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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sezione VI penale; sentenza 17 maggio 1979; Pres. Spizuoco,...

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Sezione VI penale; sentenza 17 maggio 1979; Pres. Spizuoco, Est. Maltese, P. M. (concl. conf.); ric. Rodriquez. Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Messina, decr. 20 febbraio 1979 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 19/20-29/30 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171526 . Accessed: 25/06/2014 00:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.128 on Wed, 25 Jun 2014 00:45:14 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione VI penale; sentenza 17 maggio 1979; Pres. Spizuoco, Est. Maltese, P. M. (concl. conf.);ric. Rodriquez. Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret. Messina, decr. 20 febbraio 1979Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.19/20-29/30Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171526 .

Accessed: 25/06/2014 00:45

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PARTE SECONDA

lesione dell'interesse protetto, oltre il momento consumatilo, tra

scurando l'altro elemento che deve, secondo la migliore dottrina

e la giurisprudenza, accompagnarsi a detta lesione persistente

(che si ha anche nei reati istantanei ad effetto permanente) af

finché possa ravvisarsi l'ininterrotta protrazione della violazione

della norma penale, che costituisce l'essenza del reato perma nente e cioè la protrazione nel tempo della condotta del sog

getto secondo il modello commissivo od omissivo descritto nella

norma, fino a quando, per atto contrario di volontà del soggetto stesso (e cioè per astensione dal comportamento vietato o per attuazione di quello dovuto), sia ripristinata, quando ciò sia pos

sibile, la situazione antecedente alla violazione o sia posta in es

sere quella doverosa.

È manifesto che nella specie con l'« imbandieramento » del na

tante al nome della società estera di cui il ricorrente si era reso

partecipe, la condotta positiva di illecita costituzione a favore

altrui di un'attività soggetta a controllo valutario ebbe a perfe zionarsi ma anche ad esaurirsi in conformità al modello proibito, ditalché ciò che la corte del merito, aderendo alla teoria co

siddetta bifasica del reato permanente, ascrive alla fase omissiva

del comportamento del reo non concerne la protrazione della

condotta proibita, bensì soltanto la sfera riparatoria delle conse

guenze di essa, come appare chiaro dal rilievo che in rapporto al

bene uscito dal patrimonio dell'agente non v'è per questi un'at

tività ulteriore al momento consumativo, che egli possa e debba

interrompere per arrestare il corso della consumazione, ma sol

tanto la possibilità di un'autonoma iniziativa diretta a rendere

palese ed a porre riparo all'intervenuta alterazione del reale rap

porto di appartenenza del bene stesso, iniziativa, che, come si

è detto, erroneamente è stata nella specie ritenuta doverosa in

forza di una normativa ad essa non applicabile. In conclusione la sentenza impugnata dev'essere annullata rela

tivamente alla mancata effettuazione del giudizio di compara zione tra le concesse attenuanti generiche e l'aggravante del va

lore del bene costituito all'estero e, per l'espletamento di tale

giudizio, la causa va rinviata ad altra sezione della stessa Corte

d'appello di Firenze.

Per questi motivi, ecc.

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 17 mag

gio 1979; Pres. Spizuoco, Est. Maltese, P. M. (conci, conf.);

ric. Rodriquez. Dichiara inammissibile ricorso avverso Pret.

Messina, decr. 20 febbraio 1979.

Sequestro per il procedimento penale — Case di abitazione

sottratte all'utilizzazione locativa — Aggiotaggio — Ipotizza bilità — Sequestro — Custodia — Ricorso in Cassazione —

Inammissibilità (Cod. pen., art. 501; cod. proc. pen., art. 219,

337, 344, 524, 628).

È inammissibile il ricorso per cassazione, e può essere proposto soltanto incidente di esecuzione, avverso il provvedimento con

il quale il pretore, tenuto conto che la prolungata e deliberata

sottrazione al mercato da parte dei proprietari di alloggi sfitti al fine di non sottostare alla disciplina delle locazioni introdot

ta dalla legge n. 392/197S altera le dimensioni e l'equilibrio del mercato stesso, rendendo ipotizzabile il reato di cui all'art.

501 cod. pen., abbia ordinato il sequestro di detti alloggi per

impedire che il reato venisse portato a conseguenze ulteriori

e ne abbia affidato la custodia al prefetto (sostituito con suc

cessivo provvedimento con il sindaco) incaricandolo della im

missione, sulla base di criteri prestabiliti, nel mercato delle lo

cazioni. (1)

(1-5) I. - L'« inusitata rapidità» dell'intervento della Cassazione non è riuscita a risolvere definitivamente la questione della configurabi lità del reato di manovre speculative su merci o prodotti di prima necessità di cui all'art. 501 bis cod. pen., anche nel caso di case di abitazione sottratte all'utilizzazione locativa.

Infatti, mentre il Pretore di Roma non ha potuto, con il provvedi mento che si riporta, non adeguarsi alla sent. 18 maggio 1979, Cio tola (Foro it., 1979, II, 225, con nota di richiami) con cui la Cas sazione aveva annullato il decreto di sequestro 15 marzo 1979 (id., 1979, II, 142), il Pretore di Messina è riuscito ad immettere nel mer cato delle locazioni (con le modalità fissate nei decreti 5 maggio 1979, 20 aprile 1979, id., 1979, II, 257, e in quello qui riportato) una parte degli alloggi sequestrati (sulla base della diversa ipotesi delittuosa dell'aggiotaggio prevista dall'art. 501 cod. pen., con i provvedimenti 20 febbraio e 26 febbraio 1979, id., 1979, II, 142; la sent, della Cas sazione che si riporta ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso

II

PRETURA DI MILANO; decreto 4 luglio 1979; Giud. Gandus; Ceschina.

Economia pubblica (delitti contro la) — Manovre speculative su prodotti di prima necessità — Case di abitazione sottratte

all'utilizzazione locativa — Rilevante quantità — Sussistenza — Configurabilità del reato — Ordine di reimmissione sul mer

cato (Cod. pen., art. 501 bis; cod. proc. pen., art. 219; legge 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili

urbani).

Poiché il fatto del soggetto non imprenditore edile, che, proprie tario di più di trenta appartamenti, li tenga (in presenza di un

fenomeno di rarefazione, in Italia ed in particolare a Milano, di abitazioni poste in locazione, per la forte carenza di offerta in relazione ad una sempre crescente domanda) per lungo tem

po sfitti o invenduti integra il reato di manovre speculative su prodotti di prima necessità (tra i quali sono da ricompren dere le case di abitazione) di cui all'art. 501 bis, 2° com

ma, cod. pen., va ordinata, al fine di impedire che il reato sia

portato ad ulteriori conseguenze, la reimmissione degli appar tamenti nel mercato delle locazioni con la stipulazione (entro 80 giorni), previa adeguata pubblicità anche a mezzo stampa, di regolari contratti ai sensi della legge n. 392/1978. (2)

III

PRETURA DI MILANO; decreto 4 luglio 1979; Giud. Masca

RELLO.

Economia pubblica (delitti contro la) — Manovre speculative su prodotti di prima necessità — Case di abitazione sottratte

all'utilizzazione locativa — Rilevante quantità — Insussisten

za — Inconfigurabilità del reato (Cost., art. 41; cod. pen., art. 501 bis).

Non integra il reato di manovre speculative su prodotti di prima necessità (tra i quali sono da ricomprendere le case di abita

zione) di cui all'art. 501 bis, 2° comma, cod. pen., il fatto del

soggetto non imprenditore edile che, proprietario di meno di

trenta appartamenti, li tenga (in presenza di un grave squili brio tra il mercato, praticamente inesistente, delle case offerte in locazione e quello, ormai completamente saturo, delle case

offerte in vendita) per lungo tempo sfitti o invenduti. (3)

il decreto del 20 febbraio) per i quali sono stati stipulati regolari con tratti in base alla legge 392/1978 <(il contratto tipo si può leggere infra, sub II), e il Pretore di Milano (in base ad una azione :oordinata di più giudici) ha ritenuto di poter ricomiprendere (anche dopo la sentenza cit. della Cassazione le cui tesi sono ampiamente e

argomentatamele confutate nella motivazione del provvedimento di

proscioglimento qui riportato) le case di abitazione invendute e non ocate tra i « prodotti di prima necessità » ai sensi e per gli effetti li cui all'art. 501 bis cod. penale.

La novità dei provvedimenti qui riportati è rappresentata dall'indi viduazione operata dal Pretore di Milano della « rilevante quantità » Ji appartamenti sottratti all'utilizzazione locativa che può determina e l'incriminazione dei proprietari ai sensi dell'art. 501 bis. In ef etti l'azione penale è stata proseguita soltanto nei confronti dei Jroprietari (non imprenditori edili) di più di trenta appartamenti, ai

juali, evitato il provvedimento di sequestro, è stato ordinato di prov vedere, secondo determinate modalità, alla reimmissione degli alloggi ìel mercato delle locazioni.

Da segnalare l'evidenziazione, contenuta del decreto di prosciogli nento qui riportato, dei fenomeni, diffusi specialmente nei grandi entri abitati, delle occupazioni di immobili disabitati (sul quale v. 'ret. Roma 7 marzo 1978, in questo fascicolo, II, 74, con nota di ri

ihiami) e delle c. d. vendite frazionate del patrimonio immobiliare Ielle grandi società immobiliari e delle società e degli enti assicura ivi (per riferimenti, sul patrimonio immobiliare degli enti pubblici >revidenziali e delle società ed enti assicurativi v. Pret. Roma 16 lu :lio 1979, Foro it., 1979, I, 2486, con nota di L. Francamo, Diritto li proprietà e diritto all'abitazione in una fattispecie di obbligo a con rarre, resa in fattispecie riguardante l'obbligo gravante, ai sensi del 'art. 4 quater legge n. 93/1979, su tali enti di rendere pubblico aensilmente l'elenco delle unità immobiliari già destinate ad uso di bitazione che si siano rese o che si rendano disponibili); sul feno neno delle vendite frazionate v. Magistratura Democratica (bol sttino della Sezione Piemonte e Val d'Aosta), Diritto di sfrattare, 'ivieto di occupare (I - Il problema della casa), 1976, nn. 13-14, 84-88, ve anche cenni alla contrastante giurisprudenza della Pretura di 'orino in tema di provvedimenti a tutela del possesso e di prowedi ìenti d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. richiesti dalle società nmobiliari e di costruzione avverso comportamenti degli inquilini (« so o apparsi striscioni ai balconi delle case in vendita, sono stati dif esi volantini ai possibili acquirenti, con i quali li si mette in guardia ontro l'« affare », e li si 'avvisa dell'intenzione degli inquilini di sare tutti i mezzi legali per opporsi agli sfratti ») che (secondo la

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GIURISPRUDENZA PENALE

IV

PRETURA DI MESSINA; decreto 29 maggio 1979; Giud. Risi

cato; Rodriquez.

Sequestro per il procedimento penale — Case di abitazione sot

tratte all'utilizzazione locativa — Reato di aggiotaggio — Im

missione degli appartamenti sequestrati nel mercato delle lo

cazioni — Modalità (Cod. pen., art. 501, 501 bis; cod. proc.

pen., art. 219, 622, 623, 625).

Disposta con precedente provvedimento l'immissione nel mercato

delle locazioni di appartamenti da tempo non locati, sottopo sti a sequestro penale per impedire che venisse portato ad ul

teriori conseguenze il reato di cui all'art. 501 cod. pen., e ces

sate le ragioni del sequestro e dèlia custodia giudiziaria in se

guito alla stipulazione (curata dal rappresentante legale della

società immobiliare proprietaria a ciò autorizzato con altro prov

vedimento) dei contratti di locazione e alla successiva conse

gna degli immobili, va autorizzato il versamento dei canoni

locativi successivi al primo direttamente al proprietario, ed il

sindaco, nominato custode giudiziario, va esonerato dagli ob

blighi inerenti alla custodia dal momento della consegna al

conduttore di ciascun immobile. (4)

motivazione di un provvedimento reiettivo di uno di tali ricorsi) « nessun potenziale acquirente può immaginare che vedano di buon occhio il passaggio della proprietà da una società immobiliare ad un

privato, col conseguente rischio dell'esposizione ad uno sfratto per necessità, ... ».

In dottrina, da ultimo, v., in margine alle vicende processuali di

Messina, Roma e (per quanto rilevabile dalle notizie della stampa non specializzata) Milano, Speculazione sulle case: aggiotaggio, in Quale giustizia, 1978, nn. 47-48, 658-662, ove è criticata Cass. 18 mag gio 1979, cit.; di tale sent, non ha potuto tenere conto La Cute, Aggiotaggio immobiliare, in Giur. merito, 1979, II, 937, nel commen tare le vicende di Messina e di Roma (ivi comprese quelle relative al decreto 30 aprile 1979, Foro it., 1979, II, 225).

Numerosi operatori del diritto sono intervenuti nel dibattito a di stanza sviluppatosi sulla stampa non specializzata nei primi mesi (specie febbraio e marzo) dell'anno a seguito dei provvedimenti pre torili: una rassegna di tali opinioni è delineata, in modo tendenzial mente contrario a tali iniziative giudiziali, da G. Salerno, Locazione di alloggi e aggiotaggio, in Diritto e società, 1979, 663-670.

II. - Si riportano di seguito lettera del sindaco di Messina, custode

giudiziario degli immobili sequestrati nel corso della vicenda proces suale di cui al provvedimento del Pretore di Messina in epigrafe, e il contratto di locazione di tali appartamenti:

a) « Nella qualità di custode giudiziario degli alloggi sequestrati nel complesso « Linea Verde » e giuste disposizioni del Pretore di Messina n. 237/79JRG/RI del 20 febbraio 1979; 26 febbraio 1979 (Foro it., 1979, II, 142); 20 aprile 1979; 5 maggio 1979 {id., 1979, II, 257) si comunica che:

Il signor (omissis) e la soc. Adison s.p.a. - Messina, sono invitati Verde» (1° piano - Ufficio Gabinetto) alle ore (omissis) del giorno a presentarsi presso il Palazzo Municipale - Servizio speciale « Linea (iomissis) in riferimento alla stipula del contratto di locazione relativo all'appartamento in calce.

Il signor (omissis) dovrà presentarsi munito di un documento di identità e del numero di codice fiscale e dovrà provvedere al versa mento della somma di lire (omissis) a titolo di deposito cauzionale ed al pagamento anticipato della prima mensilità e di metà delle spese di registrazione (lire omissis) ».

b) « Contratto di locazione. L'anno 1979, il giorno (omissis) del mese di (omissis), in Messina, davanti al sottoscritto sig. Iacono Biagio, cancelliere della Pretura di Messina — che partecipa al presente atto ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli art. 501 bis, 3° comma, cod. pen., 625 cod. proc. pen., giusto provvedimento del Pretore di Messina in data 20 aprile 1979 (cit.), emesso nell'ambito del procedimento penale n. 237/79 — è presente il sig. (omissis) il quale riceve in locazione l'appartamento sito in Messina via Nuova Panoramica, ubicata nel complesso denominato « Linea Verde » (di proprietà della s^p.a. Adison, corrente in Messina), palazzina n. (omissis), int. (omissis), avente una superficie convenzionale di mq. (omissis), cosi come calcolata dall'ufficio tecnico comunale.

La locazione ha la durata di anni quattro da oggi, come per legge, e comporta il pagamento di un equo canone mensile di lire (omissis) (come calcolato dall'ufficio tecnico comunale), salve le rivalutazioni di legge. Essa è disciplinata dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 e succ. mod., nonché dalle norme del codice civile. È vietata la sublo cazione.

ili sig. (omissis) versa oggi in deposito giudiziale l'equivalente di tre mensilità, due come deposito cauzionale ed una come canone an ticipato per il primo mese di locazione. Deposita inoltre la somma di lire (omissis) per spese di registrazione, restando autorizzato a detrarre la metà di essa (quale quota a carico del proprietario) dal canone del secondo mese di locazione.

La consegna dell'appartamento sarà curata dal custode giudiziario o da un suo delegato entro cinque giorni da oggi, e comporterà la cessazione degli obblighi inerenti alla custodia, in base al provvedi mento pretorile del 29 maggio 1979 (cit.). iPoiché con la consegna

V

PRETURA DI ROMA; decreto 6 maggio 1979; Giud. Paone; Ciotola.

Sequestro per il procedimento penale — Case di abitazione sot

tratte all'utilizzazione locativa — Manovre speculative su pro dotti di prima necessità — Non confìgurabilità — Sequestro — Illegittimità — Restituzione agli aventi diritto (Cod. pen., art. 501 bis; cod. proc. pen., art. 337, 622, 624).

Va disposta, a cura del sindaco nominato custode giudiziario, la

restituzione agli aventi diritto delle case di abitazione sottratte all'utilizzazione locativa, il sequestro delle quali, non qualifica bili « prodotti di prima necessità » ai sensi e per gli effetti di

cui all'art. 501 bis cod. pen., sia stato ritenuto illegittimo dalla

Corte di cassazione. (5)

I

La Corte, ecc. — Fatto e diritto. — Con decreto del 20 feb

braio 1979 (Foro it., 1979, II, 143), il Pretore di Messina, accer

tata nell'ambito del comune l'esistenza, in numero molto elevato, di alloggi vuoti che i proprietari preferivano non affittare per sottrarsi alla disciplina della nuova legge sulle locazioni, riteneva

di ravvisare in tale comportamento gli estremi del reato previsto e

punito dall'art. 501 cod. pen. del rialzo fraudolento di prezzi sul

pubblico mercato. Pertanto, allo scopo di impedire che il supposto reato venisse portato a conseguenze ulteriori, ordinava il seque stro di 159 alloggi sfitti, di cui la società Adison disponeva in

Messina per destinarli alla vendita.

Prescriveva inoltre l'immissione dei detti alloggi nel mercato

delle locazioni secondo le condizioni della legge sull'equo canone.

Nominava custode. degli appartamenti il prefetto e poi, con

provvedimento del 26 febbraio 1979 (id., 1979, II, 143), il sindaco, con l'incarico di individuare i singoli conduttori fra coloro che

ne avessero fatto domanda in base ai criteri legali prestabiliti. Contro tale decreto ha proposto ricorso per cassazione Rodri

quez Leopoldo, in proprio e quale legale rappresentante dell'Adi

son s.p.a. per i seguenti motivi:

1) Abnormità del provvedimento, almeno nella seconda parte del dispositivo concernente l'immissione degli appartamenti se

questrati nel mercato delle locazioni con le annesse istruzioni al

prefetto e poi al sindaco; provvedimento e istruzioni non inqua drabili nella sfera della potestà giurisdizionale del pretore, non

essendo la fattispecie riferibile all'ipotesi normativa dell'art. 501

cod. pen., citato nel decreto pretorile, che tassativamente contem

pla e reprime, senza possibilità di interpretazione estensiva o di

applicazione analogica, il solo rialzo (o ribasso) fraudolento del

prezzo delle merci (e dei valori ammessi nelle liste di borsa o

negoziabili), cioè di beni mobili, rimanendone inequivocabilmen te esclusi gli immobili.

Si tratterebbe secondo il ricorrente, di un caso di straripamen to di potere, attuato mediante una vera e propria requisizione e

poi, attraverso il provvedimento di surroga del sindaco al prefetto nel compito di custodia degli appartamenti, mediante un abusivo

ampliamento della facoltà spettante alla pubblica autorità ammi

nistrativa comunale, ai sensi dell'art. 17 legge 2 febbraio 1979 n.

1, di procedere alla assegnazione di alloggi di edilizia residen

ziale pubblica. Più particolarmente, secondo il ricorrente, il confronto tra la

fattispecie concreta e quella ipotizzata dall'art. 501 cod. pen. di

mostrerebbe il duplice arbitrio della decisione del pretore nel

reimmettere nel mercato beni immobili con lo strumento della

— secondo lo stesso provvedimento — viene meno anche la ragion d'essere del sequestro (e, con esso, l'obbligo del deposito giudiziale), le mensilità successive alla prima dovranno essere versate — a mezzo

vaglia postale — direttamente alla ditta proprietaria, entro il giorno

(omissis) di ogni mese. Al presente atto viene allegata copia del verbale di consistenza

dell'appartamento, redatto a cura dell'ufficio tecnico comunale.

Poiché da esso risulta che sono necessarie alcune riparazioni, il loca

tario è autorizzato ad eseguire direttamente i lavori anticipando la

relativa spesa e detraendola dai canoni dovuti al proprietario. Le spese dovranno essere documentate e potranno essere sottoposte a controllo

tecnico. Il presente atto viene sottoscritto anche dal custode giudiziario (o suo

delegato), in relazione alla parte che lo riguarda». III. - Con riferimento alla sent, della Cassazione in epigrafe la

giurisprudenza della corte è consolidata circa l'impugnabilità non del decreto di sequestro penale, ma dell'ordinanza che decide sull'incidente di esecuzione avverso di esso proposto: in argomento v. i richiami nella nota a Cass. 18 maggio 1979, Ciotola, supra cit. e nella nota di M. Boschi a Cass. 12 novembre 1975, P.m. c. La Barbera, Foro it., 1977, II, 173.

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PARTE SECONDA

locazione coattiva, mentre l'art. 501 bis cod. pen. prevede la pos sibilità di reimmissione nel mercato dei soli beni mobili — per giunta consumabili — col solo strumento della vendita coattiva.

2) Il provvedimento sarebbe abnorme anche in relazione all'or dine di sequestro in se stesso considerato, inestensibile sia a beni diversi da quelli indicati in legge, sia a comportamenti non in

trinsecamente illeciti. Mentre nel caso concreto non potrebbe considerarsi intrinsecamente un illecito il denunciato comporta mento permissivo, che apparirebbe, invece, conforme al principio del libero esercizio del diritto di proprietà, in assenza di una

specifica limitazione legale nel senso voluto dal pretore col de creto impugnato.

Tale comportamento, d'altronde, sarebbe obiettivamente inido neo a cagionare variazioni di prezzi in un sistema economico-giu ridico nel quale non esiste più un libero mercato delle locazioni

degli immobili urbani.

Tanto meno sarebbe idoneo, al di fuori della costituzione di un trust fra le massime società immobiliari, a provocare « frau dolente » sollecitazioni del legislatore a modificare il detto siste ma (modificazione che, proprio perché voluta dal legislatore, sa

rebbe, d'altronde, legittima). L'inettitudine della condotta incri minata a realizzare l'evento dell'art. 501 cod. pen. escluderebbe, inoltre, la sussistenza del dolo, essendo, se mai, intenzione del l'interessato evitare un'utilizzazione degli immobili in modo ri

tenuto non remunerativo: il che non integrerebbe certamente gli estremi del dolo penale.

Sotto ogni aspetto, pertanto, il provvedimento, da considerare

abnorme, sarebbe soggetto a ricorso immediato alla Corte di cas sazione per essere annullato senza rinvio.

Ritiene la corte che, impregiudicata la fondatezza dei motivi di annullamento del decreto impugnato, si ponga, in termini esclu sivamente procedurali, un problema pregiudiziale di ammissibi lità del ricorso. Per giurisprudenza costante, invero, il provvedi mento di sequestro è soggetto ad opposizione col rito degli inci denti di esecuzione.

E poiché rappresenta condizione negativa essenziale alla pro ponibilità del ricorso immediato per cassazione contro un prov vedimento ritenuto abnorme l'insussistenza di altra possibilità di rimuoverne gli effetti (Cass., Sez. II, 26 ottobre 1970, Notarange lo, id., Rep. 1971, voce Impugnazioni pen., n. 11), nel caso con

creto, in mancanza di tale condizione essenziale, deve conside rarsi inammissibile il ricorso per cassazione contro il provvedi mento di sequestro, i cui effetti sono sicuramente rimovibili con il procedimento anzidetto degli incidenti di esecuzione.

Considerato, inoltre, che, una volta annullato, a conclusione del

procedimento ordinario, il decreto in esame, e dissequestrati gli appartamenti, ne risulteranno necessariamente e contestualmente caducati i connessi provvedimenti di nomina del sindaco a cu stode dei beni sequestrati e di immissione nel mercato dei beni

medesimi, si deve ritenere assorbente il motivo pregiudiziale an

zidetto, con la conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Per questi motivi, dichiara inammissibile il ricorso per il mo tivo pregiudiziale sopra indicato e condanna il ricorrente al pa gamento delle spese processuali.

II

Il Pretore, ecc. — Letti gli atti del fascicolo a margine indicato — rilevato che a carico di Ceschina Riccardo sono emersi

dalla documentazione acquisita sufficienti indizi in ordine alla sussistenza del reato di cui all'art. 501 bis, 2° comma, cod. pen.;

— considerato che è compito dell'autorità giudiziaria impedire che il reato venga portato a conseguenze ulteriori;

— ritenuto che a questo fine è indispensabile la reimmissione nel mercato delle locazioni delle abitazioni a tutt'oggi sfitte di

proprietà di Ceschina Riccardo (quale legale rappresentante della società Sanitaria Ceschina e C. s.p.a.) di cui al mandato di com

parizione; — letto l'art. 219 cod. proc. pen., ordina a Ceschina Riccardo

di reimmettere nel mercato delle locazioni gli appartamenti di

(omissis) stipulando entro il 24 settembre 1979, previa adeguata pubblicità, anche a mezzo stampa, regolari contratti ai sensi della

legge 392/1978.

Ili

Il Pretore, ecc. — A seguito delle notizie di stampa, relative

al mercato delle case in Milano, pubblicate su diversi quotidiani (cfr. per tutti gli articoli pubblicati su « Il Corriere della Sera »

e su « La Repubblica », in atti), questo ufficio apriva il presente

procedimento penale, rubricato al n. 6184/79 Reg. Gen. B « Atti

relativi alla situazione di appartamenti vuoti nel mandamento di Milano ».

Riteneva, infatti, questa pretura che la situazione delle case descritta in tali articoli, successivamente confermata dalle som marie informazioni assunte e caratterizzata da una rilevante e

sempre più crescente domanda di alloggi in locazione e da una

contrapposta, altrettanto rilevante e crescente, quantità di appar tamenti tenuti sfitti, oltre che costituire un grave problema so

ciale, avesse anche rilievo ai fini penali. In particolare, nel comportamento dei proprietari di apparta

menti tenuti sfitti poteva astrattamente ravvisarsi la violazione dell'art. 501 bis cod. pen., quantomeno con riferimento alla fat

tispecie prevista dal secondo comma di detta norma, recentemen te introdotta dalla legge 27 novembre 1976 n. 787 in aggiunta e ad integrazione dell'unica ipotesi di aggiotaggio, originariamente prevista e di cui all'art. 501 cod. penale.

Superando, infatti, l'ambito di applicazione di quest'ultima

previsione, estremamente ristretto sia con riguardo alla condotta

vietata che all'elemento soggettivo richiesto, l'innovazione legisla tiva, conseguente all'inserimento nel codice penale dell'art. 50!

bis, comporta ora la perseguibilità (primo comma) di chi, nello esercizio di attività produttiva o commerciale, pone in essere com

portamenti astrattamente idonei a determinare la rarefazione o il

rincaro sul mercato interno di materie prime, di generi alimen

tari di largo consumo e di prodotti di prima necessità. Non solo.

Al secondo comma del medesimo articolo è, altresì, prevista la

punibilità di chi, sempre nell'esercizio delle suindicate attività, in presenza di una situazione di rarefazione o di rincaro, sottrae

all'utilizzazione o al consumo rilevanti quantità dei medesimi be

ni, ciò a prescindere dalla stessa idoneità della condotta tenuta

ad incidere sul meccanismo della domanda e dell'offerta.

Tale notevole allargamento della nozione giuridica del c. d.

aggiotaggio rispecchia, evidentemente, la convinzione del legisla tore di non potere altrimenti intervenire su tale grave fenomeno, se non tenendo conto della complessità delle sue cause e perse

guendo, in questa prospettiva, non solo le grosse speculazioni, direttamente ed immediatamente influenti sull'andamento del mer

cato, ma anche 'e altre attività, che, pur scarsamente rilevanti se

considerate singolarmente, innestandosi in una situazione di ra

refazione o di rincaro del mercato, interagiscono tra di loro e

determinano quantomeno un aggravamento del fenomeno.

Quanto ai beni, dei quali la norma in esame intende garantire la circolazione e la disponibilità sul mercato, ritiene questa pre tura, in contrasto con la recente decisione emessa in materia

dalla Suprema corte, che dal loro novero non possa essere escluso

un bene primario ed irrinunciabile quale la casa, solo perché, trattandosi di un bene immobile, esso non rientrerebbe nella ca

tegoria delle « merci », espressamente richiamata dal 2° comma dell'art. 501 bis cod. penale.

Infatti, anche a prescindere dalla collocazione del termine « merce », che nel secondo comma della norma viene utilizzato in funzione di mero richiamo delle categorie di beni già menzio nati nel comma precedente (e delle quali si parlerà più diffusa mente in seguito), va precisato che tale espressione non può oggi non ricomprendere anche il bene casa.

Nella nozione di merce, infatti con un'interpretazione non ana

logica, ma semplicemente estensiva ed evolutiva, che deve essere necessariamente adottata se si vuole finalmente conciliare l'econo mico ed il sociale con il giuridico, rientra ogni bene, mobile o

immobile, che sia suscettibile di valutazione economica ed og getto di scambio.

La possibilità di una simile interpretazione è, d'altra parte, am messa dalla stessa sentenza della Cassazione (Sez. VI 18 maggio 1979, Foro it., 1979, II, 225), nella quale infatti si legge che « mer ce è tutto ciò che è oggetto di commercio (quindi anche il bene

immobile, in via generale e astratta, può essere considerato

merce) ».

Ma la Cassazione, definendo quest'ultima posizione « una non

frequente interpretazione estensiva », preferisce per escluderla

operare un tautologico richiamo all'art. 812 cod. civ., il quale in realtà espone solo la distinzione tra beni mobili ed immobili, ma

non contiene alcun accenno, né esplicito né implicito, alla cate

goria delle merci.

La Cassazione ricorre, poi, sempre per escludere la possibilità di definire merci le abitazioni, alla ormai superata tripartizione tra derrate, merci ed immobili, già contenuta nel codice di com

mercio del 1882. In realtà, se tale classificazione rappresenta un

indubbio dato storico di riferimento, il richiamo ad essa dovreb

be valere — a parere di questo giudice — proprio per dimostrarne

l'ormai definitivo superamento in una realtà economico-sociale

che, dopo quasi un secolo, non può più essere certamente neppure

paragonata a quella regolata dal codice di commercio del 1882.

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GIURISPRUDENZA PENALE

Una simile conclusione, anzi, stante l'abbandono della suddetta

tripartizione, risulta tanto più attendibile ove si consideri che,

proprio nella materia giuridica, è più facile e frequente la conser

vazione, per puro omaggio alla tradizione, di istituti e classifica

zioni che hanno ormai perso di ogni attualità storica.

Comunque, come già si è accennato in precedenza, va ribadito

che il termine « merce » usato nel secondo comma della norma in

esame non ha, né può avere, funzione esplicativa né tantomeno

limitativa rispetto all'elencazione già contenuta nel precedente comma dello stesso articolo, costituendo esso un mero richiamo

della precedente elencazione, alla quale, pertanto, si deve neces

sariamente fare riferimento e nella quale deve ritenersi indubbia

mente ricompreso, tra i prodotti di prima necessità, anche il bene

casa.

A prescindere dalla categoria delle materie prime, il cui richia

mo risponde all'ovvia esigenza di garantire l'attività produttiva in

genere e che, in mancanza di quelle, sarebbe definitivamente com

promessa, appare infatti evidente che la ratio legis che ha guidato il legislatore non si fonda sulla distinzione giuridica tra beni mo

bili e beni immobili, ma su quella concreta della capacità o meno

di un bene di soddisfare bisogni primari, dal momento che pro

prio dalla essenzialità ed irrinunciabilità di un dato bene nasc

la possibilità di costringere comunque la collettività al suo repe

rimento, a qualsiasi prezzo e condizione. Ne è dimostrazione, per la casa, la frequente violazione della legge sull'equo-canone, con

sistente nella richiesta di importi superiori a quelli normativamen

te predeterminati o di lettere di disdetta «in bianco»; cosi come

ne è dimostrazione il frequente fenomeno della occupazione di

case, almeno per quanto riguarda il mandamento di Milano.

Significativa ed illuminante è poi l'identità delle cause e degli effetti riscontrabile oggi nel fenomeno di rarefazione delle case

rispetto a quello, verificatosi nel 1976, di rarefazione di alcuni

generi alimentari. È, infatti, a tutti palese che la già sensibile ca

renza di case offerte sul mercato delle locazioni, sempre per quan to riguarda Milano, si è ulteriormente aggravala dopo l'introdu zione del « calmiere » dei canoni locativi, di cui alla recente legge c. d. dell'equo-canone, proprio come, appunto nel 1976, la rare fazione di alcuni generi alimentari era conseguita all'introduzione di un calmieramento dei relativi prezzi di vendita.

A conferma di quanto precede, va poi rilevato che la stessa formulazione adottata dall'art. 501 bis cod. pen. dimostra chia ramente che, anche se il motivo contingente che sollecitò il le

gislatore ad emanare detta norma fu il noto imboscamento di ge neri alimentari, la volontà legislativa che animò tale intervento fu più ampia ed incisiva rispetto alle strette esigenze del momen

to, essendo essa diretta (cosi come dimostra l'inserimento accanto alla categoria dei generi alimentari di largo consumo anche di

quella dei prodotti di prima necessità) ad impedire, in generale, qualsiasi attività negativamente incidente su beni di interesse so

ciale, la cui rarefazione o rincaro potesse determinare la lesione dell'interesse collettivo alla loro disponibilità ed utilizzabilità.

Una simile interpretazione della portata dell'art. 501 bis in ge nerale e del secondo comma in particolare, trova anche una im

portante conferma giurisprudenziale nella interpretazione fornita, oltre che dai giudici di merito, anche dalla Suprema corte della

espressione « mezzi di sussistenza » adottata dal 2° comma del l'art. 570 cod. pen., per l'appunto costantemente identificati, sen za disquisizione alcuna sulla possibilità o meno di definire i beni immobili dei « mezzi », nelle esigenze non solo di vitto e di ve

stiario, ma anche di alloggio. Meraviglia, dunque, che la stessa corte, a fronte dell'espres

sione « prodotti di prima necessità », quantomeno altrettanto ine

quivocabile e pregnante di quella « mezzi di sussistenza » usata dall'art. 570 cod. pen., eviti addirittura di esaminare il signifi cato e le implicanze sostanziali di essa e si limiti, invece, ad ana lizzare esclusivamente il termine « merce », dandone poi un'inter

pretazione estremamente restrittiva. Diversamente da quanto ha ritenuto di fare la Cassazione, l'esa

me dell'espressione « prodotti di prima necessità » non può, a

parere di questo giudice, essere evitata. Della indispensabilità del bene casa per la sopravvivenza umana si è già detto.

Per quanto riguarda poi l'inserimento di detto bene nella cate

goria dei prodotti, risulta innegabile che la casa è il risultato di una attività di trasformazione, cosi come, d'altra parte, rico nosce la stessa legge sull'equo canone, nella quale infatti è più volte menzionato quale parametro-base per la valutazione del canone locativo il « costo unitario di produzione » dell'immobile.

Ritenuto, quindi, che le case rientrano tra i prodotti di prima necessità elencati dalla norma in esame, rimangono ancora da individuare i possibili soggetti attivi del reato de quo.

Come già si è detto, l'art. 501 bis cod. pen. si riferisce, sia al

primo che al secondo comma, a coloro che esercitano un'attività

produttiva o commerciale.

L'espressione generica ed assai vasta adottata, non implicando alcun riferimento all'elemento della professionalità, consente di

far rientrare, per quanto attiene l'aspetto qui trattato delle abita

zioni, nelle categorie dei soggetti attivi del reato non solo i co

struttori e le grosse immobiliari, la cui unica o predominante at

tività consiste appunto nella produzione o nel commercio di al

loggi, ma anche chiunque possegga, per farne commercio ovvero

per semplice investimento, anche una sola abitazione.

Ciò nonostante, ritiene questa pretura che, esistendo per le

case il doppio mercato della vendita e della locazione, i costrut

tori di stabili debbano essere esclusi dal novero dei soggetti attivi

del reato, in quanto, esplicandosi la loro attività proprio nella

costruzione di case, diventa per essi indispensabile recuperare at

traverso la vendita degli alloggi costruiti i costi di produzione

sostenuti, che non solo coprono il profitto, ma costituiscono an

che l'indispensabile capitale per la costruzione di nuove case.

A tale esclusione perviene anche, nella già citata sentenza, la

stessa Corte di cassazione, peraltro attraverso argomentazioni non

condividibili. La Suprema corte, infatti, giustifica l'esclusione operata nei con

fronti dei costruttori sulla base del diritto di proprietà, interpre

tata come assoluta libertà di disporre e di non disporre dei pro

pri beni, in netto contrasto proprio con il richiamato art. 41

Cost che, per la prima volta, in Italia, conferiva alla proprietà

una specifica funzione sociale.

Ritiene questa pretura che, alla luce di tale limite sociale, il

quale — essendo imposto costituzionalmente — diventa anche li

mite giuridico del diritto di proprietà, nessun proprietario, che

non ne fruica personalmente, possa sottrarre alla utilizzazione

naturale, sia essa la vendita ovvero la locazione, un bene di pri

maria necessità e di rilevante valore sociale quale la casa.

Ne consegue che, stante l'evidente squilibrio (aggravato dalla

entrata in vigore della legge sull'equo-canone e dei limiti ai ca

noni locativi con essa imposti) determinatosi in grosse città, come

a Milano, tra il mercato, praticamente inesistente, delle case of

ferte in locazione e quello — ormai completamente saturo —

delle case offerte in vendita, l'eventuale immissione nel mercato

della vendita di un appartamento da parte di un proprietario

non costruttore non comporta sempre e necessariamente una se

ria ed effettiva volontà di immettere detto bene nel mercato e,

pertanto, l'automatica esclusione in tale ipotesi della condotta

sanzionata dall'art. 501 bis cod. penale.

Qualora, infatti, tale immissione sul mercato delle vendite sia

effettuata senza una sufficiente pubblicizzazione o ad un prezzo

supcriore al valore intrinseco del bene ovvero del prezzo di mer

cato normalmente attribuito ad un appartamento con identiche

caratteristiche ovvero, ancora, secondo le regole del libero mercato

al potere di acquisto dei possibili richiedenti, si deve ritenere che

l'offerta di vendita sia in realtà un'offerta fittizia, dietro la quale viene camuffata la sottrazione di quell'appartamento ad una qual siasi utilizzazione, sia essa la vendita oppure la locazione, vice

versa doverosa sia ai sensi dell'art. 41 Cost, sia ai sensi della di

sposizione penale di cui trattasi.

Oltre che dalla qualificazione dei soggetti, un'ulteriore limita

zione alla applicabilità della norma in esame discende, poi, dal

requisito della «rilevante quantità», per l'appunto previsto dal

2° comma dell'art. 501 bis cod. penale.

L'ovvia mancanza di un preciso limite numerico, predetermi nato per legge, l'evidente influenza che nella sua concreta deter

minazione vengono ad esercitare le particolari condizioni ed esi

genze del mercato locale e le conseguenti, anche non lievi, oscil

lazioni e variazioni che tale limite può subire non solo in rela

zione al luogo, ma anche, rispetto allo stesso luogo, in relazione

al tempo dell'osservazione, sconsigliano però di trattare in astrat

to questo argomento. Di esso, pertanto, si parlerà — più oppor tunamente — in seguito, in sede di valutazione dei risultati finora

emersi dall'indagine compiuta in Milano.

Pervenuta, infatti, alla conclusione che anche la sottrazione

al mercato delle case di abitazione avrebbe potuto in astratto, e

salvo verifica degli altri elementi previsti dalla norma, configurare il reato di aggiotaggio nella forma disciplinata dal 2° comma del

l'art. 501 bis cod. pen., questa pretura ha ritenuto necessaria ac

certare la sussistenza e, soprattutto, l'entità del fenomeno sul ter

ritorio milanese.

E ciò non nell'utopia di dovere o, tantomeno, potere attra

verso un'azione giudiziaria risolvere i gravi, spesso drammatici,

problemi connessi alla estrema carenza di abitazioni, problemi che — pur avendo cause e producendo effetti soprattutto econo

mici, sociali e politici — non sono comunque alieni anche da

immediati risvolti giuridici e, nella specie, penalistici, come quo tidianamente deve purtroppo constatare questo ufficio, quantome no per il rilevante numero di occupazioni abusive di case che

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PARTE SECONDA

vengono denunciate e che sono determinate, nella stragrande mag

gioranza dei casi, dall'assoluta impossibilità di recepire lecitamente

le abitazioni necessarie sul mercato delle locazioni, bensì nella

convinzione che l'intervento del giudice sia doveroso anche in

presenza di un fatto che, pur discostandosi dalla concezione « clas

sica » del reato e non rientrando tra le fattispecie criminose tra

dizionalmente e prevalentemente perseguite, integra pur sempre

un'ipotesi prevista dal codice penale.

Queste sono le ragioni che hanno avviato il presente procedi mento. Ne è seguito un accertamento necessariamente lungo e

difficoltoso per la vastità del territorio sottoposto al controllo e,

soprattutto, limitato dalla quasi assoluta mancanza di mezzi e

strutture, idonei ad una simile ricerca, a disposizione di questo ufficio che, come è noto, cosi' come la maggior parte degli uffici

giudiziari, non è adeguatamente attrezzato per affrontare in mo

do consono ed efficiente il nuovo tipo di criminalità emergente. Oltre che dalle deficienze strutturali dell'ufficio, la comple

tezza dell'indagine è stata inoltre compromessa, ancor più che

dalla scarsa volontà di collaborazione spesso incontrata, anche

e soprattutto dalla assoluta ed impressionante mancanza di dati

certi e complessivi in possesso degli enti pubblici e degli orga nismi politici, che istituzionalmente si occupano del problema del

la casa.

Benché, dunque, l'indagine iniziata dovrà essere ulteriormente

proseguita con riguardo al rimanente territorio mandamentale ed

ulteriormente approfondita per quanto concerne lo stesso ambito

cittadino, rispetto al quale i risultati finora ottenuti sono inevi tabilmente provvisori e suscettibili di ulteriori modificazioni ed

integrazioni, dal momento che essi stessi non rappresentano un censimento completo e definitivo degli alloggi sfitti in Milano e

della relativa proprietà, ciò nonostante questa pretura ritiene do

veroso, essendo già allo stato emersi elementi che consentono un

primo bilancio della situazione milanese, nonché l'incriminazione

di alcuni proprietari di case, compiere una prima valutazione dei

dati finora raccolti.

I risultati cui si è pervenuti, grazie anche e principalmente alla preziosa collaborazione fornita dall'Azienda elettrica munici

pale e dall'E.n.el., che hanno messo a disposizione di questo ufficio gli elenchi delle forniture di energia già funzionanti ed ora cessate, nonché dal nucleo mobile della vigilanza urbana di

Milano, che ha successivamente verificato i dati ricavati da tali

elenchi, documentano l'esistenza in Milano di una situazione estre mamente articolata e complessa.

L'esistenza di numerosissimi alloggi sfitti non esaurisce, infatti, come chiaramente emerge dalle molte dichiarazioni agli atti, rac colte nel corso della presente indagine, il drammatico problema della casa in Milano, che — in questa città, forse più che in altre — assume aspetti e sfumature assai variegati e spesso « sottili ».

È, innanzitutto, notorio che, diversamente da altre città, in Milano il fenomeno dell'inurbamento non ha raggiunto livelli di speculazione selvaggia, ma che anzi si è qui verificato il feno meno inverso di depauperamento del patrimonio abitativo già esi

stente, poiché — non ritenendo remunerativa la manutenzione di detti stabili — molti proprietari hanno preferito sospendere ogni intervento conservativo o di restauro, lasciando cosi' andare in

completo decadimento una rilevante quantità di alloggi.

Inoltre, anche prima che entrasse in vigore la legge sull'equo canone, il grosso ed improrogabile bisogno di case aveva dato

luogo in questa città, a seconda delle possibilità economiche delle

persone interessate a reperire un alloggio, ad un duplice, paralle lo fenomeno. Da un lato, la situazione esistente spingeva i meno abbienti al preoccupante e rilevante ricorso all'occupazione abu

siva, di cui innanzi si è fatta menzione. Dall'altro lato, detta si tuazione consentiva alla proprietà immobiliare di esigere da parte dei più capaci economicamente la corresponsione di canoni loca tivi esorbitanti.

È notorio, poi, che analoghi comportamenti da parte della

proprietà sono continuati anche dopo l'entrata in vigore della

legge sull'equo canone, che avrebbe invece dovuto imporre limiti invalicabili a simili pretese.

Ancora oggi, infatti, molti proprietari, potendo contare sul l'estremo bisogno di case esistente e sulla forzosa collaborazione cui si trovano costretti gli stessi richiedenti sia immediatamente

per reperire comunque un alloggio, sia successivamente per con servarselo (in presenza dell'assoluta libertà del proprietario di disdire il contratto alla sua scadenza) pretendono ed ottengono la corresponsione di importi integrativi rispetto al canone dovuto

per legge, spesso esigendo come « garanzia » del pagamento sup pletivo la consegna di una lettera di disdetta senza data, con la quale di fatto « ricattano » (si voglia o no far rientrare tale

comportamento nella fattispecie criminosa dell'estorsione) il con

duttore, cosi realizzando un vero e proprio « mercato nero »

delle case.

Ma, accanto a questi, il fenomeno di gran lunga più diffuso e preoccupante nella città di Milano appare oggi quello delle ven dite frazionate. Tale via è, in particolare, prescelta e prediletta dalle grosse immobiliari e dalle assicurazioni, che stanno cosi

praticamente liquidando gran parte del loro patrimonio immo biliare.

Tale fenomeno è caratteristico di Milano, essendo esso favo rito dalla indubbia maggiore capacità economica dei suoi abitanti.

Ciò nonostante, esso risulta ugualmente preoccupante poiché — come emerge dalle dichiarazioni in atti, rese dai sindacati degli inquilini — avviene spesso che i conduttori degli alloggi interes sati alle vendite frazionate, conoscendo l'enorme difficoltà di

trovare un'altra casa, pur di non perdere l'alloggio in cui abita

no, si assoggettano a pesanti indebitamenti, arrivando — persi no — in casi limite a dimettersi dall'impiego per poter fronteg giare con la liquidazione le spese necessarie per l'acquisto.

Il riferimento a tale complessiva situazione è stato operato in

quanto, pur non riguardando questi altri aspetti della situazione del mercato delle case in Milano l'aggiotaggio di cui qui ci si

occupa, essi appaiono comunque utili e necessari per interpretare il fenomeno della rarefazione di case ed il particolare carattere che esso ha assunto in questa città.

È, infatti, la diversa scelta innanzi cennata, operata dalla gran de proprietà, ciò che permette di comprendere per quale motivo, in Milano, su un totale complessivo di abitazioni vuote che —

allo stato — può essere valutato attorno ai 15.000 alloggi, di cui almeno 8/10.000 tenuti volontariamente sfitti, si realizzi per la maggioranza di essi una concentrazione di un solo o, al massi

mo, due appartamenti per ogni singolo proprietario. Esistono, poi, fasce intermedie, assai meno consistenti della

prima, nelle quali si realizza in capo ad un'unica persona la con centrazione di quattro/cinque ovvero dieci/quindici appartamenti in proprietà.

Allo stato dell'indagine, solo un numero assai limitato di pro prietari (cinque) è risultato titolare di trenta o più appartamenti vuoti.

In questa situazione, stante la già accennata mancanza di uno

specifico riferimento normativo, questa pretura ha ritenuto di

poter fissare in almeno trenta il numero degli appartamenti vuo

ti, la cui sottrazione al mercato integra il requisito della « rile vante quantità », richiesto per la sussistenza del reato in esame dal 2° comma dell'art. 501 bis cod. penale.

Infatti, pur non essendo strettamente richiesta dalla norma ap plicata — come già si è precisato — l'idoneità del comporta mento tenuto dai proprietari degli appartamenti sottratti al mer cato ad influire direttamente su questo, è sembrato ugualmente opportuno a questo ufficio operare una valutazione del requi sito in esame, che tenesse conto della complessità della situa zione esistente e verificata in Milano, rispetto alla quale la inu tilizzazione di appartamenti costituisce solo uno, anche se non il meno rilevante, dei molteplici aspetti che rendono sempre più drammatico il problema della casa in questa città.

Trattasi, però, come già si è detto di una valutazione suscetti bile di future modificazioni, nel caso in cui dal prosieguo delle

indagini dovessero emergere elementi idonei a fondare una valu tazione diversa dall'attuale.

Allo stato, individuato tale limite, va conseguentemente dichia rata l'improcedibilità perché il fatto non costituisce reato per mancanza di uno degli elementi essenziali previsti dall'art. 501 bis, T comma, cod. pen. nei confronti dei proprietari di case vuote, individuabili attraverso gli elenchi in atti, in numero inferiore a trenta.

Pertanto, essendo già in corso da parte di questo ufficio l'azione

penale nei confronti di cinque imputati, allo stato identificati

quali proprietari di un numero di appartamenti pari o superiore a trenta;

letto l'art. 74 cod. proc. pen.; dichiara non doversi procedere nei confronti dei proprietari di

un numero di alloggi vuoti inferiori a trenta.

IV

Il Pretore, ecc. — Letti gli atti del procedimento penale n.

237/1979;

visto, in particolare, il provvedimento con cui — in data 20

aprile 1979 (Foro it., 1979, II, 257) — è stata ordinata la im missione sul mercato delle locazioni degli immobili sottoposti a sequestro, ai sensi e per gli effetti di cui al combinato disposto degli art. 501 bis, 3° comma, cod. pen., e 625 cod. proc. pen.;

ritenuto che, attraverso la stipula dei contratti e la successiva

consegna degli immobili, cessano — in relazione a ciascun appar

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GIURISPRUDENZA PENALE

tamento — le ragioni che hanno determinato il suo sequestro, che pertanto non ha più motivo di essere;

che — in relazione a tale circostanza, che fa venir meno an

che gli obblighi del custode giudiziario — il versamento dei ca

noni di locazione successivi al primo può essere effettuato diret tamente al proprietario anziché in deposito giudiziale;

Per questi motivi, autorizza il versamento dei canoni locativi successivi al primo direttamente alla ditta proprietaria, ed esone ra il sindaco di Messina dagli obblighi inerenti alla custodia a

partire dal momento della consegna al conduttore di ciascun im

mobile come sopra locato.

V

Il Pretore, ecc. — Rilevato che la Corte di cassazione con sen

tenza del 18 maggio 1979 (Foro it., 1979, II, 225) ha annullato

il provvedimento di sequestro emesso da questo pretore in data

15 maggio 1979; ritenuto che a seguito di tale decisione occorre provvedere alla

materiale restituzione dei beni sequestrati agli aventi diritto, cosi

come richiesto dai difensori di vari imputati;

dispone che tutti gli immobili sequestrati con il provvedi mento del 15 marzo 1979 e appartenenti a:

— in via Val Pellice, 32, alla soc. Val Pellice in persona di

Giraldi Giulio e Galli Alberto; — in via Bergamini, alla soc. Gamma Domus in persona di

Garibaldi Bruno; — in via Filippo Fiorentini, alle soc. Venus e Minerba in per

sona di Bartolini Daniele; — in via Caselli, alla soc. Ignazia in persona di Ciotola

Romolo; — in via Quirino Majorana alla soc. Ignazia in persona di

Ciotola Romolo;

vengano, a cura del custode a suo tempo nominato prof. Giulio

Carlo Argan, restituiti agli aventi diritto.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione III penale; sentenza 27 apri le 1979; Pres. Fernandes, Est. Mele, P. M. (conci, diff.); ric. Torlonia. Conferma Pret. Roma 11 gennaio 1979.

Antichità e belle arti — Museo — Spostamento della collezione in locali inidonei — Proprietario — Reato — Sussistenza —

Fattispecie (Legge 1° giugno 1939 n. 1089, tutela delle cose d'in

teresse artistico o storico, art. 12, 59).

Sussiste il reato di rimozione abusiva di cose d'interesse artistico

(nella specie, conservate nel museo Torlonia in via della Lun

gara di Roma) qualora il proprietario rimuova i singoli pezzi di una collezione dai locali destinati a museo e li trasferisca in ambienti angusti, insufficienti e pericolosi. (1)

La Corte, ecc. — Svolgimento del processo. — Nel corso di un

procedimento penale iniziato dal Pretore di Roma contro Torlo nia Alessandro per abusi edilizi consistenti nella trasformazione dell'immobile di proprietà di costui in via della Lungara, perveniva allo stesso pretore, in data 14 febbraio 1977, una nota della so vraintendenza archeologica di Roma con la quale si evidenziava che gli immobili in questione costituivano altresì' la sede del mu seo Torlonia alla Lungara, sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 5 legge 1° giugno 1939 n. 1089 con il d. m. 22 dicembre 1948 no tificato il 29 dicembre successivo.

Con la stessa nota il sovraintendente denunziava il Torlonia

per i reati di cui agli art. 11, 12 e 18 della citata legge. Il pretore procedeva quindi al sequestro della collezione pre

detta che veniva rinvenuta parte stipata in angusti locali di via

della Lungara 3 e parte a villa Albani di proprietà del medesimo

Torlonia ed iniziava procedimento penale contro quest'ultimo a

cui contestava i reati indicati nella nota della sovraintendenza. Nel corso della perquisizione, cui metteva capo il sequestro, e

delle successive operazioni dirette a verificarne la consistenza, si

accertava che i pezzi erano quelli indicati nell'inventario descrit

ti) Non risultano precedenti in termini. Sulla violazione dell'art. 11 legge 1° giugno 1939 n. 1089, Cass. 12 agosto 1976, n. 3033, Foro it., 1978, J, 737, con nota di richiami. Sul reato di danneggia mento al patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, pre visto dall'art. 733 cod. pen., Cass. 6 aprile 1976, Catani, id., Rep. 1977, voce Antichità, n. 47; iPret. Napoli 22 gennaio 1977, id., 1977, II, 199, con nota di richiami. In dottrina cons. Alibrandi-Ferri, I beni culturali e ambientali, 1978; Nuvolone, in Riv. polizia, 1977, 547.

to nel catalogo Visconti, avente presso gli studiosi carattere uf

ficiale, ma che la sede era tutt'altra, essendo i pezzi addossati l'uno all'altro nei tre ambienti dei quali si allegava fotografia.

Circa i danni riscontrati a singoli pezzi si dichiarava non po tersi valutare se essi fossero dovuti alla rimozione e al trasporto dalla sede originaria.

Quindi la sovraintendenza inviava al Pretore di Roma rela zione del riscontro effettuato dalla dott. Bertoldi e copia della

corrispondenza intercorsa tra la sovraintendenza, il ministero dei beni culturali e l'amministrazione principe Torlonia.

Quindi il pretore con sentenza dell'I 1 gennaio 1979 dichia rava non doversi procedere contro il Torlonia per sopravvenuta amnistia.

Ricorre per cassazione il Torlonia medesimo con motivi con

testuali, deducendo che le statue rinvenute in numero di venti in villa Albani erano state li' portate sin dal 1941 per evitare che fossero danneggiate da fatti bellici e che comunque la parte più consistente della collezione era rimasta in via della Lungara, per cui esisteva già agli atti la prova dell'inesistenza del fatto adde

bitato; di qui l'applicabilità dell'art. 152 cod. proc. penale. Motivi della decisione. — La corte rileva: che non è stato

mai contestato all'imputato alcun fatto di sottrazione o di dan

neggiamento, ad onta che alcuni danni siano stati riscontrati in

presumibile riferimento causale col trasporto del materiale arti stico da un luogo all'altro. Sicché il discorso è limitato alla ve rifica degli estremi di reato contestati al Torlonia in maniera

apparentemente generica, ma in realtà specifica con il richiamo al rapporto della sovraintendenza del 13 dicembre 1976.

Non appare pertanto esatto, anche con più preciso riferimento alla motivazione della sentenza, che il pretore abbia ritenuto di riscontrare nello spostamento delle venti statue a villa Albani la

prova della commissione del reato.

Dopo la narrazione del rinvenimento della collezione in lo cali diversi da quelli in cui era collocata, il pretore ha ritenuto

provata la commissione del fatto e quindi l'impossibilità di ap plicazione della norma dell'art. 152, capov., cod. proc. penale.

L'imputato oppone che i pezzi rinvenuti in via Albani erano stati portati ivi da tempo e con autorizzazione della sovrainten denza e che gli altri pezzi erano comunque in via della Lungara; per cui mancherebbe ogni estremo di reato.

Il discorso non è invece cosi' semplice. Va invero premesso che

appare effettivamente credibile che lo spostamento delle statue a villa Albani sia stato a suo tempo autorizzato e controllato dalla sovraintendenza.

Anche se non vi è in atti uno specifico documento autorizza

tivo, tale trasferimento appare invero conosciuto dalla sovrain tendenza stessa che dà tale avvenimento come presupposto.

Diverso è invece il discorso per ciò che attiene al « rimessag gio » degli altri pezzi formanti la collezione, perché è rimasto ac clarato indiscutibilmente che essi sono stati trasferiti in locali an

gusti, insufficienti, pericolosi, e comunque rimossi dai locali de stinati a museo, che risultavano coprire un'area di notevoli di

mensioni, come è agevole riscontrare ripercorrendo la pianta del museo ricavata dal catalogo Visconti innanzi menzionato.

Si trattava infatti di diverse decine di sale nelle quali i pezzi trovavano idonea collocazione, tale da consentire attività di stu dio e di ricerca, oltre che l'accesso di studiosi e di specialisti.

Dire che l'attuale sistemazione è cosa tutt'affatto diversa è ap pena ovvio; si tratta di tre locali nei quali le statue risultano sti

pate in maniera incredibile, addossate l'una all'altra, senza al cun riferimento storico o di omogeneità che possa consentire un

qualche collegamento tra i diversi pezzi cosi come è denunciato dalle fotografie in atti; documentazione alla quale con evidente cautela si era inizialmente opposta la difesa dei Torlonia.

Ora, se è vero che un museo è costituito soprattutto dai pezzi che lo compongono, è arduo sostenere che l'ambiente nel quale gli elementi sono collocati, l'armonia della distribuzione, lo spa zio nel quale i pezzi sono inseriti, la luce e la meditazione che

ognuno dei pezzi suggerisce non abbia un'influenza di notevole rilievo.

Sicché può ritenersi che una collezione sia seriamente meno

mata, quando sia tolta dal suo ambiente naturale che ne ha de terminato l'insieme.

Ora, se sul piano della comune intelligenza, tale conclusione

non può essere revocata in dubbio, occorre vedere se sul piano giuridico il trasferimento dei pezzi di interesse artistico o storico in locali diversi da quelli nei quali si trovano — e nella misura in cui questo trasferimento si è nella specie verificato, in maniera cioè tale da comportare di fatto la distruzione del museo e di

quanto esso rappresentava per gli studiosi — costituisca o meno l'illecito contestato.

A questo riguardo, il p. g. che svolge naturalmente argomenti ben più consistenti, partendo dalla differente disciplina impressa

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