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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 22 gennaio 1991; Pres. Valente,...

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sezione VI penale; sentenza 22 gennaio 1991; Pres. Valente, Est. Guida, P.M. (concl. parz. diff.); ric. Cavazzini. Conferma App. Bologna 7 aprile 1990 Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp. 651/652-653/654 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23186422 . Accessed: 28/06/2014 19:03 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.238.114.41 on Sat, 28 Jun 2014 19:03:06 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezione VI penale; sentenza 22 gennaio 1991; Pres. Valente, Est. Guida, P.M. (concl. parz. diff.); ric. Cavazzini. Conferma App. Bologna 7 aprile

sezione VI penale; sentenza 22 gennaio 1991; Pres. Valente, Est. Guida, P.M. (concl. parz. diff.);ric. Cavazzini. Conferma App. Bologna 7 aprile 1990Source: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1991), pp.651/652-653/654Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23186422 .

Accessed: 28/06/2014 19:03

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PARTE SECONDA

l'incompetenza con riferimento alle misure cautelari e si ispira no alla duplice ratio che le ordinanze applicative emesse da al

tro giudice siano confermate dal giudice competente per il pro cedimento ed altresì che nei necessari passaggi di competenza siano assicurate le esigenze cautelari di cui all'art. 274 per il

tempo strettamente necessario a prendere le determinazioni sul

le misure. Il termine a provvedere entro venti giorni e la sanzio

ne di estinzione della misura presuppongono, dunque, che il

giudice che ha disposto le misure «contestualmente o successi

vamente si dichiar(i) incompetente per qualsiasi causa», secon

do quanto dispone il testo dell'art. 27.

Le indagini preliminari sono fuori e prima del processo e il

passaggio degli atti dell'uno all'altro ufficio del p.m. non rileva

di per sé agli effetti della competenza. Sono però previsti, all'i

nizio o nel corso delle indagini stesse, vari incidenti giurisdizio nali (la richiesta di misure coercitive è fra questi) nei quali l'uf

ficio del p.m. deve rivolgersi al giudice. In questa sede può sor

gere questione di competenza, che peraltro ha ad oggetto non

la «competenza» per il compimento delle indagini preliminari,

analogamente a quanto avveniva nell'istruttoria del vecchio co

dice, bensì' la competenza incidentale del giudice a emanare il

provvedimento richiesto. Perciò l'art. 22, 1° e 2° comma, stabi

lisce che il giudice che riconosca la propria incompetenza in

ordine a tale provvedimento, dispone la restituzione degli atti

al pubblico ministero. E tale restituzione, per sé, non vincola

il p.m. a trasmettere gli atti delle indagini preliminari al p.m. di altro ufficio giudiziario.

Tuttavia, se nel corso delle indagini preliminari e fuori dell'u

dienza di convalida di cui all'art. 391, 5° comma, il p.m. chiede

una misura cautelare, e se il giudice riconosce la propria incom

petenza a provvedere sull'incidente, deve ritenersi applicabile il disposto dell'art. 291, 2° comma, che consente al giudice di

disporre egualmente la misura, ove sussista l'urgenza di soddi

sfare taluna delle esigenze cautelari. Diviene, allora, applicabile la disciplina del termine di venti giorni per la conferma della

misura e della sanzione di estinzione, per espresso richiamo del

l'art. 27. Ma si tratta di un caso che qui non ricorre.

L'applicazione di tali principi al presente caso della misura

cautelare disposta dal giudice competente per la convalida del

l'arresto (art. 390, 1° comma), quando le indagini preliminari siano proseguite dal p.m. presso un diverso ufficio giudiziario,

porta a ritenere che il predetto p.m., ricevuti gli atti a norma

degli art. 51, 3° comma, e 54, 1° comma, c.p.p., non debba

chiedere alcuna conferma della misura al g.i.p. competente per il processo. Invero la misura cautelare è legittimamente disposta dal giudice competente per l'incidente, non vi è dichiarazione

di incompetenza come richiesto dall'art. 27, né vi è un nuovo

giudice competente per il processo, in quanto non vi è ancora

processo. Come si è detto, la soluzione del caso è differente da quella

che si ha nel caso di misura disposta provvisoriamente da un

giudice incompetente (art. 291, 2° comma, cit. che riprende l'art.

251, 3° comma, c.p.p. 1930), ma ciò non comporta una ridu

zione sostanziale delle garanzie dell'indagato, che cosi si trovi

in stato di custodia cautelare, perché egli può sempre rivolersi

al g.i.p., presso il quale il nuovo p.m. procedente svolge le pro

prie funzioni, per chiedere la revoca o la sostituzione della mi

sura a norma dell'art. 299 c.p.p.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 22 gen naio 1991; Pres. Valente, Est. Guida, P.M. (conci, parz.

diff.); ric. Cavazzini. Conferma App. Bologna 7 aprile 1990.

Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice — Incom

patibilità — Atti compiuti nello stesso procedimento — Col

legio giudicante — Giudice componente anche del tribunale

della libertà — Incompatibilità — Esclusione — Questione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3,

24, 77; cod. proc. pen., art. 34, 309; 1. 16 febbraio 1987 n.

81, delega legislativa al governo per l'emanazione del nuovo

codice di procedura penale, art. 2).

Non ricorre un caso di incompatibilità ex art. 34 c.p.p. ove

uno dei giudici componenti il collegio chiamato a decidere,

Il Foro Italiano — 1991.

in sede dibattimentale, sulla colpevolezza dell'imputato abbia

fatto parte del tribunale della libertà che nel corso delle inda

gini preliminari aveva confermato il provvedimento coerciti

vo adottato nei suoi confronti. (1) È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 e

77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34

c.p.p., nella parte in cui non contempla tra i casi di incompa tibilità del giudice a partecipare al giudizio quello del giudice che sia stato componente del tribunale della libertà chiamato

a pronunciarsi su una misura coercitiva adottata nei confron ti dell'imputato. (2)

(1-2) Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione ha ribadito, con riferimento al codice di rito del 1988, un principio ripetutamente affermato in relazione al codice Rocco: non ricorrere, cioè, un caso di incompatibilità qualora un componente dell'organo collegiale che de ve decidere sulla responsabilità dell'imputato abbia fatto parte del tri bunale della libertà che si sia pronunciato, in sede di riesame o d'appel lo, su una misura cautelare personale adottata nei suoi confronti.

V., in tal senso, Cass. 11 ottobre 1990, Ross, Cass, pen., 1991, 591; 5 luglio 1990, Villani, ibid., 594; 11 marzo 1987, Acanfora, Foro it., Rep. 1988, voce Astensione, ricusazione e responsabilità del giudice, n. 48; 18 dicembre 1986, Di Mauro, ibid., n. 46; 12 agosto 1985, Spara pano, id., Rep. 1986, voce cit., n. 18, la quale ha dichiarato, altresì', manifestamente infondata, in relazione all'art. 25 Cost., la relativa que stione di legittimità costituzionale; App. Roma 20 marzo 1985, id., 1986, II, 492, con nota di Giacona.

Contra, ma isolatamente è con la precisazione che il principio è ap plicabile soltanto nel caso in cui il tribunale della libertà si sia pronun ciato su un'istanza di scarcerazione per mancanza di indizi, v. Cass. 25 maggio 1987, Ristagno, id., Rep. 1988, voce cit., n. 47 e con moti

vazione, dalla quale emerge chiaramente quanto testé detto e che la massima non riproduce fedelmente il principio di diritto enunciato dal la sentenza, in Giust. pen., 1988, II, 171.

Nel senso dell'insussistenza dell'incompatibilità, pur ponendo in rilie vo la gravità della lacuna legislativa, si era orientata anche la dottrina che si era occupata in modo specifico del problema, ostando ad una diversa soluzione il principio della tassatività dei casi d'incompatibilità con conseguente impossibilità di un'interpretazione estensiva o analogi ca dell'art. 61 c.p.p. del 1930: v. Chiavario, Tribunale della libertà e libertà personale, in AA.VV., Tribunale della libertà e garanzie indi viduali a cura di Grevi, Bologna, 1983, 158; Fortuna, Tribunale della libertà e problemi di ordinamento giudiziario, id., 312; Rubiola, in Commentario breve al codice di procedura penale a cura di Conso e

Grevi, Padova, 1987, 299; Santalucia, Orientamenti in tema di ricu sabilità del componente del collegio giudicante che abbia fatto parte del tribunale della libertà, in Giust. pen., 1988, III, 171. Sostanzialmen te nello stesso ordine di idee, con riferimento all'art. 34 c.p.p. vigente, v. Barone, in Commentario del nuovo codice di procedura penale di retto da Amodio e Dominioni, Milano, 1989, I, 226; Rafaraci, in Com mento al nuovo codice di procedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1989, I, 196.

Contra, Foschini, Il principio di tassatività delle cause di incompati bilità e te ipotesi «sopravvenute», in Cass. pen., 1990, 1231; Squarcia, Giudice componente del tribunale della libertà e incompatibilità, id., 1991, 595, il quale pone l'accento sulla radicale diversità del nuovo

processo e sulla necessità che il giudice del dibattimento non subisca condizionamenti di alcun genere, neppure inconsapevoli, derivanti da una pregressa conoscenza degli atti di indagine.

Va rilevato che nella Relazione al progetto definitivo del codice di

procedura penale (in Le leggi, 1988, 2666 e in Lattanzi-Lupo, Il nuovo codice di procedura penale annotato con le relazioni e con i lavori pre paratori, Milano, 1989, 96) si legge: «Quanto all'art. 34 era stata segna lata dalla commissione parlamentare nel primo parere l'opportunità di

prevedere l'incompatibilità a partecipare al giudizio non solo del giudi ce che ha emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, ma anche del giudice che ha emesso un provvedimento durante le inda

gini preliminari. Si è però osservato che un tale limite comporterebbe rilevanti problemi organizzativi per i tribunali (una ventina) che dispon gono di un organico di quattro magistrati (compreso il presidente): in

questi uffici l'adozione di un provvedimento da parte di un giudice diverso dal giudice per le indagini preliminari (ad esempio durante il

periodo feriale) renderebbe assolutamente impossibile la formazione del

collegio giudicante». Per l'esclusione dell'incompatibilità anche nel caso in cui del tribuna

le della libertà faccia parte lo stesso giudice che ha adottato il provvedi mento restrittivo sottoposto a riesame, v. Cass. 11 gennaio 1984, Libe rati, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 26; diversamente orientata sem bra Cass. 24 novembre 1982, Guzzo, id., Rep. 1985, voce Libertà

personale dell'imputato, n. 211. In senso critico circa tale esclusione, v. Garavelli, Tribunale della

libertà e .incompatibilità del giudice, in Giur. it., 1985, II, 299; Giam

bruno, Davvero regolare il tribunale della libertà composto col giudice autore del provvedimento da riesaminare?, in Cass. pen., 1984, 2241; Fortuna, op. cit., 313; Lemmo, Luci ed ombre sui primi orientamenti

giurisprudenziali sul tribunale della libertà, in Tribunale della libertà,

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GIURISPRUDENZA PENALE

La Corte d'appello di Bologna rigettava la dichiarazione di

ricusazione proposta dal Cavazzini nei confronti dei magistrati dott. Cardarelli e dott. Servino, componenti il collegio del Tri

bunale di Reggio Emilia, chiamato a giudicarlo, perché gli stes

si erano stati componenti del tribunale del riesame, che aveva

confermato la misura cautelare emessa nei suoi confronti dal

g.i.p. Ricorre per cassazione il Cavazzini, deducendo:

a) violazione dell'art. 34 c.p.p. avendo la corte di Bologna ritenuto che lo stesso non prevede anche la situazione d'incom

patibilità, determinata da una precedente partecipazione del ma

gistrato ricusato al procedimento di riesame, o, in subordine, incostituzionalità della norma per violazione del principio del

giudice naturale o per disparità di trattamento con altri imputati;

b) contrasto fra lo stesso art. 34 c.p.p. e la direttiva n. 67

della legge di delega al governo per l'emanazione del nuovo

codice di procedura penale, che prevede «il divieto di .esercitare le funzioni di giudice in altro grado», e conseguente incostitu

zionalità, anche sotto questo profilo, dell'art. 34 citato.

Il ricorso è infondato. La Corte d'appello di Bologna ha am

piamente motivato con corretti principi giuridici quella che deve

essere la corretta interpretazione dell'art. 34 c.p.p. e perché es

so non sia suscettibile di applicazione analogica. A tale diffusa

motivazione nulla sostanzialmente obietta il ricorrente, che insi

ste invece sulla dedotta incostituzionalità della norma.

Me argomentazioni, anche su questo punto fondate della corte

d'appello può aggiungersi quella assorbente e conclusiva che l'og

getto del giudizio innanzi al tribunale del riesame e quello del

giudizio innanzi al tribunale, come giudice del merito, sono so

stanzialmente diversi.

Il tribunale del riesame emette, con cognizione parziale ed

allo stato, una pronuncia sulla mera cautela processuale; il tri

bunale, come giudice di merito, ha una cognizione piena su tut

to il rapporto processuale e sull'intera vicenda sostanziale sotto

posta al suo esame.

Non appare, pertanto, incongruo che il legislatore abbia inte

so sottrarre alla regolamentazione dell'art. 34 c.p.p. situazioni, come quella in esame in cui la pregressa limitata cognizione non ha potuto sottrarre al giudice, che si trovi a giudicare an

che nel merito, quelle garanzie di imparzialità e di terzietà che

debbono sempre caratterizzarlo.

Conferma l'esattezza di tale conclusione la considerazione che

anche gli stessi magistrati componenti il tribunale ordinario pos sono trovarsi di fronte alla necessità di un duplice esame, po tendo essere investiti nel predibattimento e nello stesso dibatti

mento della decisione sulla cautela prima e separatamente da

quella sul merito.

cit., 272; Tranchina, Il tribunale della libertà tra garantismo e dema

gogia, in Riv. dir. proc., 1984, 577. Cass. 14 maggio 1990, Vitali, Cass, pen., 1990, II, 276, ha escluso

che possa trovare applicazione l'art. 34 c.p.p. anche nel caso di parteci pazione al giudizio per la revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale del magistrato di sorveglianza che aveva adottato il provvedi mento cautelativo di sospensione della misura.

La Corte costituzionale, con sentenza 26 ottobre 1990, n. 496 (Foro it., 1991, I, 719), ha dichiarato illegittimo, per violazione degli art. 76 e 77 Cost., in relazione all'art. 2 1. 81/87, l'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede tra le ipotesi d'incompatibilità ivi disciplinate quella del g.i.p. presso la pretura che, decidendo sulla richiesta di archiviazio ne del p.m., abbia ordinato la formulazione dell'imputazione e sia poi chiamato egli stesso a decidere sul merito di questa a seguito di richie sta di giudizio abbreviato.

Richiamando tale decisione della Consulta il Tribunale di Chieti, con ordinanza 3 maggio 1991 (G.U., la s.s., 10 luglio 1991, n. 27, 46), ha dichiarato «non manifestamente infondata, in riferimento agli art. 76 e 25 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, 2°

comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice che abbia conosciuto delle indagini preliminari nell'esercizio delle sue funzioni giuris dizionali, non possa prendere parte al dibattimento» (nella specie, il

collegio giudicante, nell'identica composizione, si era già pronunciato su un'istanza di rimessione in libertà sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, la cui conoscenza, nel sistema del co

dice, è, in linea di principio, preclusa al giudice dibattimentale). Da ultimo, Corte cost. 12 novembre 1991, n. 401, che sarà riportata

nel prossimo fascicolo, ha dichiarato illegittimo, per violazione degli art. 76 e 77 Cost., in relazione all'art. 2, n. 67, 1. 16 febbraio 1987 n. 81, l'art. 34, 2° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio abbreviato il g.i.p. presso il tribunale che abbia ordinato di formulare l'imputazione ai sensi del

l'art. 409, 5° comma, c.p.p.

It Foro Italiano — 1991.

Va, pertanto, considerata manifestamente infondata la que stione di costituzionalità dell'art. 34 c.p.p. in relazione agli art.

3, 25 e 77 Cost. Conseguentemente il ricorso del Cavazzini va

rigettato ed il ricorrente condannato alle spese processuali ed

al versamento della somma di lire 500.000 alla cassa delle

ammende.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 19 di

cembre 1990; Pres. Battimelli, Est. Corsaro, P.M. Iannel

li (conci, parz. diff.); ric. Contento ed altri. Annulla App. Trieste 25 gennaio 1990.

Parte civile — Reati contro l'ambiente — Costituzione di asso

ciazioni ambientalistiche — Ammissibilità (Cod. pen., art. 185; cod. proc. pen. del 1930, art. 22; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia,

sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art. 20; 1. 8 agosto 1985 n. 431, conversione in legge, con modifica

zioni, del d.l. 17 giugno 1985 n. 312, recante disposizioni ur

genti per la tutela delle zone di particolare interesse ambien

tale, art. 1 sexies; 1. 8 luglio 1986 n. 349, istituzione del mini

stero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale, art. 13, 18).

È ammissibile la costituzione come parte civile di un 'associazio ne ambientalistica «riconosciuta», ai sensi dell'art. 13 l. 8 lu

glio 1986 n. 349, in un procedimento penale per abuso edili

zio, commesso in zona sottoposta a vincolo paesistico (in mo

tivazione, viene puntualizzato che la facoltà di intervenire nei

giudizi per danno ambientale attribuita — ex art. 18, 5 ° com

ma, l. 349/86 — alle associazioni ambientalistiche, ricono

sciute ex art. 13 l. cit., rimarrebbe vuota di contenuti, se ai

detti gruppi fosse negata la possibilità di costituirsi parti civili

ed ottenere, cosi, la rifusione delle spese processuali). (1)

(1) I. - Con la pronuncia in epigrafe, si consolida l'orientamento del la Suprema corte favorevole alla costituzione come parti civili nei pro cessi per reati (lato sensu) ambientali delle associazioni ecologiste (cfr. Cass. 23 ottobre 1989, Cataldi, Foro it., 1990, II, 169, con nota di

Giorgio; 1° giugno 1989, Monticelli, Riv. giur. ambiente, 1990, 510, con nota di Medugno; 16 febbraio 1990, Costa - Santacaterina, Nuovo

dir., 1991, 249, con nota di Volpe). Tuttavia, in senso contrario si è pronunciata Cass. 27 ottobre 1989, Caldini, Riv. pen., 1991, 554.

II. - Secondo la sentenza in rassegna (emessa con riferimento ad un

procedimento penale regolato dal c.p.p. del 1930) detti gruppi — pur ché riconosciuti ex art. 13 1. 349/86 — possono costituirsi parti civili, giacché — in caso contrario — la loro facoltà di intervenire nei giudizi per danno ambientale — prevista dall'art. 18, 5° comma, 1. 349/86 — rimarrebbe «vuota di contenuti» e determinerebbe, inoltre, l'esclu sione del diritto alla rifusione delle spese processuali nei confronti del condannato per il fatto criminoso lesivo dell'integrità ambientale.

III. - Le succinte argomentazioni appena evidenziate costituiscono una novità nel panorama della giurisprudenza di legittimità, sinora pro pensa a valorizzare, in subiecta materia, essenzialmente il danno da lesione dello scopo statutario delle associazioni ambientalistiche. Senon

ché, il nuovo itinerario interpretativo non sembra del tutto lineare: in

vero, l'art. 18, 5° comma, 1. cit. configura un'ipotesi (sui generis) di intervento volontario e, più esattamente, di intervento adesivo dipen dente, ex art. 105, 2° comma, c.p.c., che presuppone, però, l'esistenza di una parte civile pubblica (ex art. 18, 1° comma, 1. cit.), già costitui tasi per l'esercizio dell'azione di risarcimento del danno ambientale (co si, in giurisprudenza, Cass. 27 ottobre 1989, Caldini, cit.; in dottrina, da ultimo, Mantini-Verardi-F. Giampietro, Associazioni ecologiste e tutela giurisdizionale dell'ambiente, Rimini, 1990, 52-54, 75-94, 143-146, 259-260; Olivieri, Danno ambientale e tutela, in Dizionario di contabi lità pubblica a cura di Barettoni-Arleri, Milano, 1991, 249 ss.; 272; Landi, La tutela processuale dell'ambiente, Milano, 1981, 51 ss., non

ché 191 ss.; in precedenza, Grasso, Una tutela giurisdizionale per l'am

biente, in Riv. dir. proc., 1987, 529 ss.; Schettini, L'intervento delle

associazioni nei giudizio di danno ambientale, in Riv. critica dir. priva to, 1987, 619), atteggiandosi come «norma-ponte» rispetto all'interven to delle associazioni, ora previsto dagli art. 91 ss. c.p.p. del 1988 (cosi Giampietro, op. cit., 261 ss., nonché i richiami sub VII e Vili nella nota cit. a Cass. 23 ottobre 1989, Cataldi). In sostanza, la disposizione in questione delinea in modo chiaro una funzione solo ausiliaria dei

gruppi ecologisti riconosciuti ex art. 13 1. cit. rispetto all'esercizio del

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