e

sercizio delle attività comprese nel provvedimento amministrativo.

Ne consegue a norma degli art. 90 e 539, 1° comma, c.p.p. l'annullamento della sentenza senza rinvio per duplicazione di

giudizio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 4 luglio

1989; Pres. Glinni, Est. De Maio, P.M. Fusaro (conci, conf.); ric. Magnanti. Conferma Pret. Catania 6 luglio 1988.

Lavoro (contratto collettivo di) — Malattia — Licenziamento —

Disciplina prevista dalla normativa collettiva estesa «erga omnes» — Violazione — Reato — Fattispecie (L. 14 luglio 1959 n.

741, norme transitorie per garantire minimi di trattamento eco

nomico e normativo ai lavoratori, art. 1, 8; d.p.r. 28 luglio 1960 n. 1060, norme sul trattamento economico e normativo

dei lavoratori dipendenti delle imprese dei settori della cerami

ca, art. 21).

In caso di malattia o infortunio del lavoratore dipendente la nor

mativa collettiva per le imprese della ceramica, estesa erga omnes

dal d.p.r. 28 luglio 1960 n. 1060 ai sensi della l. 14 luglio 1959 n. 741, disciplina il diritto alla conservazione del posto di lavo

ro non solo nell'ipotesi di malattia unica e continuativa con

prolungamento del periodo di comporto per ricaduta nel mede

simo stato morboso, ma anche per le assenze dovute a malattie

di origine diversa; pertanto, integra il reato di cui all'art. 8

della predetta legge il licenziamento del dipendente che si sia

assentato per un periodo non superiore alla durata del compor to a causa di diversi episodi morbigeni. (1)

(1) Premessa della decisione è la riconducibilità nell'ambito della disci

plina collettiva estesa erga omnes della fattispecie concernente il divieto

di licenziamento del lavoratore affetto da una pluralità di episodi morbi

geni di origine diversa (eccessiva morbilità) e, pertanto, l'esplicita previ sione contrattuale, accanto all'ipotesi del c.d. comporto secco, del com

porto per sommatoria, con la conseguente tutela penale, in caso di viola

zione della suddetta disciplina, apprestata dall'art. 8 1. 14 luglio 1959 n. 741.

Tuttavia, il tenore letterale dell'art. 21 c.c.n.l. annesso al d.p.r. n. 1060

Il Foro Italiano — 1990.

Il ricorrente è stato dichiarato colpevole del reato di cui all'art.

8 I. 14 luglio 1959 n. 741 in relazione all'art. 21 d.p.r. 28 luglio 1960 n. 1060 per non aver conservato il posto di lavoro a Falsa

perla Salvatore, licenziato invece il 15 settembre 1986 a seguito di malattia. (Catania, 31 ottobre 1986, su rapporto ispett. lavoro).

Con unico motivo lamenta violazione di legge in quanto la nor

ma dell'art. 21 d.p.r. n. 1060 del 1960 si riferisce, ai fini del computo di periodo di comporto ovvero di tolleranza per la con

servazione del posto di lavoro, ad una sola malattia sia pure reci

divante, e non già ad episodi morbigeni diversi. Ritiene sul punto illegittima l'interpretazione opposta della Cas

sazione civile in quanto diretta ad integrare la legge carente e

quindi non applicabile in sede penale per il preciso principio della

del 1960 non sembra consentire tale conclusione, ove si consideri che, analogamente ad altre clausole contrattuali, in cui la Suprema corte ha ravvisato la necessità di fare ricorso all'equità integrativa per la mancan za di una espressa disciplina in tema di licenziamento per eccessiva mor bilità (ai fini della legittimità dello stesso), la citata disposizione si limita a prevedere, in ragione dell'anzianità di servizio (da nove ad oltre dician nove anni), il periodo con diritto alla conservazione del posto in caso di malattia (da sette a nove mesi). Né appare del tutto convincente l'argo mento secondo cui il termine «malattia non può riferirsi ad un'identica sindrome morbosa essendo inverosimile che una persona si ammali della medesima malattia in un cosi lungo periodo di tolleranza legislativo ovve ro di comporto da nove ad oltre diciannove anni di attività lavorativa», in quanto in tal modo si confonde il parametro per la determinazione del periodo massimo consentito per malattia con il c.d. termine esterno, che nell'ipotesi del comporto per sommatoria indica il periodo entro il

quale i singoli periodi di malattia vanno riunificati ed assumono rilievo ai fini del superamento o meno del periodo di tolleranza (c.d. termine

interno), e che, in assenza di norme legislative o contrattuali, deve essere individuato con ricorso all'equità (integrativa) ai sensi dell'art. 2110 c.c. È ovvio che quanto detto assume nella specie rilevanza poiché si tratta di accertare non tanto la legittimità del licenziamento (che potrebbe esse re negata alla stregua dell'integrazione equitativa ex art. 2110 c.c., cioè in assenza di specifica disciplina), quanto l'esistenza di una fattispecie costituente reato, il cui precetto consiste nell'adempimento da parte del datore di lavoro di quegli obblighi derivanti dalle clausole dei contratti collettivi estesi erga omnes e nei limiti del contenuto delle clausole stesse.

Circa la natura giuridica della norma di cui all'art. 8 1. 741/59, v. Cass. 13 luglio 1965, Putzu, Foro it., Rep. 1965, voce Lavoro (contratto

collettivo), n. 115, che esclude trattarsi di un precetto punitivo in bianco, rientrando nella categoria delle norme incomplete, in quanto debbono essere integrate da altre norme giuridiche. Per la legittimità costituzionale della norma citata, v. Cass. 30 novembre 1981, Ranieri, id., Rep. 1983, voce cit., n. 63 e 18 febbraio 1981, Ranieri, id., Rep. 1981, voce cit., n. 99. L'applicabilità dell'art. 8 1. cit. viene poi limitata solo con riferi mento a quelle clausole collettive che fissano i minimi inderogabili di trattamento economico e normativo, con esclusione di tutte quelle clauso le contrattuali che non hanno contenuto retributivo o normativo (Cass. 7 luglio 1986, Barbiero, id., Rep. 1988, voce cit., n. 69): nel solco di

questo indirizzo interpretativo, ritenendo estendibili a tutti gli apparte nenti ad una medesima categoria solo le clausole incidenti in modo diret to ed immediato nella disciplina del rapporto di lavoro, si è esclusa la

sussistenza del reato per l'assunzione di un impiegato senza procedura concorsuale in violazione dell'art. 7 della convenzione 14 ottobre 1953, estesa erga omnes dal d.p.r. 2 gennaio 1962 n. 912 (concernente gli impie gati ed il personale subalterno delle casse di risparmio, monti di credito ed enti equiparati), in quanto tale previsione contrattuale è cronologica mente anteriore al rapporto di lavoro, presupposto per l'insorgere a cari co del datore di lavoro degli obblighi derivanti dal contratto (Cass. 21 ottobre 1977, Bellei, id., Rep. 1979, voce cit., n. 58); ad analoga conclu sione è pervenuta Cass. 30 maggio 1984, Di Giampietro, id., Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1533, in tema di omessa esposizione sul luogo di lavoro della tabella indicante i turni di servizio e del riposo settimanale

nell'interesse del personale dipendente della categoria dei dipendenti di

albergo. Per il mancato accantonamento presso istituti bancari dei com

pensi accessori dovuti ai lavoratori dipendenti (ex d.p.r. n. 1032 del 1960), v. Cass. 10 marzo 1986, Luciani, id., Rep. 1987,. voce cit., n. 1904 e

15 aprile 1986, Iannaccone, ibid., n. 1093, che ha ritenuto la sussistenza

dell'ipotesi contravvenzionale in esame anche se il datore di lavoro abbia

corrisposto direttamente ai dipendenti le prescritte somme: sul punto, v.

anche Cass. 21 marzo 1989, Bombaci, id., Rep. 1989, voce cit., n. 1268.

Per la giurisprudenza di merito, va segnalata Pret. Pisa 15 luglio 1986,

id., Rep. 1987, voce cit., n. 1218 (con nota di De Luca in Toscana lavo

ro giur., 1987, 173), per l'applicazione dell'esimente del consenso dell'a

vente diritto in materia di divisibilità del periodo di ferie.

Circa il problema specifico dell'applicabilità dell'art. 8 1. n. 741 del

1959 in materia di divieto di licenziamento per malattia, Cass. 12 marzo

1973, Arisi, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 679 e 23 aprile 1986, Raio

la, id., Rep. 1987, voce cit., n. 2086, hanno rispettivamente statuito la

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PARTE SECONDA

tassatività della norma ai sensi dell'art. 1 c.p. e 12-14 disp. sulla

legge in generale. Il ricorso è infondato. L'art. 21 1. n. 1060 del 28 luglio 1960,

recepita insieme al contratto collettivo nazionale di lavoro per il settore della ceramica del 31 gennaio 1957 dalla legge recante

sanzioni penali 14 luglio 1959 n. 741, art. 1 e 8, disciplina il trattamento dei lavoratori in caso di malattia o infortunio ed as

sicura la conservazione del posto in base al periodo di malattia

ed all'anzianità di servizio. La conservazione predetta oscilla, pertanto, da un periodo mi

nimo di sette e massimo di nove mesi a seconda dell'anzianità

fino a nove e ad oltre diciannove anni di servizio.

È, pertanto, ben evidente che l'espressione al singolare della

parola malattia (in caso di malattia) non può riferirsi ad un'iden

tica sindrome morbosa essendo inverosimile che una persona si

ammali della medesima malattia in un cosi lungo periodo di tolle

ranza legislativa ovvero di comporto da nove ad oltre diciannove

anni di attività lavorativa.

Vi osterebbe, d'altronde, la riflessione sulla ricorrente diversi

ficazione della diagnosi ovvero della precisazione del nome della

malattia pur di fronte ad una medesima sintomatologia morbosa

da parte dei sanitari. Per esemplificazione è sufficiente ricordare

che una diagnosi generica di «influenza» viene spesso diversa

mente definita con espressioni differenziate quali «laringo-tracheite,

bronchite, sindrome bronco-polmonare, ecc.

Né l'avere il 4° comma ribadito l'espressione al singolare con

le parole «in corso di ricaduta nella stessa malattia» significa iden

tità del quadro morboso, perché tale norma si preoccupa soltanto

di aumentare in caso di recidiva il periodo di conservazione del

posto della metà di quello originario.

Urterebbe, peraltro, con il principio di logicità essenziale, fare

usufruire di detto beneficio il lavoratore affetto da una medesima

malattia per anni e non anche quello soggetto a plurima e quindi

più gravosa morbilità.

vigenza del citato art. 8 anche dopo la nuova normativa sui licenziamenti individuali (1. 15 luglio 1966 n. 604, integrata dall'art. 18 1. 20 maggio 1970 n. 300), e l'onere del dipendente di comunicare al datore di lavoro lo stato di malattia ed il relativo decorso, nonché di fornirne la prova con la prescritta documentazione medica, dovendo, in mancanza, ritener si giustificato il licenziamento.

Per una disamina generale sulla disciplina del comporto per sommato

ria, v. Cass. 12 aprile 1989, n. 1742, id., 1990, I, 1654, con nota di richiami in giurisprudenza e dottrina. [R. Ciquera]

CORTE DI CASSAZIONE; sezione II penale; sentenza 23 giu

gno 1989; Pres. Caputi, Est. Della Penna, P.M. (conci, diff.); ric. Bernabei. Annulla senza rinvio App. Roma 23 giugno 1988.

Appropriazione indebita — Distrazione di fondi extra-bilancio di

società controllate — Reato — Esclusione (Cod. pen., art. 646).

Benché le attività di appropriazione e di distrazione implichino entrambe la sottrazione del bene alle sue finalità istituzionali, tali condotte si diversificano nella fase successiva della nuova

destinazione, che nell'appropriazione è soggettivamente ed og

gettivamente orientata ad impadronirsi della cosa, cioè ad in

staurare un completo dominio su di essa immettendola nel pa trimonio dell'agente, mentre nella distrazione è rivolta sempli cemente ad un uso arbitrario del bene con impiego per fini diversi da quello cui era destinato; pertanto, l'amministratore

delegato della società capogruppo, che distrae fondi extra

bilancio di società controllate senza vantaggio personale né frau dolente intese con i terzi destinatari dei singoli atti di disposi zione, non realizza alcuna condotta riconducibile al modello

di appropriazione indebita delineato dall'art. 646 c.p. (1)

(1) La decisione — riportata anche in Riv. trim. dir. pen. economia, 1989, 1123, con nota adesiva di Calderone, Il ruolo della Cassazione e la supplenza giudiziaria (a proposito di utilizzazione di fondi non con

II Foro Italiano — 1990.

Fatto e diritto. — Con sentenza in data 3 dicembre 1987 il

giudice istruttore presso il Tribunale di Roma concludeva l'ampia

indagine istruttoria condotta ai fini dell'accertamento di eventua

li responsabilità connesse alla formazione ed alla utilizzazione di

disponibilità extracontabili accantonate da società appartenenti al gruppo Iri dal 1964 al 1974 allorquando erano stati aperti e

gestiti numerosi conti correnti bancari a nome delle società Scai,

(poi Italscai) ed Italstrade presso filiali della Bnl di Roma e di Milano. Precisava al riguardo il decidente, dopo aver premesso che «neppure i periti d'ufficio avevano potuto stabilire con asso

luta certezza l'originaria pertinenza dei fondi in questione» e che

dopo il 1974 la «lievitazione degli stessi era avvenuta esclusiva

mente per autoalimentazione attraverso gli interessi maturati sui

depositi», che autore della formazione dei fondi non contabiliz

zati era stato Antonio Orlandi (deceduto nel 1978) all'epoca am

ministratore unico di Italstrade e presidente della Scai, il quale

nell'agosto del 1976 aveva consegnato le disponibilità «ai vertici

Iri», materialmente affidando in custodia a Spafid, fiduciaria di MedioBanca, il plico che le conteneva contrassegnato dalla sigla

«Gruppo Italstrade»; che il 29 ottobre dello stesso anno detto

plico era stato ritirato da Sergio De Amicis, amministratore di Italstat sino al 1973, poi membro del consiglio di amministrazio ne fino al 20 maggio 1976 della suddetta società, presidente di

tabilizzati per finalità extrasocietarie) — cassa App. Roma 23 giugno 1988, che aveva invece affermato la configurabilità di principio dell'incrimina

zione, pur dichiarando estinto il reato per amnistia: la sentenza è riporta ta in Foro it., 1989, II, 420, con nota di richiami e commento di Mhitel

10, Aspetti penalistici dell'abusiva gestione nei gruppi societari: tra ap propriazione indebita ed infedeltà patrimoniale. In dottrina cfr. pure di recente Flick, Gruppi e monopolio nelle nuove prospettive del diritto

penale, in Riv. società, 1988, 470 s.; Foffani, La responsabilità penale nella gestione dei patrimoni altrui, in Contratto e impresa, 1988, 110

s.; Mangano, L'infedeltà patrimoniale degli amministratori nei gruppi di imprese, in Riv. trim. dir. pen. economia, 1989, 1003 s. Fra i recenti contributi stranieri vanno segnalati Bouloc, Droit pénal et groupes d'en

treprises, in Revue des sociétés, 1988, 182 s. e, per un profilo particolare, il conflitto d'interessi da parte dei membri di organi sociali di controllo, Tiedemann, Untreue bei Interessenkolflikten, in FS fùr Tróndle, 1989, Berlin-New York, De Gruyter, 319 s.

La distinzione fra le condotte di appropriazione e distrazione, di cui alla prima parte della massima, è ripresa testualmente da un contributo dedicato alla fattispecie di peculato: Severino, Il criterio fra distrazione ed appropriazione nel peculato, in Mass. pen., 1976, 711. Questa impo stazione è stata autorevolmente avallata in giurisprudenza, in relazione al tormentato problema dell'abuso di fido bancario, da Cass., sez. un., 23 maggio 1987, Tuzet, Foro it., 1987, II, 481, con nota di Giacalone, Vecchio e nuovo nella qualificazione giuridica dell'attività bancaria; Ban

ca, borsa, ecc., 1988, II, 517, con nota di Veneziani, Le qualifiche sog gettive degli operatori bancari secondo le sezioni unite della Cassazione; Riv. it. dir. e proc. pen., 1987, 695, con nota di Paliero, Le sezioni unite invertono la rotta: è «comune» la qualifica giuridico-penale degli operatori bancari. L'importanza del distinguo fra le due specie di condot te è connessa al mutato paradigma nella qualificazione degli operatori bancari: una volta esclusa l'applicabilità dello statuto penale della pubbli ca amministrazione, le forme abusive prima riconducibili alla distrazione di beni rimangono al di fuori dell'incriminazione comune» di appropria zione indebita. In dottrina, a favore di tale conclusione, cfr. Paliero, op. cit., 704; Foffani, Le «mobili frontiere» fra pubblico e privato nello statuto penale degli operatori bancari, in Banca, impresa e società, 1988, 202 s.

Sul punto specifico però vi è stato un significativo mutamento d'opi nione nella stessa giurisprudenza: Cass. 24 marzo 1988, Ferranti, Foro

it., 1988, II, 669, con nota di Rapisarda, La natura giuridica dell'attività bancaria fra «disorientamenti» giurisprudenziali e prospettive di riforma. La possibilità di applicare (in presenza di determinati requisiti) l'art. 646 ha trovato conferma nella successiva pronunzia delle stesse sezioni unite

penali 28 febbraio 1989, Vita, id., 1989, II, 506, con nota di richiami e commento di Cianci, La responsabilità penale degli operatori bancari:

evoluzione giurisprudenziale; Cass. pen., 1989, 2150, con nota di Zan

notti, Banche e diritto penale: la terza pronuncia delle sezioni unite della

Cassazione; Giust. pen., 1989, II, 513, con nota di Lupacchini, Vechio e nuovo nel trattamento sanzionatorio degli operatori bancari; id., 1990, 11, 193, con nota di Mezzetti, L'appropriazione indebita nell'abuso di

fido bancario. Le condizioni di applicabilità dell'appropriazione indebita ai casi di

abuso nel credito sono state pure approfondite da Prosdocimi, Esercizio del credito e responsabilità penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 996 s.; Flick, Diritto penale e credito: problemi attuali e prospettive di soluzione. Addenda: Dal pubblico servizio all'impresa banca: ritorno al

futuro, Giuffrè, Milano, 1990, 45 s., spec. 66 s.

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