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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 13 febbraio 1991; Pres. Valente,...

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sezione VI penale; sentenza 13 febbraio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano 5 settembre 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 167/168-171/172 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185919 . Accessed: 28/06/2014 11:52 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.33 on Sat, 28 Jun 2014 11:52:57 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 13 febbraio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (concl. conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano

sezione VI penale; sentenza 13 febbraio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (concl.conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano 5 settembre 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.167/168-171/172Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185919 .

Accessed: 28/06/2014 11:52

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PARTE SECONDA

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; ordinanza 23

marzo 1991; Pres. Boschi, Rei. Guida, P.M. (conci, conf.); ric. Manti.

Indagini preliminari — Provvedimento dei giudice per le indagi ni preliminari — Ricorso per cassazione — Inammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 408, 411).

Il decreto con il quale il giudice per le indagini preliminari pres so il tribunale esclude, in conformità alla richiesta del pubbli co ministero, la sussistenza, per i fatti denunciati, di una qua

lificazione giuridica che determinerebbe la competenza del tri

bunale, ipotizzando invece reati di competenza del pretore, non ha natura giuridica sostanziale di decreto di archiviazio

ne in quanto non dichiara l'infondatezza della notizia di rea

to a norma dell'art. 408 c.p.p., né la sussistenza delle altre

ipotesi analoghe di cui all'art. 411 dello stesso codice; ne con

segue che tale provvedimento non è direttamente ricorribile

per cassazione, in quanto soltanto il pretore potrà eventual

mente declinare la propria competenza, creando cosi le pre

messe per un conflitto, ricorribile sotto tale diverso titolo. (1)

Premesso che Monti Giuseppe aveva presentato denunzia nei

confronti di Caracciolo Filippo, cancelliere del Tribunale di Reg

gio Calabria e Macri Giuseppe, giudice istruttore dello stesso

tribunale per i reati di abuso di ufficio ed interesse privato e

nei confronti del solo Caracciolo anche per il reato di favoreg

giamento personale in favore del Macri; il Monti esponeva che,

essendo imputato di calunnia, aveva chiesto ed ottenuto dal can

celliere copia degli atti di un procedimento archiviato; avendo

constatato che mancava la copia di una relazione esistente agli

atti, aveva fatto istanza per la nuova copia, nello stesso tempo

consegnando al cancelliere gli atti in precedenza ottenuti; costui

invece, su istigazione del Macri, accampando il segreto istrutto

rio, rifiutava il rilascio della nuova copia, trattenendo quelle

precedentemente rilasciate; il p.m. presso il Tribunale di Messi

na, ritenuto che nei fatti denunziati non era rawisibile l'unico

reato di competenza del tribunale, quello di cui all'art. 324 c.p., richedeva il g.i.p. per il decreto di archiviazione in ordine a

tale reato e la restituzione per l'ulteriore corso; il g.i.p. provve deva in conformità; ricorre per cassazione il Monti deducendo

violazione e falsa applicazione dell'art. 408 c.p.p., in relazione

all'art. 606 c.p.p., per aver omesso il g.i.p. di considerare i

motivi di opposizione all'archiviazione della parte offesa è per avere omesso di motivare sulla insussitenza del reato di interes

se privato; con altro motivo, il ricorrente deduce violazione e

falsa applicazione dell'art. 127 c.p.p., per avere omesso di prov vedere previa audizione del difensore e previa ammissione del

denunziante al gratuito patrocinio. Rileva la corte che il decreto del g.i.p. non ha natura sostan

ziale di decreto di archiviazione, in quanto non ha dichiarato

l'infondatezza della notitia criminis, né la sussistenza di altre

ipotesi analoghe ex art. 411 c.p., ma ha solo escluso, per i fatti

dedotti, in conformità della richiesta del p.m., la sussistenza

della qualificazione giuridica di interesse privato, che avrebbe

determinato la competenza del tribunale, ipotizzando invece reati

di competenza del pretore; conseguentemente il provvedimento non è direttamente ricorribile in Cassazione, perché solo il pre tore potrà eventualmente declinare la propria competenza, crean

do le premesse per un conflitto, ricorribile sotto tale diverso

titolo; il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

(1) Non risultano precedenti specifici. In generale, sull'istituto del

l'archiviazione, v. Bernardi, in Commento al nuovo codice di proce dura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 526 s.; Ca

rulli, Dell'archiviazione e delle prove, Napoli, 1989; Giambruno, Pre messe per uno studio sull'archiviazione nel nuovo processo penale, Palermo, 1990.

Il Foro Italiano — 1992.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 13 feb

braio 1991; Pres. Valente, Est. Losapio, P.M. Toscani (conci,

conf.); ric. Cimmarrusti. Conferma App. Milano 5 settembre

1990.

Polizia giudiziaria — Potere ricognitìvo — Fattispecie (Cod. proc.

pen., art. 347, 348, 354).

Polizia giudiziaria — Potere ricognitivo

— Accertamento sulla

natura di sostanza stupefacente — Utilizzabilità dell'atto —

Limiti (Cod. proc. pen., art. 347, 348, 354, 357, 373, 433).

La polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad effettua

re, sia tramite i propri organi tecnici sia richiedendo una pub

blica struttura, l'analisi ricognitiva, e non valutativa, della

natura di una sostanza che ritenga stupefacente; e ciò non

quale accertamento urgente — non sussistendo il requisito della

irripetibilità — ma quale indagine a corredo dell'informativa

di reato e a sostegno delle ragioni giustificanti l'arresto in

flagranza. (1) La documentazione di un atto di polizia giudiziaria, relativo

all'analisi ricognitiva in ordine alla natura di una sostanza

ritenuta stupefacente senza che ricorra una situazione di irri

petibilità, non può essere utilizzata come prova nel dibatti

mento; tuttavia, qualora la persona indagata sia giudicata con

il rito abbreviato, tale documento, essendo legittimamente con

fluito nel fascicolo del pubblico ministero, può essere utiliz

zato ai fini della prova del reato. (2)

1. - Avverso duplice conforme decisione di merito, ricorre

per cassazione Giacchino Cimmarrusti denunziando di nullità

l'impugnata decisione, sopra indicata, per: «Erronea applica

zione della legge penale, inosservanza delle norme processuali

stabilite a pena di nullità; inutilizzabilità della perizia eseguita

di iniziativa della polizia giudiziaria, violazione dell'art. 606,

lett. d), c.p.p., violazione dell'art. 191 c.p.p., erronea applica zione dell'art. 452.2 c.p.p.».

Spiega il deducente che, in seguito ad arresto in flagranza

di reato (spaccio di sostanza stupefacente) il Cimmarrusti fu

tratto a giudizio davanti il Tribunale di Milano per la convalida

e l'immediato giudizio direttissimo; ritualmente, l'arrestato chiese

di essere giudicato secondo il rito speciale abbreviato ottenendo

consenso del pubblico ministero.

Nel fascicolo del pubblico ministero, prosegue il deducente,

non era stato allegato il corpo del reato (sostanza stupefacente) ma solo relazione di analisi chimica effettuata dalla unità sani

taria locale sulla sostanza sequestrata, a richiesta dell'organo di polizia giudiziaria procedente.

Tale documento, a giudizio del ricorrente, non poteva essere

utilizzato in giudizio in quanto la perizia fu effettuata ad inizia tiva della polizia giudiziaria e non del pubblico ministero.

Il tribunale, pertanto, aderì a tale tesi, completa il deducente,

e invitò le parti a produrre nuove prove; per questo, accusa

e difesa chiesero disporsi perizia ma, all'udienza di rinvio, al

l'uopo fissata, il pubblico ministero non esibì la droga, anzi

chiese ed ottenne la revoca dell'ordinanza di inutilizzabilità del

la prefata relazione di analisi chimica.

Quindi, il giudice completò il dibattimento e giudicò avvalen

dosi di quella irrituale prova.

Infine, si duole il ricorrente, portata la questione davanti alla

corte del gravame, allo stesso modo fu deciso.

2. - In questa sede, il deducente reitera le sue censure, soste

nendo che l'analisi chimica, che qualifica alla stregua di perizia,

effettuata dalla Usi, non poteva essere utilizzata nel giudizio, sia pure a rito abbreviato, essendo stata introdotta in violazione

(1-2) Non risultano precedenti specifici. In generale, sull'attività autonoma di polizia giudiziaria e sul relativo

regime di utilizzabilità, v., per tutti, Conti-Macchia, Indagini prelimi nari, voce dell' Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1989, XVI, 10

s.; D'Ambrosio-Vigna, Polizia giudiziaria e nuovo processo penale, Ro

ma, 1989, 155 s.; Nappi, Guida al nuovo codice di procedura penale, 2a ed., Milano, 1991, 121 s.; Nobili, Concetto di prova e regime di

utilizzazione degli atti nel nuovo codice di procedura penale, in Foro

it., 1989, V, 274.

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GIURISPRUDENZA PENALE

della disposizione di cui all'art. 348 c.p.p.; violazione sanziona

ta, quanto meno, da inutilizzabilità, ove si ritenga, come la cor

te territoriale, che nessuna specifica sanzione sia dal codice com

minata per tale inosservanza.

Il deducente, inoltre, si impegna a spiegare le ragioni, in di

ritto, per le quali egli giudica tempestiva la denunzia della vio

lazione di legge che, riferita alla disposizione di cui all'art. 178,

lett. b), del codice di rito, andrebbe considerata nullità «a regi me intermedio», da denunziarsi, a pena di decadenza, secondo

il combinato disposto di cui agli art. 491.2 e 452.2 vigente c.p.p.

3. - Osserva il collegio che il ricorso risulta infondato e per

questo deve essere rigettato.

3.1. - L'esposizione razionale del motivo di ricorso parte da

una premessa di ordine generale senz'altro condivisibile, il cui

principio di base è già stato affermato da questa corte di legitti mità. Invero, anche nel giudizio speciale abbreviato vige il di

vieto di utilizzazione di atti irritualmente acquisiti e comunque

talmente sanzionati (cfr. Cass., sez. VI, 27 novembre 1990, ric.

Zambetti). La risoluzione del problema agitato in causa, dunque, si spo

sta sulla verifica se l'atto cui la doglianza del ricorrente si ap

punta, risulti acquisito al procedimento in condizioni, generica

mente, per quel che qui interessa, d'illegittimità, sicché possa

scattare ed applicarsi la sanzione di cui all'art. 191.1 vigente

c.p.p., la quale, peraltro, per la letterale formulazione della di

sposizione, riguarda, all'evidenza, solo i vizi in alcun modo sa

nabili, datane la rilevabilità, anche d'ufficio, in ogni stato e

grado del procedimento (e non solo del processo), siccome reci

ta il 2° comma del detto articolo.

3.2. - Il punto debole della tesi difensiva, pur con lodabile

impegno dottrinario esposta, si individua facilmente nella quali

ficazione di perizia assegnata al referto di analisi chimica, cui

certamente è estranea, nel senso, unico, introduci bile, tecnica

mente, nel processo penale; vale a dire, di mezzo di valutazione

sulla fonte di prova e parere circa una situazione di fatto, reso

al giudice da un esperto secondo l'iter processuale disciplinato

dagli articoli che compongono il VI capo del titolo II del terzo

libro del codice di rito. È, quindi, necessario, per risolvere il quesito della causa, e

prima ancora di esaminare i poteri-doveri dell'organo di polizia

giudiziaria e del pubblico ministero, dare una definizione del

l'atto della utilizzazione del quale il ricorrente si duole, onde

individuare l'esatta collocazione nell'ambito della variegata ca

sistica elaborata dal codice di procedura penale in relazione alle

attività d'indagine nella fase preprocessuale.

L'atto di cui si parla, consiste in un documento, rilasciato

della «Unità socio sanitaria locale 75/11» di Milano, in data

8 novembre 1989, con sottoscrizione «siglata» «X II responsabi

le dell'unità operativa chimica».

Questo documento, tra altre indicazioni, riferisce che: «Il cam

pione di 1.4) polvere beige prelevato...» all'analisi per la ricerca

di eroina è risultato positivo e che, accanto al predetto stupefa

cente, sono state evidenziate tracce di narcotina e di papaverina.

È allegata anche una descrizione dei reperti.

Orbene, trascurando altre evidenze che risultano dal docu

mento, pare al collegio che il contenuto dichiarativo dello stes

so possa essere inquadrato nello schema della certificazione o

attestazione di attività svolta da pubblici ufficiali, appartenenti

a una struttura pubblica, quale quella sopra indicata, senza che

emerga l'espressione di un parere, di una valutazione, di un

giudizio, che, invece, costituisce l'essenza della perizia e, ovvia

mente, di quegli altri atti che alla stessa in via analogica posso

no essere riferiti (art. 359 codice di rito).

3.3. - Tuttavia, rimane da accertare se detto documento sia

espressivo di attività di assicurazione delle fonti di prova, se

condo la disciplina di cui all'art. 348 c.p.p. ovvero di accerta

mento urgente sui luoghi, sulle cose e sulle persone, di cui al

l'art. 354 dello stesso codice.

Invero, nella prima ipotesi l'attività autonoma della polizia

giudiziaria non subisce limiti se non dal e con l'intervento del

pubblico ministero e conseguenziale assunzione della direzione

delle indagini da parte del dominus naturale della fase prepro

cessuale; nella seconda, il potere di iniziativa autonoma della

Il Foro Italiano — 1992.

polizia giudiziaria subisce l'ulteriore limite connesso alla eve

nienza di una situazione di urgenza che, nei termini rappresen

tati dalla disposizione di legge, si risolve essenzialmente nella

irripetibilità dell'accertamento quale conseguenza del pericolo

di alterazione delle cose, di dispersione delle tracce e di modifi

cazione dei luoghi. Dal coordinamento delle disposizioni di cui agli art. 348, 354

e 359 del codice di rito può delinearsi, in relazione alla proble

matica in discussione, e quindi, ai poteri autonomamente eser

citabili dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini prelimi nari, il seguente quadro:

a) la polizia giudiziaria deve, d'iniziativa, e finché il pubblico ministero non intervenga ed assuma la direzione delle indagini,

raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla

individuazione del colpevole, mediante il compimento di una

serie di atti descritti nel 2° comma dell'art. 348 e nei successivi

articoli. b) la stessa, se sussiste urgenza, può compiere accertamenti

sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354) avvalendosi an

che, ove occorrano specifiche competenze tecniche, di persone

idonee (le quali non possono rifiutare la loro opera: art. 348.4);

c) in quest'ultimo caso, se, cioè, l'accertamento riguarda si

tuazioni irripetibili, gli atti realizzati, secondo le formalità di

cui all'art. 357 detto codice, sono destinati a far parte del fasci

colo di dibattimento; nel primo caso, tali atti confluiranno solo

nel fascicolo del pubblico ministero e subiranno la sorte degli

altri atti in tale fascicolo allegati.

L'accertamento della natura stupefacente di una sostanza, sotto

tale profilo, e salvo particolari evenienze, non può dirsi accerta

mento urgente nel senso sopra specificato, posto che per la na

tura della stessa, l'analisi può essere condotta in qualsiasi suc

cessivo momento, rispetto all'acquisizione al processo.

3.4. - Tuttavia, ritiene il collegio che il discrimine tra accerta

menti consentiti all'autonoma iniziativa della polizia giudiziaria

e accertamenti alla stessa impediti non possa essere fondato so

lo sulla irripetibilità, o meno, dell'accertamento stesso.

Invero, se la ragione di tale diversa organizzazione sta nella

rigorosa tutela dei diritti dell'indagato anche in relazione alla

natura dell'organo chiamato a disporre l'accertamento, pare che

la situazione di ripetibilità comporti ben minori conseguenze,

ai fini della offesa ai diritti della difesa, rispetto a quella d'irri

petibilità, ancorché necessitata dalla situazione di urgenza, vale

a dire di dispersione, alterazione, ecc., proprio perché la reite

razione dell'accertamento è in grado di soddisfare tutte le esi

genze di difesa e di sostanziale accertamento della verità.

Ne consegue che, in linea generale, ove specifiche esigenze

lo richiedano, è ammissibile che la polizia giudiziaria possa pro

cedere, direttamente, tramite i propri organi specializzati, ovve

ro facendone richiesta a pubbliche strutture in grado di fornire

gli elementi cognitivi necessari, ad accertamenti in linea di fat

to, vale a dire escludenti giudizi o pareri o valutazioni meritali,

in ordine, quanto meno, alla natura di cose dalla individuazio

ne della quale dipende, o possa dipendere, la formulazione del

la notizia di reato, di cui discorre l'art. 347.1. del codice di rito.

Al riguardo, è d'uopo bene afferrare la significazione e la

portata della espressione, che si legge nel 1° comma dell'art.

348 del codice di rito, laddove il legislatore demanda alla poli

zia giudiziaria l'autonoma attività tesa a raccogliere «ogni ele

mento utile alla ricostruzione del fatto», da porsi, evidentemen

te, in correlazione con il 1° comma dell'art. 347 dello stesso

codice, che disciplina l'attività della polizia finalizzata all'ac

quisizione della notizia di reato da supportarsi con l'indicazione

delle fonti di prova, si da porgere al pubblico ministero idonei

elementi di giudizio. In tale quadro la nozione di «fatto» deve ritenersi comprensi

va di tutti gli aspetti essenziali della fattispecie penale per lo

meno nella sua componente oggettiva.

Conclusivamente, sul punto, se la polizia giudiziaria deve ri

ferire una notizia di reato, deve pur essere in grado di poter

accertare, con sufficiente attendibilità, ancorché in via del tutto

provvisoria, che un reato sia stato commesso, o possa ipotizzar

si essere stato commesso.

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PARTE SECONDA

3.5. - Orbene, nell'attività di polizia giudiziaria concernente

i reati in materia di stupefacenti, deve ritenersi che l'accerta

mento sulla natura della sostanza che si ha motivo di ritenere

stupefacente, mediante semplice indagine di carattere tecnico ma

non certo valutativo, rientri tra le indagini che la polizia giudi ziaria può sperimentare, in via autonoma ma senza efficacia

di prova. Ciò in quanto tale operazione si qualifica per accertamento

sulle cose oggetto della notizia di reato e si risolve in un'opera

zione di carattere meramente esecutivo.

Infatti, normalmente, operazioni del genere sono realizzate

attraverso il c.d. narcotest, consistente nel produrre, attraverso

il contatto con opportune sostanze, reazioni visibili indicative,

sia pure solo in via qualitativa, della natura della sostanza esa

minata.

Va rilevato, al riguardo, e per quanto concerne l'individua

zione della natura di sostanze narcotiche, che l'art. 380, 2° com

ma, lett. h), c.p.p., obbliga l'ufficiale di polizia giudiziaria a

procedere all'arresto di chi sia colto nella flagranza di delitti

concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope previsti dall'art.

71 1. 22 dicembre 1975 n. 685 (ora sostituito dall'art. 73 t.u.

d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309), cosi ponendo in termini pressanti

l'esigenza di accertare, con sufficiente attendibilità, che la so

stanza reperita, in relazione alla detenzione della quale la situa

zione di flagranza di reato viene individuata, sia davvero stupe facente e non piuttosto, come accade, innocua polvere.

Questo si evidenzia per mettere a fuoco una delle situazioni

che possono comportare per l'organo di polizia giudiziaria l'esi

genza di procedere a un tecnico ancorché sommario accerta

mento, finalizzato solo a risolvere una situazione che concerne

esclusivamente il rapporto con il pubblico ministero.

Il caso trattato nel procedimento che ci occupa appare emble

matico.

Un carabiniere viene avvicinato da uno degli imputati che

gli offre droga contro danaro, egli ha il dovere di operare l'ar

resto in flagranza ma l'offerente potrebbe anche avere ordito

una semplice truffa, offrendo polvere beige (per stare a quanto risulta dal documento che ci occupa) simulando trattarsi di eroi

na, comunque tagliata. Solo un'indagine tecnica, eseguita da

personale specializzato, può, in via interinale, per quanto oc

corra ai fini della decisione da adottare, risolvere il dubbio.

Deve, quindi, concludersi che la descritta situazione integra

gli estremi in fatto autorizzanti l'organo di polizia giudiziaria ad eseguire, a mezzo di propri organi o tramite l'ausilio di pub blica struttura, una indagine (peraltro, sempre ripetibile) tesa

ad individuare la natura della sostanza reperita. 3.6. - Stabilita la ritualità dell'accertamento in questione, ap

pare evidente come il documento rappresentativo avesse i requi siti per confluire nel fascicolo del pubblico ministero il quale,

ovviamente, avrebbe potuto pur sempre disporre un (nuovo) ac

certamento (ex art. 359 del codice di rito), ovvero richiedere

il giudice delle indagini preliminari di perizia. Sino a quando ciò non accade, il documento di cui si discute

non sarà utilizzabile in dibattimento.

Tuttavia, ove, come nel caso di specie, l'indagato chieda di

essere giudicato con il rito abbreviato, e a tanto si addivenga,

per quanto dispone l'art. 440.1 del codice di rito, e come è

nella essenzialità del patteggiamento sul rito, di quell'accerta mento si potrà e dovrà tenere conto ai fini della decisione, che

viene assunta «allo stato degli atti», con utilizzazione di tutti

gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo dell'accusa, unico

disponibile nella fase dell'udienza preliminare.

Riassuntivamente, pertanto, può affermarsi il seguente prin

cipio: «La polizia giudiziaria è autonomamente legittimata ad

effettuare, sia tramite i propri organi tecnici che richiedendo

una pubblica struttura, analisi ricognitiva, e non valutativa, della

natura di sostanza che ritenga stupefacente, non quale accerta

mento urgente, non sussistendo il requisito della irripetibilità, ma quale indagine a corredo alla informativa di reato e a soste

gno delle ragioni giustificanti l'arresto in flagranza di reato.

Ne consegue che il relativo reperto non può essere utilizzato

ai fini della prova dibattimentale.

Tuttavia, qualora l'indagato sia giudicato con il rito abbre

II Foro Italiano — 1992.

viato, tale documento, legittimamente confluito nel fascicolo del

pubblico ministero, può essere utilizzato ai fini della prova del

fatto».

4. - Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e il ricor

rente condannato al pagamento delle spese processuali e, tenuto

conto dei termini del ricorso, al versamento, alla Cassa delle

ammende, a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 616 c.p.p.,

della somma, ritenuta equa, di cinquecento mila lire.

TRIBUNALE DI MILANO; TRIBUNALE DI MILANO; ordinanza 23 ottobre 1991; Pres.

Martorelli; imp. Kovacevic.

Giudizio direttissimo — Trasformazione in giudizio abbreviato — Interrogatorio

— Esclusione (Cod. proc. pen., art. 441,

452).

Nel giudizio direttissimo, l'imputato, se intende giovarsi del giu

dizio abbreviato, non può modificare la situazione degli atti

neppure attraverso proprie ulteriori dichiarazioni; ne conse

gue che, nel contesto del giudizio abbreviato, l'imputato non

può chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, essendo

tale strumento incompatibile con il criterio dello stato degli atti. (1)

L'art. 452 c.p., nel consentire il giudizio abbreviato in sede

di giudizio direttissimo, dispone che il giudizio abbreviato si svolga osservando le disposizioni per l'udienza preliminare in

quanto applicabili. Ritiene questo tribunale, in ciò richiamando

una propria ordinanza (4 maggio 1990, sez. Vili, imp. O.U.

Erghi+1), che tra le disposizioni applicabili al giudizio abbre viato non vi siano quelle che consentono l'interrogatorio del

l'imputato. L'interrogatorio dell'imputato, che è da considerar

(1) La pronuncia investe, pur con riferimento al giudizio abbreviato risultante dalla 'trasformazione' del giudizio direttissimo, uno degli aspetti più controversi del rito 'contratto' di cui agli art. 438 s. c.p.p.: la com

patibilità o meno dell'interrogatorio dell'imputato con il criterio dello 'stato degli atti'. In giurisprudenza, cfr., in senso conforme, Giud. ind.

prel. Trib. Milano 27 aprile 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Giudizio

abbreviato, n. 64 e Giud. ind. prel. Trib. Torino 17 gennaio 1990, Giur.

it., 1991, II, 373. L'opposto orientamento è sostenuto da Trib. Torino 22 marzo 1990, Foro it., Rep. 1990, voce Giudizio direttissimo, n. 10 e Giud. ind. prel. Trib. Torino 17 gennaio 1990, Giur. it., 1991, II, 372, nonché (implicitamente) Trib. Roma 4 novembre 1989, Foro it.,

Rep. 1990, voce Giudizio abbreviato, n. 62 e Trib. Treviso 1° dicembre

1989, ibid., n. 63. La tesi della compatibilità tra interrogatorio dell'im

putato e decisione 'allo stato degli atti' è adesso confortata — sia pure in via indiretta — da Cass. 7 febbraio 1991, Amato, Arch, nuova proc. pen., 1991, 625.

Sulla problematica, cfr., in dottrina, Di Chiara, Considerazioni in tema di rito abbreviato, finalità del processo e tecniche di giudizio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 579; Lavarini, Giudizio abbreviato ed interrogatorio dell'imputato, in Giur. it., 1991, II, 373; Pignatelli, in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chia

vario, Torino, 1990, IV, sub art. 441, 782; Siracusano, La decisione allo stato degli atti: un pesante limite del giudizio abbreviato, in Intro

duzione allo studio del nuovo processo penale, Milano, 1989, 216. Sulla 'trasformazione' del giudizio direttissimo in abbreviato, cfr. Del

l'anno, Conversione del giudizio direttissimo in abbreviato e limiti al

l'acquisizione probatoria, in Giust. pen., 1990, III, 115; De Roberto, Brevi osservazioni in tema di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, in Giur. it., 1990, II, 137; Id., L'«abbreviazio ne» del giudizio direttissimo. Innesto di «varianti» ed unitarietà del

giudizio abbreviato, ibid., 160; Di Chiara, Permeabilità dei riti e giudi zio abbreviato a seguito di conversione: il criterio dello 'stato degli atti' nella dialettica dei rapporti tra giudice e parti, in Foro it., 1991, II, 491; Sechi, La conversione nel giudizio abbreviato del giudizio direttis simo e del giudizio immediato, in I giudizi semplificati a cura di Gat

to, Padova, 1989, 277.

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