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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione III penale; sentenza 8 novembre 1991; Pres....

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sezione III penale; sentenza 8 novembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (concl. diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile 1991 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 357/358-361/362 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185962 . Accessed: 25/06/2014 10:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.2.32.106 on Wed, 25 Jun 2014 10:38:12 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione III penale; sentenza 8 novembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (concl. diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile

sezione III penale; sentenza 8 novembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (concl.diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.357/358-361/362Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185962 .

Accessed: 25/06/2014 10:38

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GIURISPRUDENZA PENALE

L'attività ispettiva e di vigilanza nel settore del lavoro deve

continuare ad essere svolta dagli organi di cui sopra si è detto

e nel rispetto della legislazione antecedente e del nuovo codice, come si desume dal testo dell'art. 220 disp. att.

Gli ispettori ed i funzionari Usi — anche alla luce della legge — sono da considerare pubblici ufficiali. Essi quindi nel mo

mento in cui hanno notizie di un reato devono fare denuncia

scritta senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di

polizia giudiziaria (art. 331 c.p.p.). La sospensione dell'azione

penale per il tempo previsto dalla diffida non incide minima

mente su tale obbligo. Scaduto questo termine il pubblico mini

stero deve infatti verificare se l'agente si è adeguato ai precetti a lui imposti ed in caso di inosservanza dar corso al procedi mento penale. Nella specie, il giudice del merito non si è attenu

to ai principi innanzi evidenziati. Avrebbe dovuto verificare il

rispetto della diffida. Ma invece fermato il suo accertamento

al momento antecedente della iniziale denunzia. È pertanto in

dispensabile rinnovare all'uopo il giudizio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 8 no

vembre 1991; Pres. Battimelli, Est. Morgigni, P.M. (conci,

diff.); ric. Faticanti. Conferma Pret. Roma 12 aprile 1991.

Pena (applicazione su richiesta) — Consenso — Revoca — Esclu

sione (Cod. proc. pen., art. 446, 447). Pena (applicazione su richiesta) — Reati edilizi — Patteggia

mento — Demolizione — Inderogabilità (Cod. proc. pen., art. 444, 445; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia

di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupe ro e sanatoria delle opere edilizie, art. 7).

Nel procedimento di applicazione della pena su richiesta, il rag

giungimento dell'accordo vincola irrevocabilmente entrambe

le parti, sicché, la revoca unilaterale o bilaterale del consenso

prestato è priva di ogni efficacia. (1)

(1) I. - Nello stesso senso, v. Cass. 27 aprile 1991, Canzio, Foro

it., 1992, II, 158, con nota di richiami. Contra, Cass. 24 giugno 1991,

Grossi, Arch, nuova proc. pen., 1991, 732. Tra i giudici di merito, aderiscono alla tesi prospettata nella sentenza in epigrafe, Giud. ind.

prel. Pret. Reggio Emilia 1° luglio 1991, id., 1992, 100; Giud. ind.

prel. Pret. Roma 16 aprile 1991, Critica del diritto 1991, fase. 6, 40;

contra, Giud. ind. prel. Pret. Forlì 24 maggio 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Pena (applicazione su richiesta), n. 78. Peraltro, secondo Cass.

6 luglio 1990, Filoni e 20 marzo 1991, Lanciotti, Arch, nuova proc. pen., 1992, 70, la richiesta di applicazione della pena non può essere

subordinata ad alcuna condizione diversa dall'unica prevista — per il

solo imputato — dall'art. 444, 3° comma, c.p.p. In particolare, per la seconda delle citate pronunce, il patteggiamento

è un negozio giuridico di natura processuale, caratterizzato da un in

contro di volontà, attuativo dello specifico interesse dello Stato alla

speditezza processuale; perciò, le dichiarazioni delle parti possono esse

re subordinate solo alle condizioni espressamente previste dalla legge, dovendosi ritenere tamquam non esset la condizione non consentita.

Rispetto a dette argomentazioni (tutte «interne» al sistema del nuovo

c.p.p.), la sentenza in epigrafe prospetta, invece, due affinità con la

disciplina contrattualistica ex art. 1321 ss. c.c. Sicché, viene evidenziato

che l'art. 447, 3° comma, c.p.p. prevederebbe un'ipotesi di proposta

irrevocabile, al pari dell'art. 1329 c.c. (in proposito, v. Chiliberti e

Roberti, Manuale pratico dei procedimenti penali, Milano, 1990, 250

ss.) e sarebbe «in linea» con l'art. 1354, 1° comma, c.c.

Orbene, al di là della necessaria cautela nella individuazione di paral lelismi tra la normativa civilistica e quella processualpenalistica in con

siderazione dell'indisponibilità dell'oggetto del procedimento penale (v.

Conso, Accadeva un anno fa, in Giust. pen., 1990, III, 481, spec. 485), non appare del tutto pertinente il riferimento all'art. 1354, 1° comma,

c.c., che statuisce la radicale nullità del contratto, cui sia stata apposta una condizione contraria a norme imperative. Invero, se detto principio

giuridico fosse vigente anche nell'ambito processualpenalistico, il giudi ce dovrebbe ritenere integralmente nullo il patteggiamento caratterizza

li. Foro Italiano — 1992.

L'ordine giudiziale di demolizione delle costruzioni abusive va

adottato anche in caso di pena applicata su richiesta delle

parti, costituendo un provvedimento dovuto e conseguenziale alla decisione di condanna e, come tale, indisponibile dalle

parti (anche) in sede di patteggiamento. (2)

Il 27 febbraio 1991 Faticanti Luca, persona sottoposta ad in

dagini in ordine ai reati di cui all'art. 20 1. 28 febbraio 1985 n. 47 ed art. 1, 2, 4, 13 e 14 1. n. 1086 del 1971, ed il procurato re della repubblica presso la Pretura circondariale di Roma chie

devano congiuntamente che il g.u.p. applicasse ad esso Fatican

ti la pena di un mese e dieci giorni di arresto e lire otto milioni

di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della

pena. Il 4-5 marzo 1991 il Faticanti rivolgeva istanza di disseque

stro dello stabile. L'11 marzo 1991 il pubblico ministero rigetta va l'istanza.

to da una condizione «atipica» [ed illegittima] rispetto all'unica espres samente ammessa (a favore dell'imputato) ex art. 444, 3° comma, c.p.p.: il che non accade, operando, anzi, la regola contraria (utile per inutile non vitiatur), stando almeno a Cass. 20 marzo 1991, Lanciotti, cit.

(come già evidenziato). II. - In dottrina, oltre ai riferimenti contenuti nella nota redazionale

a Cass. 27 aprile 1991, cit., cfr., conformemente alla sentenza in epi

grafe, Chiliberti e Roberti, op. cit.; Santangelo, Patteggiamento: il pentimento è abnorme?, in Critica del diritto, 1990, fase. 4, 75 ss.; Giustozzi, in AA. VV., Manuale pratico del nuovo processo penale, Padova, 1991, 593; Cordero, Procedura penale, Milano, 1991, 593; contra, Aricò, Applicazione della pena su richiesta delle parti, in AA.

VV., / procedimenti speciali a cura di Dalia, Napoli, 1989, 108 ss.

(2) I. - La pronuncia si conforma ad un consolidato orientamento

di legittimità; nello stesso senso, Cass. 26 novembre 1990, Fozzi, Riv.

pen., 1991, 949; 7 dicembre 1990, Gruosso, Cass. pen., 1991, 2026; 7 gennaio 1991, De Martino e 4 dicembre 1990, Coppola, Giur. it.,

1991, II, 486, con nota di De Roberto; 4 febbraio 1991, Esposito, Arch, nuova proc. pen., 1991, 438; 29 aprile 1991, Cifaratti, 17 maggio 1991, Albanese e 30 aprile 1991, Di Leo, ibid., 782.

È rimasta cosi isolata la posizione di Cass. 9 ottobre 1990, Accanci

rioco, ibid., 277 (criticata dalla sentenza in epigrafe), secondo cui l'ac

cordo ex art. 444 c.p.p. dovrebbe comprendere esplicitamente tutti gli effetti, penali e non, della sentenza; sicché, in assenza dell'espresso con

senso dell'imputato (anche) all'ordine di demolizione de quo, il pretore dovrebbe dare atto del dissenso tra le parti.

II. - La tesi patrocinata nel provvedimento in epigrafe era già stata

recepita da Pret. Catania-Giarre 3 dicembre 1990, Foro it., 1991, II,

307, con nota di Giorgio. In senso contrario, Pret. Caltanissetta-Gela

19 ottobre 1990, Riv. giur. urbanistica, 1991, 87. III. - In dottrina, criticamente rispetto all'evidenziato prevalente filo

ne giurisprudenziale di legittimità, v. Marinari, Patteggiamento e de

molizione: automatismo apparente?, in Cass. pen., 1991, 2027 ss., che, tra l'altro, conferma le perplessità già espresse da Giorgio sub V nella

nota cit. a Pret. Catania-Giarre 3 dicembre 1990. V., inoltre, Aldro

vandi, Natura giuridica dell'ordine di demolizione (...) ed applicazione della pena su richiesta delle parti, in Riv. giur. urbanistica, 1991, 91 ss.

IV. - La natura di sanzione amministrativa dell'ordine ex art. 7, ulti

mo comma, 1. 47/85 è stata ulteriormente ribadita da Cass. 30 gennaio

1991, Radio, Riv. pen., 1992, 77. In dottrina, cfr., approfonditamente, Novarese, Sulla natura giuridica della demolizione della costruzione abusiva ordinata dal giudice se non altrimenti eseguita, in Riv. giur. edilizia, 1990, II, 197 ss.

V. - In ultimo va segnalato che, secondo Cass. 7 gennaio 1991, Ven

tura, Giur. it., 1991, II, 488, (anche) l'ordine di reintegra ex art. 1

sexies 1. 8 agosto 1985 n. 431, costituendo una sanzione amministrativa

irrogabile dal giudice (penale), va adottato con la sentenza ex art. 444

c.p.p. [G. Giorgio]

* * *

L'opportunità di conoscere l'intera produzione giurisprudenziale sul

nuovo codice di rito, nell'impossibilità di pubblicare una quantità or

mai cospicua e sempre crescente di provvedimenti, suggerisce di proce dere a brevi rassegne o schede di giurisprudenza, incentrate di volta

in volta su istituti o profili tematici specifici.

Schede su Corte di cassazione e codice di procedura penale: il proble ma della revocabilità della richiesta di patteggiamento, [a cura di R.

Guariniello]

È proprio vero che — sul problema relativo alla revocabilità, o no, della richiesta o del consenso in materia di patteggiamento — la Corte

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PARTE SECONDA

Il 25 marzo 1991 veniva notificato al Faticanti il decreto di

fissazione della udienza.

Il 10 aprile 1991 il Faticanti, constatato che il pubblico mini

stero aveva rigettato l'istanza di dissequestro, revocava la ri

chiesta di applicazione della pena. Il 12 aprile 1991 il g.u.p. di Roma applicava la pena suddetta

con la sospensione condizionale ed ordinava la demolizione del

l'immobile in sequestro. Ricorre il Faticanti, deducendo: 1) violazione della legge pro

cessuale, per avere il giudice applicato la pena malgrado la in

tervenuta revoca e comunque in presenza della implicita condi

zione che non fosse ordinata la demolizione; 2) violazione di

legge, contraddittorietà e mancanza di motivazione relativamente

all'ordine di demolizione.

Il ricorso è infondato.

Il problema della revocabilità del consenso prestato al patteg

giamento è risolto in dottrina variamente: a) taluni sostengono

che, quando sia intervenuta l'accettazione della controparte, non

di cassazione sarebbe tanto divisa da rendere necessario un intervento delle sezioni unite?

Chi riesamini le argomentazioni addotte pro e contro la revocabilità, si accorge che due temi sono al centro del dibattito. Un primo tema attiene alla ricostruzione dogmatica del patteggiamento (un tema, sia detto per inciso, che espone l'interprete alla sottile e mistificante tenta zione di giustapporre ai testi normativi aprioristiche elaborazioni con

cettuali). Ben più nevralgico appare il secondo tema, riguardante il si

gnificato da riservare alla norma dettata dall'art. 447 c.p.p. Dopo aver stabilito al 1° comma che, «nel corso delle indagini preliminari, il giu dice, se è presentata una richiesta congiunta o una richiesta con il con senso scritto dell'altra parte, fissa, con decreto in calce alla richiesta, l'udienza per la decisione», l'art. 447, nel 3° comma, precisa: «Se la richiesta è presentata da una parte, il giudice fissa con decreto un ter mine all'altra parte per esprimere il consenso o il dissenso e dispone che la richiesta e il decreto siano notificati a cura del richiedente. Prima della scadenza del termine non è consentita la revoca o la modifica della richiesta e in caso di consenso si procede a norma del 1° comma».

Al proposito, Sez. I 24 giugno 1991, c.c., pres. Carnevale, est. Se ria nni, ric. Grossi e altri, aveva esordito in termini favorevoli alla revo cabilità. Anzitutto, perché «l'accordo tra le parti, che caratterizza l'isti

tuto, non è riconducibile alla categoria dei negozi giuridici bilaterali di diritto privato o di diritto pubblico», e perché «la richiesta di appli cazione della pena ed il consenso costituiscono due manifestazioni di volontà unilaterali convergenti, provenienti dall'imputato e dal p.m., e rivolte al giudice». E inoltre perché «la tesi della revocabilità della richiesta e del consenso è rafforzata, sul piano più strettamente erme

neutico, dalla previsione del 3° comma dell'art. 447»: «L'irrevocabilità e l'immodificabilità della richiesta nel periodo di interpello, stabilite nell'ultimo comma dell'art. 447, costituisce, come appare evidente dalla lettera della norma e dalla ratio cui essa si ispira, una deroga al princi pio generale della revocabilità e della modificabilità della richiesta: de

roga giustificata — seconda la Relazione al progetto definitivo del codi ce — dall'apertura di una fase incidentale che deve giungere a compi mento, senza trovare ostacoli nella stessa parte che l'ha provocata». La revoca della richiesta può avvenire, sia in caso di dissenso, sia quan do l'altra parte (che può anche essere l'imputato) abbia prestato il suo assenso. Poiché la revoca della richiesta è possibile per entrambe le

parti, se ne deduce che entrambe le parti possono revocare il consenso

prestato». (Per l'affermazione che «il c.d. patteggiamento è un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con l'adesione dell'al tra parte e la ratifica del giudice che ne ha riscontrato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, e neppure è modificabile in dipendenza di situazioni che sopravvengono», v., nel quadro di una tematica collatera le, Sez. 128 giugno 1991, c.c., pres. Vitale, est. Valiante, ric. Del Sorbo).

A ben vedere, però, la tesi accolta dalla sentenza Grossi non sembra finora aver ottenuto fortuna. Di avviso opposto, per cominciare, è la terza sezione. Emblematica, da ultimo, è Sez. Ili 24 aprile 1992, c.c., pres. Gambino, est. Pilla, ric. Pellegrini, imperniata su due argomenti. Primo argomento: «L'accordo raggiunto dalle parti o il consenso pre stato da una delle stesse alla proposta formulata dall'altra non sono revocabili ad nutum da ciascuna delle parti medesime, dal momento che la richiesta concordata della pena integra un vero e proprio incon tro negoziale delle volontà dei soggetti legittimati, diretto alla definizio ne del processo, in virtù del quale, da un lato, l'imputato o l'indagato rinunciano ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa, ottenendo in cambio numerosi benefici (riduzione della pena, non pagamento del le spese processuali, non applicazione delle pene accessorie e delle misu re di sicurezza, inefficacia della sentenza nei giudizi civili, estinzione del reato al termine di cinque anni), e, dall'altro, il p.m. si accontenta del risultato raggiunto, così abbandonando ogni iniziativa volta al con

seguimento di un risultato punitivo di più consistente afflittività». Se condo argomento: «Ai sensi dell'art. 447, 3° comma, la revoca o la modifica della richiesta non sono consentite prima della scaden

II Foro Italiano — 1992.

possa esservi più revoca successiva; b) altri ritengono che il con

senso sia sempre revocabile fino alla pronuncia del giudice; c) altri infine considerano revocabile il consenso dell'indagato ed

irrevocabile quello del pubblico ministero.

Reputa il collegio di dover aderire al primo dei tre orien

tamenti.

L'argomento fondamentale in senso contrario si vuole desu

mere dall'ultimo comma dell'art. 447, che cosi' recita: «Se la

richiesta è presentata da una parte, il giudice fissa con decreto

un termine all'altra parte per esprimere il consenso o il dissenso

e dispone che la richiesta e il decreto siano notificati a cura

del richiedente. Prima della scadenza del termine non è consen

tita la revoca o la modifica della richiesta e in caso di consenso

si procede a norma del 1° comma. Si afferma che, argomentan do a contrario, la revoca è sempre possibile dopo la scadenza

del termine anche se sia intervenuto il consenso dell'altra parte. Si aggiunge che il legislatore ha previsto all'art. 446 che il

giudice possa disporre la comparizione personale dell'imputato,

za del termine fissato dal g.i.p. al fine di consentire all'altra parte di manifestare il consenso o il dissenso: ora, se non sono ammesse la revo ca o la modifica della richiesta durante lo spatium temporis per accetta re o meno la richiesta medesima, è evidente che il consenso non può essere revocato dopo che l'accordo si è formato per l'elementare ragio ne che non troverebbe alcuna spiegazione logica l'ipotesi di una propo sta che, irrevocabile durante il termine concesso all'altra parte per ac cettarla o meno, diverrebbe revocabile dopo il raggiungimento dell'ac cordo» (conformi Sez. III 27 marzo 1992, c.c., pres. Glinni, est. Simoncelli, ric. P.m. in c. lezzi, ove si aggiunge che «del contenuto del fascicolo del p.m., da depositare ad opera del p.m. stesso [ex art.

447, 1° comma], può prendere visione l'imputato [o l'indagato], il qua le potrebbe regolarsi in ordine alla conservazione o meno dell'accordo sulla base delle risultanze delle indagini preliminari, le quali intanto non possono, però, essere proseguite»; Sez. Ili 12 dicembre 1991, c.c., pres. Accinni, est. Pilla, ric. p.m. in c. Pizzale; Sez. Ili 8 novembre 1991, c.c., pres. Battimela, est. Morgigni, ric. Faticanti, in epigrafe, che sottolinea come «il problema della revocabilità del consenso presta to al patteggiamento è risolto in dottrina variamente: a) taluni sosten

gono che, quando sia intervenuta l'accettazione della controparte, non

possa esservi più revoca successiva; b) altri ritengono che il consenso sia sempre revocabile fino alla pronuncia del giudice: c) altri infine con siderano revocabile il consenso dell'indagato ed irrevocabile quello del

pubblico ministero», e dichiara la propria adesione «al primo dei tre

orientamenti»). Nella sentenza Pellegrini, la terza sezione si preoccupa di ricordare

che «il giudice per poter applicare la pena concordata deve accertare che la manifestazione espressa dall'imputato o dall'indagato corrispon da all'interno volere dello stesso, tant'è che la legge lo facultizza, qua lora ritenga opportuno verificare la volontarietà della richiesta o del consenso, a disporre la comparizione dell'imputato (art. 446, 5° com

ma, c.p.p.)». «Si tratta, però» — avverte subito dopo la sentenza Pelle

grini — «evidentemente di ipotesi nelle quali il giudice ha il sospetto che vi sia divergenza tra volontà e manifestazione e cioè di ipotesi nelle

quali la supposta divergenza sia dovuta, oltre che a violenza subita o ad eccesso di delega da parte del procuratore speciale, anche — tanto

per mutuare il linguaggio civilistico — ad errore ostativo. Peraltro, in quest'ultima evenienza la citata divergenza in tanto può essere presa in considerazione, in quanto si sia voluta una cosa e se ne sia dichiarata

un'altra, sicché restano del tutto estranei al problema e sono giuridica mente irrilevanti i motivi per i quali il dichiarante si sia determinato in un certo modo». Di qui, nella fattispecie esaminata dalla sentenza

Pellegrini, la conseguenza che l'imputato «non può addurre a sostegno della legittimità del suo 'pentimento' la circostanza che egli non cono sceva che la sospensione condizionale della pena non può essere conces sa per di più di due volte e che se egli fosse stato messo al corrente di tanto si sarebbe ben guardato dal chiedere il patteggiamento»: «si

tratta, infatti, di motivi (determinati, oltretutto, da errore di diritto non cadente su uno degli elementi costitutivi dell'atto), i quali avrebbero

potuto al più indurre l'istante a diversa decisione, ma che, comunque, non hanno cagionato una divergenza fra la volontà e la manifestazione».

Un'ipotesi particolare è quella sottoposta all'esame di Sez. Ili 27 aprile 1992, c.c., pres. Cavallari, est. Ceci, ric. P.m. in c. Giarrizzo. All'u dienza fissata innanzi il g.i.p. presso la pretura a seguito di accordo tra le parti per l'applicazione della pena in ordine a reati urbanistici, il p.m. avanzava «richiesta di rideterminazione della pena concordata

perché erroneamente non contestato il reato ex art. 20, lett. c), 1. 47/85». Ma «il g.i.p., ritenuta la pena esattamente determinata in relazione ai reati contestati, senza che fosse possibile in quella sede dare ai fatti una diversa qualificazione giuridica, rigettava la richiesta e procedeva all'applicazione della pena patteggiata». Al proposito, la terza sezione osserva che «non può muoversi addebito al decidente per avere resistito al tentativo dell'accusa di rompere il vincolo formatosi tra le parti circa

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GIURISPRUDENZA PENALE

per verificare senza formalismi la volontarietà della richiesta e

del consenso.

Si rileva che nelle more possono intervenire fatti nuovi che

modificano i termini della intesa conseguita. Si assume che non si può pregiudicare la posizione dell'impu

tato, impedendo la revoca per chiedere l'applicazione dell'art. 129 c.p.p., non a caso richiamato dall'art. 444, 2° comma.

Nessuna di queste argomentazioni è convincente. All'art. 447, ultimo comma, deve darsi una lettura ed un significato ben di

verso. Se il consenso prestato sotto forma di richiesta (o di ac

cettazione) fosse sempre revocabile la fissazione stessa del ter

mine di irrevocabilità della stessa sarebbe del tutto inutile e quindi non spiegabile sotto il profilo logico. Accogliendo la tesi qui

seguita, la norma ha invece un suo significato. La richiesta po

la natura e la entità della pena da applicare, per i reati contestati, che non può confondersi con il potere riconosciuto al g.i.p., in via genera le, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, di dare ai fatti una diversa qualificazione giuridica e, per l'effetto, di pronunciare la pro pria incompetenza a decidere sugli stessi». «Nella specie» — sostiene la terza sezione — «il g.i.p. ha ritenuto correttamente che sussistevano le condizioni di applicabilità della disciplina regolata dagli art. 444 ss.

c.p.c. e di accogliere l'accordo, irreformabile, intervenuto fra le parti, circa la misura della pena, ancorché questa, per la ricorrenza del reato di cui all'art. 1 sexies 1. 431/85, avrebbe dovuto atteggiarsi, fuori dello schema del patteggiamento, su quanto previsto dalla lett. c) dell'art. 20 1. 47/85; l'accordo, già formatosi, veniva a costituire ostacolo alla richiesta di rideterminazione della misura della pena sulla base del sud detto disposto della legge urbanistica; da qui deriva la insussistenza del

l'obbligo del decidente di restituzione degli atti al p.m., venendo in

questione, nella specie, il calcolo della pena concordata, in relazione all'indole dei reati ascritti, non già il tema che i fatti esigessero una definizione giuridica sotto specie diverse, penalmente rilevanti».

Anche la quarta sezione si è pronunciata contro la tesi della revocabi lità: «L'istanza di applicazione immediata della pena non è revocabile

né modificabile prima della scadenza del termine stabilito per l'espres sione del consenso del pubblico ministero (art. 447, 3° comma). A mag gior ragione la richiesta o il consenso non sono revocabili, e tanto me no unilateralmente, quando ci sia stata l'adesione del pubblico ministe ro: con essa, infatti, si costituisce un negozio giuridico bilaterale, che

impegna entrambe le parti. Tale conclusione è cosi ovvia che la legge non ha ritenuto necessario prevederla espressamente» (cosi, con riguar do a un'ipotesi in cui il pubblico ministero aveva prestato il suo consen so prima dell'apertura del dibattimento, ma, «poco dopo, chiamato il

processo, lo stesso pubblico ministero dichiarava che, a seguito di con sultazioni con il procuratore della repubblica, intendeva revocare il suo

consenso», Sez■ IV 23 gennaio 1992, c.c., pres. Severino, est. Valiante, ric. Mala, ove si giunge, quindi, ad affermare che «non poteva il pub blico ministero revocare il consenso, sia pure per obbedire alla richiesta

del procuratore della repubblica» e che «erroneamente il pretore ha

negato efficacia allo stesso»), (Nello stesso senso, Sez. IV II marzo

1992, u.p., pres. Lumia, est. Valiante, ric. Maradona, la quale, in rap porto a un noto caso giudiziario, osserva che «la regola dell'affidamen

to lega l'imputato e il pubblico ministero alla richiesta formulata e alla

volontà espressa, tanto che non è revocabile o modificabile neppure

prima che il giudice l'accolga (art. 447, 3° comma)».

Analoga e per più versi illuminante è, d'altra parte, l'analisi condotta da Sez. V 20 novembre 1991, c.c., pres. Bertoni, est. Lattanzi, ric.

Pasquarelli e altro. «L'art. 447, 3° comma» — questa l'argomentazio ne sviluppata dalla quinta sezione — «tende a vincolare una parte nel

tempo dato all'altra per aderire, facendole riacquistare la libertà solo

quando l'adesione non vi è stata»: invero, «sarebbe illogica, e darebbe

luogo ad un'inutile perdita di tempo, una disposizione che non consen

tisse la revoca fino a quando per l'altra parte non è scaduto il termine

per aderire alla richiesta rendendola però possibile subito dopo nono

stante l'adesione»; e del resto, «le ultime parole del 3° comma dell'art. 447 («in caso di consenso si procede a norma del 1° comma») stanno

a significare che dopo l'utile conclusione della fase incidentale deve im

mediatamente seguire il procedimento per l'applicazione della pena». Per giunta, «anche se si ritiene che le parti con le rispettive manifesta

zioni di volontà non si vincolano reciprocamente e mantengono un po tere unilaterale di recesso, è certo che nessun recesso è più possibile

quando quelle manifestazioni hanno determinato nel procedimento ef fetti irreversibili»: ebbene, «l'art. 60 c.p.p. stabilisce espressamente che

quello regolato dall'art. 447 è uno dei casi in cui si assume la qualità di imputato ed è con l'imputazione che il pubblico ministero esercita

l'azione penale (art. 405, 1° comma, c.p.p.)»: si produrrebbero, quin

di, «effetti che rendono chiaramente impossibile la revoca della richie

sta di applicazione della pena, perché dopo l'esercizio dell'azione pena le il procedimento non può regredire ritornando nella situazione delle

indagini preliminari che esisteva prima che le parti attivassero il mecca

nismo dell'art. 447».

Il Foro Italiano — 1992.

trebbe essere revocata fino alla sua accettazione: il legislatore ha voluto che, per non rendere affannosa la decisione della con

troparte e per la chiarezza delle posizioni reciproche, durante

il termine fissato non subisse modifiche. Intervenuto il dissen

so, la richiesta è revocabile.

In caso di consenso, si precisa nell'ultima parte dell'art. 447, «si procede a norma del 1° comma», cioè si fissa l'udienza per la decisione. Anche questa previsione sembra superflua, essen

do ovvio che si debba procedere al suddetto adempimento. Essa

invece serve proprio a precisare che in caso di consenso è questa l'unica possibilità consentita.

Il legislatore ha quindi adottato la logica negoziale: la propo sta può essere revocata finché il contratto non sia concluso (art. 1328 c.c.) e tale conclusione si verifica quando il proponente

venga a conoscenza dell'accettazione (art. 1326 c.c.). Il 3° com

ma dell'art. 447 c.p.p. si spiega quindi proprio come deroga alla libera revocabilità della proposta.

V'è inoltre da considerare che il legislatore del 1988 ha voluto

certamente dare impulso ai procedimenti speciali, per consegui re la finalità di «massima semplificazione nello svolgimento del

processo con eliminazione di ogni attività non essenziale» (art.

2, punto 1, della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81). Tale

finalità sarebbe certamente frustrata se si desse spazio all'inda

gato per svolgere attività non essenziali eventualmente con puro intento dilatorio.

Del tutto estranea è poi l'osservazione circa il sopravvenire di «fatti nuovi», che possono essere sottoposti al giudice in sede

di comparizione per l'eventuale richiesta di applicazione dell'art.

129, che può sempre essere prospettata — ex art. 444, 3° com

ma — in sede di conclusioni, senza necessità di revoca. Si deve

quindi concludere che, qualora la richiesta di patteggiamento della pena sia stata accettata dall'altra parte, non è più possibi le la revoca unilaterale del consenso prestato. Col primo motivo — in subordine — si deduce anche la inefficacia della richiesta

per non essersi verificata la condizione della «non demolizione».

Questa condizione invero non è stata formulata: il ricorrente

ha soltanto chiesto il dissequestro dello stabile. Trattasi di istanza

volta a dare ingresso ad un istituto processuale totalmente di

verso dall'ordine di demolizione, regolato dalla 1. n. 47 del 1985.

Il Faticanti ha citato una decisione di questa stessa sezione

(n. 14041 del 9 ottobre 1990, Acconcirioco), nella quale si è

affermato che in caso di demolizione ordinata senza accordo

delle parti il consenso si dovrebbe considerare non validamente

prestato. L'orientamento menzionato è stato successivamente abban

donato da questa corte che con le decisioni (tra le altre) sez.

Ili 7 dicembre 1990, n. 5316; sez. Ili 4 dicembre 1990, n. 1015; sez. Ili 7 gennaio 1991, n. 2696 ha ritenuto che l'ordine di de

molizione ha natura di sanzione amministrativa. Esso è dispo sto dal giudice soltanto in via di supplenza, legislativamente im

posta dall'art. 7 1. n. 47 del 1985 soltanto quando la pubblica amministrazione sia stata inattiva, non avendo eseguito — alla

data della pronuncia — la demolizione stessa. Al sindaco infatti

compete il governo del territorio e la valutazione degli interessi

attinenti alla materia edilizia. L'ordine è quindi un provvedi mento dovuto e conseguenziale alla decisione di condanna, sen

za alcuna discrezionalità. Ne deriva che esso non è disponibile dalle parti in sede di patteggiamento ed il suo inserimento, co

me condizione della richiesta o del consenso, rende invalido que st'ultimo. A tale conclusione si giunge dall'interpretazione del

l'art. 444 c.p.p.: al 3° comma è previsto che l'efficacia della

richiesta può essere subordinata unicamente alla concessione della

sospensione condizionale.

La soluzione accolta è poi anche in linea con la logica con

trattuale: l'art. 1354 c.c. dispone che «è nullo il contratto al

quale è apposta una condizione... contraria a norme impe rative...».

Né dalla mancata previsione delle parti dell'ordine di demoli

zione può derivare la invalidità della richiesta, poiché l'art. 7

citato è norma cogente per giudice e parti. Queste ultime nel

manifestare la loro volontà non possono ignorare le conseguen

ze giuridiche obbligatorie. Ne deriva che non occorre specifica

motivazione, trattandosi di provvedimento non discrezionale.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese proces

suali: (Omissis)

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