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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 22 aprile 1991; Pres. Rombi,...

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sezione VI penale; sentenza 22 aprile 1991; Pres. Rombi, Est. Cocco, P.M. (concl. diff.); ric. P.m. in procedimento Casula. Conferma Trib. Prato, ord. 31 maggio 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp. 89/90-91/92 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23185899 . Accessed: 28/06/2014 18:09 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 18:09:17 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezione VI penale; sentenza 22 aprile 1991; Pres. Rombi, Est. Cocco, P.M. (concl. diff.); ric. P.m.in procedimento Casula. Conferma Trib. Prato, ord. 31 maggio 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 115, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1992), pp.89/90-91/92Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185899 .

Accessed: 28/06/2014 18:09

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GIURISPRUDENZA PENALE

Ritenuto in fatto e in diritto. — Il procuratore della repubbli ca presso la Pretura di Milano ha proposto ricorso per cassazio ne avverso il provvedimento in data 28 agosto 1990 con il quale il locale pretore aveva respinto la richiesta di convalida dell'ar

resto facoltativo in flagranza di Orlando Corrado per il reato

di cui all'art. 337 c.p. essendo il relativo verbale carente di ogni motivazione in ordine alle ragioni che avevano determinato la

restrizione della libertà personale della persona sottoposta alle

indagini, ragioni enunciate soltanto nella relazione orale: una

relazione della quale, assume il ricorrente, il pretore avrebbe

dovuto tener conto, cosi come avrebbe dovuto considerare (in

sostanza, come motivazione «implicita») i precedenti penali del

l'interessato. 11 fatto di un pregiudicato, trovato alla guida di

un'auto rubata, con all'interno oggetti di provenienza furtiva

ed una pistola giocattolo priva di tappo rosso, colto nell'atto

di commettere un reato che consente l'arresto facoltativo, in

relazione ad una condotta oggettivamente grave per cui si è pro

le ma esso non fosse stato ricevuto o trattenuto per disorganizzazione dell'ufficio destinatario.

In dottrina, sull'arresto facoltativo in flagranza e, particolarmente, sul contenuto del relativo verbale, v. Carcano-Izzo, Arresto, fermo e misure coercitive nel nuovo processo penale, Padova, 1990, 4 ss.; Amato-D'Andria, Organizzazione e funzioni della polizia giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1990, 257 ss., 280, 287, i quali sottolineano la particolare importanza di una puntuale esposi zione, nel verbale, delle ragioni che abbiano determinato l'esecuzione dell'arresto facoltativo, non intervenendo l'autorità di polizia giudizia ria, salvo che nel giudizio direttissimo pretorile, all'udienza di convali da e costituendo, pertanto, il verbale l'unico atto proveniente dalla po lizia giudiziaria destinato a pervenire al giudice della convalida medesi

ma; D'Ambrosio, in Commento al nuovo codice di procedura penate coordinato da Chiavario, Torino, 1990, IV, 415. Sulle modifiche del l'art. 386 c.p.p. da parte dell'art. 23 d. leg. 14 gennaio 1991 n. 12,

disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate, già dianzi citato, v. il commento di

Salvi, in Legislazione pen., 1991, 91.

» * *

La decisione surriportata merita consenso, pur con le puntualizzazio ni ed i chiarimenti che seguono:

1) l'art. 386, 3° comma, c.p.p., anche dopo la modifica ad esso ap portata dall'art. 23 d.leg. 12/91, impone in ogni caso agli organi di

polizia giudiziaria di indicare, nel verbale di arresto, oltre all'eventuale nomina del difensore di fiducia ed al giorno, ora e luogo dell'arresto, anche le «ragioni che lo hanno determinato», e non vi è dubbio che la prescritta enunciazione di dette ragioni ha un senso essenzialmente in relazione alle ipotesi di arresto facoltativo ed all'esercizio del relativo

potere discrezionale da parte della polizia giudiziaria in base all'apprez zamento dei parametri legali della «gravità del fatto» e della «pericolo sità del soggetto» posti dal 4° comma dell'art. 381 del codice;

2) vero è, tuttavia, che per l'omissione di tale, pur prescritta, enun

ciazione la legge processuale non commina alcuna specifica sanzione di nullità e che l'omissione non è riconducibile neppure ad alcuna delle

categorie di nullità d'ordine generale di cui all'art. 178; 3) la possibilità, per la polizia giudiziaria, di integrare le enunciazioni

contenute nel verbale di arresto prima della pronunzia del giudice sulla convalida sussiste unicamente nel caso di convalida e contestuale giudi zio direttissimo pretorili, relativamente a cui l'art. 566, 3° comma, pre vede che «il pretore al quale viene presentato l'arrestato autorizza l'uf

ficiale o l'agente di polizia giudiziaria a una relazione orale», e sempre che il p.m. non ordini, ai sensi del comma successivo, che l'arrestato

sia posto a sua disposizione, nel qual caso sarà il p.m. stesso a presen tare direttamente l'arrestato all'udienza, come pure nel caso del giudi zio direttissimo innanzi al tribunale (art. 449, 1° comma), od a richie

dere la convalida al giudice per le indagini preliminari ove non si proce da a giudizio direttissimo (art. 390, 1° comma), trasmettendo al giudice, assieme alla richiesta di convalida, il verbale d'arresto (v. art. 122 nor

me att. c.p.p.); 4) al di fuori della menzionata ipotesi di cui all'art. 566, 3° comma,

il verbale d'arresto, rimesso al g.i.p. od al pretore dal p.m., costituisce

l'unico veicolo per rappresentare al giudicante l'operato della polizia

giudiziaria ed esplicare i criteri e le valutazioni che hanno orientato

l'esercizio del potere discrezionale ad essa conferito. Ove tale esplicita zione mancasse, dovrebbe essere il giudice della convalida (g.i.p. o pre

tore) a desumere «dall'integrale contesto descrittivo dell'attività», con

tenuto nel verbale, le ragioni (da ricondursi ai due parametri normativi

della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto) giustificative dell'arresto, onde valutarne la legittimità. [E. Gironi]

Il Foro Italiano — 1992.

ceduto all'arresto costituirebbe condizione sufficiente per rite

nere legittimo l'operato della polizia giudiziaria. Il ricorso è fondato. L'art. 381, ultimo comma, c.p.p. stabili

sce che in caso di reato per cui è previsto l'arresto facoltativo in flagranza, si procede all'arresto soltanto se la misura è giusti ficata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del sog getto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto.

L'attuazione di tale regola di giudizio deve divenire oggetto di

controllo e di sindacato da parte dell'autorità giudiziaria (v., in precedenza, Cass., sez. VI, 25 gennaio 1990, Beccaria, Foro

it., Rep. 1990, voce Misure cautelari personali, n. 37 citata —

ma assegnando ad essa una significazione non rispondente al

reale contenuto della statuizione — dal provvedimento impu

gnato) perché questa sia posta in grado di verificare se la poli zia giudiziaria, nel procedere all'arresto, abbia tenuto conto delle

dette condizioni. Peraltro, non si richiede che la polizia giudi ziaria debba necessariamente esplicitare le motivazioni che l'in

ducono a tale scelta, essendo sufficiente perché la detta verifica

possa essere utilmente compiuta che dall'integrale contesto de

scrittivo dell'attività che precede o segue la coercizione — da

documentare a norma dell'art. 386 — e anche da atti ad esso

complementari risultino individuali le ragioni che hanno deter

minato l'arresto e, quindi, l'osservanza dei parametri indicati

dall'art. 381, ultimo comma, c.p.p.; conformemente, del resto, alla natura di atto materiale e non di provvedimento che con

trassegna l'operazione in esame. Ciò anche se la regola di tra

sparenza dell'attività amministrativa, soprattutto quando essa

incide sulla libertà personale, renderebbe comunque opportuno che la verifica circa i presupposti di legittimità non rigidamente vincolati (altrimenti da indicare, ma non nel quadro della moti

vazione in senso tecnico) divenga quanto più agevole da parte

dell'organo preposto al controllo attraverso precise indicazioni

relative all'esistenza dei presupposti che giustificano l'esercizio

del potere. Nel caso di specie, peraltro, tale onere sembra essere stato

sufficientemente adempiuto da parte dell'ufficiale di polizia giu diziaria che ha proceduto all'arresto dell'Orlando. Invero, il ver

bale di denuncia descrive minutamente i gravi elementi di fatto

che indussero la polizia giudiziaria a procedere all'arresto: tenu

to conto, per un verso, dell'esigenza, implicita nel contesto de

scrittivo dell'atto, di por fine alla condotta antigiuridica del

l'Orlando e della gravità del fatto, ivi compiutamente descritto

e confermata dal rinvenimento della refurtiva nell'autovettura

dell'indagato, nonché della personalità dell'arrestato, desumibi

le dai precedenti penali. La sussistenza delle condizioni puntualmente evidenziate ne

gli atti ora menzionati avrebbe consentito al pretore ogni sinda

cato sulle condizioni richieste per procedere all'arresto e, quin

di, sull'operato della polizia giudiziaria. Va, di conseguenza, annullato l'impugnato provvedimento con rinvio al Pretore di

Milano per un nuovo giudizio.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 22 aprile

1991; Pres. Rombi, Est. Cocco, P.M. (conci, diff.); ric. P.m.

in procedimento Casula. Conferma Trib. Prato, ord. 31 mag

gio 1990.

Dibattimento penale — Lettura di dichiarazioni di coimputati — Limiti (Cod. proc. pen., art. 210, 513).

Nell'ipotesi di coimputati di reati connessi o collegati che, com

parsi in dibattimento, si siano avvalsi della facoltà di non

rispondere, non può procedersi a lettura delle dichiarazioni

da essi in precedenza rese al pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari ovvero nell'udienza preli minare. (1)

(1) La decisione si fonda sulla logica emergente dalla disposizione di chiusura di cui all'art. 514, 1° comma, c.p.p. Invero, il confronto

tra il 1° e il 2° comma dell'art. 513 — al di là di ogni apprezzamento

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PARTE SECONDA

Motivi di ricorso e ragioni della decisione. — I. - Con l'im

pugnata sentenza il tribunale assolveva il Casula dai reati di

cui agli art. 71 e 72 1. n. 685 del 1975 per non aver commesso

il fatto. Il proscioglimento è motivato con la considerazione

che non era stato acquisito alcun elemento di prova dell'accusa, in quanto tali Assioli e Morganti, imputati in un procedimento connesso risoltosi con il rito abbreviato avanti il g.i.p., si erano

astenuti dal rendere dichiarazioni.

Ricorre per cassazione il p.m. avverso l'ordinanza dibattimen

tale di rigetto della richiesta di lettura delle dichiarazioni rese

da persone citate ai sensi dell'art. 210 c.p.p. e la sentenza di

assoluzione del ricorrente, deducendo che, essendosi l'Assioli

ed il Morganti avvalsi della facoltà di non rispondere all'udien

za dibattimentale quali citati ai sensi dell'art. 210 c.p.p., il tri

bunale avrebbe dovuto dare lettura delle dichiarazioni prece dentemente dagli stessi rese.

II. - La censura è infondata. Il 2° comma dell'art. 513 c.p.p. consente di dare lettura delle dichiarazioni precedentemente re

se da un imputato in un procedimento connesso solo se non

ne sia possibile l'accompagnamento coattivo ovvero l'esame a

domicilio o per rogatoria. La disposizione omette di chiarire

se anche il rifiuto di rispondere autorizzi la lettura delle dichia

razioni precedentemente rese, come il 1° comma della medesi

ma disposizione consente a riguardo dell'imputato del procedi mento in corso, ma al quesito non può che darsi risposta nega tiva. In tema di letture, infatti, il codice di rito stabilisce, con

la disposizione di chiusura di cui all'art. 514, che è sempre vie

tata la lettura di atti che non siano dichiarati espressamente

leggibili, onde i casi di lettura consentita di dichiarazioni del l'imputato o di testimoni sono tassativi. In essi non rientrano

le pregresse dichiarazioni di coimputati di reati connessi che,

comparsi in dibattimento, si siano avvalsi della facoltà di non

rispondere ai sensi dell'art. 210 c.p.p., poiché il 2° comma del

l'art. 513 espressamente ne limita la lettura ai casi in cui non

si possa ottenere la presenza del dichiarante. Ne deriva che, una volta avutasi la presenza, resta automaticamente precluso il ricorso alla lettura delle dichiarazioni precedentemente rese

anche in ipotesi di rifiuto di rispondere, come nella specie.

sull'opportunità della scelta normativa compiuta — impone di distin

guere in maniera netta le posizioni dell'imputato e degli altri soggetti indicati nell'art. 210: mentre, infatti, il rifiuto dell'imputato di sotto

porsi all'esame consente, a richiesta di parte, la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dallo stesso al pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari ovvero nell'udienza preliminare (cfr., sul punto, Buzzelli, Il contributo dell'imputato alla ricostruzione del

fatto, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1990, 906), al fine di consentire, al contrario, la lettura delle medesime dichiarazioni rese da altro sog getto imputato in un procedimento connesso o collegato non può pre scindersi dall'impossibilità di ottenere la presenza del dichiarante; sic

ché, ove il dichiarante, presentatosi in udienza, decida di avvalersi della

propria facoltà di non rispondere, la lettura delle dichiarazioni prece dentemente rese risulterà radicalmente inibita.

In questo stesso senso depone, del resto, la relazione al testo definiti vo del codice (in Le leggi, 1988, 2710) ove si precisa che «si è inteso consentire la lettura delle dichiarazioni dell'imputato in un procedimen to connesso solo nel caso di impossibilità assoluta di sentirlo diretta

mente», non potendo, ovviamente, essere ricompreso in tale nozione l'esercizio dello ius tacendi.

Sull'istituto previsto dall'art. 210 c.p.p., cfr. Bargis, Esame di per sona imputata in un procedimento connesso, voce del Digesto pen., Torino, 1990, IV, 275 s.; Id., L'esame di persona imputata in un pro cedimento connesso nel nuovo codice di procedura penale, in Giur. it., 1990, IV, 30.

Sul regime delle letture, cfr. Ferrua, La formazione delle prove nel nuovo dibattimento: limiti all'oralità e al contraddittorio, in Politica del diritto, 1989, 243; Illuminati, Il nuovo dibattimento: l'assunzione diretta delle prove, in Foro it., 1988, V, 355; Nobili, Concetto di prova e regime di utilizzazione degli atti nel nuovo codice di procedura pena le, id., 1989, V, 274; Id., in Commento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1991, V, 423; Siracusano, Diritto di difesa e formazione della prova nella fase dibattimentale, in Cass, pen., 1989, 1598; Id., Le essenziali linee del «nuovo» dibatti

mento, in Introduzione allo studio del nuovo processo penale, Milano, 1989, 259; Id., Quale dibattimento?, ibid., 243.

Il Foro Italiano — 1992.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 7 di

cembre 1990; Pres. Moro, Est. Calfapietra, P.M. Cucco

(conci, conf.); ric. Iozzo. Conferma App. Catanzaro 22 di

cembre 1989.

Appello penale — Motivi — Rinuncia — Effetti (Cod. proc.

pen., art. 589, 599).

L'imputato che ha rinunciato, con la sua irrevocabile manife stazione di volontà, ad uno o più motivi di appello non può

dolersi, in sede di ricorso per cassazione, del mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, del motivo (o dei mo

tivi) oggetto della sua parziale rinuncia all'impugnazione. (1)

Motivi della decisione. — Col primo motivo il ricorrente chiede

l'annullamento della sentenza impugnata per non avere la corte

di merito preso in esame il primo motivo d'appello, con cui

aveva chiesto di essere assolto con formula piena da tutti i reati

contestati, per le ragioni specificamente ivi indicate.

La doglianza è infondata. La rinunzia al primo motivo d'ap

pello, effettuata dall'imputato nel corso del rito speciale adotta

to su sua richiesta dal giudice di secondo grado ai sensi dell'art.

599, 4° comma, c.p.p., non consente al ricorrente di dolersi

del mancato esame, da parte della corte di merito, del suddetto

motivo: infatti la rinunzia — atto processuale irrevocabile —

ad uno o più motivi di appello produce l'effetto di limitare la

cognizione del giudice dell'impugnazione ai motivi rimanenti, ai quali, pertanto, l'oggetto del giudizio rimane circoscritto.

Non v'è dubbio, invero, che la norma di cui all'art. 597, 1°

comma, c.p.p. — secondo cui l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente

ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti — riproducendo quella analoga già contenuta nell'art. 515, 1°

comma, del vecchio c.p.p., delimita l'area del controllo sulla

decisione impugnata e l'oggetto del giudizio demandato al giu dice del gravame, configurando l'appello come mezzo di impu

gnazione parzialmente devolutivo, secondo la regola tantum de

volutum quantum appellatum. Pertanto, l'imputato che ha ri

nunziato, con la sua irrevocabile manifestazione di volontà, ad

uno o più dei motivi di appello non può dolersi, in sede di

ricorso per cassazione, del mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, del motivo (o dei motivi) oggetto della sua

parziale rinunzia all'impugnazione. Il ricorso va, quindi, su questo punto, rigettato. (Omissis)

(1) La possibilità, per la parte che ha rinunciato ad uno o più motivi, di riproporre la censura nel grado ulteriore del giudizio di impugnazio ne, si risolverebbe nell'esercizio di un illogico ius poenitendi, tecnica mente inammissibile a causa della formazione, sul punto, per effetto della rinuncia, della res iudicata.

Sulla rinuncia all'impugnazione e sui problemi posti dalla revocabili tà della rinuncia, cfr. Mele, in Commento al nuovo codice di procedu ra penale coordinato da Chiavario, Torino, 1991, VI, 126.

Sul c.d. concordato sui motivi di appello (oggetto di declaratoria d'in costituzionalità in ordine agli oggetti estranei alla previsione dell'art. 599, 1° comma, c.p.p.: cfr. Corte cost. 10 ottobre 1990, n. 435, in

Rassegna a cura di Civinini, Foro it., 1991, II, 59, n. 40), e sul ruolo della rinuncia nella configurazione complessiva del meccanismo, cfr. Di Chiara, Primi appunti in tema di concordato sui motivi di appello, in Giur. merito, 1990, 1053; Gironi, Prime note in tema di «patteggia mento» in grado d'appello nel nuovo processo penale, in Foro it., 1990, II, 401; Torchia, Forme, contraddittorio e decisione nel patteggiamen to sui motivi d'appello, in Giust. pen., 1991, III, 119.

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