sezione VI penale; sentenza 10 aprile 1989; Pres. Moro, Est. Di Mauro, P.M. Mammarella (concl.conf.); ric. Sardella e altri. Conferma Trib. Isernia 1° aprile 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1990), pp.111/112-117/118Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23183578 .
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PARTE SECONDA
che, nella specie, nessun elemento nuovo, nel senso sopra pre
cisato, esiste in atti e neppure è stato semplicemente addotto, essendosi l'istante riportato al contenuto della prima domanda;
che, in conseguenza, va dichiarata l'inammissibilità dell'istanza;
per questi motivi, visto l'art. 58 c.p.p. dichiara ammissibile
l'istanza e condanna l'istante al versamento della somma di lire
200.000 in favore della cassa delle ammende.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i penale; sentenza 14 aprile
1989; Pres. Quaglione, Est. La Cava, P.M. (conci, conf.); ric. Portogallo. Annulla Trib. sorveglianza Torino 23 gennaio 1989.
Liberazione condizionale — Condizioni di ammissibilità — Adem
pimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato — Estremi
(Cod. pen., art. 176).
Perché il mancanto adempimento delle obbligazioni civili deri
vanti dal reato possa incidere negativamente sull'ammissione
del detenuto alla liberazione condizionale, è necessario che le
persone danneggiate dal reato abbiano effettivamente esercita
to, in sede penale o civile, la necessaria azione, o che al con
dannato siano state richieste le spese del procedimento, non
potendosi esigere l'adempimento di un obbligo meramente «.vir
tuale», che non sia stato dichiarato sussistente in sede penale o civile. (1)
In data 23 gennaio 1989 il Tribunale di sorveglianza di Torino
rigettava la domanda di liberazione condizionale avanzata da Por
togallo Vito per non avere questi adempiuto alle obbligazioni ci
vili nascenti dal reato. Avverso detto provvedimento ha erogato ricorso per cassazione il difensore del Portogallo che, con motivi
contestuali, ha denunciato la nullità, dell'ordinanza per vizi di
motivazione.
Il ricorso è fondato.
Infatti, da parte del tribunale, è mancato ogni accertamento
in ordine all'effettiva sussistenza di obbligazioni civili al cui adem
pimento l'art. 176, 4° comma, c.p. subordina la liberazione con
dizionale, salvo che il condannato si trovi nell'impossibilità di
adempierla.
Invero, dette obbligazioni non possono non essere quelle previ ste nel libro primo, titolo settimo del codice penale e, nella spe
cie, non risulta dagli atti che le persone danneggiate dai reati,
per i quali il Portogallo è stato condannato, abbiano esercitato, in sede penale o civile, la necessaria azione o che al condannato
siano state richieste le spese del procedimento, indispensabili pre
supposti penali perché si possa parlare di obbligazioni civili na
scenti dal reato.
È necessario, infatti, che le obbligazioni civili nascenti dal rea
to e di cui agli art. 185-188 c.p. siano «dichiarate sussistenti»
dal giudice penale o civile dato che non si può esigere l'adempi mento di un obbligo meramente virtuale, com'è quello di risarci
re il danno prodotto da reato quando il danneggiato non abbia
esercitato l'azione civile o chiesto la liquidazione del danno stesso.
(1) Non constano precedenti editi in termini. Nel senso che l'adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato
costituirebbe un criterio di valutazione della concreta resipiscenza del con dannato e che, pertanto, anche in caso di impossibilità di adempiere tali
obbligazioni, quest'ultimo non sarebbe esonerato dal compimento di un
qualsiasi gesto di solidarietà come dimostrazione di un effettivo interessa
mento, al fine di lenire le conseguenze materiali e morali del reato, cfr. Cass. 3 aprile 1985, Lettieri, Foro it., Rep. 1986, voce Liberazione condi zionale dei condannati, n. 14.
Per riferimenti, in materia di liberazione condizionale, cfr., da ultimo, Corte cost. 25 maggio 1989, n. 282, id., 1989, I, 3036, con osservazioni di F. Albeggianti.
Il Foro Italiano — 1990.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 10 apri le 1989; Pres. Moro, Est. Di Mauro, P.M. Mammarella (conci,
conf.); ric. Sardella e altri. Conferma Trib. Isernia 1° aprile 1987.
Abbandono o interruzione di pubblici uffici o servizi — Interru
zione di un servizio di pubblica necessità — Reato — Configu rabilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 51, 340).
È configurabile il reato di interruzione di un servizio di pubblica
necessità, ex art. 340 c.p., nel caso in cui i titolari delle farma
cie, per protestare contro i ritardi nel versamento dei contributi
loro dovuti dall'unità sanitaria locale, pretendano dagli utenti
del servizio sanitario nazionale il pagamento integrale di tutti
i medicinali, compresi quelli per i quali sarebbe dovuto soltan
to un «ticket», poiché, stante la natura pubblicistica di conces
sione traslativa e l'obbligatorietà della convenzione che lega i
farmacisti alla Usi, è escluso l'esercizio del diritto di sciopero,
per la prevalenza della caratteristica di attività imprenditoriale volta alla commercializzazione dei farmaci su quella di organo indiretto della pubblica amministrazione (nella specie, tuttavia,
gli imputati sono stati dichiarati non punibili per avere agito nell'erroneo convincimento della sussistenza della causa di giu
stificazione dell'esercizio di un diritto). (1)
Svolgimento del processo. — Nicoletta Sardella, Nicandro Per
copo, Pierino Campopiano, Adriana Ofelia Di Bona e Carolina
Di Mezzo furono tratti al giudizio del Pretore di Venafro per
rispondere, ciascuno di essi, del reato di cui agli art. 51 e 340
c.p., commesso nel mandamento di Venafro dal 5 dicembre 1983
al 5 gennaio 1984, per avere turbato, come titolari di farmacie
e nell'esercizio della loro professione, la regolarità del servizio
(1) La sentenza in epigrafe afferma per la prima volta, sia pure soltan to in linea di principio, l'illiceità di una forma di protesta dei farmacisti
che, negli ultimi tempi, si è andata diffondendo endemicamente in tutto il paese: la sospensione dell'assistenza diretta agli utenti del servizio sani tario nazionale, ovvero il rifiuto di fornire prodotti medicinali se non dietro il pagamento per intero del loro prezzo. In questo senso, la deci sione costituisce un inedito nel pur vasto panorama della prassi giurispru denziale in materia di pubblico servizio.
Anche se non risultano precedenti specificamente attinenti alle farma
cie, tuttavia, in tema di assistenza sanitaria, la giurisprudenza ha sottoli neato in più occasioni l'illegittimità di proteste attuate in forma tale da
compromettere la salute degli ammalati o comunque da esporla a seri rischi: cfr. Pret. Rivarolo Canavese 16 giugno 1982, Foro it., 1982, II, 503, che ha ritenuto configurabile il reato di interruzione di un servizio di pubblica necessità nell'ipotesi di sciopero dei medici di una Usi, cui adde Tar Sicilia 26 marzo 1980, n. 89, id., 1981, III, 655, che ha ritenuto
legittimo l'ordine di rientrare in servizio per garantire almeno la minima
copertura dei turni di reparto, rivolto dal primario agli infermieri in
sciopero. Con riferimento a servizi pubblici diversi da quello sanitario, l'applica
zione dell'art. 340 c.p. è stata esclusa a fronte del riconoscimento della
legittimità di forme di protesta più propriamente qualificabili come scio
pero (a differenza di quella dei farmacisti oggetto della decisione su ri
portata): cfr. Trib. Forlì 3 luglio 1984, id., Rep. 1985, voce Abbandono o interruzione di pubblici uffici o servizi, n. 1, che ha escluso il reato de quo con riguardo ad una protesta attuata dai gestori delle rivendite di generi di monopolio; Trib. Roma 19 febbraio 1984, ibid., n. 6 e 13
gennaio 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 1, entrambe pervenute all'as soluzione di piloti delle linee aeree nazionali in sciopero; Trib. Genova 7 luglio 1988, id., 1989, II, 128, che ha ritenuto inapplicabile l'art. 340
c.p. alle maestranze delle compagnie portuali; Pret. Latina 18 marzo 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 6, relativa ai dipendenti della Banca d'Italia; Pret. Milano 14 maggio 1985, id.. Rep. 1985, voce cit., n. 7, circa una
protesta dei segretari giudiziari. Sotto altro profilo, v. altresì Cass. 25 maggio 1985, Opice, id., Rep.
1986, voce cit., n. 11, la quale ha affermato la punibilità del membro di una commissione di maturità non presentatosi agli esami allegando un malessere poi risultato falso.
Un secondo motivo di interesse della sentenza qui riportata è rappre sentato dal fatto che essa conferma, anche se solo incidentalmente, l'o rientamento della Suprema corte volto a riconoscere le caratteristiche del la concessione a tutti i contratti con i quali vengono attribuite a privati, in funzione integrativa della struttura pubblica, attività proprie delle Usi: cosi Cass., sez. un., 21 febbraio 1987, nn. 1869 (id., Rep. 1987, voce Sanità pubblica, n. 183) e 1872 (id., 1987,1, 2779, con nota di richiami), concernenti le convenzioni fra il servizio sanitario nazionale e, rispettiva mente, le case di cura private ed i laboratori di analisi cliniche.
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GIURISPRUDENZA PENALE
di pubblica necessità inerente all'assistenza sanitaria nazionale pre tendendo dagli utenti del servizio sanitario il pagamento integrale di tutti i medicinali, compresi quelli per i quali era dovuto soltan
to un «ticket».
Si era proceduto a carico dei suddetti a seguito di denunzia
del sanitario responsabile dell'Usi di Venafro e di successivo rap
porto della locale squadra di polizia giudiziaria nei quali si infor
mava che l'agitazione era stata attuata dai farmacisti, sulla base
delle direttive impartite dal settore regionale del loro ordine, a
causa del ritardo con il quale l'Usi procedeva al rimborso delle
loro competenze. Con sentenza del 29 maggio 1985 il pretore li assolse ritenendo
li non punibili «per avere agito nell'erroneo convincimento del
l'esistenza di causa di giustificazione» costituita dall'esercizio di
un diritto. Considerò il pretore che in uno sciopero o in una
protesta posta in essere in maniera illimitata non è configurabile la scriminante dell'esercizio di un diritto, invocata dagli imputati — essendo tale forma di protesta inaccettabile nell'ordinamento
giuridico dato che essa può apportare danni a diritti primari del
l'individuo protetti dalla Costituzione e inerenti alla salute — ma
che gli imputati medesimi avevano erroneamente ritenuto di po terla attuare trattandosi di una forma di protesta disposta dalla
loro Unione regionale, quindi su invito e con avallo di un organo
superiore. Con sentenza del 1° aprile 1987 il Tribunale di Isernia, preso
atto della volontà degli imputati di non volere usufruire dell'am
nistia concessa con d.p.r. 16 dicembre 1986 n. 865, confermò
la decisione impugnata. Gli imputati hanno, tutti, proposto ricorso ed all'uopo sono
stati formulati i seguenti motivi:
1) Violazione dell'art. 475, n. 3, c.p.p., per difetto di motiva
zione sulla qualificazione della natura del rapporto intercorrente
tra le Usi ed i farmacisti e sulla forma di lotta da questi ultimi
attuata. Il tribunale avrebbe ritenuto il primo un rapporto di con
cessione, con la conseguenza che il farmacista sarebbe un organo indiretto della pubblica amministrazione, laddove invece dovreb
be escludersi sia una forma di concessione traslativa, mancando
il trasferimento di potestà o facoltà inerenti a diritti propri del
l'amministrazione, sia una forma di concessione costitutiva, man
cando il conferimento ai farmacisti di diritti creati ex novo (la concessione all'apertura delle farmacie era precedente alla con
venzione con le Usi) e dovrebbe invece ritenersi che tra le Usi
e i farmacisti ricorre sermplicemente una convenzione sicché il
farmacista sarebbe un prestatore d'opera nei confronti delle Usi.
Il tribunale poi sarebbe stato incerto nel ravvisare, nel caso
in esame, uno sciopero o una serrata. E il dubbio sarebbe ingiu
stificato, trattandosi dell'esercizio di un diritto di sciopero sicura
mente attribuibile a lavoratori parasubordinati, quali sono i far
macisti e dovendosi escludere la configurabilità di una serrata, come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sent. n. 222 del
1975 (Foro it., 1975, I, 1569), allorché sussistano, come nella
specie, i due requisiti della mancanza di dipendenti e dei motivi
di protesta relativi a interessi incidenti sul contenuto economico
della loro attività.
2) Violazione degli art. 51 e 340 c.p., per avere il tribunale
erroneamente ritenuto reato l'interruzione di un servizio di pub blica necessità determinata dall'esercizio del diritto di sciopero che — essendo garantito dalla Costituzione come un diritto pub blico di libertà che può esercitarsi per la tutela dell'interesse
economico-professionale latamente inteso — esclude la punibilità.
3) Violazione degli art. 51 e 340 c.p., per non avere considera
to il tribunale che nel periodo interessato dall'agitazione le far
macie degli imputati restarono regolarmente aperte e fornirono
tutti i medicinali richiesti, previo pagamento. Peraltro, sarebbe
mancata la prova che un qualche malato sia rimasto nell'impossi bilità di curare il proprio male.
4) Esercizio da parte del giudice di potestà riservata a organi
legislativi. I giudici di merito, surrogandosi agli organi legislativi nella disciplina del diritto di sciopero, avrebbero limitato tale di
ritto per i farmacisti, invocando all'uopo il diritto alla salute.
5) Violazione dell'art. 32 Cost, e degli art. 1, 10, 13 d.p.r. 15 settembre 1979. Il tribunale non avrebbe considerato che, gra vando l'assistenza sanitaria sulle Usi, qualora queste si astengano dal pagare per quattro mesi i medicinali forniti ai malati dai far
macisti, costoro hanno diritto di sospendere le forniture — e quindi di scioperare contro gli inadempimenti della loro controparte —
Il Foro Italiano — 1990.
non essendo tenuta la categoria a sostenere sacrifici economici
per il bene della collettività.
6) Violazione dell'art. 479 c.p.p. Il tribunale, nell'assolvere, avrebbe erroneamente adottato «formule atipiche che creano dubbi
nella collettività», senza considerare che i farmacisti in sciopero
per i mancati rimborsi da parte dell'Usi esercitavano un diritto
loro accordato dalla Costituzione per cui la formula di assoluzio
ne avrebbe dovuto essere quella del «fatto non costituisce reato».
Motivi della decisione. — Nel terzo motivo di ricorso — il cui
esame è logicamente pregiudiziale, contenendo esso esclusivamente
ragioni di merito inerenti alla sussistenza del fatto reato — si
propongono, sotto il profilo della violazione degli art. 51 e 340
c.p., tre argomenti. Nel fatto, secondo i ricorrenti, non potrebbe ravvisarsi il delitto contestato, essendo rimasto accertato che le
farmacie restarono regolarmente aperte e fornirono, sia pure a
pagamento, tutti i medicinali richiesti; mancherebbe la prova che
un qualche malato sia rimasto nell'impossibilità di curare il pro
prio male, sicché non si sarebbe verificato l'evento, indispensabi le per la consumazione del reato; la deposizione dello Scarabeo
infine sarebbe smentita dalla dichiarazione del Percopo, secondo
il quale, ove si fosse presentato in farmacia un malato veramente
povero, egli gli avrebbe fornito gratuitamente il medicinale ne
cessario.
Quest'ultimo argomento — dei buoni propositi dell'imputato,
peraltro in contrasto con lo scopo dichiarato della protesta e in
relazione ad un fatto ipotetico e comunque non accertato — è
stato ritenuto dai giudici di merito estraneo alla valutazione della
condotta del Percopo; ed a ragione, essendo solo compito del
giudice penale quello di valutare, nelle sue effettive implicazioni di ordine materiale e psicologico, il fatto accertato a carico del
l'imputato e la sua corrispondenza alla fattispecie legale fissata
dal legislatore. Che poi tutte le farmacie siano rimaste aperte, per l'intero pe
riodo durante il quale si protrasse la protesta, è circostanza del
tutto irrilevante: anzitutto perché il fatto contestato non è quello che le farmacie siano state lasciate chiuse, ma quella, appunto, che esse rimasero aperte ma fu richiesto il pagamento integrale dei medicinali che invece avrebbero dovuto essere forniti gratui tamente o dietro pagamento del solo «ticket»; in secondo luogo,
perché non vale sostenere, come fanno i ricorrenti, che l'interru
zione del servizio pubblico non può intendersi realizzata con la
mancata prestazione di un singolo servizio. Invero, la regolarità del servizio pubblico, alla cui nozione si richiama la norma di
cui all'art. 340 c.p., deve ritenersi turbata anche nel caso di ces
sazione o discontinuità parziale dell'attività inerente al servizio
medesimo, sicché gli estremi del delitto di interruzione o di turba
mento della regolarità di un servizio pubblico sono senz'altro rea
lizzati anche quando i fatti d'interruzione o di turbativa incidono
in una qualsiasi misura sui mezzi che sono apprestati per il suo
funzionamento, non occorrendo che i fatti medesimi colpiscano l'intero sistema organizzativo del servizio o dell'attività ad esso
inerente.
Non rileva, infine, la mancanza di prova che qualche malato
sia stato lasciato nell'impossibilità materiale di curarsi. Non è
questo infatti l'evento inerente al reato di cui si discute, che sen
za dubbio è un evento di danno e non di pericolo. L'evento con
testato, e giustamente riconosciuto sussistente dai giudici di meri
to, è costituito dal fatto che, a seguito della protesta dei farmaci
sti, coloro che avrebbero dovuto ricevere gratuitamente le medicine
0 pagare il solo «ticket» siano stato costretti viceversa a pagare 1 medicinali per intero. Il turbamento della regolarità del servizio
svolto in campo sanitario dai farmacisti risiede, nella fattispecie
concreta, proprio in questo, nell'avere costretto gli utenti a paga re per intero i farmaci ad essi necessari.
Sotto questo aspetto la deposizione del dott. Scarabeo dell'Usi
di Venafro — peraltro confermata dalle indagini di polizia giudi ziaria — è chiara e inequivoca, e tale è stata ritenuta dai giudici di primo e di secondo grado nel loro insindacabile apprezzamen
to. A dire dello Scarabeo, la condotta dei farmacisti fu del tutto
indiscriminata ed onnicomprensiva. La linea assunta durante la
protesta non prevedeva, e in tal modo fu attuata, alcuna distin
zione tra medicine essenziali alla vita e alla sopravvivenza dell'u
tente e medicine non essenziali, tra soggetto esentato dal paga mento del «ticket» e soggetto non esentato.
Né può dirsi che, con l'affermare la responsabilità dei farmaci
sti riconoscendo la sussistenza del turbamento della regolarità del
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PARTE SECONDA
servizio, siano stati superati i limiti della funzione giurisdiziona le. Si sostiene infati con il quarto motivo di ricorso che i giudici di merito avrebbero «inteso limitare il diritto di sciopero dei far
macisti» e porre in essere il «tentativo di occupare spazi legislati
vi», senza considerare che in tutta Italia si attuano scioperi da
parte dei farmacisti del tipo praticato dagli odierni ricorrenti sen
za che sia stata mai promossa al riguardo azione penale. Una precisa smentita a tale assunto viene dal fatto che il Tri
bunale di Isernia, lungi dal generalizzare il problema, si è limita
to ad interpretare la legislazione vigente — peraltro sulla scia di
una costante giurisprudenza costituzionale od ordinaria in tema
di diritto di sciopero rapportato all'ipotesi criminosa di interru
zione di un servizio pubblico — applicandola al caso concreto, costituito dalla protesta dei farmacisti di Venafro. Né, perciò,
può dirsi che da parte dei giudici sia stata commessa usurpazione delle funzioni proprie del legislatore. L'applicazione di norme com
porta sempre l'esercizio di un'attività interpretativa, tendente ad
accertare la corrispondenza fra l'ipotesi astrattamente prevista dalla
norma e la situazione di fatto alla cui disciplina la prima è preor
dinata; il che si rende possibile determinando anzitutto l'esatto
significato della proposizione normativa, cioè della fattispecie le
gale, e quindi l'esatta configurazione della fattispecie concreta,
rispetto alla quale si deve stabilire la possibilità o meno di appli cazione della prima.
Non vale l'argomento che in altre parti d'Italia non sia stata
promossa analoga azione penale. La considerazione, semmai, av
valora la conclusione che i giudici d'Isernia, investiti della deci
sione sulla denunzia sporta dal rappresentante della Usi di Vena
fro, si sono occupati soltanto del caso concreto portato al loro
esame, si sono cioè limitati a giudicare in ordine al fatto che
costituiva oggetto del giudizio. Un giudizio, peraltro, corretto e meritevole di consenso, per
ché esteso a tutti gli elementi legittimamente acquisiti e basato
su una motivazione logica e su una corretta interpretazione della
normativa vigente. La tesi che con il primo motivo di ricorso
si tende ad avallare è la seguente. Escluso che tra le Usi e i farmacisti ricorra un rapporto di
concessione — dal che discenderebbe per il farmacista la qualità di organo indiretto della pubblica amministrazione — ed accerta
to viceversa che ricorre semplicemente una convenzione, per cui
il farmacista è nei confronti delle Usi un prestatore d'opera, cioè
un lavoratore parasubordinato, deve convenirsi che gli odierni
ricorrenti hanno legittimamente esercitato il diritto di sciopero: in primo luogo perché trattasi di un diritto riconosciuto nel no
stro ordinamento come un vero diritto nell'ambito del rapporto di lavoro, sicché mancherebbe, per la sussistenza del delitto con
testato, l'antigiuridicità (secondo motivo); in secondo luogo per
ché, avendo omesso l'Usi competente, sulla quale grava nel siste
ma normativo vigente il compito dell'assistenza sanitaria, di rim
borsare per quattro mesi il prezzo dei medicinali forniti agli utenti
del servizio sanitario nazionale, i farmacisti avevano il diritto di
sospendere le forniture, non essendo tenuta la categoria a sacrifi
ci economici per il bene della collettività, e quindi di scioperare contro gli inadempimenti della loro controparte (quinto motivo).
La tesi non può essere condivisa.
Già nel recente passato questa corte (sez. un. 21 febbraio 1987, n. 1869, id., Rep. 1987, voce Sanità pubblica, n. 183), occupan dosi dei rapporti convenzionali tra le case di cura o, in genere, le strutture ospedaliere private e le Usi, ha inquadrato i suddetti
rapporti nello schema della concessione di pubblico servizio ed
ha riconosciuto alla relativa convenzione la natura di contratto
di diritto pubblico. È pervenuta a tale conclusione sulla base di talune caratteristi
che desumibili dagli art. 43 e 44 1. 23 dicembre 1978 n. 833 con
la quale è stato istituito il servizio sanitario nazionale, e precisa mente: la valutazione discrezionale da parte della pubblica ammi
nistrazione della convenienza della convenzione, stipulata su do
manda, la quale — essendo diretta a sopperire a lacune della
rete ospedaliera pubblica nell'esercizio del servizio di spedalità
pubblica gratuito per la collettività, costituente un settore di pri mario rilievo del servizio sanitario nazionale — dev'essere sorret
ta da garanzie di erogazione di prestazioni sanitarie non inferiori
a quelle erogate dai corrispondenti presidi e servizi delle unità
sanitarie locali; le possibilità funzionali cui tali case di cura deb
bono corrispondere per dare le garanzie di cui sopra, cioè una
struttura organizzativa idonea ed apparati tecnici non dissimili
da quelli propri degli ospedali pubblici, sicché, ai fini dell'eroga
li. Foro Italiano — 1990.
zione dell'assistenza sanitaria, gli istituti privati possano essere
considerati, ove il piano sanitario regionale li preveda, presidi dell'unità sanitaria locale nel cui territorio sono ubicati; infine,
gli aspetti patrimoniali del rapporto di servizio previsti dalla con
venzione e caratterizzati da due regole fondamentali: l'onere eco
nomico dell'attività svolta in regime di convenzione fa carico alla
pubblica amministrazione, alla quale spettano penetranti poteri di vigilanza, preventiva e repressiva, sullo svolgimento dell'attivi
tà medesima; le case di cura sono tenute ad assicurare ai propri
dipendenti un trattamento economico e normativo tendenzialmente
uguale a quello degli ospedali pubblici.
Analoghe considerazioni possono farsi quanto alle farmacie; e non solo perché per esse è ugualmente prevista la convenzione, secondo i criteri e le modalità indicati negli art. 43 e 48 della
menzionata 1. n. 833 (art. 28 della stessa legge), ma anche per
l'obbligatorietà della convenzione e per la normativa che regola l'esercizio e l'attività delle farmacie.
Già in passato, e ancora sotto il regime della 1. 2 aprile 1968
n. 475, il servizio farmaceutico, per le farmacie gestite da privati, era considerato un servizio privato sotto direzione pubblica, so
prattutto per la complessa normativa volta a regolamentare tanto
la fase della produzione che quella della distribuzione dei farma
ci. Tale normativa infatti aveva due punti precisi di riferimento:
una riserva oligopolistica, in virtù della quale la vendita al pub blico dei farmaci doveva essere effettuata esclusivamente dalle
farmacie; l'esigenza che la vendita dei farmaci, a garanzia della
tutela della salute pubblica, fosse affidata esclusivamente a per sone tecnicamente e professionalmente preparate, quali sono i far
macisti.
Tale normativa, con l'istituzione del servizio sanitario naziona
le e, nell'ambito di esso, delle Usi, ha assunto ulteriori, più pene tranti connotazioni in senso pubblicistico. Invero, la disciplina della sperimentazione, produzione, immissione in commercio, di
stribuzione dei farmaci e la disciplina dell'informazione scientifi
ca sugli stessi, diretta ad assicurare l'efficacia terapeutica, la non
nocività e l'economicità del prodotto, sono devolute in via esclu
siva al servizio sanitario nazionale e costituiscono i mezzi attra
verso i quali viene perseguito, in campo farmaceutico, lo scopo
primario della tutela della salute come fondamentale diritto del
l'individuo e interesse della collettività (art. 2 1. cit.); in tale am
bito è demandata alle Usi la competenza a provvedere all'assi
stenza farmaceutica ed alla vigilanza sulle farmacie (art. 14, lett.
n, 1. cit.); per la disciplina dei farmaci — nei vari aspetti della
produzione, dell'immissione in commercio e della determinazione
dei prezzi — sono dettate norme con legge dello Stato «secondo
criteri coerenti con gli obiettivi del servizio sanitario nazionale
con la funzione sociale del farmaco e con la prevalente finalità
pubblica della produzione» (art. 29); la convenzione per le far
macie, secondo i criteri e le modalità di cui agli art. 43 e 48
della legge, è obbligatoria (art. 28), con esclusione di qualisiasi convenzione fra le Usi e singoli appartenenti alla categoria (art. 48, 8° comma, 1. cit.).
Dalla natura pubblicistica della convenzione, dall'obbligatorie tà di essa per tutti i farmacisti, dalle caratteristische che il servi
zio farmaceutico ha assunto discende che la convenzione tra far
macisti e Usi ha la natura di concessione di pubblico servizio,
oggi regolato dagli art. 28 e 48 1. n. 833 e dall'accordo nazionale
stipulato ai sensi del citato art. 48 della legge suddetta e reso
esecutivo con d.p.r. 15 settembre 1979.
Questo accordo regola i rapporti convenzionali instaurati tra
le Usi e «tutte le farmacie aperte al pubblico nel territorio nazio
nale» (art. 1). Esso consente agli assistiti il prelievo dei medicinali
presso qualsiasi farmacia aperta al pubblico (art. 2), senza paga mento diretto, cioè gratuitamente o con il versamento della sola
quota di partecipazione dell'assistito, c.d. «ticket» (art. 4). In tale contesto, il farmacista che pretenda da tutti gli assistiti
indiscriminatamente il pagamento per intero dei farmaci, sia da
quelli che dovrebbero ottenerli gratuitamente sia da coloro che
sono tenuti a corrispondere la sola quota di partecipazione, in
corre nella violazione dell'art. 340 c.p., quando l'omissione, at
tuata come protesta, perduri per un congruo periodo di tempo turbando la regolarità del servizio, a prescindere da eventuali con
seguenze per gli assistiti. Infatti, la norma di cui al citato articolo
tutela la continuità e la regolarità del funzionamento di un uffi
cio o servizio pubblico e punisce chiunque ne cagioni l'interruzio
ne o ne turbi la regolarità.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Una simile forma di protesta non può tuttavia ricollegarsi al
diritto di sciopero. La concessione di un pubblico servizio rientra in quella specia
le categoria di concessioni denominate traslative, in quanto con
esse la pubblica amministrazione trasferisce nel privato un diritto
o una facoltà sua propria: nel caso del pubblico servizio, la fa
coltà di esercitare un servizio di cui essa è titolare e che di norma
esercita direttamente. Il privato in questi casi viene investito dal
l'amministrazione di una parte dei suoi attributi senza per questo trasformarsi in un pubblico amministratore né essere assunto nel
l'organizzazione amministrativa. Fra i doveri del concessionario
v'è quello di organizzare e di fare funzionare regolarmente il ser
vizio assunto. Poiché il rapporto si sostanzia anche di un rappor to patrimoniale, l'astensione collettiva dal lavoro per gli esercenti
di un pubblico servizio è teoricamente possibile e, data la natura
del rapporto, ben può essere considerato sciopero, con il limite,
più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, della mancata compromissione di servizi pubblici essenziali aventi
carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costi
tuzione.
Questi principi non possono trovare applicazione per la catego ria dei farmacisti. Infatti, nell'opera del titolare privato di farma
cia resta pur sempre prevalente — rispetto alla sua attività pro
fessionale, e quindi di organo indiretto della pubblica ammini
strazione — la caratteristica di attività imprenditoriale organizzata alla commercializzazione di prodotti farmaceutici, preconfenzio nati e galenici, nonché di prodotti dietetici, cosmetici, paramedi cali e similari.
Tuttavia, la norma incriminatrice, può ben trovare giustifica zione nella norma scriminante dell'esercizio di un diritto, che non
sia quello del diritto di sciopero, qualora si tratti di un diritto
soggettivo privato «protetto dalla norma in modo diretto e indi
viduale, di cui sia titolare il cittadino uti sìngulus» (sez. I 27 no
vembre 1968, Muther, id., Rep. 1969, voce Esercizio di un dirit
to, n. 2). Tale è senza dubbio quello collegato alla pretesa del
farmacista, vantata nei confronti dell'Usi competente per conto
della quale eroga i prodotti agli assistiti, di ottenere dalla stessa
Usi il rimborso delle prestazioni in tempi ragionevoli. A norma dell'art. 10 dell'accordo nazionale già menzionato,
ogni farmacia deve consegnare le ricette all'ufficio indicato del
l'ente erogatore, con cadenza mensile, entro il giorno quindici del mese successivo a quello di spedizione, con la prevista sanzio
ne del deferimento alla commissione tecnica e di vigilanza qualo ra le ricette siano presentate dalla farmacia con ritardo sistemati
co oltre il mese. L'ente erogatore dal canto suo, entro il giorno
venticinque di ogni mese deve provvedere all'effettivo pagamento alla farmacia dell'importo a saldo delle ricette spedite nel mese
precedente e all'effettivo pagamento a titolo di acconto dell'ef
fettivo numero delle ricette spedite fino al giorno quattordici del
mese corrente.
Orbene, che il diritto del farmacista di pretendere il pagamento di quanto gli è dovuto nel termine stabilito dalla legge o quanto meno in tempi congrui sia un diritto soggettivo, posto che esso
trova il suo fondamento in una norma di legge, si evince dal
fatto che egli può adire l'Usi avanti al giudice ordinario per otte
nere il rimborso.
Naturalmente, perché questo diritto soggettivo si ponga come
causa giustificativa di condotta in sé illecita, è necessario un ina
dempimento gravissimo della pubblica amministrazione, un ina
dempimento cioè che si risolva in grave pregiudizio per l'attività
e la posizione economica del farmacista. Costui infatti non può essere tenuto ad una prestazione indefinita, né è ammissibile che
l'obbligo della gratuità delle medicine si trasferisca a lui dall'Usi.
Perché dunque l'inadempimento sia tale da giustificare l'azione
illecita del farmacista è necessario che costui espleti tutti i mezzi
e gli strumenti di diritto comune atti allo scopo. Poiché nel caso in esame non risulta che i farmacisti odierni
ricorrenti abbiano espletato tutte le attività all'uopo necessarie
né che il ritardo sia talmente grave da giustificare la condotta
illecita, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto la putati
vità dell'esercizio del diritto adottando la formula per tale con
clusione prevista. Con il sesto ed ultimo motivo di ricorso si denunzia una prete
sa erroneità della formula di assoluzione.
Si deduce che, essendo stato accertato nella sua materialità il
fatto ascritto ai farmacisti, ma essendo stata riconosciuta la scri
minante dell'art. 51 c.p., la formula di assoluzione avrebbe do
li. Foro Italiano — 1990.
vuto essere quella del «fatto non costituisce reato» e non l'altra,
atipica, adoperata dal tribunale, la quale crea «dubbi nella collet
tività». Il motivo è infondato.
La formula di assoluzione dipendente dalla non punibilità del
la persona è una di quelle che autorevole dottrina definisce «com
plesse», dato che in essa il legislatore penale ha condensato ogni
possibile causa che abbia come conseguenza, immediata o media
ta, la non applicazione della pena. Ed invero, mentre la formula del «fatto non costituisce reato»
si riferisce generalmente al caso in cui risulti inesistente, o alme
no non provato, uno degli elementi richiesti per l'integrazione della fattispecie (il caso tipico è quello nel quale si riscontri la
sussistenza del fatto e la mancanza del dolo o della colpa), l'al
tra, compendiata dall'art. 479 c.p.p. nell'espressione «per un'al
tra ragione», comprende varie ipotesi, una delle quali fa capo alle cause di giustificazione, basate sullo schema: il fatto addebi
tato all'imputato esiste, costui lo ha commesso, il fatto stesso
corrisponde ad un figura di reato prevista dall'ordinamento giu
ridico, ma esiste un altro fatto che integra una causa di giustifi cazione.
Orbene, in tal caso il giudice di merito correttamente specifica la causa di giustificazione ravvisata nella condotta dell'imputato. In mancanza infatti — posto che il giudicato penale deriva dal
dispositivo, che ne determina l'efficacia — dovrebbe poi la for
mula terminativa, anche ai fini di eventuali ripercussioni dal giu dizio penale su quello civile, essere precista e specificata in via
d'interpretazione mediante il coordinamento tra motivazione e di
spositivo. A ragione dunque i giudici molisani — con formula specifica
e consequenziale alla motivazione della sentenza, basata sull'effi
cacia esimente della putatività dell'esercizio del diritto — hanno
assolto gli imputati dichiarandoli non punibili «per avere agito nell'erroneo convincimento dell'esistenza di una causa di giustifi cazione».
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 18 mar
zo 1989; Pres. Salafia, Est. Troiano, P.M. (conci, diff.); ric.
Proc. gen. App. Bologna c. Mari. Annulla App. Bologna, sez.
istr., 19 aprile 1988.
Stato di famiglia (delitti contro lo) — Soppressione di stato —
Reato — Estremi — Fattispecie (Cod. pen., art. 566).
L'obbligo di compiere la dichiarazione di nascita incombe anche
sul padre di figli naturali non riconosciuti come tali, poiché il suo adempimento non si traduce necessariamente in un rico
noscimento del rapporto di filiazione, che ha natura discrezio
nale, ma risponde all'esigenza preminente di assicurare al mi
nore il conseguimento di uno stato civile e di una piena perso nalità giuridica, esigenza che integra la ratio della tutela penale
apprestata dall'art. 566 c.p. (1)
(1) La sentenza si segnala, in primo luogo, perché incrementa l'assai
esigua casistica giurisprudenziale in materia di delitti contro lo stato civi
le. Nel senso che l'obbligo di dichiarazione di nascita grava anche sui
genitori naturali, ed in particolare sul padre, cfr. Cass. 18 ottobre 1978, Di Lauro, Foro it., Rep. 1979, voce Stato di famiglia (delitti contro lo), nn. 1-2, citata in motivazione, la quale è, per quanto risulta, il solo pre cedente edito in termini. A sostegno di siffatta tesi, la decisione su ripor tata richiama, infatti, quella giurisprudenza che si è preoccupata di diffe
renziare la dichiarazione di nascita dall'azione di riconoscimento del fi
glio naturale, valendosi di tale differenza come di un argomento a fortiori-. sul punto, in motivazione, Cass. 20 marzo 1987, Bemporad, id., Rep.
1987, voce cit., n. 1 e 6 novembre 1976, n. 4044, id., 1977, I, 412; in
dottrina, circa la distinzione fra stato civile, che si acquista con la dichia
razione di nascita, e stato di famiglia, cfr. Spagnolo, I delitti contro
lo stato di famiglia tra tutela dello stato civile e tutela dello stato di
filiazione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 578; Bricola, Delitti contro
lo stato di famiglia, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1964, XII,
56, riconosce che lo stato di famiglia protetto dall'art. 566 c.p. non è
soltanto quello legittimo, ma anche quello naturale. Un secondo motivo di interesse della sentenza qui riportata è rappre
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