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sezione VI penale; ordinanza 2 giugno 1988; Pres. Valente, Rel. Teresi, P. M. Viale; ric. GigliozziSource: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.485/486-487/488Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179741 .
Accessed: 28/06/2014 14:13
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GIURISPRUDENZA PENALE
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; ordinanza 2 giu
gno 1988; Pres. Valente, Rei. Teresi, P. M. Viale; ric. Gi
gliozzi.
CORTE DI CASSAZIONE;
Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Responsa bilità civile dei magistrati — Giudizi di cassazione — Questione
non manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art.
3, 101; cod. proc. civ., art. 133, 276, 429; disp. att. cod. proc.
civ., art. 64, 118, 119, 120; cod. proc. pen., art. 151, 472,
473, 531, 534, 537, 545; disp. att. cod. proc. pen., art. 30;
1. 8 agosto 1977 n. 532, provvedimenti urgenti in materia pro
cessuale e di ordinamento giudiziario, art. 6, 7; 1. 13 aprile
1988 n. 117, risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio del
le funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, art.
2, 16).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale degli art. 2, 3° comma, lett. b) e c), nonché dell'art.
16, 1° e 3° comma, l. 13 aprile 1988 n. 117, in relazione agli
art. 133, 276, 429 c.p.c., 64, 118, 119 e 120 disp. att. c.p.c.,
151, 472, 473, 5° comma, 531, 534, 1° comma, 537, 545 c.p.p.,
30 disp. att. c.p.p., e 6 e 71. 8 agosto 1977 n. 532, nella parte
in cui prevedono che i componenti di organi giudiziari collegia li possono essere chiamati a rispondere per l'affermazione o
la negazione dell'esistenza di fatti che essi non sono tenuti ad
accertare direttamente, in riferimento agli art. 3 e 101 Cost. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). Su queste premesse, in
fatto ed in diritto, ritiene il collegio che allo stato il ricorso non
possa essere definito per la rilevanza di due questioni di legittimi
tà costituzionale che si sollevano d'ufficio e che non appaiono
manifestamente infondate.
La prima si riferisce — come meglio si specificherà in prosie
guo, indicando le singole norme di riferimento — alla manifesta
zione del dissenso, imposto dalla 1. 13 aprile 1988 n. 117
(risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giu
diziarie e responsabilità civile dei magistrati) nel -momento della
deliberazione della decisione, che obbliga, in tutte le ipotesi ana
loghe a quella in esame ed avuto riguardo alla pluralità ed etero
geneità delle questioni, di esprimere sostanzialmente nel verbale
prescritto dall'art. 16 una «motivazione anticipata»: senza con
sentire, peraltro, all'atto della successiva stesura della sentenza,
alcun controllo circa l'aderenza, la conformità e l'esattezza del
l'unica motivazione processualmente prevista, da parte di coloro
che non rivestono la qualità di estensore e/o di presidente (ove
le stesse non coincidano e non trattasi di ordinanze, comunque
sottoscritte solo dal secondo).
Il tutto, sotto una pluralità di profili implicanti il contrasto
con gli art. 3 e 101 Cost.
La seconda, invece, si riferisce in modo particolare alla viola
zione del diritto di difesa (art. 24, 2° comma, Cost.) in relazione
alla normativa concernente la rappresentanza e la difesa della parte
civile in tutti i gradi del procedimento. 1. - Quanto alla prima questione, si osserva che devono consi
derarsi costituzionalmente illegittimi gli art. 2, 3° comma, lett.
b) e c), nonché 16, 1° e 3° comma, 1. 117/88 nelle parti in cui:
1/1 sono previste quali ipotesi di colpa grave, suscettibili di
(1) Sulla recente legge in tema di responsabilità dei magistrati, cfr. Trib.
Biella 12 maggio 1988, in questo fascicolo, I, e T.A.R. Lombardia 6
giugno 1988, in questo fascicolo, III, 394, con nota di richiami, nonché
Trib. Catanzaro 2 maggio 1988, Gazz. uff., la s.s., 3 agosto 1988, n.
31, p. 184, e, in dottrina, M. Cicala, Un «percorso ad ostacoli» per la responsabilità civile dei magistrati, in Corriere giur., 1988, 746. Ibid.,
689, si legge il testo del ricorso per conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato promosso dai promotori del referendum abrogativo degli art.
55, 56 e 74 c.p.c., nei confronti del parlamento. Ai dibattiti su citati della lesione del segreto della camera di consiglio,
che la 1. 117/88 determina, è da raffrontare l'ordinanza 21 marzo 1988
della Commissione tributaria di primo grado di Verbania (Gazz. uff. cit.,
p. 199), secondo la quale il segreto della camera di consiglio non sarebbe
legislativamente prescritto per le commissioni tributarie ed in ciò ravvisa
una violazione degli art. 3, 1° comma e, 108, 2° comma, Cost.
Da ultimo, L. Scotti, Responsabilità civile dei magistrati. Commento
teorico pratico alla I. 13 aprile 1988 n. 117, Giuffrè, Milano, 1988.
Il Foro Italiano — 1988 — Parte 7/-13.
legittimare un'azione di rivalsa nei confronti del magistrato, l'af
fermazione di un fatto o la sua negazione (rispettivamente, esclu
sa, ovvero incontrastabilmente emergente dagli atti del processo), senza specificare, non solo che deve trattarsi di fatto rilevante, anzi decisive ai fini della pronuncia emessa, ma, quanto al giudi zio di legittimità — che interessa nel caso di specie —, che tale
situazione deve emergere dal provvedimento impugnato e forma
re oggetto di motivo di ricorso, non essendo prevista di regola alcuna indagine di fatto nel giudizio innanzi a questa corte in
sede penale se non nei limiti di un'espressa censura di travisa
mento, secondo l'accezione più appropriata di un vizio della mo
tivazione. E la questione appare rilevante non solo perché in ogni
procedimento è applicabile d'ufficio il disposto di cui all'art. 152
c.p.p., in ciascuna delle sue molteplici previsioni, ma anche per la specificità dei motivi deducibili a sostegno del ricorso per cas
sazione (art. 524 c.p.p.). L'art. 2, 3° comma, lett. b) e c), legge in esame, ora, non
autorizza affatto, nella sua formulazione letterale, un'interpreta
zione riduttiva per quanto si riferisce al giudizio di legittimità in sede penale, e ciò comporta una violazione del principio di
uguaglianza, posto che, con riferimento alle valutazioni concer
nenti il fatto, il giudice di legittimità si trova in una situazione
oggettivamente diversa da quella del giudice del merito: e tuttavia
la disposizione di legge citata non opera per nulla le indispensabi li distinzioni ai fini del coinvolgimento in responsabilità civile,
determinando in tal modo in danno del primo un trattamento
deteriore; 1/2 l'art. 16, poi, accomuna tra di loro situazioni del tutto
diverse per quanto si riferisce alle deliberazioni degli organi colle
giali: il giudice collegiale penale, infatti, ha schemi di formazione
e di elaborazione delle decisioni affatto omogenei rispetto agli altri ed in particolare avuto riguardo a quelli corrispondenti in
sede civile, con conseguenti diversi poteri di controllo e di elabo
razione della decisione. E tale situazione — anch'essa di disparità e di deteriore trattamento ai fini di un coinvolgimento in respon
sabilità — è ancora più accentuata se riferita poi in modo specifi
co alla deliberazione ed alla motivazione dei provvedimenti emessi
dal giudice monocratico penale.
Quanto a quest'ultimo, infatti, è sufficiente rilevare che lo stesso
risponde solo del fatto proprio, doloso o colposo: che è in grado di prevenire — attraverso la conoscenza esclusiva degli atti —
ed occorrendo rettificare eventuali valutazioni erronee. Egli, in
vero, è arbitro esclusivo del procedimento, o atto o provvedimen to: non ha contraddittorio e, soprattutto, è il materiale estensore
della decisione adottata, comunque assunta, della quale conosce
presupposti e ragioni. Il giudice collegiale civile, d'altro canto, fatta eccezione per
il tribunale quale giudice d'appello nelle controversie di lavoro
(art. 429 c.p.c.), è in condizione assolutamente privilegiata, ai
fini e per gli effetti degli art. 2 e 16 1. 117/88. Non è tenuto
infatti ad esteriorizzare immediatamente la decisione mediante let
tura del dispositivo in pubblica udienza — fatto, questo, costi
tuente momento irrevocabile o irreversibile delle deliberazioni (da
effettuare per il giudice penale senza soluzione di continuità, sal
vo i casi di assoluta impossibilità, dopo la chiusura del dibatti
mento e della discussione, ai sensi degli art. 472, 473 e 537 c.p.p.) — ed ha quindi quale unico momento esterno rilevante quello
della pubblicazione del provvedimento (art. 133 e 276 c.p.c. per
le sentenze), senza alcun obbligo di tenere la camera di consiglio
immediatamente dopo l'udienza di discussione (art. 64, 118, 119,
120 disp. att. c.p.c. approvato con r.d. 18 dicembre 1941 n. 1368). A tutti gli effetti, invero, la decisione del giudice civile è da
considerarsi «atto interno» sino al momento del suo deposito in
cancelleria che ne costituisce appunto la «pubblicazione» (art. 133).
Alla luce delle considerazioni ora richiamate, appare evidente
che la sottolineata diversità di schemi (sia riferita al giudice mo
nocratico, in genere, sia a quello civile) acquista un particolare
rilievo ai fini dell'applicazione degli art. 2 e 16 1. 117/88, in quanto
la differente disciplina processuale, avuto riguardo soprattutto agli
organi collegiali del ramo penale — ed in ispecie di questa corte
— incide profondamente nei due distinti momenti della delibera
zione e della successiva motivazione, tra di loro inscindibilmente
legati, seppur temporalmente separati. Oltre a quanto già è stato messo in evidenza nella premessa
— e che qui si richiama espressamente quale parte integrante ed
organica del rilievo — va sottolineato che gli art. 534, 1° comma,
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PARTE SECONDA
e 536, 4° e 5° comma, nel prevedere la nomina di un relatore
e lo svolgimento di tale attività da parte di un solo componente del collegio giudicante, comportano necessariamente che solo il
predetto ha a disposizione tutti gli atti processuali, sicché ciascun
ricorso è conosciuto dagli altri consiglieri soltanto dopo la rela
zione e nei limiti di questa, si da condizionare l'emananda deci
sione — e quindi lo stesso contenuto del dissenso o del consenso
in ciascuna causa manifestato — alla precisione, completezza o
perizia del relatore.
E ciò, inevitabilmente, perché, come si è avuto modo di preci
sare, ogni componente è tenuto alla completa conoscenza dei soli
atti relativi ai processi affidatigli. Da quanto sopra — ricollegato non ad una prassi, ma alla
specifica regolamentazione del processo — deriva che la volontà
espressa nel momento deliberativo, avuto riguardo alle c.d. cause
di responsabilità di cui al citato art. 2 1. 117/88, è ricollegata ad una valutazione non omogenea delle circostanze di causa, per diversità del grado di conoscenza degli stessi incartamenti, ed è
appunto su tale innegabile evidenza che pare illegittimo, sul pia no dei principi costituzionali richiamati, che sia dato identico va
lore e siano sanciti identici effetti pregiudizievoli tra chi ha dato
eventualmente causa al fatto previsto quale fonte di responsabili tà civile e chi, invece, viene coinvolto non tanto a titolo di re
sponsabilità oggettiva, quanto per fatto altrui.
Il tutto, nel quadro di una visione del giudizio collegiale in
genere avulsa da qualsiasi reale rispondenza alle modalità di svol
gimento della fase processuale presa in esame (deliberativa). La denuncia, poi, acquista maggior valore con riferimento alla
successiva motivazione ed al deposito della decisione. Anche qui, da un lato, si deve richiamare quanto precisato, e, dall'altro, va
sottolineato — avuto riguardo in particolare sempre al giudizio
penale collegiale — che ai sensi dell'art. 30 disp. att. c.p.p., ap
provate con r.d. 28 maggio 1931 n. 602, la minuta della sentenza
è consegnata dal presidente al cancelliere che ne forma l'originale e che tale previsione, in una alle modificazioni introdotte con
gli art. 6 e 7 1. 532/77 — per effetto delle quali la sentenza è
sottoscritta solo dal presidente e dall'estensore — esclude qual siasi possibilità di un controllo successivo alla deliberazione, per
quanto si riferisce alla conformità tra pronuncia adottata in ca
mera di consiglio, consensi o dissensi ivi espressi, e, infine, la
motivazione del provvedimento. La 1. 117/88 non ha ora tenuto conto di tutto ciò, apportando,
se del caso, gli opportuni mutamenti nell'ambito della struttura
stessa del processo penale, nè ha tenuto conto, tra le altre possi
bilità, di un'eventuale esteriorizzazione del dissenso anche in det
to momento.
I rilievi che precedono, infine, ancora su tale profilo, devono
essere integrati richiamando ulteriori disparità di situazioni che
si verificano sempre nel giudizio penale, nello stesso organo col
legiale e, persino, nella medesima udienza, li dove — ad esempio — la pronuncia è emessa ai sensi dell'art. 531 c.p.p, senza lettura
contestuale del dispositivo, e dell'art. 545, 2° comma, c.p.p. Nei casi predetti, infatti, da un lato, non v'è lettura immediata
del dispositivo (art. 531 c.p.p.) — con tutte le implicazioni già
messe in evidenza — e, dall'altro, è invece prevista addirittura
la possibilità di integrare la deliberazione eventualmente carente,
seppur in limiti specificamente determinanti, con effetti peraltro di particolare e signicativa incidenza avuto riguardo alla precisa zione dei punti della decisione parzialmente annullata che devono
considerarsi rimasti in vigore e che non sono travolti, quindi, dall'annullamento parziale (art. 545 c.p.p.);
1/3 comportano una violazione dell'art. 101 Cost, sotto il pro filo che la manifestazione della propria volontà in ordine alle
posizioni assunte in camera di consiglio — obbligatoria ai fini di un esonero della responsabilità — viola formalmente e sostan
zialmente il segreto relativo al processo di formazione della deci
sione ivi adottata (art. 473, 5° comma, c.p.p.) che la 1. 117/88
non ha eliminato e che è un bene da ritenersi costituzionalmente
protetto.
Esso, infatti, tende a garantire l'indipendenza dei giudici solo
da ogni forma di pressione ed interferenza (interna od esterna, da parte di singoli o di altri poteri dello Stato), ma anche da
qualsiasi schema che possa comunque incidere negativamente sul
libero svolgimento dell'attività giurisdizionale, e, quindi, in parti
colare, su quella preminentemente espressa dalla deliberazione.
In tal senso, d'altra parte, dottrina e giurisprudenza sono atte
II Foro Italiano — 1988.
state saldamente nel riconoscere l'indipendenza quale bene riferi
bile non all'ordine giudiziario — sotto tale profilo garantito dalla
sua autonomia (art. 104 Cost.) — bensì al giudice ed a ciascun
giudice, con specifico riferimento al concreto esplicarsi delle sue
funzioni, considerate queste ultime quale momento di risoluzione
dei conflitti di interessi. La Costituzione, in sostanza, da un lato, ha affermato il principio per cui tutti i provvedimenti giurisdizio nali devono essere motivati (art. Ill Cost.), imponendo in tal
modo che — seppur con estensione diversa — il giudice manifesti
le ragioni poste a sostegno della deliberazione assunta, e, dall'al
tro, ha garantito allo stesso giudice la più assoluta indipendenza, nel precedente ed essenziale momento della formazione del pro
prio convincimento.
In altri termini, indipendenza vuol dire anche esclusione di qual siasi tipo di condizionamento.
E detto effetto, invece, realizza il disposto dell'art. 16 1. 117/88, in quanto, a prescindere dalle contraddizioni e dalle censure so
pra evidenziate, sicuramente impone l'esplicazione, addirittura scrit
ta del dissenso — cui non corrisponde peraltro se non in linea
derivativa ed immotivatamente quella dell'altrui consenso — con
intuibili conseguenze che coinvolgono non solo la libertà morale
dei giudici, ma anche e non in astratto, la loro stessa incolumità
fisica. Il che non esclude affatto che anche per gli organi colle
giali sia prevista una responsabilità ai sensi della 1. 117/88, ma
impone però che — quanto alle concrete modalità — si tenga conto delle specifiche situazioni, onde non vanificare la tutela
dei principi di indipendenza e di autonomia della funzione giudi ziaria (Corte cost. n. 2 del 14 marzo 1968, Foro it., 1968, I, 585 e n. 26 del 3 febbraio 1987, id., 1987, I, 638) con particolare riferimento al momento decisionale. (Omissis)
Per questi motivi, la Corte di cassazione, sez. VI penale, di
chiara rilevanti o non manifestamente infondate: 1) la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 3° comma, lett. b) e e), nonché dell'art. 16, 1° e 3° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, in relazione agi art. 133, 276, 429 c.p.c., 64, 118, 119, 120 disp. att. stesso codice ed in relazione agli art. 151, 472, 473, 5° com
ma, 531, 534, 1° comma, 537, 545 c.p.p., 30 disp. att. stesso
codice e 6, 7 1. n. 532/77, con riferimento agli art. 3 e 101 Cost.;
2) la questione di legittimità costituzionale degli art. 532, 533, 534 e 536 c.p.p., 91, 93 , 94, 101, 102 e 106 dello stesso codice, con riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 21 no
vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni
(conci, conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986.
Idrocarburi — Olì minerali — Deposito — Ampliamento — Omes
sa denuncia — Reato — Insussistenza (R.d.l. 2 novembre 1933
n. 1741, disciplina della importazione, lavorazione, deposito e
distribuzione di olì minerali e carburanti, art. 11; d.l. 5 maggio 1957 n. 271, disposizioni per la prevenzione e la repressione delle frodi nel settore degli olì minerali, art. 1, 13; 1. 2 luglio 1957 n. 474, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
5 maggio 1957 n. 271).
Non è preveduto dalla legge come reato il comportamento dell'e
sercente che, avendo denunziato all'Utif l'installazione di un
deposito di oli minerali, ometta di denunziarne l'ampliamento, a nulla rilevando che l'eccedenza superi in misura notevole la
quantità massima autorizzata e che siano state apportate modi
fiche sostanziali agli impianti preesistenti. (1)
(1-2) Le sezioni unite risolvono il contrasto interpretativo insorto all'in terno della terza sezione penale aderendo all'impostazione accolta da sez. Ili 22 gennaio 1985, Castorri, Foro it., 1986, II, 598, con nota di richia mi (cui si rinvia per ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza), e successivamente fatta propria da sez. Ili 14 ottobre 1986, Beggiato,
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