sezione III penale; sentenza 6 marzo 1990; Pres. Gambino, Est. Accattatis, P.M. Di Cicco (concl.conf.); ric. Maione. Annulla senza rinvio Pret. Napoli 18 aprile 1989Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.521/522-523/524Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186405 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
agli atti la prova evidente della sua innocenza. Inoltre, all'im
putato è assicurata la possibilità di orientare la propria scelta
nel pieno rispetto del contraddittorio, oltre che nella fase dibat
timentale, anche in quella degli atti preliminari al dibattimento, avendo in quest'ultima fase il diritto di essere sentito dal giudi ce e di opporsi all'applicazione immediata della causa estintiva
dopo aver esaminato il fascicolo di cui all'art. 416 c.p.p., depo sitato presso la segreteria del p.m., a norma degli art. 554, 4°
comma e 555, 1° comma, lett. g, stesso codice. Tale sistema
di garanzie mira a porre l'imputato al riparo del danno, nella
specie arrecato al dott. Sica, di subire, senza poter interloquire, un provvedimento applicativo dell'amnistia motivato con la man
canza, allo stato degli atti, della prova della sua innocenza.
Nella specie, invero, il pretore, rivendicando il potere di con
trollare la qualificazione giuridica della richiesta di archiviazio
ne, al fine di verificare se la notitia criminis dovesse essere ar
chiviata a norma dell'art. 411 c.p.p., per estinzione del reato,
come richiesto dal p.m., ovvero ai sensi dell'art. 408, per evi
dente infondatezza dell'accusa, ha accertato, con una diffusa
motivazione, la sussistenza di elementi di responsabilità a carico
del dott. Sica ed ha, quindi, accolto la richiesta del p.m. Ma
questo modus procedendi si è risolto in una palese violazione
sia delle norme citate, sia dell'art. 129 c.p.p. Difatti, diversa
mente dall'art. 152 c.p.p. del 1930, applicabile in ogni stato
e grado del procedimento, il cit. art. 129, in virtù dell'espressa limitazione posta dal 10 comma, riguarda soltanto il vero e pro
prio processo, inteso come esercitazione della giurisdizione. Per
tanto, durante le indagini preliminari, che appartengono alla
fase anteriore del procedimento, il diritto dell'indagato all'im
mediata dichiarazione della propria innocenza è assicurato sol
tanto dal cit. art. 408 c.p.p., nel senso che il g.i.p., cui sia
stata richiesta l'archiviazione per difetto di una condizione di
proseguibilità o di procedibilità dell'azione penale ovvero per
intervenuta estinzione del reato, ben può archiviare la notitia
criminis ai sensi di quest'ultima norma, ove la ritenga manife
stamente infondata, senza dover rimettere gli atti al p.m., che
ha già esercitato ed esaurito il potere di richiesta.
Lo stesso giudice ove, invece, ritenga di aderire alla richiesta
di archiviazione per una delle ipotesi indicate nel cit. art. 411
deve pronunciarsi in conformità senza motivare sulla insussi
stenza di prove favorevoli all'indagato, cosi come previsto dal
l'art. 129, 2° comma, c.p.p., poiché, come si è già precisato,
questa norma non è applicabile alla fase delle indagini prelimi nari. Diversamente si incorrerebbe nell'inconveniente di costrin
gere l'indagato a subire un provvedimento di archiviazione, a
lui sfavorevole nella motivazione, senza poter esercitare il dirit
to di difesa preclusogli, a mente dell'art. 409 c.p.p., nell'ipotesi in cui il decreto di archiviazione sia emanato de plano; e senza
poter, altresì, esperire alcun mezzo di gravame, non essendo
tale provvedimento impugnabile.
Deve, quindi, concludersi che, nel provvedimento di archivia
zione, il potere del g.i.p. di verificare la consistenza dei fatti
e la qualificazione del reato addebitato all'indagato può essere
esercitato soltanto in bonam partem e che, pertanto, il decreto
di archiviazione in esame, non essendo conforme a tali principi,
è viziato da evidente illegittimità.
Il Foro Italiano — 1991.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 6 mar
zo 1990; Pres. Gambino, Est. Accattatis, P.M. Di Cicco
(conci, conf.); ric. Maione. Annulla senza rinvio Pret. Napoli 18 aprile 1989.
Competenza e giurisdizione penale — Competenza per territo
rio — Determinazione — Fattispecie (Cod. proc. pen. del 1930, art. 39; 1. 2 aprile 1968 n. 482, disciplina generale delle assun
zioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le
aziende private, art. 16, 21, 23). Prescrizione penale — Assunzioni obbligatorie — Reati di man
cata denuncia del personale occupato e di mancata richiesta
di assunzione di lavoratori protetti — Prescrizione (Cod. pen., art. 158; 1. 2 aprile 1968 n. 482, art. 16, 21, 23).
I reati di mancata denuncia semestrale all'Uplmo del personale
dipendente occupato (art. 21, 1° comma, e 23, 1° comma, /. 482/68) e di mancata richiesta di assunzione di lavoratori
appartenenti alle categorie protette (art. 16, 4° comma, e 23,
2° comma, l. 482/68) si consumano nel momento in cui al
l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione
competente non giungono le comunicazioni prescritte e, per
tanto, la competenza territoriale va determinata in relazione
al luogo in cui ha sede detto ufficio. (1) Mentre il reato di mancata denuncia semestrale del personale
occupato è omissivo di natura istantanea, il reato di mancata
richiesta dì assunzione di lavoratori appartenenti alle catego rie protette è omissivo di natura permanente e, pertanto, la
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è stato
adempiuto l'obbligo di legge. (2)
(1) La giurisprudenza di legittimità, sia pure in ordine al solo reato
di mancata richiesta di assunzione di lavoratori appartenenti alle cate
gorie protette di cui agli art. 16, 4° comma, e 23, 2° comma, 1. 482/68, si era sinora orientata, nelle poche pronunce edite, in senso difforme, affermando che il luogo di consumazione coincide con quello in cui
ha sede il datore di lavoro: v. Cass. 2 aprile 1985, Ottone, Foro it.,
Rep. 1986, voce Lavoro (collocamento), n. 322 (citata in motivazione
e riportata per esteso in Riv. pen., 1985, 880); 14 novembre 1957, Mari
nelli, Foro it., Rep. 1958, voce Invalidi di guerra, n. 72 (relativa agli
abrogati art. 16 e 17 1. 3 giugno 1950 n. 375, che prevedeva analoga
fattispecie per gli invalidi di guerra). Per la giurisprudenza di merito,
v., invece, conformemente alla massima, Pret. Napoli 18 maggio 1984,
id., Rep. 1986, voce Lavoro (collocamento), n. 237.
Diversamente dai precedenti, però, la decisione in epigrafe individua
la condotta doverosa non tanto nell'assunzione dei lavoratori protetti,
quanto nell'invio della relativa richiesta agli uffici del lavoro competen ti che gestiscono la materia ed effettuano i dovuti controlli affinché
le assunzioni avvengano nelle forme e nei modi previsti dalla legge; onde la lesione dell'interesse protetto si verificherebbe nel luogo in cui
sarebbe dovuta pervenire la comunicazione, e cioè il risultato della con
dotta doverosa. Senonché, tale assunto porta all'ulteriore conclusione
che l'art. 23, 2° comma, cit. potrebbe essere applicato alla sola ipotesi della omessa richiesta, mentre il rifiuto all'assunzione rientrerebbe nella
fattispecie residuale di cui al 3° comma dello stesso art. 23, che prevede una pena indubbiamente meno grave (cfr. Grilli, Diritto penale del
lavoro, Milano, 1985, 218). (2) Sulla natura omissiva permanente del reato di mancata richiesta
di assunzione di lavoratori appartenenti alle categorie protette e, preci samente, nel senso che la permanenza cessa o con l'assunzione del per sonale imposto per legge o con il venir meno dei presupposti di fatto,
quali la consistenza del personale in servizio, in relazione ai quali sorge
l'obbligo dell'assunzione, la giurisprudenza è costante (adde, alle deci
sioni citate in motivazione, Pret. Napoli 18 maggio 1984, Foro it., Rep.
1986, voce Lavoro (collocamento), n. 236; 7 febbraio 1985, ibid., n.
234), con l'unica eccezione costituita da una sentenza della stessa sezio
ne terza di poco precedente (7 luglio 1989, Luera, id., Rep. 1989, voce
cit., n. 115 e, per esteso, in Riv. pen., 1989, 1175), per la quale il
reato de quo è di natura istantanea, atteso che «la sua consumazione
si verifica nel momento in cui, iniziato il semestre al quale la richiesta
si riferisce, a questa il datore di lavoro non abbia provveduto nel termi
ne di trenta giorni» previsto dall'art. 23, 2° comma, cit.
In dottrina, cfr., per la natura permanente, Grilli, op. cit., 224;
Padovani, Diritto penale del lavoro. Profili generali, Milano, 1976,
269; Rampioni, Violazione degli obblighi di assunzione, permanenza del
reato e successione di leggi penali, in Mass. giur. lav., 1987, 669; Smu
raglia, Diritto penale del lavoro, Padova, 1980, 103-104.
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PARTE SECONDA
Svolgimento del processo. — Con sentenza del 18 aprile 1989
il Pretore di Napoli ha condannato il ricorrente, titolare della
ditta Calcestruzzi Maione di Mariglianella, alla pena di lire 2
milioni e 348 mila di ammenda per i seguenti reati:
a) per il reato di cui agli art. 21 e 23 I. 482/68, per non
avere inviato all'Uplmo di Napoli il prospetto del personale di
pendente alla scadenza 30 giugno 1986 - 31 dicembre 1986;
b) per il reato di cui agli art. 16 e 23 stessa legge, per non
aver richiesto all'ente già menzionato l'assunzione di quattro invalidi.
Il Maione ha impugnato la sentenza per dedurre:
1) che il pretore ha ritenuto la sua competenza a decidere
in violazione dell'art. 39 c.p.p.;
2) che il pretore ha violato, inoltre, gli art. 21 e 23 della
legge richiamata, ritenendo il suo obbligo di assumere i quattro invalidi.
Motivi della decisione. — 1. - Primo motivo. Secondo il Maio
ne vi è stata violazione dell'art. 39 c.p.p. per avere il pretore ritenuto che i reati sono stati consumati in Napoli (sede del
l'Uplmo), invece che nel mandamento di Marigliano in cui la
ditta ha la sua sede.
Secondo il ricorrente «la omissione punita dalla legge» è con
sumata da un soggetto «nel luogo e nel momento nel quale»
egli «non compie l'azione voluta dal precetto». L'ufficio al quale la richiesta è diretta o indirizzata rappresenta «un posterius del
tutto irrilevante ai fini della condotta». Conclusivamente: «l'a
zione o l'omissione viene compiuta nell'azienda ed è in relazio
ne ad essa che va determinata la competenza territoriale».
In tal senso anche una sentenza della Corte di cassazione:
«Non può . . . seguirsi l'opinione . . . secondo cui il reato di
cui si discute si perfeziona nel luogo nel quale doveva essere
presentata la richiesta di assunzione di lavoratori appartenenti alle categorie protette, vale a dire in Napoli, sede dell'Uplmo al quale, appunto, andava presentata la richiesta». «Il reato
in questione è un reato omissivo; come in tutti i reati commessi
mediante omissione, esso si perfeziona nel luogo in cui l'omis
sione si è verificata, in cui cioè non è stato adempiuto quell'ob
bligo imposto dalla legge». «Orbene, l'obbligo è di trasmettere
tempestivamente, per ogni semestre, la richiesta di assunzione
di lavoratori appartenenti a categorie protette; il mancato inol
tro della richiesta avviene nella sede del datore di lavoro che
ha l'obbligo di trasmetterla all'Uplmo, indipendentemente dal
luogo in cui quest'ultimo si trova» (Cass., sez. Ili, 2 aprile 1985,
Ottone, Foro it., Rep. 1986, voce Lavoro (collocamento), n. 322).
Per quanto concerne, invece, il reato di mancato invio all'Uplmo dei prospetti del personale occupato, previsto dagli art. 21, 1° comma, e 23, 1° comma, 1. 482/68, l'unico precedente edito è contrario alla decisione in epigrafe, nel senso cioè dell'attribuzione anche a questo reato della natura permanente: cfr. Cass. 21 gennaio 1986, Chiarello, Foro it., 1987, voce cit., n. 189, cit. in motivazione (nonché Cass. 1° dicembre 1967, Belgo, id., Rep. 1969, voce Invalidi, n. 25 e, per esteso, in Mass. giur. lav., 1969, 124, relativa all'abrogato art. 7, 2° comma, d.l.c.p.s. 3 ottobre 1947 n. 1222, che prevede analoga fattispecie).
In realtà, anche se l'art. 21, 1° comma, cit. prescrive che la denuncia deve essere inviata entro il mese di gennaio e di luglio di ogni anno, questa circostanza non sembra tale da giustificare l'istantaneità del rea to. La funzione, invero, della norma è quella di porre l'ufficio compe tente a conoscenza della situazione del personale delle aziende soggette alle assunzioni obbligatorie, proprio al fine di esercitare la funzione di controllo ad esso demandata. Ne deriva che la cessazione della per manenza non potrà verificarsi se non con l'avvenuta (anche se tardiva) comunicazione, oppure con l'accertamento d'ufficio dell'omissione (più in generale, per una rimeditazione dell'istituto della permanenza, v. in dottrina Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Pado
va, 1988). Naturalmente, la natura permanente o istantanea del reato non inci
de sul luogo di consumazione, sia che esso si individui in quello in cui ha sede il datore di lavoro ovvero in quello in cui ha sede l'ufficio del lavoro competente al quale dovevano giungere i prospetti nei termi ni di legge. La competenza per territorio, infatti, ai sensi dell'art. 39, 2° comma, c.p.p. del 1930, come del resto dell'art. 8, 3° comma, c.p.p. del 1988, va individuata per i reati permanenti nel luogo in cui ha avuto inizio la consumazione. [E. D'Angelo]
Il Foro Italiano — 1991.
Questa corte non ritiene di poter seguire l'orientamento di
cui sopra e, preliminarmente, osserva che il luogo di consuma
zione di un reato va dedotto dalla struttura del reato stesso
e dalla norma incriminatrice che lo prevede e non seguendo astratte teorie o apriorismi. In teoria, com'è ben noto, molto
si discute in materia di «consumazione» dei reati.
Con riferimento al caso di specie va tenuta presente la distin
zione fra reati di pura condotta e reati di evento. I reati in
discussione — ed è questo il rilievo fondamentale — non sono
di pura condotta ma di evento. L'evento è rappresentato dalle
comunicazioni, che, secondo il disposto di legge, devono perve nire all'Uplmo in termini prestabiliti.
Il 1° comma dell'art. 21, legge in esame, suona, infatti, nei
seguenti termini: «Tutti i datori di lavoro . . . sono tenuti ad
inviare . . . all'ufficio provinciale del lavoro competente per ter
ritorio un prospetto . . .». Il reato si consuma, quindi, nel mo
mento in cui all'ufficio provinciale del lavoro competente non
giungono i prospetti nei termini di legge. Il 2° comma dell'art. 23, richiamato dal ricorrente, testual
mente recita: «I privati datori di lavoro, i quali, essendo obbli
gati a norma dei precedenti articoli ad assumere invalidi o altri
aventi diritto, non ne facciano richiesta agli uffici provinciali del lavoro . . . sono puniti . . .».
L'accento cade, com'è evidente, sugli uffici provinciali del
lavoro che gestiscono la materia ed effettuano i controlli, ai
quali la richiesta deve pervenire; non sulla mancata assunzione
dei lavoratori. L'assunzione deve, infatti, avvenire, secondo certe
forme e certi modi stabiliti dalla legge, sotto il controllo dei
pubblici uffici, come il pretore ha giustamente messo in rilievo.
È alla stregua di queste considerazioni che il primo motivo
di ricorso deve essere respinto. 2. - Secondo motivo. Il secondo motivo di ricorso è manife
stamente infondato visto che esso si risolve non in un sindacato
della sentenza ma in un sindacato della legge su cui si fonda.
Pretende, infatti, il ricorrente che, se avesse assunto gli invalidi, con ciò stesso egli avrebbe «decretato la fine della sua azien
da», perché un imprenditore non può essere chiamato ad «assu
mere e pagare personale destinato a non lavorare».
L'assurdità di una simile argomentazione risulta evidenziata
dalla mera enunciazione del principio di solidarietà espresso dal
l'art. 2 Cost, che il ricorrente mostra di negligere completamen te: «La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili del
l'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri indero
gabili di solidarietà politica, economica e sociale».
La Costituzione e, quindi, in esecuzione, la legge ordinaria
richiedono l'adempimento di «inderogabili» doveri di solidarie
tà a tutti i cittadini ed anche agli imprenditori. Con il motivo
in esame il ricorrente contrappone la logica dei «propri interes
si» al principio di solidarietà sociale espresso dalla legge, sic
ché, come già affermato, questo motivo di ricorso deve essere
ritenuto manifestamente infondato.
3. - Considerazioni in materia di prescrizione. Il reato di cui
al capo a), commesso il 15 maggio 1987, si è prescritto il giorno 1° febbraio 1990, mentre il reato di cui al capo ti), omissivo
di natura permanente (la permanenza cessa con l'adempimento
degli obblighi di legge) non è prescritto (Cass., sez. Ili, 8 set
tembre 1972, Cizio, id., Rep. 1973, voce cit., n. 7; 1° aprile
1974, Boverini, id., Rep. 1975, voce cit., n. 31; 29 aprile 1985,
Tonti, id., Rep. 1986, voce cit., n. 232; 25 giugno 1986, De
Pasquale, id., Rep. 1987, voce cit., n. 193; 14 gennaio 1986,
Campanile, id., Rep. 1986, voce cit., n. 230; 21 gennaio 1986,
Chiariello, id., Rep. 1987, voce cit., n. 197).
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