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sezione VI penale; sentenza 13 febbraio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (concl.conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano 5 settembre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.167/168-171/172Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185919 .
Accessed: 28/06/2014 11:52
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; ordinanza 23
marzo 1991; Pres. Boschi, Rei. Guida, P.M. (conci, conf.); ric. Manti.
Indagini preliminari — Provvedimento dei giudice per le indagi ni preliminari — Ricorso per cassazione — Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 408, 411).
Il decreto con il quale il giudice per le indagini preliminari pres so il tribunale esclude, in conformità alla richiesta del pubbli co ministero, la sussistenza, per i fatti denunciati, di una qua
lificazione giuridica che determinerebbe la competenza del tri
bunale, ipotizzando invece reati di competenza del pretore, non ha natura giuridica sostanziale di decreto di archiviazio
ne in quanto non dichiara l'infondatezza della notizia di rea
to a norma dell'art. 408 c.p.p., né la sussistenza delle altre
ipotesi analoghe di cui all'art. 411 dello stesso codice; ne con
segue che tale provvedimento non è direttamente ricorribile
per cassazione, in quanto soltanto il pretore potrà eventual
mente declinare la propria competenza, creando cosi le pre
messe per un conflitto, ricorribile sotto tale diverso titolo. (1)
Premesso che Monti Giuseppe aveva presentato denunzia nei
confronti di Caracciolo Filippo, cancelliere del Tribunale di Reg
gio Calabria e Macri Giuseppe, giudice istruttore dello stesso
tribunale per i reati di abuso di ufficio ed interesse privato e
nei confronti del solo Caracciolo anche per il reato di favoreg
giamento personale in favore del Macri; il Monti esponeva che,
essendo imputato di calunnia, aveva chiesto ed ottenuto dal can
celliere copia degli atti di un procedimento archiviato; avendo
constatato che mancava la copia di una relazione esistente agli
atti, aveva fatto istanza per la nuova copia, nello stesso tempo
consegnando al cancelliere gli atti in precedenza ottenuti; costui
invece, su istigazione del Macri, accampando il segreto istrutto
rio, rifiutava il rilascio della nuova copia, trattenendo quelle
precedentemente rilasciate; il p.m. presso il Tribunale di Messi
na, ritenuto che nei fatti denunziati non era rawisibile l'unico
reato di competenza del tribunale, quello di cui all'art. 324 c.p., richedeva il g.i.p. per il decreto di archiviazione in ordine a
tale reato e la restituzione per l'ulteriore corso; il g.i.p. provve deva in conformità; ricorre per cassazione il Monti deducendo
violazione e falsa applicazione dell'art. 408 c.p.p., in relazione
all'art. 606 c.p.p., per aver omesso il g.i.p. di considerare i
motivi di opposizione all'archiviazione della parte offesa è per avere omesso di motivare sulla insussitenza del reato di interes
se privato; con altro motivo, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione dell'art. 127 c.p.p., per avere omesso di prov vedere previa audizione del difensore e previa ammissione del
denunziante al gratuito patrocinio. Rileva la corte che il decreto del g.i.p. non ha natura sostan
ziale di decreto di archiviazione, in quanto non ha dichiarato
l'infondatezza della notitia criminis, né la sussistenza di altre
ipotesi analoghe ex art. 411 c.p., ma ha solo escluso, per i fatti
dedotti, in conformità della richiesta del p.m., la sussistenza
della qualificazione giuridica di interesse privato, che avrebbe
determinato la competenza del tribunale, ipotizzando invece reati
di competenza del pretore; conseguentemente il provvedimento non è direttamente ricorribile in Cassazione, perché solo il pre tore potrà eventualmente declinare la propria competenza, crean
do le premesse per un conflitto, ricorribile sotto tale diverso
titolo; il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
(1) Non risultano precedenti specifici. In generale, sull'istituto del
l'archiviazione, v. Bernardi, in Commento al nuovo codice di proce dura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 526 s.; Ca
rulli, Dell'archiviazione e delle prove, Napoli, 1989; Giambruno, Pre messe per uno studio sull'archiviazione nel nuovo processo penale, Palermo, 1990.
Il Foro Italiano — 1992.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 13 feb
braio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (conci,
conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano 5 settembre
1990.
Polizia giudiziaria — Potere ricognitìvo — Fattispecie (Cod. proc.
pen., art. 347, 348, 354).
Polizia giudiziaria — Potere ricognitivo
— Accertamento sulla
natura di sostanza stupefacente — Utilizzabilità dell'atto —
Limiti (Cod. proc. pen., art. 347, 348, 354, 357, 373, 433).
La polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettua
re, sia tramite i propri organi tecnici sia richiedendo una pub
blica struttura, l'analisi ricognitiva, e non valutativa, della
natura di una sostanza che ritenga stupefacente; e ciò non
quale accertamento urgente — non sussistendo il requisito della
irripetibilità — ma quale indagine a corredo dell'informativa
di reato e a sostegno delle ragioni giustificanti l'arresto in
flagranza. (1) La documentazione di un atto di polizia giudiziaria, relativo
all'analisi ricognitiva in ordine alla natura di una sostanza
ritenuta stupefacente senza che ricorra una situazione di irri
petibilità, non può essere utilizzata come prova nel dibatti
mento; tuttavia, qualora la persona indagata sia giudicata con
il rito abbreviato, tale documento, essendo legittimamente con
fluito nel fascicolo del pubblico ministero, può essere utiliz
zato ai fini della prova del reato. (2)
1. - Avverso duplice conforme decisione di merito, ricorre
per cassazione Giacchino Cimmarrusti denunziando di nullità
l'impugnata decisione, sopra indicata, per: «Erronea applica
zione della legge penale, inosservanza delle norme processuali
stabilite a pena di nullità; inutilizzabilità della perizia eseguita
di iniziativa della polizia giudiziaria, violazione dell'art. 606,
lett. d), c.p.p., violazione dell'art. 191 c.p.p., erronea applica zione dell'art. 452.2 c.p.p.».
Spiega il deducente che, in seguito ad arresto in flagranza
di reato (spaccio di sostanza stupefacente) il Cimmarrusti fu
tratto a giudizio davanti il Tribunale di Milano per la convalida
e l'immediato giudizio direttissimo; ritualmente, l'arrestato chiese
di essere giudicato secondo il rito speciale abbreviato ottenendo
consenso del pubblico ministero.
Nel fascicolo del pubblico ministero, prosegue il deducente,
non era stato allegato il corpo del reato (sostanza stupefacente) ma solo relazione di analisi chimica effettuata dalla unità sani
taria locale sulla sostanza sequestrata, a richiesta dell'organo di polizia giudiziaria procedente.
Tale documento, a giudizio del ricorrente, non poteva essere
utilizzato in giudizio in quanto la perizia fu effettuata ad inizia tiva della polizia giudiziaria e non del pubblico ministero.
Il tribunale, pertanto, aderì a tale tesi, completa il deducente,
e invitò le parti a produrre nuove prove; per questo, accusa
e difesa chiesero disporsi perizia ma, all'udienza di rinvio, al
l'uopo fissata, il pubblico ministero non esibì la droga, anzi
chiese ed ottenne la revoca dell'ordinanza di inutilizzabilità del
la prefata relazione di analisi chimica.
Quindi, il giudice completò il dibattimento e giudicò avvalen
dosi di quella irrituale prova.
Infine, si duole il ricorrente, portata la questione davanti alla
corte del gravame, allo stesso modo fu deciso.
2. - In questa sede, il deducente reitera le sue censure, soste
nendo che l'analisi chimica, che qualifica alla stregua di perizia,
effettuata dalla Usi, non poteva essere utilizzata nel giudizio, sia pure a rito abbreviato, essendo stata introdotta in violazione
(1-2) Non risultano precedenti specifici. In generale, sull'attività autonoma di polizia giudiziaria e sul relativo
regime di utilizzabilità, v., per tutti, Conti-Macchia, Indagini prelimi nari, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVI, 10
s.; D'Ambrosio-Vigna, Polizia giudiziaria e nuovo processo penale, Ro
ma, 1989, 155 s.; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, 2a ed., Milano, 1991, 121 s.; Nobili, Concetto di prova e regime di
utilizzazione degli atti nel nuovo codice di procedura penale, in Foro
it., 1989, V, 274.
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GIURISPRUDENZA PENALE
della disposizione di cui all'art. 348 c.p.p.; violazione sanziona
ta, quanto meno, da inutilizzabilità, ove si ritenga, come la cor
te territoriale, che nessuna specifica sanzione sia dal codice com
minata per tale inosservanza.
Il deducente, inoltre, si impegna a spiegare le ragioni, in di
ritto, per le quali egli giudica tempestiva la denunzia della vio
lazione di legge che, riferita alla disposizione di cui all'art. 178,
lett. b), del codice di rito, andrebbe considerata nullità «a regi me intermedio», da denunziarsi, a pena di decadenza, secondo
il combinato disposto di cui agli art. 491.2 e 452.2 vigente c.p.p.
3. - Osserva il collegio che il ricorso risulta infondato e per
questo deve essere rigettato.
3.1. - L'esposizione razionale del motivo di ricorso parte da
una premessa di ordine generale senz'altro condivisibile, il cui
principio di base è già stato affermato da questa corte di legitti mità. Invero, anche nel giudizio speciale abbreviato vige il di
vieto di utilizzazione di atti irritualmente acquisiti e comunque
talmente sanzionati (cfr. Cass., sez. VI, 27 novembre 1990, ric.
Zambetti). La risoluzione del problema agitato in causa, dunque, si spo
sta sulla verifica se l'atto cui la doglianza del ricorrente si ap
punta, risulti acquisito al procedimento in condizioni, generica
mente, per quel che qui interessa, d'illegittimità, sicché possa
scattare ed applicarsi la sanzione di cui all'art. 191.1 vigente
c.p.p., la quale, peraltro, per la letterale formulazione della di
sposizione, riguarda, all'evidenza, solo i vizi in alcun modo sa
nabili, datane la rilevabilità, anche d'ufficio, in ogni stato e
grado del procedimento (e non solo del processo), siccome reci
ta il 2° comma del detto articolo.
3.2. - Il punto debole della tesi difensiva, pur con lodabile
impegno dottrinario esposta, si individua facilmente nella quali
ficazione di perizia assegnata al referto di analisi chimica, cui
certamente è estranea, nel senso, unico, introduci bile, tecnica
mente, nel processo penale; vale a dire, di mezzo di valutazione
sulla fonte di prova e parere circa una situazione di fatto, reso
al giudice da un esperto secondo l'iter processuale disciplinato
dagli articoli che compongono il VI capo del titolo II del terzo
libro del codice di rito. È, quindi, necessario, per risolvere il quesito della causa, e
prima ancora di esaminare i poteri-doveri dell'organo di polizia
giudiziaria e del pubblico ministero, dare una definizione del
l'atto della utilizzazione del quale il ricorrente si duole, onde
individuare l'esatta collocazione nell'ambito della variegata ca
sistica elaborata dal codice di procedura penale in relazione alle
attività d'indagine nella fase preprocessuale.
L'atto di cui si parla, consiste in un documento, rilasciato
della «Unità socio sanitaria locale 75/11» di Milano, in data
8 novembre 1989, con sottoscrizione «siglata» «X II responsabi
le dell'unità operativa chimica».
Questo documento, tra altre indicazioni, riferisce che: «Il cam
pione di 1.4) polvere beige prelevato...» all'analisi per la ricerca
di eroina è risultato positivo e che, accanto al predetto stupefa
cente, sono state evidenziate tracce di narcotina e di papaverina.
È allegata anche una descrizione dei reperti.
Orbene, trascurando altre evidenze che risultano dal docu
mento, pare al collegio che il contenuto dichiarativo dello stes
so possa essere inquadrato nello schema della certificazione o
attestazione di attività svolta da pubblici ufficiali, appartenenti
a una struttura pubblica, quale quella sopra indicata, senza che
emerga l'espressione di un parere, di una valutazione, di un
giudizio, che, invece, costituisce l'essenza della perizia e, ovvia
mente, di quegli altri atti che alla stessa in via analogica posso
no essere riferiti (art. 359 codice di rito).
3.3. - Tuttavia, rimane da accertare se detto documento sia
espressivo di attività di assicurazione delle fonti di prova, se
condo la disciplina di cui all'art. 348 c.p.p. ovvero di accerta
mento urgente sui luoghi, sulle cose e sulle persone, di cui al
l'art. 354 dello stesso codice.
Invero, nella prima ipotesi l'attività autonoma della polizia
giudiziaria non subisce limiti se non dal e con l'intervento del
pubblico ministero e conseguenziale assunzione della direzione
delle indagini da parte del dominus naturale della fase prepro
cessuale; nella seconda, il potere di iniziativa autonoma della
Il Foro Italiano — 1992.
polizia giudiziaria subisce l'ulteriore limite connesso alla eve
nienza di una situazione di urgenza che, nei termini rappresen
tati dalla disposizione di legge, si risolve essenzialmente nella
irripetibilità dell'accertamento quale conseguenza del pericolo
di alterazione delle cose, di dispersione delle tracce e di modifi
cazione dei luoghi. Dal coordinamento delle disposizioni di cui agli art. 348, 354
e 359 del codice di rito può delinearsi, in relazione alla proble
matica in discussione, e quindi, ai poteri autonomamente eser
citabili dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini prelimi nari, il seguente quadro:
a) la polizia giudiziaria deve, d'iniziativa, e finché il pubblico ministero non intervenga ed assuma la direzione delle indagini,
raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla
individuazione del colpevole, mediante il compimento di una
serie di atti descritti nel 2° comma dell'art. 348 e nei successivi
articoli. b) la stessa, se sussiste urgenza, può compiere accertamenti
sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354) avvalendosi an
che, ove occorrano specifiche competenze tecniche, di persone
idonee (le quali non possono rifiutare la loro opera: art. 348.4);
c) in quest'ultimo caso, se, cioè, l'accertamento riguarda si
tuazioni irripetibili, gli atti realizzati, secondo le formalità di
cui all'art. 357 detto codice, sono destinati a far parte del fasci
colo di dibattimento; nel primo caso, tali atti confluiranno solo
nel fascicolo del pubblico ministero e subiranno la sorte degli
altri atti in tale fascicolo allegati.
L'accertamento della natura stupefacente di una sostanza, sotto
tale profilo, e salvo particolari evenienze, non può dirsi accerta
mento urgente nel senso sopra specificato, posto che per la na
tura della stessa, l'analisi può essere condotta in qualsiasi suc
cessivo momento, rispetto all'acquisizione al processo.
3.4. - Tuttavia, ritiene il collegio che il discrimine tra accerta
menti consentiti all'autonoma iniziativa della polizia giudiziaria
e accertamenti alla stessa impediti non possa essere fondato so
lo sulla irripetibilità, o meno, dell'accertamento stesso.
Invero, se la ragione di tale diversa organizzazione sta nella
rigorosa tutela dei diritti dell'indagato anche in relazione alla
natura dell'organo chiamato a disporre l'accertamento, pare che
la situazione di ripetibilità comporti ben minori conseguenze,
ai fini della offesa ai diritti della difesa, rispetto a quella d'irri
petibilità, ancorché necessitata dalla situazione di urgenza, vale
a dire di dispersione, alterazione, ecc., proprio perché la reite
razione dell'accertamento è in grado di soddisfare tutte le esi
genze di difesa e di sostanziale accertamento della verità.
Ne consegue che, in linea generale, ove specifiche esigenze
lo richiedano, è ammissibile che la polizia giudiziaria possa pro
cedere, direttamente, tramite i propri organi specializzati, ovve
ro facendone richiesta a pubbliche strutture in grado di fornire
gli elementi cognitivi necessari, ad accertamenti in linea di fat
to, vale a dire escludenti giudizi o pareri o valutazioni meritali,
in ordine, quanto meno, alla natura di cose dalla individuazio
ne della quale dipende, o possa dipendere, la formulazione del
la notizia di reato, di cui discorre l'art. 347.1. del codice di rito.
Al riguardo, è d'uopo bene afferrare la significazione e la
portata della espressione, che si legge nel 1° comma dell'art.
348 del codice di rito, laddove il legislatore demanda alla poli
zia giudiziaria l'autonoma attività tesa a raccogliere «ogni ele
mento utile alla ricostruzione del fatto», da porsi, evidentemen
te, in correlazione con il 1° comma dell'art. 347 dello stesso
codice, che disciplina l'attività della polizia finalizzata all'ac
quisizione della notizia di reato da supportarsi con l'indicazione
delle fonti di prova, si da porgere al pubblico ministero idonei
elementi di giudizio. In tale quadro la nozione di «fatto» deve ritenersi comprensi
va di tutti gli aspetti essenziali della fattispecie penale per lo
meno nella sua componente oggettiva.
Conclusivamente, sul punto, se la polizia giudiziaria deve ri
ferire una notizia di reato, deve pur essere in grado di poter
accertare, con sufficiente attendibilità, ancorché in via del tutto
provvisoria, che un reato sia stato commesso, o possa ipotizzar
si essere stato commesso.
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PARTE SECONDA
3.5. - Orbene, nell'attività di polizia giudiziaria concernente
i reati in materia di stupefacenti, deve ritenersi che l'accerta
mento sulla natura della sostanza che si ha motivo di ritenere
stupefacente, mediante semplice indagine di carattere tecnico ma
non certo valutativo, rientri tra le indagini che la polizia giudi ziaria può sperimentare, in via autonoma ma senza efficacia
di prova. Ciò in quanto tale operazione si qualifica per accertamento
sulle cose oggetto della notizia di reato e si risolve in un'opera
zione di carattere meramente esecutivo.
Infatti, normalmente, operazioni del genere sono realizzate
attraverso il c.d. narcotest, consistente nel produrre, attraverso
il contatto con opportune sostanze, reazioni visibili indicative,
sia pure solo in via qualitativa, della natura della sostanza esa
minata.
Va rilevato, al riguardo, e per quanto concerne l'individua
zione della natura di sostanze narcotiche, che l'art. 380, 2° com
ma, lett. h), c.p.p., obbliga l'ufficiale di polizia giudiziaria a
procedere all'arresto di chi sia colto nella flagranza di delitti
concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope previsti dall'art.
71 1. 22 dicembre 1975 n. 685 (ora sostituito dall'art. 73 t.u.
d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309), cosi ponendo in termini pressanti
l'esigenza di accertare, con sufficiente attendibilità, che la so
stanza reperita, in relazione alla detenzione della quale la situa
zione di flagranza di reato viene individuata, sia davvero stupe facente e non piuttosto, come accade, innocua polvere.
Questo si evidenzia per mettere a fuoco una delle situazioni
che possono comportare per l'organo di polizia giudiziaria l'esi
genza di procedere a un tecnico ancorché sommario accerta
mento, finalizzato solo a risolvere una situazione che concerne
esclusivamente il rapporto con il pubblico ministero.
Il caso trattato nel procedimento che ci occupa appare emble
matico.
Un carabiniere viene avvicinato da uno degli imputati che
gli offre droga contro danaro, egli ha il dovere di operare l'ar
resto in flagranza ma l'offerente potrebbe anche avere ordito
una semplice truffa, offrendo polvere beige (per stare a quanto risulta dal documento che ci occupa) simulando trattarsi di eroi
na, comunque tagliata. Solo un'indagine tecnica, eseguita da
personale specializzato, può, in via interinale, per quanto oc
corra ai fini della decisione da adottare, risolvere il dubbio.
Deve, quindi, concludersi che la descritta situazione integra
gli estremi in fatto autorizzanti l'organo di polizia giudiziaria ad eseguire, a mezzo di propri organi o tramite l'ausilio di pub blica struttura, una indagine (peraltro, sempre ripetibile) tesa
ad individuare la natura della sostanza reperita. 3.6. - Stabilita la ritualità dell'accertamento in questione, ap
pare evidente come il documento rappresentativo avesse i requi siti per confluire nel fascicolo del pubblico ministero il quale,
ovviamente, avrebbe potuto pur sempre disporre un (nuovo) ac
certamento (ex art. 359 del codice di rito), ovvero richiedere
il giudice delle indagini preliminari di perizia. Sino a quando ciò non accade, il documento di cui si discute
non sarà utilizzabile in dibattimento.
Tuttavia, ove, come nel caso di specie, l'indagato chieda di
essere giudicato con il rito abbreviato, e a tanto si addivenga,
per quanto dispone l'art. 440.1 del codice di rito, e come è
nella essenzialità del patteggiamento sul rito, di quell'accerta mento si potrà e dovrà tenere conto ai fini della decisione, che
viene assunta «allo stato degli atti», con utilizzazione di tutti
gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo dell'accusa, unico
disponibile nella fase dell'udienza preliminare.
Riassuntivamente, pertanto, può affermarsi il seguente prin
cipio: «La polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad
effettuare, sia tramite i propri organi tecnici che richiedendo
una pubblica struttura, analisi ricognitiva, e non valutativa, della
natura di sostanza che ritenga stupefacente, non quale accerta
mento urgente, non sussistendo il requisito della irripetibilità, ma quale indagine a corredo alla informativa di reato e a soste
gno delle ragioni giustificanti l'arresto in flagranza di reato.
Ne consegue che il relativo reperto non può essere utilizzato
ai fini della prova dibattimentale.
Tuttavia, qualora l'indagato sia giudicato con il rito abbre
II Foro Italiano — 1992.
viato, tale documento, legittimamente confluito nel fascicolo del
pubblico ministero, può essere utilizzato ai fini della prova del
fatto».
4. - Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e il ricor
rente condannato al pagamento delle spese processuali e, tenuto
conto dei termini del ricorso, al versamento, alla Cassa delle
ammende, a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 616 c.p.p.,
della somma, ritenuta equa, di cinquecento mila lire.
TRIBUNALE DI MILANO; TRIBUNALE DI MILANO; ordinanza 23 ottobre 1991; Pres.
Martorelli; imp. Kovacevic.
Giudizio direttissimo — Trasformazione in giudizio abbreviato — Interrogatorio
— Esclusione (Cod. proc. pen., art. 441,
452).
Nel giudizio direttissimo, l'imputato, se intende giovarsi del giu
dizio abbreviato, non può modificare la situazione degli atti
neppure attraverso proprie ulteriori dichiarazioni; ne conse
gue che, nel contesto del giudizio abbreviato, l'imputato non
può chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, essendo
tale strumento incompatibile con il criterio dello stato degli atti. (1)
L'art. 452 c.p., nel consentire il giudizio abbreviato in sede
di giudizio direttissimo, dispone che il giudizio abbreviato si svolga osservando le disposizioni per l'udienza preliminare in
quanto applicabili. Ritiene questo tribunale, in ciò richiamando
una propria ordinanza (4 maggio 1990, sez. Vili, imp. O.U.
Erghi+1), che tra le disposizioni applicabili al giudizio abbre viato non vi siano quelle che consentono l'interrogatorio del
l'imputato. L'interrogatorio dell'imputato, che è da considerar
(1) La pronuncia investe, pur con riferimento al giudizio abbreviato risultante dalla 'trasformazione' del giudizio direttissimo, uno degli aspetti più controversi del rito 'contratto' di cui agli art. 438 s. c.p.p.: la com
patibilità o meno dell'interrogatorio dell'imputato con il criterio dello 'stato degli atti'. In giurisprudenza, cfr., in senso conforme, Giud. ind.
prel. Trib. Milano 27 aprile 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Giudizio
abbreviato, n. 64 e Giud. ind. prel. Trib. Torino 17 gennaio 1990, Giur.
it., 1991, II, 373. L'opposto orientamento è sostenuto da Trib. Torino 22 marzo 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Giudizio direttissimo, n. 10 e Giud. ind. prel. Trib. Torino 17 gennaio 1990, Giur. it., 1991, II, 372, nonché (implicitamente) Trib. Roma 4 novembre 1989, Foro it.,
Rep. 1990, voce Giudizio abbreviato, n. 62 e Trib. Treviso 1° dicembre
1989, ibid., n. 63. La tesi della compatibilità tra interrogatorio dell'im
putato e decisione 'allo stato degli atti' è adesso confortata — sia pure in via indiretta — da Cass. 7 febbraio 1991, Amato, Arch, nuova proc. pen., 1991, 625.
Sulla problematica, cfr., in dottrina, Di Chiara, Considerazioni in tema di rito abbreviato, finalità del processo e tecniche di giudizio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 579; Lavarini, Giudizio abbreviato ed interrogatorio dell'imputato, in Giur. it., 1991, II, 373; Pignatelli, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia
vario, Torino, 1990, IV, sub art. 441, 782; Siracusano, La decisione allo stato degli atti: un pesante limite del giudizio abbreviato, in Intro
duzione allo studio del nuovo processo penale, Milano, 1989, 216. Sulla 'trasformazione' del giudizio direttissimo in abbreviato, cfr. Del
l'anno, Conversione del giudizio direttissimo in abbreviato e limiti al
l'acquisizione probatoria, in Giust. pen., 1990, III, 115; De Roberto, Brevi osservazioni in tema di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, in Giur. it., 1990, II, 137; Id., L'«abbreviazio ne» del giudizio direttissimo. Innesto di «varianti» ed unitarietà del
giudizio abbreviato, ibid., 160; Di Chiara, Permeabilità dei riti e giudi zio abbreviato a seguito di conversione: il criterio dello 'stato degli atti' nella dialettica dei rapporti tra giudice e parti, in Foro it., 1991, II, 491; Sechi, La conversione nel giudizio abbreviato del giudizio direttis simo e del giudizio immediato, in I giudizi semplificati a cura di Gat
to, Padova, 1989, 277.
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