sezione VI penale; sentenza 11 gennaio 1991; Pres. Perrotti, Est. Calfapietra, P.M. Di Zenzo(concl. conf.); ric. Cataldo. Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Milano 22 giugno 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.283/284-285/286Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186367 .
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PARTE SECONDA
Deve quindi dichiararsi la cessazione della custodia cautelare
degli imputati ricorrenti, lasciando al giudice del inerito ogni valutazione in ordine all'opportunità di disporsi a loro carico
una delle misure previste dal 1° comma dell'art. 307 c.p.p.
rilevanza al di fuori di quella categoria di processi, ed escludesse quindi una loro rilevanza indiscriminata.
Queste perplessità sono state superate dalla commissione rilevando che la direttiva autorizzava esplicitamente — seppure per i soli procedi menti complessi — una soluzione decisamente «meno garantistica» (cioè la sospensione, con superamento eventuale dei termini «complessivi»), e che, pertanto, la scelta operata con l'art. 297 , 4° comma — che,
pur applicabile a tutti indistintamente i procedimenti, limita i suoi ef fetti ai termini «di fase» — potesse valutarsi costituzionalmente corretta.
Questo passo della relazione conferma che l'art. 297 , 4° comma, di
sciplina, nella specie del criterio di computo, un istituto ben preciso, quello del «congelamento» o della «neutralizzazione», e che dunque ciascuna delle due norme esaminate — 4° comma dell'art. 297 e 2° comma dell'art. 304 — ha una specifica ed autonoma ragione d'esistenza.
La stringatezza e l'oscurità della motivazione non consentono d'argo mentare ulteriormente, ed anche l'ipotesi che la corte abbia ritenuto
ogni diversa interpretazione non conforme alla legge delega deve consi
derarsi, nel silenzio della sentenza, una mera illazione. Riferiscono le cronache giornalistiche (24) che il presidente della pri
ma sezione, richiesto di commentare altra sentenza che, come quella qui esaminata, aveva suscitato sconcerto nell'opinione pubblica, avreb be opposto un lapidario rifiuto, aggiungendo che sarebbe stata la moti vazione ad illustrare i motivi della decisione.
Comportamento altamente apprezzabile ed anzi da raccomandare a tutti i magistrati in ordine alle decisioni che abbiano contribuito ad adottare.
Ma se poi neppure le motivazioni spiegano nulla?
Massimo Terrile
(24) La Repubblica del 20 marzo 1991, Carnevale azzera il nostro lavoro, 23.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 11 gen naio 1991; Pres. Perrotti, Est. Calfapietra, P.M. Di Zen
zo (conci, conf.); ric. Cataldo. Dichiara inammissibile ricorso
avverso Trib. Milano 22 giugno 1990.
Impugnazioni penali — Dichiarazione d'impugnazione — Moti
vi — Omessa enunciazione — Inammissibilità originaria del
l'impugnazione — Successiva rinuncia — Irrilevanza (Cod.
proc. pen., art. 581, 589, 591).
Il c.p.p. del 1988, unificando in un unico atto la dichiarazione di impugnazione ed i motivi (art. 581), configura la mancata
enunciazione di questi ultimi come causa originaria d'inam
missibilità, intrinseca alla dichiarazione stessa, perché incom
pleta nei suoi elementi essenziali, in presenza della quale la
successiva rinuncia all'impugnazione (che configura una cau
sa sopravvenuta d'inammissibilità) è priva di rilievo. (1)
(1-2) Secondo il disposto dell'art. 581 c.p.p. del 1988, relativo alla «forma» dell'impugnazione, questa «si propone con atto scritto» che, tra l'altro, deve enunciare i «motivi» del gravame. Correlativamente l'art. 591, 1° comma, lett. c), del medesimo codice prevede la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione per l'ipotesi in cui non siano os servate le disposizioni del suddetto art. 581.
Al riguardo sembra utile ricordare come nella Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale si osservi, da un lato, che «l'unificazione nell'unico atto d'impugnazione dei due momenti, ora
ontologicamente e temporalmente diversi, della dichiarazione e della pre sentazione dei motivi, oltre a rendere più spedita le fase introduttiva
Il Foro Italiano — 1991.
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 23 ot
tobre 1990; Pres. Perrotti, Est. Albamonte, P.M. Scar
daccione (conci, diff.); ric. Petrucci. Annulla Trib. Roma, ord. 26 aprile 1990.
Impugnazioni penali — Dichiarazione d'impugnazione propo sta dall'imputato — Successiva presentazione dei motivi da
parte del difensore — Ammissibilità (Cod. proc. pen., art.
581, 591).
La volontà di impugnare un provvedimento è implicita nella
presentazione dei motivi, con la conseguenza che il relativo
atto è giuridicamente efficace al suddetto scopo quando con
tenga tutti gli elementi richiesti dall'art. 581 c.p.p. (nella spe
cie, l'imputato aveva proposto la dichiarazione di impugna zione riservando la presentazione dei motivi al difensore che
vi aveva provveduto prima della scadenza del termine fissato dalla legge per la proposizione dell'impugnazione). (1)
del gravame . . . ridurrà notevolmente le ragioni d'inammissibilità che sono precisate nell'art. 584» (divenuto l'art. 591 nel testo definitivo del codice) e, dall'altro, che «si intende che, una volta unificato l'atto
d'impugnazione, non sono più ravvisabili le ipotesi d'inammissibilità
per la mancata presentazione dei motivi . . .» (v. Relazione, cit., in Le leggi, 1988, rispettivamente 2588 e 2593).
Orbene, la prima delle decisioni della Cassazione surriportate costi tuisce coerente applicazione del novum recato nella materia de qua dal
c.p.p. del 1988 e se da una parte appare in sintonia con l'osservazione, operata in dottrina (v. Cristiani, Manuale del nuovo processo penale, Torino, 1989, 422), secondo cui, «poiché la norma» (ossia l'art. 581) «è richiamata tra le condizoini d'ammissibilità dell'impugnazione (art. 591, 1° comma, lett. c), la sua rigorosa osservanza sarà indispensabi le .. . per la validità dell'atto . . .», dall'altra evidenzia opportunamente la natura di causa originaria d'inammissibilità dell'impugnazione della mancata enunciazione dei motivi (il cui accertamento, secondo quanto si legge nella motivazione della sentenza de qua, avviene con provvedi mento di natura dichiarativa), di contrapposto alla natura di causa so
pravvenuta che va invece normalmente riconosciuta alla rinuncia all'im
pugnazione, che è estintiva di un atto d'impugnazione di per sé comple to e tempestivo e da accertare con provvedimento di natura costitutiva
(a tale ultimo proposito va ricordato come, nel vigore del codice abro
gato, Cass. 25 settembre 1987, Ladaval, Foro it., Rep. 1989, voce Im
pugnazioni penali, n. 128, abbia affermato che «la rinuncia all'impu gnazione è operante solo in presenza di un negozio giuridico processua le d'impugnazione perfetto, e cioè dotato del necessario completamento della dichiarazione d'impugnazione, che è costituito dai motivi di gra vame: ne consegue che in caso d'omessa presentazione dei motivi va dichiarata l'inammissibilità dell'impugnazione per tale titolo e non per rinuncia).
Tanto considerato è ora da rilevare che essendo appunto le forme
dell'impugnazione di cui all'art. 581 previste a pena d'inammissibilità, appare di non agevole soluzione il problema relativo alla possibilità di ritenere comunque efficacemente proposta un'impugnazione, quando i motivi non siano contestuali alla dichiarazione ma siano presentati successivamente ad essa prima della scadenza del termine fissato dalla
legge per la proposizione dell'impugnazione. In una siffatta prospettiva sembra peraltro persuasivo l'avviso — espres
so dalla Suprema corte nella seconda delle sentenze riportate — secon do cui l'atto di presentazione dei motivi di gravame, quando contenga tutti gli elementi indicati nel più volte ricordato art. 581 c.p.p. del 1988, deve ritenersi efficace ai fini dell'instaurazione della fase dell'impugna zione, in quanto in esso è implicita la volontà d'impugnare, atteso che, a differenza del precedente codice «non può più darsi rilievo alla diffe renziazione formale e strutturale tra dichiarazione ed esposizione dei motivi di impugnazione . . . con la conseguenza che rimane in rilievo esclusivamente l'idoneità funzionale dell'atto medesimo, in virtù del suo contenuto complessivo, ad instaurare il gravame» (v. la motivazione della sentenza in rassegna).
Se poi appare altresì condivisibile l'avviso di chi sostenga l'idoneità, ai fini dell'instaurazione del gravame, anche di una dichiarazione d'im
pugnazione che, in regola con i dettami dell'art. 581 e proposta entro i termini previsti dalla legge, faccia seguito ad altra che sia invece inam missibile per violazione dei predetti dettami, risulta invece più ardua la risposta al quesito se una dichiarazione d'impugnazione che non re chi i motivi possa esser successivamente «integrata» (ovviamente sem
pre entro i termini fissati per il gravame) con un atto che esponga ap punto i soli «motivi» (ossia non presenti anche gli altri elementi previsti dall'art. 581), tal che sarebbe auspicabile anche sotto tale profilo un intervento chiarificatore della Cassazione. [A. Ferraro]
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GIURISPRUDENZA PENALE
I
Svolgimento del processo. — Con sentenza in data 22 giugno 1990 il Tribunale di Milano applicò, ai sensi degli art. 444 ss. c.p.p., nei confronti di Cataldo Salvatore — imputato del delit
to di cui agli art. 110 c.p., 72 1. 22 dicembre 1975 n. 685, per
avere, in concorso con Celli Giuseppe, illecitamente detenuto
e in parte ceduto a terzi modiche quantità di cocaina ed eroina:
in Milano, fino al 7 giugno 1990 — la pena concordata tra
l'imputato ed il pubblico ministero e dallo stesso giudice ritenu
ta congrua. Contro la decisione l'imputato ha proposto in data 23 giugno
1990 dichiarazione di ricorso per cassazione e successivamente, in data 19 dicembre 1990, dichiarazione di rinunzia al ricorso.
Motivi della decisione. — Il ricorso proposto dall'imputato va dichiarato inammissibile per mancata enunciazione dei moti
vi nell'atto d'impugnazione. La pronunzia limitata a tale causa d'inammissibilità (art. 591
c.p.p.), con preferenza rispetto alla successiva rinunzia all'im
pugnazione, non dipende dall'antecedenza cronologica della pri ma rispetto alla seconda, bensì' dai diversi caratteri che conno
tano le due cause alla luce delle norme del nuovo codice pro cessuale.
Mentre il codice previgente, distinguendo, sotto l'aspetto on
tologico e quello temporale, tra dichiarazione d'impugnazione e presentazione dei motivi, configurava la mancata presentazio ne dei motivi come causa sopravvenuta d'inammissibilità del
l'impugnazione ritualmente proposta, il nuovo codice proces
suale, unificando in un unico atto la dichiarazione d'impugna zione ed i motivi (art. 581), configura la mancata enunciazione
di questi ultimi come causa originaria d'inammissibilità, intrin
seca alla dichiarazione stessa perché incompleta nei suoi ele
menti essenziali. Una tale impugnazione è inidonea ad introdur
re il nuovo grado di giudizio e la sentenza impugnata diventa
irrevocabile di per sé: il provvedimento che accerta tale causa
d'inammissibilità ha natura meramente dichiarativa.
Appare allora evidente che la successiva rinunzia all'impu
gnazione — normalmente configurata come causa sopravvenuta
d'inammissibilità, estintiva di un atto d'impugnazione di per sé completo e tempestivo, e da accertare con un provvedimento di natura costitutiva — si presenta del tutto priva di rilievo,
intervenendo in una situazione processuale che, nella sostanza,
si è ormai definitivamente conclusa.
II
Fatto e diritto. — Petrucci Marco rivolgeva istanza al g.i.p. Roma chiedendo la liberazione per omesso interrogatorio ex art.
302 c.p.p., in quanto interrogato dopo giorni cinque dall'inizio
dell'esecuzione della custodia cautelare. Il g.i.p. con provvedi mento del 28 marzo 1990 respingeva l'istanza adducendo l'ul
troneità dell'osservanza del termine in parola, poiché aveva pro ceduto in sede di convalida della misura cautelare all'interroga torio del prevenuto.
Avverso il suddetto provvedimento — notificato all'imputato il 31 marzo 1990 ed al difensore di costui il 2 aprile 1990 —
veniva proposto appello con dichiarazione del Petrucci in data
5 aprile 1990 riservando i motivi al difensore. In data 7 aprile 1990 il difensore «nell'interesse del Petrucci» depositava i motivi.
Il Tribunale di Roma dichiarava l'inammissibilità dell'appel
lo per mancata presentazione contestuale dei motivi ex art. 581,
lett. c), c.p.p. Il difensore, nell'interesse del Petrucci, ha presentato ricorso
per cassazione, assumendo che: a) i motivi, ancorché non con
testuali, sono stati presentati nel termine di giorni dieci dalla
notificazione del provvedimento impugnato; b) i motivi presen
tati dal difensore manifestano implicitamente la volontà di co
stui di proporre impugnazione, eppertanto sotto tale aspetto può
ritenersi proposto ritualmente il gravame da parte del difensore
medesimo in modo autonomo.
Il ricorso va accolto, in quanto la manifestazione della volon
tà d'impugnare la decisione è insita nella cosiddetta presenta zione dei motivi, e quindi è giuridicamente efficace al suddetto
Il Foro Italiano — 1991.
scopo contenendo — detto atto — tutti gli elementi di cui al
l'art. 581 c.p.p. Sotto il vigore del precedente codice di rito, i motivi — di
regola formulati con atto distinto rispetto alla dichiarazione —
si configuravano come una parte integrante dell'atto d'impu
gnazione ma con un'efficacia del tutto subordinata alla dichia
razione — potendo, peraltro, questa produrre propri effetti —, tanto che dichiarazione e motivi costituivano elementi distinti
giuridicamente ancorché concorrenti. Con il vigente codice di
rito, la formulazione stessa della norma dell'art. 581, nel disci
plinare il contenuto dell'atto d'impugnazione, esclude tale ca
rattere differenziato sotto l'aspetto formale e contenutistico, ed
attribuisce all'atto d'impugnazione un'unitarietà di contenuto
nei suoi elementi essenziali, ed una contestualità documentale
d'esposizione da attuarsi pur nel termine stesso dell'impugna zione (nel senso che l'atto può formarsi anche con manifesta
zioni progressive ma concorrenti nell'indicare gli elementi di cui
all'art. 581 cit. nel termine d'impugnazione). Sicché — a diffe
renza del precedente codice — non può più darsi rilievo alla
differenziazione formale e strutturale tra dichiarazione ed espo sizione dei motivi d'impugnazione, richiedendo l'art. 581 c.p.p. il concorso unitario di tutti quegli elementi che identificano il
provvedimento impugnato (data e giudice), nonché i capi ed
i punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, le
richieste ed i motivi medesimi, indistintamente. Con la conse
guenza che, pretermettendo la normativa vigente qualificazioni formali in senso traumatico delle componenti dell'atto, rimane
in rilievo esclusivamente l'idoneità funzionale dell'atto medesi
mo, in virtù del suo contenuto complessivo, ad instaurare il
gravame. In altre parole, come fa rilevare la relazione al pro
getto preliminare del codice di procedura penale «l'unificazione
nell'atto d'impugnazione dei due momenti, ora ontologicamen te e temporalmente diversi, della dichiarazione e della presenta zione dei motivi, oltre a rendere più spedita la fase introduttiva
del gravame . . ., ridurrà notevolmente le ragioni d'inammissi
bilità . . .», le quali — ad avviso di questa corte — non potran no essere più ricondotte a mezzi aspetti formali, peraltro non
in linea con il principio della conservazione dei valori giuridici, tutte le volte che l'atto contenga gli elementi per svolgere la
sua tipica efficacia.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 23
novembre 1990; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Lom
bardi (conci, conf.); ric. Tescaro. Conferma App. Trieste 7
novembre 1988.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Luoghi di lavo
ro o di passaggio — Concentrazioni pericolose di gas, vapori,
polveri — Luogo di lavoro o passaggio saltuario — Obbligo di cautele contro le concentrazioni pericolose (D.p.r. 27 apri le 1955 n. 547, norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro art. 354). Infortuni sul lavoro e malattie professionali — Installatore di
impianti — Esecuzione di impianto sprovvisto di cautele con
tro le concentrazioni pericolose di gas, vapori, polveri — Reato
(D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, art. 7, 354, 390).
Omicidio e lesioni personali colpose — Infortunio sul lavoro — Macchina o impianto non conforme alle norme antinfor
tunistiche — Uso della macchina o impianto da parte del da
tore di lavoro — Responsabilità del costruttore o venditore
o installatore (Cod. pen., art. 40, 41, 589).
L'art. 354 d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 — nel prevedere l'obbli
go del datore di lavoro di adottare le cautele tecnicamente
possibili contro le concentrazioni pericolose di gas, vapori,
polveri, nei locali o luoghi di lavoro o di passaggio — intende
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