sezione III penale; sentenza 5 ottobre 1987; Pres. Picozzi, Est. Mastrocinque, P. M. Mammarella(concl. parz. diff.); ric. Triolo. Annulla senza rinvio Pret. Palermo 10 luglio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.295/296-297/298Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179663 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 5 otto
bre 1987; Pres. Picozzi, Est. Mastrocinque, P. M. Mamma
rella (conci, parz. diff.); ric. Triolo. Annulla senza rinvio Pret.
Palermo 10 luglio 1986.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Prevenzione degli infortuni — Impianti elettrici — Regole tecniche predisposte dal Comitato elettrotecnico italiano — Misure di protezione diverse ma ugualmente idonee — Legittimità (D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, norme per la prevenzione degli infortuni sul lavo
ro; 1. 1° marzo 1968 n. 186, disposizioni concernenti la produ
zione di materiali, appparecchiature, macchinari, installazioni
e impianti elettrici ed elettronici). Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Prevenzione degli
infortuni — Regole tecniche predisposte dal Comitato elettro
tecnico italiano — Violazione — Irrilevanza penale — Limiti
(D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547; 1. 1° marzo 1968 n. 186).
La l. 1° marzo 1968 n. 186, nel considerare costruiti a regola d'arte gli impianti elettrici realizzati secondo le norme del Co
mitato elettronico italiano (norme Cei), fornisce utili riferimen ti tecnici per stabilire l'idoneità delle misure di protezione con
tro i rischi elettrici, ma non esclude la possibilità di adottare
misure e criteri costruttivi diversi, egualmente atti ad assicurare
il medesimo risultato. (1) Sebbene le norme Cei abbiano ricevuto rilevanza giuridica dalla
1.1° marzo 1968 n. 186, la loro inosservanza non integra ipote si di reato, a meno che nel contempo risulti violata una norma
penalmente sanzionata del d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547. (2)
(1-2) La sicurezza di impianti, macchine e apparecchi elettrici nei luo
ghi di lavoro è disciplinata dal d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, nelle norme
penalmente sanzionate del titolo VII. Spetta al datore di lavoro adottare
i mezzi di prevenzione tassativamente indicati da tali norme, e, insieme, attuarli al meglio della tecnologia disponibile (sui principi di tassatività
e di massima sicurezza tecnologicamente fattibile, v., rispettivamente, con
specifico riguardo agli impianti elettrici, Cass. 13 maggio 1987, Sicula,
inedita; 12 aprile 1978, Spireddu, Foro it., Rep. 1978, voce Infortuni sul lavoro, n. 420; nonché, in generale, Guariniello, Se il lavoro uccide,
Einaudi, Torino, 1985, 100-103). Evidente, in un simile contesto normativo, è che le regole tecniche ine
renti alla produzione di impianti elettrici valgono a fornire al datore di
lavoro preziosi criteri di riferimento' per individuare la misura di prote zione elettrica più efficace. Cosi come è evidente che, ogniqualvolta non
imponga il ricorso a uno specifico sistema tecnico, il d.p.r. 547 lascia
al datore di lavoro la facoltà di scelta tra i diversi sistemi tecnici eventual
mente idonei a raggiungere il medesimo grado di sicurezza.
Quale l'impatto della 1. 1° marzo 1968 n. 186 sul d.p.r. 547? Osservia
mo, anzitutto, che, all'art. 1, questa legge — di per sé penalmente non
sanzionata — prescrive la costruzione a regola d'arte degli impianti elet
trici (senza distinguere tra ambienti di vita e ambienti di lavoro); e con
ciò, a ben vedere, non innova i principi normativi emergenti dal d.p.r. 547. Calzanti appaiono, quindi, due riflessioni sviluppate nella sentenza
qui presentata: «l'adozione delle prescrizioni che la più moderna tecnica
(segnatamente quella enunciata dal Cei) suggerisce nell'impiego degli im
pianti e delle attrezzature elettriche, può costituire un utile riferimento
al fine di stabilire la idoneità del sistema protettivo connesso all'uso di
energia elettrica»; la disciplina dettata dalla 1. 186, «attenendo all'osser
vanza delle regole di buona tecnica e all'efficienza delle opere, ha un
ambito applicativo non del tutto coincidente con quello penale, e non
esclude per altro verso l'adozione di criteri costruttivi e di misure diverse
atti ad assicurare il medesimo risultato specie sul piano della prevenzione infortunistica in cui la 1. 547 non delimita il campo delle scelte».
Solo che, all'art. 2, la 1. 186 considera costruiti a regola d'arte gli im
pianti elettrici realizzati secondo le norme elaborate dal Comitato elettro
tecnico italiano (le c.d. norme Cei); e in tal guisa conferisce valore di
legge alle norme Cei (ma non a regole tecniche diverse dalle norme Cei). Ne deriva una conseguenza di gran peso nelle ipotesi in cui emerga un
conflitto tra norme del d.p.r. 547 e norme Cei (per un'eloquente casistica
Di Giovanni, Norma Cei 64.8 e d.p.r. 547/55: problemi di disuniformità e contrasti, Relazione al convegno su «La normativa in materia di sicu
rezza elettrica: i nuovi orientamenti», tenutosi a Monteporzio Catone il
19-20 dicembre 1985; Carrescia, Elettroquesiti, Torino, 1987): e, cioè, che in tali ipotesi non è punibile il datore di lavoro che violi il d.p.r.
547, ma rispetti le norme Cei. È una conseguenza sottolineata da Càss.
30 marzo 1981, Nuccio (Foro it., Rep. 1982, voce cit., n. 485): «al rico
noscimento legislativo della costruzione a regola d'arte degli impianti ed
apparecchiature realizzati secondo le norme Cei non può attribuirsi altra
Il Foro Italiano — 1988.
Motivi della decisione. — (Omissis). Al Triolo sono state con
testate specifiche contravvenzioni punite ai sensi dell'art. 38, lett.
c), d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547: omessa rettifica della resistenza
a terra di dispersori installati (art. 326); omessa riparazione di
interruttori rotti (art. 290); mancato collegamento di una presa
elettrica (art. 271); difettosa manutenzione di una presa elettrica
(art. 267); alimentazione sotto tensione di una spina del trasfor
matore in sala parto (art. 309); omessa indicazione dei circuiti
degli interruttori (art. 287); mancata adozione di sistemi di prote zione di sicura efficienza all'impianto (art. 272). Ma gli è stato
contestato altresì anche il reato — che il pretore, appunto, ha
ritenuto sussistere — di mancato adeguamento alle norme Cei
per quanto riguarda gli impianti a terra, i conduttori di protezio
ne, l'intromessione delle tubazioni e masse metalliche in tutti i
locali ad uso medico. Questi ultimi addebiti — almeno nella loro
generica formulazione — mentre non consentono l'inquadramen
to delle rilevate disformità in alcuna precisa previsione contrav
venzionale antinfortunistica, non sono autonomamente configu rabili come reato in forza del principio posto dall'art. 1 c.p. In
vero il mancato adeguamento alla normativa tecnica approvata dal Comitato elettrotecnico italiano, ove non si traduca in un
deficiente apprestamento delle misure protettive, imposte da nor
me penalmente sanzionate, non integra di per sé configurazione criminosa anche se l'adozione delle prescrizioni che la più moder
na tecnica (segnatamente quella enunciata dal Cei) suggerisce nel
l'impiego degli impianti e delle attrezzature elettriche, può costi
tuire un utile riferimento al fine di stabilire la idoneità del siste
ma protettivo connesso all'uso di energia elettrica. Tale conclu
sione non è in contrasto con la rilevanza giuridica che la 1. 1°
marzo 1968 n. 186 assegna alla normativa Cei nello stabilire che
tutti i materiali, le installazioni e gli impianti elettrici devono es
sere realizzati e costruiti a regola d'arte e nel considerare costruiti
a regola d'arte quelli conformi alle norme del comitato elettrico.
Siffatta disciplina, attenendo all'osservanza delle regole di buona
tecnica e quindi anche al funzionamento e all'efficienza delle opere, ha un ambito applicativo non del tutto coincidente con quello
penale e non esclude per altro verso l'adozione di criteri costrutti
vi e di misure diverse atti a ad assicurare il medesimo risultato
specie sul piano della prevenzione infortunistica in cui la 1. 547
non delimita il campo delle scelte.
Il motivo del ricorso che riguarda la violazione dell'art. 524,
n. 1, c.p.p., in rapporto all'intera contestazione sotto il profilo
che si tratta di un impianto elettrico preesistente alla normativa
Cei, non può evidentemente accogliersi relativamente alle impu
tazioni che, come si è detto, non fanno riferimento a tale norma
tiva ma alle disposizioni del d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547. Le qua
li, ovviamente, si devono applicare sia ai nuovi che ai vecchi im
pianti non solo perché la legge non pone alcuna discriminazione
in ordine all'epoca della loro realizzazione, ma perché la stessa
efficacia che quella del riconoscimento dell'adozione di idonee cautele
antinfortunistiche e della conseguente inapplicabilità delle norme del d.p.r. 547 per gli impianti ed apparecchiature realizzati secondo le stesse norme
Cei» (analogamente Pret. Firenze 25 febbraio 1984, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 262; per la diversa tesi secondo cui «le norme Cei derogano alle
corrispondenti norme del d.p.r. 547» e «tale deroga deve ritenersi obbli
gatoria in tutti i casi nei quali la norma Cei sia in grado di offrire un
livello maggiore di sicurezza e facoltativa quando il grado di sicurezza
offerto dai due ordini di norme sia equivalente», Pret. Roma 25 febbraio
1988, est. Fiasconaro, Lombardi, inedita, e dello stesso Fiasconaro, Tu
tela della salute e rìschio elettrico, in Ambiente e sicurezza sul lavoro,
1987, nn. 11-12, 9 s.; per utili considerazioni sul tema, v. pure Lepore,
D.p.r. 547 e norme Cei: recenti orientamenti giurisprudenziali, id., 1986, nn. 7-8, 21 s.; Orga, Rapporti tra precetti antinfortunìstici e norme Cei, in Mass. giur. lav., 1982, 94-96). Va da sé che la mera osservanza di
una norma Cei non integra un reato, salvo che non risulti nel contempo elusa una statuizione del d.p.r. 547 (conformi già Cass. 24 ottobre 1984,
Meglioli, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 237; 30 marzo 1981, cit.; 12
dicembre 1980, Felici, id., Rep. 1981, voce cit., n. 130). Ciò non toglie
che, in ogni caso di constatata violazione di una norma Cei, a norma
dell'art. 9 d.p.r. 19 marzo 1955 n. 520, competa all'Usi la facoltà di
diffidare con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando un termi
ne per la relarizzazione (sul punto si rinvia a Guariniello, op. cit., 30-31).
[R. Guariniello]
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GIURISPRUDENZA PENALE
articolazione normativa tende ad assicurare una condizione di si
curezza degli impianti alla luce dei più moderni sistemi in funzio
ne di prevenzione infortunistica che si collega all'uso dell'energia e prescinde perciò dalle originarie caratteristiche strutturali delle
apparecchiature. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 28 set
tembre 1987; Pres. Picozzi, Est. Pioletti, P.M. (conci, conf.); ric. Di Stefano. Conferma Trib. Roma, ord. 2 maggio 1987.
Danneggiamento — Emittenti televisive private — Interferenza — Danneggiamento di onde elettromagnetiche — Reato — Con
figurabilità (Cod. pen., art. 51, 52, 635).
È configurabile il reato di danneggiamento nel caso in cui le onde
elettromagnetiche irradiate da un'emittente privata siano rese
inservibili da altro segnale sulla stessa banda di frequenza. (1)
(1) Otto anni addietro, quando più vigorosa che mai fuoreggiava quel la fase delle (ormai sempiterne) guerre dell'etere che potremmo definire
«corsa all'accaparramento di frequenze», preannunciammo, in nota a Pret.
Bari, ord. 30 gennaio 1980, e Pret. Lucca, ord. 8 gennaio 1980, Foro
it., 1980, I, 515, l'apertura di un nuovo fronte — quello del ricorso al
giudice penale per il reato di danneggiamento —, promettendo di darne
dettagliata notizia non appena le cose fossero giunte a maturazione. L'an
ticipazione non ebbe seguito: il procedimento, di cui ci aveva dato notizia
radio fante, si sgonfiò prim'ancora di approdare ad una qualsivoglia for
malizzazione. Ma c'è sempre una prima volta. E, cosi, il discorso lasciato
cadere anni fa è stato ripreso da un provvedimento del Tribunale di Ro
ma in data 2 maggio 1987 (per quanto consta, inedito) e riceve, oggi, l'autorevole avallo della Cassazione: l'interferenza nella banda di frequenza
(pre)usata da altra emittente radiotelevisiva può ben scatenare i fulmini
dell'art. 635 c.p. I termini generali della questione sono noti. L'art. 624, 2° comma,
c.p., dettando un modello poi fedelmente transitato nella lettera dell'art.
814 c.c., fa rientrare nel novero delle cose mobili l'energia elettrica ed
«ogni altra energia che abbia valore economico». L'equiparazione filtra,
tuttavia, attraverso un crivello problematico («si considera cosa mobi
le . . .»), che, almeno in teoria, chiama l'interprete a verificare, rispetto alla singola fattispecie, la «compatibilità» delle norme astrattamente uti
lizzabili (per i tratti salienti di questa problematica, mi permetto di rin
viare a R. Pardolesi, Le energie, in Trattato diretto da Rescigno, 7,
Torino, 1982, 26 ss.). Per il nostro caso mancano, com'è ovvio, prece denti. Ma, per quanto discutibile, la possibilità di stabilire una connessio
ne, se non un parallelismo, con la risposta da assegnare alla diatriba
circa la praticabilità di una tutela interdittale delle onde elettromagneti che s'impone con la forza dei fatti. Non a caso, l'idea di valersi della
disciplina in tema di danneggiamento fu accarezzata quando il ricorso
alla tutela possessoria, per risolvere i conflitti fra emittenti private, anda
va per la maggiore. Più tardi, però, i molti dubbi agitati al riguardo dalla dottrina trovarono consistenti echi giurisprudenziali (cfr., ad es., Pret. Milano, ord. 6 ottobre 1980, Pret. Novara, ord. 14 luglio 1980, e Pret. Bergamo, ord. 2 luglio 1980, tutte in Foro it., 1981, I, 1200);
sicché, quando le sezioni unite della Cassazione s'industriarono di metter
ordine nell'aggrovigliata materia, fu si affermata l'esperibilità della tutela
possessoria — in alternativa a quella concorrenziale —, ma non delle
onde elettromagnetiche in sé (che, « . . per la loro astrattezza non posso no essere oggetto di possesso indipendentemente dagli apparecchi che le
captano e le utilizzano, dagli impianti da cui promanano e da cui si irra
diano»), bensì «in quanto aspetto della più articolata situazione di pos sesso dell'emittente televisiva, intesa come complesso di apparecchiature, facente parte di una vera e propria azienda di diffusione di programmi televisivi» (cosi Cass. 3 dicembre 1984, n. 6340, id., 1984, I, 2953, ed
ivi ampia nota di richiami). La soluzione era carica di ambiguità: ma
respingeva sullo sfondo il rapporto di fatto con le onde elettromagnetiche e la connessa pretesa di reificarle sino in fondo, con buona pace della
prospettiva di immetter nel giro la normativa sul danneggiamento.
Senonché, tutto scorre: anche i punti fermi delle sezioni unite. Non
sorprende, dunque, che al pieno ossequio di Cass. 2 aprile 1987, n. 3179,
id., 1987, I, 1734, sia seguita una pronunzia della sezione li — Cass.
6 ottobre 1987, n. 7440, id., Mass., 1263 — la quale, nel ribadire l'am
missibilità di azioni possessorie in materia radiotelevisiva, ha avvertito il
Il Foro Italiano — 1988.
Svolgimento del processo. — Con denunce-querele del 13 e del
14 aprile 1987 Eugenio Parise, nella qualità di amministratore
unico della s.r.l. Telepromozione e Teleradiocentromusica con sede
in Roma, esercenti imprese emittenti televisive in ambito locale,
la prima con la denominazione «Canale 7», occupando il canale
televisivo 54 Uhf, la seconda con la denominazione «Canale 21»;
occupando il canale televisivo 21 Uhf, entrambe ripetendo, nelle
fasce orarie non utilizzate per programmi propri, i programmi di Tele Montecarlo (Tmc), ha esposto al Pretore di Roma che
la s.r.l. Tvr Voxon, della quale è amministratore Di Stefano Fran
cesco, con apparati siti in Monte Cavo, già sequestrati per analo
ghi fatti dallo stesso pretore e dissequestrati su cauzione,
bisogno di «identificare con maggiore precisione l'oggetto del possesso». Data questa premessa, la motivazione ci ricorda che «le onde elettroma
gnetiche costituiscono una forma di energia naturale ... da considerare un bene mobile economico, che può essere utilizzato direttamente dall'a zienda produttrice e può anche esser ceduto a terzi» (il colore, piuttosto oscuro, dell'affermazione relativa alla possibilità di cessione a terzi, viene
spiegato col riferimento al caso dell'«azienda che si limiti a produrre le
immagini televisive che altra azienda s'incarichi di trasmettere, con i pro pri mezzi tecnici, i programmi forniti dalla prima»: la sconnessione sin tattica è nel testo originale; e si accompagna, sembrerebbe, ad una scon nessione logica, posto che l'esempio non chiarisce affatto come configu rare una cessione di energia, e neppure, a conti fatti, chi ceda, ed a chi . . .); e che la loro irradiazione, ostacolata com'è dalla curvatura terrestre e dai rilievi orografici, postula mezzi particolari. La strada è ormai spiana ta: «allorché un'azienda radiotelevisiva dispone di un impianto (proprio o altrui) che gli [s/c] consente di diffondere i programmi in una determi
nata zona e su una determinata frequenza d'onda, esercita un potere di
fatto sull'energia elettromagnetica, modulata in suoni e immagini, e se tale esercizio le viene impedito mediante la sovrapposizione dì segnali
provenienti da altra emittente (che disturbino o rendano irriconoscibile il precedente segnale) si verifica indubbiamente la turbativa o Io spoglio in danno del precedente possessore». L'enfasi possessoria torna, cosi, sulle onde elettromagnetiche; e lo spunto viene raccolto nell'odierna pronuncia che, meno apoditticamente, s'ingegna di smentire il nodo cruciale della
tesi sostenuta dalle sezioni unite. Al loro caveat circa l'impossibilità che le energie rappresentino res obiettivamente isolabili, si risponde infatti
che, ai fini dell'equiparazione sancita dalla norma (penale, nel nostro
caso), non conta l'isolabilità materiale: basta che le energie abbiano un valore economico. Si tratterà, allora, di vedere quali reati siano configu rabili per questo particolare tipo di cose mobili: il furto no, ma il dan
neggiamento si. Tanto lo spunto — la pronunzia civile — quanto il suo sviluppo —
la sentenza in epigrafe — appaiono malaccorti. Per la prima, valgono le considerazioni svolte diffusamente altrove (v. R. Pardolesi, Emittenti
private e terza rete: in margine ad un nuovo capitolo delle «guerre nell'e
tere», nota a Pret. Rho, ord. 15 febbraio 1980 [id., 1980, I, 1188], in
Giust. civ., 1980, I, 1169, v. altresì' R. Cecchetti, Il possesso dell'etere:
un mito o una realtà?, in Legalità e giustizia, 1985, 240). Per la seconda, sarà sufficiente osservare che le onde hertziane, una volta irraggiate (e
quindi sottratte al controllo dell'emittente), si propagano secondo leggi fisiche, senza subire modificazioni dall'esterno. L'altrui trasmissione sul
la medesima banda di frequenza non pregiudica la conformazione delle
onde elettromagnetiche emesse dalla prima stazione: ciò che viene distur
bato, o addirittura impedito, è la possibilità, per l'utente, di captare un
segnale utile. Danneggiata, in ultima analisi, non è l'onda, ma l'attività di chi la genera, per via della mancata ricezione da parte della potenziale audience: col che, però, ci ritroviamo ben fuori della fattispecie penale. Con sollievo di tutti, verrebbe fatto di aggiungere, posto che l'idea di
metter ordine a colpi di repressione penale in un etere abbandonato (o
quasi) alla sua sorte dal legislatore riesce, a tutto concedere, men che
allettante. Mette conto notare come la corte respinga l'idea che l'invasione del
canale occupato prioritariamente dal ripetitore di Telemontecarlo da par te di un'emittente privata costituisca esercizio di un diritto. L'idea deriva, in linea retta, dall'indirizzo inaugurato da Cass. 19 febbraio 1986, n.
1037, Foro it., 1986, I, 1307, che aveva aperto la caccia alle frequenze utilizzate dagli impianti di ripetizione di programmi esteri (cfr., indicati
vamente, Trib. Milano 26 maggio 1986, ibid., 3140); ma è stata contesta
ta da tre recentissime pronunce (uguali nella sostanza: basterà, quindi, rinviare a Cass. 18 dicembre 1987, Proc. gen. App. Genova, id., 1988,
II, 145), firmate dallo stesso estensore dell'odierna decisione. Ecco, allo
ra, che i ruoli s'invertono. Da preda, Tmc (che, nel frattempo, è riuscita
a spuntare l'agognata autorizzazione ministeriale, ma solo per un mani
polo — 13 — dei suoi quasi duecento impianti di ripetizione) si trasforma
in «giustiziere», assistito dal braccio violento della legge contro le prepo
tenze, id est i danneggiamenti dei terzi.
La morale non manca. Anzi, se n'intravede più d'una, a livelli diffe
renti. Nessuna, però, che non riesca disperante. [R. Pardoiesi]
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