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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione IV penale; sentenza 2 ottobre 1987; Pres. Valenti,...

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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione IV penale; sentenza 2 ottobre 1987; Pres. Valenti, Est. Satta Flores, P.M. (concl. conf.); ric. Basile. Annulla Trib. Termini Imerese,

sezione IV penale; sentenza 2 ottobre 1987; Pres. Valenti, Est. Satta Flores, P.M. (concl. conf.);ric. Basile. Annulla Trib. Termini Imerese, ord. 22 dicembre 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.697/698-699/700Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179812 .

Accessed: 28/06/2014 15:43

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GIURISPRUDENZA PENALE

Con ordinanza in data 21 gennaio 1988, la seconda sezione

della Corte d'assise di Palermo disponeva nei confronti di La

Mantia Giovanni, condannato con sentenza del 9 ottobre 1987

gravata di appello, alla pena di 21 anni e 6 mesi di reclusione

per omicidio, e detenuto per tale causa nella casa circondariale

di Termini Imerese, il ricovero con piantonamento presso l'ospe

dale per malattie infettive Guadagna di Palermo per il tempo stret

tamente necessario agli accertamenti ed alle terapie.

Ha sollevato conflitto positivo di competenza il magistrato di

sorveglianza di Palermo sotto il profilo che, non costituendo il

ricovero del detenuto misura alternativa alla custodia cautelare,

la competenza a disporre il trasferimento del detenuto in luogo

di cure esterno al carcere, nella perdurante vigenza dell'art. 11

1. 26 luglio 1975 n. 354 spetterebbe al magistrato di sorveglianza,

e non al giudice cui fa riferimento l'art. 279 c.p.p. Secondo il

magistrato che solleva il conflitto, infatti, l'ambito di applicazio

ne dell'art. 254 ter c.p.p. sarebbe limitato all'imposizione di mi

sure in luogo della custodia cautelare ed alle relative modalità

esecutive.

Osserva la corte che il conflitto è ammissibile in rito, trattan

dosi di eliminare una situazione di stasi processuale. Il fascicolo

processuale risulta infatti trovarsi nella disponibilità attuale del

procuratore della repubblica di Palermo, il quale, per parte sua,

mostra di aderire, come risulta dal contenuto della missiva in

data 21 gennaio 1988, all'impostazione data al problema dal ma

gistrato di sorveglianza ed alle soluzioni da esso prospettate. Nel

merito, il denunciato conflitto dovrà essere risolto dichiarandosi

la competenza nei sensi indicati dalla Corte d'assise di Palermo.

L'art. 254 ter c.p.p., introdotto nell'ordinamento dell'art. 14

1. 28 luglio 1984 n. 398, ha infatti disciplinato in modo del tutto

nuovo il ricovero dell'imputato in luogo diverso dal carcere, at

tribuendo la relativa competenza al giudice individuato secondo

i criteri segnati dall'art. 279 stesso codice, in tal modo innovando

rispetto alla disciplina vigente in precedenza e dettata dal 2° com

ma dell'art. 11 1. 26 luglio 1975 n. 354 che, proprio con riguardo

ai trasferimenti degli imputati abbisognevoli di «cura o accerta

menti diagnostici» non apprestabili dai servizi sanitari degli isti

tuti, e resi necessari dopo la sentenza di primo grado, attribuiva

la relativa competenza al magistrato di sorveglianza.

Sostiene l'organo che ha sollevato il conflitto che non sarebbe

intervenuta abrogazione neppure implicita dell'art. 111. cit., sic

ché il trasferimento dell'imputato in luogo esterno di cura e cu

stodia non farebbe venir meno lo stato di detenzione, con

conseguente applicazione delle regole del trattamento penitenzia

rio. In definitiva, secondo l'opinione dell'organo che ha denun

Padova, 1985; V. Grevi, in La nuova disciplina della libertà personale nel processo penale, Padova, 1985) e la diversa disciplina dettata in argo mento dal 2° comma dell'art. 11 dell'ordinamento peninteziario (su que st'ultima norma, cfr. G. Di Gennaro, M. Bonomo, R. Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, 4a ed.,

Milano, 1985, 75 ss.). A differenza del magistrato di sorveglianza che aveva sollevato il con

flitto, che tentava una lettura delle due disposizioni sopra citate volta

a coordinarne i contenuti, la Cassazione conclude nel senso della abroga zione implicita della disciplina stabilita nell'ordinamento penitenziario.

Va peraltro segnalato che l'art. 254 ter è stato di recente abrogato dal

l'art. 16 1. 5 agosto 1988 n. 330 (nuova disciplina dei provvedimenti re

strittivi della libertà personale nel processo penale, Le leggi, 1988, 1661),

onde il problema affrontato nella sentenza in epigrafe potrebbe a prima vista apparire non più attuale. In realtà, i contenuti essenziali della disci

plina dettata dall'abrogato art. 254 ter sono stati ora trasfusi nel nuovo

testo dell'art. 254 bis (introdotto dall'art. 15 1. 330/88) e, pertanto, la

tesi della abrogazione implicita del 2° comma dell'art. 11 dell'ordinamen

to penitenziario, nei termini prospettati dalla sentenza in epigrafe, può

essere riproposta anche con riferimento all'art. 254 bis nella sua attuale

formulazione. In materia di arresti domiciliari per motivi di salute, cfr. ancora, sotto

profili diversi, Cass. 15 dicembre 1986, Sibilia, Foro it., Rep. 1987, voce

cit., n. 278; 13 gennaio 1986, Martino, ibid., n. 279; 22 dicembre 1986,

Fucci, ibid., n. 280; 11 giugno 1986, Nicoletti, ibid., n. 281; 10 gennaio

1986, Cardinu, ibid., n. 282; 22 dicembre 1986, Buda, ibid., n. 298; 29

aprile 1986, Canicatti, ibid., n. 302; 19 gennaio 1987, Mancuso, ibid.,

n. 308; 19 gennaio 1987, Ascione, ibid., n. 309; 7 luglio 1986, Avaglino,

ibid., n. 312; 23 giugno 1986, Ballan, ibid., n. 313; 19 maggio 1986,

Valenti, ibid., n. 314; 15 gennaio 1986, Timpano, ibid., n. 315; 14 gennaio

1986, Carlà, ibid., n. 316; 26 novembre 1985, Spedaliere, ibid., n. 317; Trib.

Cosenza 2 settembre 1986, ibid., n. 318. V. pure L. Marafioti, Note in te

ma di arresti domiciliari per motivi di salute, in Giur. it., 1986, II, 327.

Il Foro Italiano — 1988.

ciato il conflitto, la norma di cui all'art. 254 ter dovrebbe trovare

applicazione nei casi di sottoposizione dell'imputato a misure al

ternative alla detenzione e nei casi in cui sin dall'inizio dell'esecu

zione, la custodia cautelare abbia luogo in sede diversa da quella dello stabilimento carcerario, mentre in caso di incidenza dell'or

dine su una situazione di custodia cautelare in istituto di pena, la competenza a provvedervi sarebbe rimasta quella dell'art. 11

1. 354/75. L'assunto non appare condivisibile. La generale portata della

disposizione del citato art. 254 ter, non consente infatti di opera

re distinzioni tra l'ipotesi di imputato ricoverato sin dall'inizio

dell'esecuzione della misura in luogo pubblico di cura o assisten

za e quella in cui l'ordine di ricovero sia impartito successiva

mente. La norma indicata, infatti, prevede proprio il caso della

misura alternativa alla custodia in carcere disposta «con provve

dimento successivo». La competenza attribuita dalla norma al «giu

dice indicato nell'art. 279» non può quindi riguardare che imputati

detenuti e dei quali viene successivamente disposto il trasferimen

to in luogo di cura ed assistenza. Del resto, la ratio della norma

è ricavabile dal contenuto di altre disposizioni, anch'esse, al pari

di quella che ne occupa, introdotte nell'ordinamento dalla 1. 398

cit., e si identifica nell'esigenza di rendere tra loro compatibili

le necessità istruttorie e processuali con tutela del diritto dell'im

putato alla salute. Tale compatibilità viene dai legislatori assicu

rata con procedura flessibile, riconoscendo la facoltà di imposizione

di «limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con

persone diverse da quelle che lo assistono», nonché la possibilità

per il giudice di modificare ed eventualmente revocare le prescri

zioni in precedenza imposte, e controllarne l'esecuzione. Tutto

ciò evidentemente presuppone la piena conoscenza da parte del

giudice chiamato a provvedere delle esigenze di natura istruttoria

e processuale che con le prescrizioni imposte devono essere soddi

sfatte. E non è chi non veda come la conoscenza di tali esigenze,

soprattutto nel loro evolversi dinamico sia concretamente inesigi

bile da un organo come il magistrato di sorveglianza che non

ha la disponibilità di altro che della cartella biografica del detenuto.

Dalla implicita abrogazione dell'art. 11 1. 354/75 a seguito del

l'entrata in vigore della 1. 398/84 discende che, per quanto ri

guarda gli imputati detenuti di cui il giudice abbia disposto il

trasferimento in casa di cura ed assistenza, la competenza del

giudice di sorveglianza è limitata all'esercizio delle attività indica

te nell'art. 69, 2° comma, 1. 354.

In tal modo risolvendosi il conflitto denunciato dal magistrato

di sorveglianza di Palermo, gli atti dovranno essere trasmessi al

procuratore della repubblica presso quel tribunale per gli adempi

menti relativi all'esecuzione dell'ordinanza in data 21 gennaio 1988

della Corte d'assise di Palermo.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 2 otto

bre 1987; Pres. Valenti, Est. Satta Flores, P.M. (conci, conf.);

ric. Basile. Annulla Trib. Termini Imerese, ord. 22 dicembre

1986.

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Istanza di

ricusazione — Inammissibilità o infondatezza — Sanzione pe

cuniaria — Misura (Cod. proc. pen., art. 71).

La sanzione pecuniaria a carico della parte privata nel caso di

inammissibilità o infondatezza dell'istanza di ricusazione è an

cora quella stabilita dalla l. 18 giugno 1955 n. 517 (da lire ven

timila a lire centomila) in quanto tale sanzione non è stata

modificata dalla l. 12 luglio 1961 n. 603, che è inapplicabile alle leggi successive al 21 ottobre 1947, né dalla l. 24 novembre

1981 n. 689, che disciplina soltanto te sanzioni già aumentate

per effetto della prima legge. (1)

(1) Analogamente, v. Cass. 25 giugno 1984, Curci, Foro it., Rep. 1985, voce

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 27; 26 aprile 1977, Pel

legrini, id., Rep. 1977, vocecit., n. 36. Per le stesse conclusioni, v., indottrina,

Nosengo, L'attuale entità delle sanzioni pecuniarie processuali, in Giur. it.,

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PARTE SECONDA

Diritto. — 1. - Come è noto, il testo originario dell'art. 71

c.p.p. prevedeva che, con l'ordinanza che dichiarava inammissi

bile o rigettava la dichiarazione di ricusazione, la parte privata che l'aveva proposta era condannata a pagare, a favore della cas

sa delle ammende, una somma da lire duemila e lire diecimila.

2. - Con d.l.lgt. 5 ottobre 1945 n. 679 fu disposto il raddopio

(oltre che delle pene pecuniarie comminate per reati) delle «san

zioni pecuniarie comminate per le singole infrazioni dal codice

di procedura penale». E similmente, il d.l.c.p.s. 21 ottobre 1947 n. 1250 dispone la

moltiplicazione per otto (oltre che delle pene pecuniarie) delle «san

zioni pecuniarie comminate per le singole infrazioni dal codice

di procedura penale». 3. - Con d.l. 9 aprile 1948 n. 438, fu, invece, disposto il rad

doppio delle «sanzioni pecuniarie comminate dal codice di proce dura penale in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità

o di rigetto di una impugnazione o di una istanza».

Orbene, come già rilevato da questa Corte suprema (Cass., sez.

VI, 22 novembre 1978, Ballini, Foro it., 1949, II, 455), non v'è

dubbio che i provvedimenti normativi del 1945 e del 1947, da

un lato, e quello del 1948, dall'altro, regolavano materie diverse, occorrendo distinguere, cosi come del resto, espressamente aveva

fatto il legislatore, nell'ambito delle norme del codice di procedu ra penale che prevedono sanzioni pecuniarie, quelle che commi

nano sanzioni in presenza di infrazioni (ad esempio, art. 137, art. 144, art. 290, art. 321, art. 330, art. 615) da quelle in cui

la sanzione sia prevista come conseguenza dell'inammissibilità o

del rigetto di una impugnazione o di una istanza (ad esempio art. 218, art. 549, art. 558, art. 582, art. 642 e, naturalmente, art. 71).

E la distinzione, tra i due diversi tipi di sanzione pecuniaria è resa evidente, oltre che dalla espressa enunciazione legislativa, dal fatto che sarebbe stato inutile l'emanazione della norma del

raddoppio del 1948, se le sanzioni conseguenti alla inammissibili

tà o al rigetto delle impugnazioni o delle istanze, avessero già subito gli aumenti del 1945 e del 1947.

4. - Successivamente, fra le sanzioni pecuniarie del secondo

tipo, il legislatore fece oggetto di apposita, specifica, disciplina

quella prevista, per la ricusazione, dall'art. 71. E con la «novel

la» del codice di procedura penale disposta con 1. 18 giugno 1955

n. 517, «sostituì» (art. 1) l'originario art. 71. Mentre tutte le altre

sanzioni pecuniarie conseguenti all'inammissibilità o al rigetto di

un'impugnazione o di un'istanza restavano ferme al raddoppio

previsto dal d.l. del 1948, per l'art. 71 previde, non un ulteriore

aumento della sanzione originaria, ma stabili, autonomamente, ex novo, l'importo della sanzione in una somma da lire ventimila

a centomila.

5. - Successivamente, ancora, con 1. 12 luglio 1961 n. 603 fu

disposta (art. 3) la moltiplicazione, per quaranta, delle pene pe cuniarie e delle «altre sanzioni comminate per le singole infrazio ni dal codice di procedura penale».

Nonostante il riferimento solo alle «infrazioni», deve ritenersi,

peraltro, che l'aumento si estendeva anche alle sanzioni conse

guenti a rigetto o inammissibilità di impugnazioni o istanze, dato che il 2° comma del detto art. 3 disponeva che l'aumento di qua ranta volte «assorbiva» non solo gli aumenti del 1945 o del 1947, ma «per le sanzioni comminate dal codice di procedura penale, anche dal d.l. 9 aprile 1948».

Attraverso, quindi, una imperfetta formulazione tecnica (Cass., sez. VI, 22 novembre 1978, cit.) risultava evidente, dal richiamo di tutte le dette norme, che il legislatore del 1967 intese compren dere, nell'aumento, le sanzioni pecuniarie di entrambe le catego rie in questione.

Ciononostante, dall'aumento del 1961 restava esclusa la san zione dell'art. 71 (Cass., sez. I, 26 aprile 1977, Pellegrini, id.,

Rep. 1977, voce Astensione, n. 36). In primo luogo, perché la misura della sanzione, vigente nel 1961, non derivava dall'au mento disposto con il d.l. del 1948, ma, autonomamente, come si è visto, dalla «novella» del 1955. E la legge del 1961, non

1977, II, 545; Rubiola, in Commentario breve al codice di procedura penale, a cura di Conso-Grevi, Padova, 1987, sub art. 71.

In senso contrario, cfr. Cass. 22 novembre 1978, Ballini, Foro it., 1979, II, 455; e, implicitamente, Cass. 13 giugno 1975, Detassis, id., 1976, II, 374.

Il Foro Italiano — 1988.

solo non includeva, nell'assorbimento, la sanzione fissata con la

legge del 1955, ma limitava espressamente, l'assorbimento, agli «aumenti» disposti nel 1945, nel 1947 e nel 1948. E, si ripete, la legge del 1955 non aveva disposto un aumento della originaria sanzione dell'art. 71, ma ne aveva fissato, autonomamente, ex

novo la misura.

In secondo luogo, e definitivamente, la legge del 1961 espressa mente affermava che «le disposizioni precedenti non si applica no .. . alle altre leggi, anche se modificatrici del codice penale, emanate dopo il 21 ottobre 1947». Non si applicava, per ciò, alla 1. 517/55 che, autonomamente, come si è detto, aveva fissato

la misura della sanzione, «sostituendo» quella originaria e pre

scindendo, perciò, da ogni aumento di questa e, in particolare, di quello stabilito dal d.l. del 1948 (Cass., sez. I, 26 aprile 1977,

cit.). 6. - Esclusa, quindi, l'applicabilità, all'art. 71, della disciplina

di aumento della 1. 603/61, deve, conseguentemente, escludersi che la sanzione pecuniaria in questione sia ricompresa nella suc

cessiva disciplina della 1. 24 novembre 1981 n. 689. Questa, inve

ro, all'art. 113, dispone che le pene pecuniarie, comminate per reati, nonché le «sanzioni pecuniarie comminate per le infrazioni

previste dal codice di procedura penale, aumentate per effetto

della 1. 12 luglio 1961 n. 603, sono moltiplicate per cinque»

Conseguentemente, se tale aumento va applicato a entrambe le categorie di sanzioni previste dal codice di procedura penale

(nonostante il riferimento, ancora una volta, solo alle «infrazio

ni») dato che entrambe erano comprese nell'aumento del 1961, resta esclusa, anche in tal caso, l'applicabilità dell'aumento alla

sanzione dell'art. 71, dato che questa non fu aumentata «per ef

fetto» della 1. 603/61 (cosi come resta esclusa l'applicabilità del

l'aumento del 1981 alle sanzioni oggetto di leggi emanate dopo il 21 ottobre 1947 cui non era, quindi, applicabile la disciplina della detta 1. 603/61).

7. - Allo stato, quindi, in base alla normativa vigente, la san

zione prevista per l'inammissibilità o il rigetto della dichiarazione di ricusazione deve ritenersi ancora quella da lire ventimila a cen

tomila.

Ed illegittima, pertanto, è la sanzione di lire duemilioni irroga ta nella specie.

8. - L'art. 133 bis c.p. è espressamente limitato alla determina zione dell'ammontare della multa o dell'ammenda: non alla de

terminazione delle sanzioni pecuniarie previste dal codice di

procedura penale.

Ciononostante, se non può ritenersi applicabile a queste ultime la norma del detto art. 133 bis, 2° comma (che consente l'aumen to sino al triplo o la riduzione sino ad un terzo del massimo o del minimo delle pene pecuniarie, in considerazione delle con

dizioni economiche del reo), in difetto di una espressa previsione,

può viceversa ritenersi che la norma del 1° comma dello stesso

articolo, con riferimento alla valutazione anche delle dette condi

zioni economiche per la determinazione dell'ammontare della pe na entro l'ambito edittale, abbia carattere di principio generale, da applicarsi, pertanto, ogni qualvolta una sanzione pecuniaria, abbia o meno natura di pena, sia prevista, non in una misura

fissa, predeterminata, ma nell'ambito di un minimo e di un mas simo. E deve pertanto trovar applicazione anche per le sanzioni

pecuniarie previste dal codice di procedura penale comminate, astrattamente, in tal modo.

CORTE D'APPELLO DI MELANO; ordinanza 13 settembre 1988; Pres. Loi, Rei. Palminota; imp. Agosta e altri.

CORTE D'APPELLO DI MILANO; <

Libertà personale dell'imputato — Scarcerazione per decorrenza dei termini — Prescrizioni — «Ius superveniens» — Disciplina (Cod. proc. pen., art. 282; 1. 3 agosto 1988 n. 327, norme in

materia di misure di prevenzione personali, art. 14, 16; 1. 5

agosto 1988 n. 330, nuova disciplina dei provvedimenti restrit tivi della libertà personale nel processo penale, art. 43, 72).

In seguito alle modifiche apportate all'art. 282 c.p.p. dagli art. 14 I. 3 agosto 1988 n. 327 e 43 I. 5 agosto 1988 n. 330, l'obbli

go di dimorare in un determinato comune può essere imposto

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