sezione IV penale; sentenza 3 novembre 1988; Pres. Suriano, Est. Losapio, P.M. Pianura (concl.parz. diff.); ric. Proc. gen. App. Trento in causa Tamburini. Annulla App. Trento 18 dicembre1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1989), pp.309/310-315/316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23182732 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
dato che — come è stato oramai ripetutamente precisato da que sta Suprema corte con giurisprudenza consolidata (nonché dalla
Corte costituzionale con la nota sentenza n. 47 del 1979, id., 1979,
I, 1646), l'interesse tutelato da tale norma è quello pubblico di
sottoporre l'attività edilizia al preventivo controllo della pubblica
amministrazione, con conseguente imposizione a chi voglia edifi
care dell'obbligo di richiedere l'apposita autorizzazione ammini
strativa; per cui il reato de quo sussiste anche se il privato —
che non ha chiesto o comunque non ha ottenuto la detta autoriz
zazione (denominata concesione) — abbia costruito o iniziato a
costruire nel pieno rispetto delle norme sostanziali che disciplina no l'attività edilizia.
Esclusa, pertanto, la possibilità della menzionata equiparazio
ne, ne deriva, per ciò stesso, il venir meno del presupposto logico
giuridico della disposta misura cautelare, dato che nel caso in
esame non solo è pacifico ed incontestato in processo che i men
zionati tre ricorrenti hanno dato inizio ai contestati lavori di co
struzione in forza di provvedimenti amministrativi rilasciati
dall'organo funzionalmente legittimato ad emetterli, ma è altresì'
pacifico che da parte del giudice di merito non è stata nemmeno
adombrata l'ipotesi che il rilascio delle concessioni de quibus con
stituisca (o possa costituire) il frutto di attività criminose poste in essere dal sindaco di Altamura o dai ricorrenti.
Conseguentemente — e per le suesposte ragioni —, tanto il
decreto di sequestro emesso dal Pretore di Altamura in data 6
novembre 1985 che la successiva ordinanza del Tribunale di Bari
in data 20 novembre 1985 debbono — nelle parti in cui rispetti vamente disponevano e confermavano il sequestro degli immobili
di Caponi Teresa, Giordano Lorenzo e Giordano Francesco —
essere annullati senza rinvio.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione IV penale; sentenza 3 no
vembre 1988; Pres. Suri ano, Est. Losapio, P.M. Pianura
(conci, parz. diff.); ric. Proc. gen. App. Trento in causa Tam
burini. Annulla App. Trento 18 dicembre 1986.
Omicidio e lesioni personali colpose — Omicidio colposo — Fat
tispecie di dovere di vigilanza dell'assistente di piscina (Cod.
pen., art. 40, 43, 589).
L'assistente di piscina, comunemente detto bagnino, ove operi
in struttura privata, altrimenti non regolamentata nelle attribu
zioni connesse al suo ruolo, escluso qualsiasi potere-dovere di
proibizione e intervento coattivo ovvero di ammonimento, in
relazione alla normale fruizione del servizio, nel civile rispetto
delle persone e della integrità della struttura, ha dovere di mas
sima vigilanza e di pronto intervento in relazione a situazioni
di concreto pericolo che, comunque, coinvolgano i fruitori del
servizio, anche qualora radicate in comportamenti negligenti
o imprudenti del cliente; pertanto, il bagnino può essere chia
mato a rispondere della morte di un giovane bagnante, colpito
da anossia cerebrale in seguito ad eccesso nel nuoto in apnea,
solo se omise di vigilare con massima attenzione e di interveni
re tempestivamente al manifestarsi dei sintomi del pericolo, non
già per non aver impedito che il bagnante praticasse (ovvero
per non aver ammonito a non praticare) tale genere di nuoto. (1)
(1) Non si riscontrano precedenti in termini.
L'ipotesi del bagnino che lascia annegare un bagnante in pericolo, con
travvenendo all'obbligo — tipicamente connesso al suo ruolo — di soc
correrlo al fine di trarlo in salvo, rientra nel novero dei casi «da manuale»
addotti per esemplificare la regola dell'equivalenza ex art. 40, cpv., c.p.
tra il «cagionare» e il «non impedire» un evento lesivo. Presupposto per ché il mancato impedimento dell'evento assuma rilevanza penale, è l'esi
stenza di un obbligo a contenuto impeditivo dotato di rilevanza «giuridica»
Il Foro Italiano — 1989.
Svolgimento del processo. — 1. - Con sentenza del 15 giugno
1984, all'esito di pubblico dibattimento, il Tribunale di Rovereto
giudicò Fausto Tamburini colpevole del reato di cui all'art. 589
c.p. «per avere, per colpa consistita in negligenza ed imprudenza ed in particolare nell'avere omesso di esercitare, quale preposto al salvataggio presso la piscina annessa al bar Zurigo di Mori,
gestito da Regolini Cesare, la vigilanza sui bagnanti ed in forma
specifica sui minori, loro consentendo senza alcuna cautela il nuoto
in apnea, cagionato la morte del minore Dall'Alda Giorgio che
nella piscina già precisata fu colpito, nuotando in apnea, da anossia
acuta cerebrale con conseguente acuta insufficienza cardio
respiratoria», condannandolo a pena di giustizia, con benefici,
e al risarcimento del 25% (quantificando cosi nel 75% il concor
so di colpa della vittima) dei danni subiti dalla parte civile, cui
assegnò congrua somma a titolo provvisorio.
(cfr., tra le tante, Cass. 12 luglio 1984, Zucchini, Foro it., Rep. 1985, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 21): come tradizionalmente
si ammette anche nella giurisprudenza, tale obbligo non deve necessaria
mente scaturire dal diritto pubblico, ma può nascere da qualsiasi ramo
dell'ordinamento (Cass. 17 gennaio 1984, Terzi, ibid., voce Reato in ge nere, n. 11).
La dottrina che più recentemente si è occupata della tematica dell'ille
cito omissivo c.d. improprio, dal canto suo, sottolinea che l'obbligo giu ridico di impedire l'evento deve avere alla base la titolarità di una «posizione di garanzia» (per il concetto e le relative tipologie, cfr., pur sotto angola zioni non sempre coincidenti, Sgubbi, Responsabilità penale per omesso
impedimento dell'evento, Padova, 1975; Fiandaca, Il reato commissivo
mediante omissione, Milano, 1979; Id., Reati omissivi e responsabilità
penale per omissione, in Foro it., 1983, V, 27; Grasso, Il reato omissivo
improprio, Milano, 1983. Nella manualistica più recente, cfr. Fiandaca
Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 1985, 332; Mantovani, Diritto penale, 2a ed. Padova, 1988, 193): invero, questa più approfondi ta elaborazione dottrinale comincia a trovare eco anche nella prassi appli
cativa, come è dimostrato dai riferimenti al concetto di posizione di garanzia
contenuti, oltre che nella motivazione della sentenza in epigrafe, in Cass.
19 aprile 1983, Milardi, Riv. it. medicina legale, 1984, 480 e massimata
in Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 15, nonché in Cass. 20 aprile 1983,
Bruno, ibid., n. 18 (quest'ultima sentenza sembra ammettere una posizio ne di garanzia avente come fonte una «precedente attività propria» del
l'agente medesimo: in senso critico, più in generale, cfr. nella dottrina
Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, cit., 204 ss.; Grasso,
cit., 277 ss.). Ciò premesso, va rilevato che il principio di diritto racchiuso nella mas
sima su riprodotta può considerarsi in linea con gli orientamenti di fondo
finora espressi dalla migliore elaborazione dottrinale e giurisprudenziale della materia. La Cassazione ricostruisce il contenuto e i limiti della posi zione di garanzia del bagnino attribuendo il dovuto rilievo alla circostan
za che si tratta, nel caso di specie, di attività di assistenza prestata nell'ambito di una piscina privata. Posto che la posizione di garante rive
stita dal bagnino ha la sua fonte giuridica in un rapporto contrattuale
intercorrente col gestore della piscina, se ne deduce che il bagnino stesso
è tipicamente tenuto ad esercitare un'attività di vigilanza e soccorso aven
te come obiettivo di neutralizzare la piscina quale specifica «fonte di peri coli» per tutti i bagnati che, liberi di fruirne, possono trovarsi in difficoltà
durante il concreto esercizio natatorio: in altri termini, mentre il bagnino è carente del potere-dovere di evitare l'insorgenza stessa di pericoli inter
dicendo a eventuali bagnanti di fruire della piscina o di praticarvi tipi di nuoto potenzialmente rischiosi, egli è invece obbligato a realizzare tutti
gli interventi soccorritori necessari per fronteggiare qualsiasi situazione
di pericolo già concretamente insorta, sia pure a causa del concorso della
condotta imprudente del soggetto che viene a trovarsi in difficoltà.
Esplicitando ulteriormente l'assunto espresso dalla Cassazione si può osservare con una parte della dottrina (Fiandaca-Musco, cit., 338) che, in base al principio di «autoresponsabilità», ciascun soggetto adulto e
compos sui è libero di esporsi ai rischi che ritiene di essere in grado di
affrontare: ove sia lo stesso titolare del bene potenzialmente esposto a
pericolo ad assumere in maniera consapevole la decisione di metterlo a
repentaglio, nessun altro soggetto terzo (e perciò neppure un bagnino di piscina privata) può rivestire il ruolo di «istanza di protezione» legitti mata a inibire la stessa risoluzione di correre il pericolo (sul punto, per
tutti, Fiandaca-Musco, cit.; per un caso di sostanziale riconoscimento
del principio di autoresponsabilità del tossicodipendente quale limite alla
responsabilità dello spacciatore a titolo di omicidio colposo, cfr. Trib.
Roma 12 febbraio 1985, Foro it., 1985, II, 213, con nota di Fiandaca).
Certo, il principio di autoresponsabilità nella accezione predetta trova
un limite di applicazione laddove, come nel caso di specie, il soggetto
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311 PARTE SECONDA 312
Il tribunale accertò e ritenne: — che il giorno 8 luglio 1981 il tredicenne Giorgio Dall'Alda
era stato estratto cadavere della piscina annessa al bar Zurigo, in quanto colpito da «insufficienza cardio-respiratoria da apnea
prolungata con insufficienza acuta del sistema nervoso centrale
[corticale e bulbare soprattutto] per anossia cerebrale»; — che ciò era accaduto in quanto il giovanissimo Dall'Alda
si era cimentato, con altri, troppo a lungo, in una gara di nuoto
in apnea, incorrendo nello stato di anossia, che lo aveva portato a morte nella piscina stessa, dove era stato notato, accovacciato
nel fondo, senza che alcuno dei preposti gli avesse prima portato soccorso [venne estratto da certo Tranquillini, estraneo alla orga nizzazione imprenditoriale che gestiva la piscina];
— che l'«assistente alla balneazione», Fausto Tamburini, pre sente ai bordi della piscina, aveva correttamente, ma vanamente,
praticato le operazioni di rianimazione sul corpo esamine del
giovane; — che, esclusa l'ipotesi di «colpevole distrazione» del Tambu
rini, nell'assenza di norme specifiche regolanti l'attività profes sionale di bagnino, ed esclusi poteri disciplinari e coattivi di
intervento, non risultando, nel caso, trattarsi di un munus publi cum)» [disciplinato per legge o regolamento]; ritenuta, invece, ap
plicabile la normativa civilistica propria del contratto tra utenti
e gestore di una piscina, doveva ammettersi [perché il ruolo del
bagnino non sia da ritenere limitato al solo recupero di infortu
nati] avere egli dovere di avvisare i clienti dei rischi particolari inerenti un dato comportamento;
— che il Tamburini non poteva non essersi accorto del protrar si della pericolosa gara cui i giovani si erano impegnati, oltre
i limiti della loro non elevata resistenza; — che, in tale situazione, spettava all'imputato intervenire presso
i bagnanti, quanto meno per richiamare la loro attenzione sui
gravi pericoli cui si esponevano continuando in un gioco troppo
pericoloso. Donde l'affermazione di penale responsabilità, temperata dal
rilevante concorso di colpa attribuito al comportamento dell'ado
lescente Dall'Alda.
2. - Sull'appello dell'imputato, il quale lamentò: — violazione del principio della contestazione, per essere stato
affermato un aspetto di colpa non contestato [1° motivo];
che si espone a pericolo sia un minorenne; ma dalla inapplicabilità di tale principio sarebbe affrettato desumere la conclusione che il bagnino era tenuto a impedire che il ragazzo praticasse tecniche di nuoto rischio se. Ed infatti l'età minore, quale condizione di inferiorità che richiede la predisposizione di istanze protettive, fa sorgere una apposita situazione di garanzia rilevante (anche) penalmente in capo ai genitori (o ad altri
soggetti normativamente assimilabili): i quali hanno, in base al ruolo ri
vestito, appunto l'obbligo di tenere i figli minori al riparo da tutti i peri coli che possono minacciarli, quale che sia la fonte da cui provengono (il rapporto genitori-figli minori esemplifica, non a caso, il modello tipico della posizione di garanzia che va sotto il nome di «posizione di protezio ne»: cfr. Fiandaca-Musco, cit., 337); e l'esercizio della loro funzione di garanti potrebbe anche implicare, nei congrui casi, l'interdizione al figlio di praticare forme di nuoto pericolose. Mentre il bagnino, lungi dall'essere titolare di analoghe funzioni protettive dallo spettro generalis simo, si limita piuttosto a ricoprire una posizione di garanzia consistente, precisamente, in una «posizione di controllo» su una specifica fonte di pericolo (costituita, appunto, dalla piscina): egli perciò di regola non è obbligato ad assolvere ruoli protettivi che precedono il momento dell'en trata in acqua, ma ha un ambito di responsabilità circoscritto all'impedi mento dei pericoli che scaturiscono dall'effettivo utilizzo della piscina (una forma più ampia di responsabilità sarebbe stata in astratto ipotizzabile qualora il bagnino, al di là dei tipici compiti connessi al suo ruolo, si fosse impegnato in modo vincolante con i genitori del ragazzo a evitare che questi praticasse il nuoto in apnea: nel senso che l'attitudine di impe gni di tipo contrattuale ad assurgere a fonte di obblighi di garanzia è subordinata all'intervento, in qualità di contraente, dello stesso titolare del bene protetto ovvero di un garante a titolo originario, cfr. Fiandaca Musco, cit., 338).
Sull'ulteriore e dibattuto problema dell'equivalente normativo della cau salità nell'illecito omissivo improprio, cfr., di recente, Renda, Sull'accer tamento della causalità omissiva nella responsabilità medica, in Foro it., 1986, II, 351.
Il Foro Italiano — 1989.
— errata valutazione del fatto ai fini della ritenuta colpa, ol
treché contraddittorietà della motivazione e insufficiente analisi
delle prove testimoniali sul punto [2° motivo]; — mancata considerazione della incertezza sulle cause della mor
te [3° motivo]; la Corte d'appello di Trento assolve il Tamburini con formula
dubitativa.
La corte del merito, rigettato il primo e il terzo motivo di im
pugnazione, avendo giudicato compiutamente contestato l'aspet to di colpa al quale il tribunale aveva agganciato la responsabilità del prevenuto e avendo condiviso le osservazioni sulla base delle
quali il primo giudice aveva raggiunto la prova in ordine alla
causa della morte del giovane nei termini di rubrica, ritenne, in
vece, fondato il secondo motivo di appello, giudicando che non
spettava al bagnino avvertire i giovani circa i rischi del nuoto
in apnea prolungata, bensì all'istruttore e/o ai genitori del giova
ne, ove, ovviamente, presenti. Dall'altra parte, e nel merito, la corte predetta pose in rilievo
che un testo aveva asserito che il Tamburini, più volte, aveva
sollecitato i giovani a desistere da tali pericolosi comportamenti
[nuoto in apnea prolungata], mentre dalle dichiarazioni di altri
testi era emerso che non era stata praticata una vera e propria
gara [di nuoto in apnea], come sosteneva il tribunale: il giovanis simo Dall'Alda, invece, si era cimentato in un solitario tentativo
di battere il proprio record e quello di altro più esperto giovane
[certo Turella],
Ma, la corte trentina, approfondendo altro profilo di colpa,
già esaminato dal Tribunale di Rovereto e risolto con giudizio favorevole al prevenuto, evidenziò che spettava al Tamburini, nella
qualità di bagnino, prestare massima attenzione su quanto acca
deva in piscina e, quindi, anche sulle ragioni del ritardato riemer
gere del giovanissimo infortunato. Dalla disamina delle risultanze
processuali, il giudice del merito pervenne alla conclusione che
tra l'allontanamento del Turella [il quale aveva constatato l'in
successo del tentativo sperimentato dal Dall'Alda] e l'intervento
recuperatorio del Tranquillini, trascorsero almeno cinque minuti;
tempo durante il quale il Tamburini non si era neppure accorto
dell'accaduto.
Questa conclusione che, sempre a giudizio della prefata corte, avrebbe portato all'affermazione di penale responsabilità del pre
venuto, sarebbe contrastata da considerazioni, già svolte dal tri
bunale, e condivise dal giudice del gravame, evidenzianti la vigile
presenza del bagnino, l'elevato numero dei bagnanti presenti in
piscina, la carenza di circostanze ed elementi che avrebbero potu to sollecitare maggior attenzione da parte del Tamburini [quali il clamore di una vera e propria gara, l'attenzione a ciò rivolta da altri, ecc.].
Nel contrasto tra tali considerazioni, la corte trentina ritenne
legittima l'adozione di formula assolutoria dubitativa.
Ricorrono per cassazione sia l'imputato che il procuratore ge nerale della repubblica.
Motivi della decisione. — 3. - Quest'ultimo sperimenta tre mezzi di annullamento.
3.1. — Con il primo, rubricato come «violazione dell'art. 524, n. 1, c.p.p. in relazione all'art. 589 c.p.», l'ufficio ricorrente so stiene che incorre in contraddizione la motivazione della denun
ziata sentenza laddove, da una parte, ritiene essere obbligo del
bagnino, non solo segnalare situazioni di pericolo, ma anche in tervenire tempestivamente prima che il pericolo si tramuti o sfoci in situazione di danno, dall'altra, giudica, nel caso di specie, sod
disfatti quegli obblighi con l'avvertimento rivolto dal Tamburini
ai giovanissimi frequentatori della piscina circa la pericolosità della
pratica del nuoto in apnea prolungata. Con il secondo mezzo, con il quale denunzia violazione del
l'art. 524, n. 1, c.p.p. in relazione all'art. 589 c.p., il procuratore generale sostiene che il ravvisare un'ipotesi di colpa, a carico del
bagnino, solo al momento in cui egli tardò nel recuperare il cor
po del giovane, che «non nuotava più neppure in apnea», sembra in contrasto con l'obbligo di vigilanza cui si collega quello di
immediato intervento, focalizzabile nel momento in cui appaia chiara una situazione di pericolo, senza attendere che evolva in danno [consumato]. Pertanto, alla stregua di tale criterio, ritiene
l'ufficio ricorrente, nel caso di specie, che il Tamburini avesse ob
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GIURISPRUDENZA PENALE
bligo di seguire attentamente il giovanissimo cliente nella sua im
prudente pratica di nuoto in apnea prolungata ed intervenire pron
tamente, appena questi avesse mostrato bisogno di aiuto. Donde
l'evidenziazione di un comportamento di sicura negligenza. Con il terzo motivo, il p.g. denunzia violazione dell'art. 524,
n. 1, c.p.p., sempre in relazione all'art. 589 c.p.; rileva la non
corrispondenza a razionalità il sostenere che, in assenza del geni tore o dell'istruttore [ai quali, secondo la corte del merito, spette rebbe l'obbligo di avvertire della pericolosità del nuoto in apnea
prolungata e di intervenire con decisione], nessun dovere sostitu
tivo incomberebbe sul bagnino, benché gli si faccia obbligo di
vigilare sulle situazioni di pericolo a tutela di tutti i bagnanti; in particolare, secondo l'ufficio ricorrente, una tale decisione si
porrebbe in contrasto con «l'intero sistema normativo della tute
la dei minori e dell'obbligo generico della prudenza e dell'at
tenzione».
3.2. - L'imputato, tramite il suo difensore, aziona due mezzi
di annullamento.
Con il primo, rubricato per: «Violazione dell'art. 524, n. 1,
c.p.p.», con riferimento all'art. 515 c.p.p. e all'art. 201 c.p.p.», sostiene che la corte del merito avrebbe violato il principio del
tantum devolutum quantum appellatum, avendo riportato la sua
attenzione su un aspetto della colpa già esaminato dal tribunale
e risolto in senso favorevole al prevenuto, sicché questi non ne
aveva fatto oggetto di impugnazione, consentendo la formazione
del giudicato sul punto. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: «Violazione del
l'art. 524 con riferimento all'art. 474, n. 3. Carente ed erronea
valutazione delle prove». Sostiene il deducente che la corte del merito avrebbe mal consi
derato gli elementi probatori acquisiti in atti, dai quali dovrebbe
dedursi che non già a cinque minuti ma a un sol minuto si ridur
rebbe la discrepanza tra le dichiarazioni di testi in ordine al tem
po di permanenza del corpo esamine del giovane in acqua, prima dell'intervento del Tranquillini.
4. - Osserva il collegio che il ricorso del procuratore generale
presso la corte trentina, limitatamente al punto centrato essen
zialmente con il secondo motivo, è fondato; vanno, invece, riget tati il primo e il terzo motivo, nei termini di cui appresso.
Due sono gli aspetti della problematica agitata in causa, af
frontati e variamente risolti dai giudici del merito; entrambi fatti
oggetto della impugnazione dell'ufficio di accusa presso la corte
trentina. Sull'uno e sull'altro, pertanto, questa corte, ritualmente
investita sotto il profilo di legittimità, deve intrattenersi, cosi con
giuntamente esaminando i tre motivi di ricorso, nella discussione
dei quali l'ufficio ricorrente ha spesso compattato i due aspetti
del problema, conseguenziando cosi una non condivisa parcelliz
zazione del discorso motivazionale.
4.1. - Il primo problema attiene l'individuazione dei poteri —
e, quindi, dei corrispondenti doveri — spettanti all'«assistente di
piscina» [bagnino] nell'ambito del ruolo a lui attribuibile nella
organizzazione gestionale di una privata impresa, esercente una
piscina aperta al pubblico, con generici connotati di pericolosità,
quale potrebbe dedursi dalla circostanza che talune disposizioni
di legge e regolamentari [t.u. legge di p.s.: r.d. 18 giugno 1931
n. 773 (art. 86 e 121); regolamento per l'esecuzione del detto t.u.:
r.d. 6 maggio 1940 n. 635 (art. 224 ss.)] impongono la presenza
di persona idonea, fornita di requisiti, previamente accertati, quale
presupposto per il rilascio dell'autorizzazione amministrativa ed
onere gestionale, condizionante sanzioni e, perfino, revoca della
autorizzazione stessa.
Orbene, come è stato rilevato dai giudici del merito, non esiste
alcuna norma di legge che conferisca all'assistente di piscina [co
munemente detto bagnino] [e, in reciprocità, lo obblighi a farne
uso] poteri di intervento sul comportamento dei frequentatori della
struttura nella fruizione del servizio fornito: ovviamente, nel ri
spetto dei doveri civici nei confronti dei presenti e delle strutture
aziendali, sia sotto il profilo patrimoniale che, soprattutto, della
sicurezza per i terzi.
Ne consegue che il bagnino non potrebbe certamente esercitare
poteri coattivi nei confronti dei clienti, ove costoro, come nel
caso di specie, intendessero fruire della piscina sperimentando eser
II Foro Italiano — 1989.
cizi che, in ipotesi, possano ritenersi in qualche modo forieri di
pericolo per se stessi.
Pericolo che spesso si annida non già nella fruizione del servi
zio secondo la normalità, ma nell'abuso ovvero in imprudenze esaurentisi nell'ambito comportamentale del singolo.
Ora, secondo la perentoria formula di cui al capoverso del
l'art. 41 c.p., è da considerarsi causa di un evento «dannoso o
pericoloso da cui dipende l'esistenza del reato» [art. 41, la parte,
c.p.] il comportamento omissivo di colui che «ha obbligo giuridi co» di impedirne la verificazione.
Sul punto, la giurisprudenza di questa corte di legittimità risul
ta assolutamente univoca, dovendosi escludere, in modo categori
co, la ipotizzabilità della attribuzione di un evento dannoso o
pericoloso in capo a taluni a causa di comportamento omissivo
non presidiato da obbligo giuridico di attivarsi, proprio e specifi camente al fine di impedire la verificazione di quell'evento, vale
a dire di quello dedotto in giudizio [per tutte: Cass., sez. IV, 12 luglio 1984, Zucchini, Foro it., Rep. 1985, voce Omicidio e
lesioni personali colpose, n. 21].
L'obbligo, di impedire la verificazione di tale evento, deve es
sere giuridicamente previsto, cioè delineato in una disposizione di legge o regolamentare, la quale, per sua struttura e natura,
abbia la forza di obbligare il cittadino a tenere un determinato
comportamento, costituendolo in «posizione di garanzia» rispet
to all'evento temuto [cfr. Cass., sez. IV, 20 aprile 1983, ric. Bru
no, id., Rep. 1984, voce Reato in genere, nn. 17, 18], fornendolo
del potere [inteso in senso generico] idoneo e sufficiente al conse
guimento del fine oggetto della disposizione.
Deve, pertanto, escludersi che il «bagnino» sia fornito, allo
stato attuale della legislazione, di potere-dovere di intervento coat
tivo idoneo ad incidere sul comportamento, giudicato rischioso,
posto in essere da frequentatori di una struttura balneare privata;
ugualmente, e conseguenzialmente, è da escludere che tale opera tore possa ritenersi destinatario di un potere-dovere di «ammoni
mento», secondo la terminologia adottata dal giudice di primo
grado. Terminologia dalla significazione alquanto equivoca, po
sto che, ove un tale supposto potere-dovere dovesse ritenersi pri
vo di mezzi esecutivi [sopra negati: poteri coattivi], rimarrebbe
circoscritto a un puro esercizio vocale, non dissimile dal semplice
«consiglio» che qualsiasi persona può rivolgere ad altri; se, inve
ce, lo si volesse supporre fornito dei «mezzi» necessari a renderlo
concretamente operativo, si cadrebbe chiaramente nella ipotesi
sopra esclusa.
4.2. - Il secondo profilo della problematica agitata in causa
attiene, invece, al dovere di vigilanza e di pronto intervento attri
buito al «bagnino» dalla corte del merito e certamente sussistente.
La ragione d'essere della presenza di persona, munita di speci
fica competenza e capacità, iscritta in appositi registri pubblici
[disposizioni della legge di p.s. e relativo regolamento, sopra ri
chiamate], sta proprio non già, come osservava il giudice di pri mo grado, nella funzione recuperatoria «a fatto accaduto», ma
in quella di intervento ausiliatorio, nel momento del bisogno e
prima che una determinata situazione a rischio, ove, ovviamente,
avvertita con l'uso della massima diligenza che deve pretendersi in colui cui sia affidato un compito specifico di vigilanza, si evol
va in irreversibile danno.
Orbene, la corte del merito, pur non avendo trascurato di rite
nere ed evidenziare la regola sopra riassunta, non ha saputo trar
ne le dovute conseguenze connesse alla, secondo quanto risulta
dalla impugnata sentenza, accertata [e dall'ufficio ricorrente de
nunziata] negligenza, nella quale il Tamburini versò nella luttuo
sa circostanza per cui è causa.
La corte del merito ha ritenuto, invero, che: — il Tamburini, nello specifico ruolo di assistente di piscina,
o bagnino che si dica, aveva obbligo di vigilare con diligenza
e di intervenire sin dal momento in cui un frequentatore della
struttura balneare si fosse venuto a trovare in situazione di pericolo; — che al predetto imputato era noto che alcuni giovanissimi,
frequentatori della piscina, usavano abusare nel gareggiare nuo
tando in apnea prolungata, rendendo a rischio, cosi, una pratica
natatoria di per sé innocua; — che tra costoro vi era l'adolescente Dall'Alda, il quale ripe
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PARTE SECONDA
tutamente si cimentava nel tentativo di superarsi e battere [pure] il record di altro più esperto frequentatore della piscina;
— che mentre questo giovane teneva tale dal prevenuto ritenu
to e giudicato [e come tale fatto oggetto di «ammonimento»] ri
schioso comportamento, il Tamburini era presente sui bordi della
piscina; — che, ciononostante, egli né seguì il, né se avvide del [di quanto
accadeva al] giovane Dall'Alda, rimanendone disinformato per
almeno cinque minuti [dal momento in cui l'adolescente venne
a trovarsi in difficoltà], sin tanto che altra persona [Tranquillini], del tutto estranea all'organizzazione di assistenza-vigilanza
soccorso, non ebbe a ripescare il corpo esamine dello sfortunato
giovinetto; — che questa disattenzione, definita negligenza dal ricorrente
ufficio di accusa, sarebbe potuta risultare genericamente spiega bile [quanto meno sotto il profilo del dubbio] a causa del numero
delle persone presenti in piscina in quel momento, della mancan
za di clamore, della carenza di circostanze inconsuete idonee ad
attivare maggiore attenzione nel prevenuto. Il comportamento tenuto dal Tamburini, siccome denunciato
dalla successione dei fatti nei termini accertati dal giudice del me
rito, alla luce del principio di diritto sopra delineato, non può trovare logica e giuridica spiegazione-giustificazione in generiche
considerazioni, che non siano idonee ad evidenziare, con rigore,
la impossibilità [che non deve essere solo difficoltà] del tenere
la condotta di massima diligenza richiesta dalla specificità del ruolo
[dell'incarico] e dalla consapevolezza della esistenza di una situa
zione di pericolo capace di precipitare in un evento di danno irre
parabile. In definitiva, il giudice del merito doveva provare, con rigore
logico e rispetto delle regole di diritto, che il Tamburini, vigile e attento nel seguire la situazione di pericolo, sulla quale non
poteva influire se non nel momento specificamente connesso al
suo ruolo, non era potuto intervenire tempestivamente per ragio ni che solo il giudice del merito può individuare [se esistenti in
atti], valutare e mettere in esatta correlazione, referente la con
dotta comandata [dalla legge], con il comportamento oggettiva mente rilevato. Ragioni che non possono trovare radice nella
disattenzione, nei termini giustificatori adottati dalla impugnata sentenza: la disattenzione, infatti, è un essenziale profilo della
colpa. La carente analisi del dato processuale, in relazione alla indivi
duazione delle componenti del comportamento tenuto dal preve
nuto, appare ancor più censurabile, quando si evidenzi che la
corte del merito, rigettando apposito motivo di appello, proposto dal Tamburini, non dubitò che la morte del giovinetto Dall'Alda
fu causata da anossia cerebrale; patologia che si instaura, come
è noto, progressivamente, a seguito di persistente carenza di ossi
geno nei centri nervosi cerebrali, in conseguenza di analoga in
sufficienza nel naturale veicolo di tale indispensabile elemento della
vita animale.
Ciò, dunque, ancor più evidenzierebbe, sempre a stare all'ac
certamento di merito, la ragionevole pertinenza, al fine di salvare
la vita del malcapitato [e, reciprocamente, la riferibilità eziologi ca dell'accaduto alla condotta del prevenuto], di un pronto inter
vento di ausilio, utilmente praticabile solo ove il preveduto si fosse
fatto carico, come doveva, di seguire con massima attenzione quan to accadeva, laddove, nella non certo immensa piscina e a pro fondità del tutto visibile [livello dell'acqua a circa un metro e
mezzo dal fondo], il Dall'Alda pericolosamente [ancorché con
sua grande imprudenza] si sforzava nel resistere a lungo senza
respirare. Sul punto, dunque, la impugnata sentenza deve essere annulla
ta, con rinvio ad altro giudice, che si individua in altra sezione
della stessa Corte di appello di Trento, perché, uniformandosi
al principio di diritto, secondo il quale «l'assistente di piscina, comunemente detto bagnino, ove operi in struttura privata, altri
menti non regolamentata nelle attribuzioni connesse al suo ruolo, escluso qualsiasi potere-dovere di proibizione e intervento coatti
vo ovvero di ammonimento, in relazione alla normale fruizione
del servizio, nel civile rispetto delle persone e della integrità della
struttura, ha dovere di massima vigilanza e di pronto intervento
in relazione a situazioni di concreto pericolo che, comunque, coin
II Foro Italiano — 1989.
volgano i fruitori del servizio, anche qualora radicate in compor tamenti imprudenti o negligenti del cliente», liberamente rivaluti
il materiale probatorio acquisito agli atti, traendone le conclusio
ni che, nel rispetto della logica e dei principi di diritto, risulteran
no conformi a giustizia. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 28 otto
bre 1988; Pres. Modigliani, Est. Valente, P.M. (conci, conf.); ric. Buzzi. Conferma Trib. sorveglianza Roma, ord. 1° giugno 1988.
Ordinamento penitenziario — Liberazione anticipata — Istanza
avanzata dopo la cessazione della custodia cautelare ma prima della esecuzione della pena — Inammissibilità (L. 26 luglio 1975
n. 354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà, art. 54; 1. 10
ottobre 1986 n. 663, modifiche alla legge sull'ordinamento pe
nitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà, art. 18).
È inammissibile l'istanza volta ad ottenere la liberazione antici
pata, relativamente al periodo trascorso in custodia cautelare,
quando sia presentata dal condannato in libertà dopo la cessa
zione di tale periodo e prima dell'inizio dell'esecuzione della
pena residua. (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 16 giugno
1988; Pres. Dolce, Est. Aiello, P.M. (conci, conf.); ric. Proc.
gen. App. Roma; detenuto Racca. Conferma Trib. sorveglian
za Roma, ord. 26 febbraio 1988.
Ordinamento penitenziario — Liberazione anticipata — Istanza
relativa a semestri espiati in detenzione ma avanzata nel corso
di sospensione dell'esecuzione della pena per motivi di salute — Ammissibilità (Cod. pen., art. 147; 1. 26 luglio 1975 n. 354, art. 54; 1. 10 ottobre 1986 n. 663, art. 18).
È ammissibile — e va, pertanto, ritenuta legittima la relativa or
dinanza di riduzione della pena — l'istanza volta ad ottenere
la liberazione anticipata relativamente a semestri espiati in de
tenzione, anche se presentata nel corso di sospensione della pe na per motivi di salute. (2)
(1-2) Attualità dello stato detentivo e ammissibilità dell'istanza di libe razione anticipata.
Le due decisioni riportate affrontano, seppure in riferimento a fattispe cie diverse, un problema che sembra prospettarsi, in entrambi i casi, con caratteristiche analoghe: quello della ammissibilità della istanza di libera zione anticipata da parte di un soggetto che non si trova in atto detenuto, ma che, avendo già trascorso in carcere una parte della pena e dovendo ancora espiare la pena residua, chiede che venga valutato il periodo già trascorso in detenzione allo scopo di ottenere una anticipata riduzione della pena ancora da scontare.
Una simile situazione può, appunto, verificarsi in casi come quelli so
pra presi in esame: il primo, relativo ad una istanza avanzata dopo la cessazione della custodia cautelare, ma prima della esecuzione della resi dua pena (come è noto, in seguito alle modifiche introdotte dall'art. 18 della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario del 10 ottobre 1986 n. 663, il periodo trascorso in custodia cautelare può essere — per espres so riconoscimento legislativo — valutato ai fini di una eventuale conces sione di riduzione di pena: sul punto, che in passato aveva dato origine
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