sezione VI penale; sentenza 24 maggio 1993; Pres. Pisanti, Est. Ippolito, P.M. Martusciello(concl. parz. diff.); Mercuri. Annulla App. Roma 27 maggio 1992 e Trib. Roma 22 ottobre 1991Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp.351/352-353/354Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188484 .
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PARTE SECONDA
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 24 mag
gio 1993; Pres. Pisanti, Est. Ippolito, P.M. Martusciello
(conci, parz. diff.); Mercuri. Annulla App. Roma 27 maggio 1992 e Trib. Roma 22 ottobre 1991.
Impugnazioni penali in genere — Sentenza emessa in camera di consiglio
— Termini per impugnare (Cod. proc. pen., art.
128, 585). Giudizio abbreviato — Interrogatorio dell'imputato — Ammis
sibilità — Fattispecie (Cod. proc. pen., art. 421, 441, 452).
In relazione ai termini per impugnare, la sentenza emessa in
esito al giudizio abbreviato è assimilata a quella dibattimen tale e, conseguentemente, tali termini decorrono dai diversi
momenti specificati dall'art. 585, 2° comma, lett. b), c) e d) ed hanno la diversa durata stabilita dall'art. 585, 1° comma,
c.p.p. in rapporto al tempo impiegato dal giudice per la reda
zione della sentenza; tale soluzione va estesa anche alle sen
tenze camerali emesse ex art. 599 c.p.p., per identità di ratio, e di sistema, ma ciò è ovviamente possibile soltanto allor
quando il dispositivo viene letto alle parti in udienza; ne con
segue che ove il giudice, in concreto, riservi la decisione e
depositi il provvedimento entro i cinque giorni dalla delibera
zione, a norma dell'art. 128 c.p.p., il termine per l'impugna zione non può che decorrere dalla notifica dell'avviso di de
posito della sentenza, giacché soltanto con tale atto la deci
sione viene portata a conoscenza degli interessati. (1) L'accettazione del giudizio «allo stato degli atti» non impone
affatto una obliterazione del diritto di autodifesa, di cui l'in terrogatorio è l'espressione principale, ma implica soltanto una rinuncia al «diritto di difendersi provando»; ne consegue che, nell'ambito del giudizio abbreviato, l'imputato che ne faccia richiesta ha diritto ad essere interrogato, ma non può indica
re a sua difesa elementi di prova non in atti o non ricavabili
da quelli in atti, atteso che il giudice, nel giudizio abbreviato
'tipico', non ha il potere di assumere prove; tale conclusione
appare a fortiori valida nel giudizio abbreviato derivante dal
la trasformazione del rito direttissimo, in cui il giudice che
non ritenga di essere in grado di decidere allo stato degli atti
può attivare la peculiare procedura di integrazione probatoria ex art. 452 c.p.p.: in questo caso il giudice potrà, di propria iniziativa, tenere eventualmente conto del contenuto dell'in
terrogatorio dell'imputato e degli eventuali nova da questi se
gnalati, senza peraltro che l'imputato medesimo abbia «dirit
to:» all'assunzione probatoria (nella specie, i giudici di merito avevano rigettato la richiesta dell'imputato di essere sottopo sto ad interrogatorio, assumendone l'incompatibilità con il
rito abbreviato; la corte, su ricorso dell'imputato, ha annul lato con rinvio l'impugnata sentenza, ritenendo che il diniego del predetto interrogatorio violi il diritto di difesa e determini
una nullità di ordine generale, a norma degli art. 178, lett.
c), e 180 c.p.p.). (2)
(1) La sentenza in epigrafe, nel ritenere applicabile all'impugnazione della pronuncia ex art. 599 c.p.p. la soluzione ermeneutica adottata da Cass., sez. un., 15 dicembre 1992, Cicero ed altri (Foro it., 1993, II, 369, con nota di richiami) in ordine alle sentenze rese in esito al giudizio abbreviato, ha, tuttavia, circoscritto l'ambito dell'estensione: ai fini dei termini per impugnare, e dell'individuazione del dies a quo, la pronuncia emessa a seguito del rito camerale d'appello può, ad avvi so della corte, essere equiparata alla decisione resa in dibattimento sem pre che sia stata tempestivamente pubblicata mediante lettura del dispo sitivo in udienza. Ove, invece, il giudice si sia riservato di decidere, e solo in un secondo tempo, dopo la conclusione dell'udienza, abbia depositato la sentenza in cancelleria a norma dell'art. 128 c.p.p., trove rà integrale applicazione la disciplina dettata dall'art. 585, 2° comma, lett. a), c.p.p. sicché il termine ad impugnandum decorre non già dalla data della pronuncia ma dalla notificazione (o comunicazione) del prov vedimento alla parte legittimata a proporre il gravame. Nel medesimo senso appaiono orientate Cass. 6 novembre 1991, Conte, id., Rep. 1992, voce Impugnazioni penali, n. 77, e Assise app. Caltanissetta 30 settem bre 1991, ibid., n. 80; Pret. Taranto-S. Giorgio Ionico 21 marzo 1991, ibid., n. 83, non differenziava, invece, a seconda che la decisione came rale fosse stata subito letta in udienza o successivamente depositata in cancelleria ex art. 128 c.p.p., e aveva ritenuto applicabile, in entrambi i casi, la disciplina prevista dall'art. 585, 2° comma, lett. a).
(2) Il tema dell'ammissibilità dell'interrogatorio dell'imputato nella dinamica del rito abbreviato è stato non di rado oggetto di contrasti
Il Foro Italiano — 1994.
Fatto e diritto. — Pasquale Mercuri ha proposto ricorso av
verso la sentenza della Corte d'appello di Roma datata 27 mag
gio 1992, confermativa della sentenza con cui il tribunale della
stessa città, il 22 ottobre 1991, lo aveva condannato, all'esito
di giudizio abbreviato, alla pena di anni tre e mesi otto di reclu sione e lire 24.000.000 di multa per il delitto di cui all'art. 73 d.p.r. 309/90.
Tra gli altri motivi, il ricorrente ha dedotto la nullità della
sentenza, ex art. 178, lett. c), e 180 c.p.p. per violazione del
l'art. 452, 2° comma, in riferimento all'art. 421, 2° comma,
c.p.p. per mancata osservanza delle norme che garantiscono l'in
tervento dell'imputato. Va esaminata preliminarmente l'ammissibilità del ricorso. Il
procuratore generale presso questa corte ha richiesto declarato
ria di inammissibilità dell'impugnazione (presentata il 18 luglio 1992) per tardività, assumendo che il termine per impugnare scadeva I'll luglio 1992, ossia il trentesimo giorno a decorrere
dall'11 giugno 1992, trattandosi di sentenza camerale di appello decisa il 27 maggio 1992 e depositata il 5 giugno 1992 (entro il quindicesimo giorno, a norma dell'art. 544, 2° comma, c.p.p.).
Il difensore, al contrario, in una memoria di replica presenta ta a norma dell'art. 611 c.p.p., ha sostenuto che il termine di
impugnazione per le sentenze camerali emesse a norma dell'art.
599 c.p.p. decorre dalla notifica dell'avviso di deposito a nor
ma dell'art. 585, 2° comma, lett. a), c.p.p. Le sezioni unite di questa corte, pronunciando sul contrasto
giurisprudenziale insorto sui termini di impugnazione della sen
tenza emessa ex art. 442 c.p.p., hanno affermato l'assimilazio
ne della sentenza del giudizio abbreviato a quella dibattimentale
e, conseguentemente, hanno deciso che i termini per impugnare le sentenze decorrono dai diversi momenti specificati nelle lette
re b), c) e d) del 2° comma dell'art. 585 c.p.p. ed hanno la
diversa durata stabilita dal 1° comma dell'art. 585 in rapporto al tempo impiegato dal giudice per la redazione della sentenza
(sent. 15 dicembre 1992, Cicero, Foro it., 1993, II, 369). Tale soluzione va evidentemente estesa anche alle sentenze
camerali emesse ex art. 599 c.p.p., per identità di ratio e di
sistema, ma ciò è ovviamente possibile soltanto allorquando il
dispositivo viene letto alle parti in udienza.
Quando il giudice, in concreto, riserva la decisione e deposita il dispositivo entro i cinque giorni dalla deliberazione, a norma
dell'art. 128 c.p.p., il termine per l'impugnazione non può che
decorrere dalla notifica dell'avviso di deposito della sentenza
(cfr. Cass., sez. II, 8231/92, Paladini, M. 191424), giacché sol tanto con tale atto la decisione viene portata a conoscenza degli interessati.
Nel caso in esame, dal verbale risulta che il dispositivo non
fu letto in udienza, ma fu depositato fuori udienza, essendosi la corte riservata. I motivi della decisione non furono redatti
contestualmente, ma depositati entro il quindicesimo giorno. L'avviso di deposito, con l'espressa specificazione che la «noti
fica vale anche come avviso di deposito del provvedimento ai
sensi dell'art. 128 c.p.p.», fu notificato il 6 luglio 1992 all'im
putato e il 3 luglio 1992 al suo difensore. Questi presentò il ricorso il 18 luglio 1992. Il ricorso è, pertanto, ammissibile.
Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente di ogni altra censura.
interpretativi (cfr., tra gli altri, Lavarini, Giudizio abbreviato e inter
rogatorio dell'imputato, in Giur. it., 1991, lì, 373, cui si rinvia per l'ulteriore letteratura citata); il contributo ermeneutico della sentenza in epigrafe pare allinearsi con i più recenti approdi del dibattito. Per una visione particolarmente problematica, cfr. Corte cost. 8 luglio 1992, n. 318, Foro it., 1993, I, 342, con osservazioni di Di Chiara; secondo Assise Genova 8 luglio 1992, (id., 1992, II, 687, con nota di richiami) l'ordinanza ammissiva del rito abbreviato sarebbe addirittura revocabi le ove dalle dichiarazoni dell'imputato e dalla successiva discussione, pur nel contesto del rito abbreviato 'tipico', emergessero elementi nuovi meritevoli di approfondimenti o venissero a mancare dati essenziali su cui il giudice aveva fondato la propria valutazione di decidibilità allo stato degli atti (sul punto, cfr. Rigo, Interrogatorio dell'imputato nel
giudizio abbreviato e revocabilità dell'ordinanza di ammissione al rito, in Cass, pen., 1992, 3071 ss.).
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GIURISPRUDENZA PENALE
Il ricorrente si duole che l'istanza dell'imputato di essere sot
toposto ad interrogatorio sia stata rifiutata dal giudice di primo
grado sull'assunto «dell'incompatiilità del rito abbreviato con
l'interrogatorio»; e che lo specifico motivo di gravame sia stato
rigettato dalla corte d'appello con il rilievo che «anche nell'ipo
tesi — come nella specie — di trasformazione del rito ex art.
452, 2° comma, c.p.p., preminente appare il requisito indefetti
bile di ogni forma di giudizio abbreviato, cioè l'esigenza che
l'imputato istante accetti di essere giudicato allo stato degli atti».
Secondo la corte d'appello, il giudizio allo stato degli atti
e il fatto che il giudice ritenga di poter decidere alla luce di siffatto stato rendono inapplicabile al giudizio abbreviato, an
che in caso di trasformazione del rito ex art. 452, 2° comma,
c.p.p., la disposizione, prevista dall'art. 421 c.p.p., relativa al
l'udienza preliminare, che prevede espressamente la possibilità
dell'indagato di essere sottoposto ad interrogatorio.
L'interpretazione dei giudici di merito, per quanto confortata
da una argomentata decisione di questa corte (Cass., sez. VI,
n. 3793/92, Guidotti), non può essere condivisa.
L'art. 452, 2° comma, c.p.p., nell'ipotesi di trasformazione
del giudizio direttissimo in abbreviato, prevede la possibilità per
il giudice di assumere nuovi elementi probatori. Tale potere del
giudice, peraltro, può esplicarsi soltanto dopo che il giudice —
a seguito della richiesta dell'imputato di giudizio abbreviato e di consenso del pubblico ministero — «dispone con ordinanza
la prosecuzione del giudizio osservando le disposizioni previste
per l'udienza preliminare, in quanto applicabili».
Non esiste ragione di ostacolo all'applicabilità della disposi
zione, prevista dall'art. 421, 2° comma, c.p.p. secondo cui «l'im
putato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio». Anzi,
proprio tale atto può concorrere ad arricchire gli elementi in
possesso del giudice per poter decidere allo stato degli atti ovve
ro — essendo a lui inibito di rigettare la richiesta dell'imputato,
consenziente il pubblico ministero — di avvalersi dei poteri con
feriti dall'art. 452, 2° comma, ultima parte, c.p.p.
Non è risolutiva la considerazione del giudice di merito, se
condo cui il requisito indefettibile di ogni forma di giudizio ab breviato è l'esigenza che l'imputato accetti di essere giudicato
allo stato degli atti.
In realtà, anche per l'ipotesi di giudizio abbreviato «ordina
rio» ciò non implica affatto la preclusione dell'interrogatorio,
che è atto previsto in qualsiasi tipo di procedimento, fatta ecce
zione per quello a contraddittorio eventuale e posticipato (v.
Cass., sez. la, n. 3501/91, Amato, M. 187117).
Nel sistema del nuovo codice, se l'interrogatorio del p.m. in
fase di indagini preliminari ha finalità investigative, quello con dotto dal giudice (pur nella stessa fase delle indagini prelimina
ri) non solo ha conservato, ma ha accentuato sia la funzione
di mezzo di garanzia e di controllo sull'attività del p.m., sia
la natura propria di «strumento di difesa», come emerge dal
sistema delineato dagli art. 294 e 302 c.p.p., con la previsione
della caducazione della misura cautelare.
Tale essenziale natura di mezzo di difesa — che costituisce
anche l'unica incomprimibile espressione di «autodifesa» am
messa dal nostro ordinamento — il legislatore ha espressamente
sottolineato nella stessa legge delega, imponendo di finalizzare
ad essa la disciplina delle modalità dell'interrogatorio (direttiva 5).
L'accentuazione del giudizio «allo stato degli atti» non impo
ne affatto una compressione al diritto di difesa e di autodifesa,
di cui l'interrogatorio, come si è detto, è l'espressione principa
le, ma implica soltanto una rinuncia al «diritto a difendersi pro
vando». L'imputato, interrogato a sua richiesta, non può indi
care a sua difesa elementi di prova non in atti o non ricavabili
da quelli in atti, dal momento che il giudice — nel giudizio abbreviato tipico
— non ha il potere di assumere prove.
La ritenuta incompatibilità tra giudizio abbreviato e interro
gatorio contrasta non soltanto con i principi e con la logica
del sistema processuale, ma anche con la disciplina normativa.
L'interrogatorio è previsto sia nel giudizio abbreviato «tran
sitorio» (art. 247, 2° comma, d.leg. 271/89) sia nel giudizio abbreviato dinanzi al pretore (art. 561, 2° comma, c.p.p.), do
ve l'espressa previsione è stata resa necessaria dalla mancanza
di udienza preliminare. Nel procedimento dinanzi al tribunale, invece, l'art. 441 rinvia alle disposizioni previste per l'udienza
preliminare e, nell'escludere testualmente l'applicabilità degli art.
422 e 423, richiama il contenuto dell'art. 421: sarebbe ben stra
no che un mezzo primario di difesa come l'interrogatorio, men
II Foro Italiano — 1994.
zionato proprio nell'art. 421, il legislatore abbia inteso esclude
re soltanto implicitamente con la locuzione «in quanto appli
cabili». Tale conclusione appare valida a maggior ragione nel giudi
zio abbreviato di cui all'art. 452, dove il giudice, quando ritiene
di non poter decidere allo stato degli atti, ha il potere di indica
re alle parti temi nuovi ed incompleti, procedendo ad assumere
gli elementi necessari ai fini della decisione nei modi previsti dall'art 422. In questo caso il giudice potrà, di sua iniziativa,
anche tenere eventualmente conto del contenuto dell'interroga
torio dell'imputato, senza peraltro che questo abbia «diritto»
alla assunzione probatoria. Non pare rilevante né pertinente l'argomento che, nell'ipotesi
di cui all'art. 452, l'imputato è stato già interrogato in sede
di convalida di arresto e che l'interrogatorio costituirebbe un
inutile doppione di attività: in primo luogo l'interrogatorio è
un mezzo di difesa incomprimibile e mai denegabile; in secondo
luogo tale situazione può bem verificarsi anche nell'ipotesi di
una «ordinaria» udienza preliminare a seguito di richiesta di
rinvio a giudizio da parte del p.m., nel caso di arresto e succes
siva convalida o di interrogatorio ex art. 294 c.p.p., ipotesi in
cui a nessuno potrebbe venire in mente di negare all'imputato
che lo richieda di essere nuovamente interrogato nell'udienza
preliminare. Nel caso in esame, pertanto, il diniego dell'interrogatorio, ri
chiesto dall'imputato, ha violato il diritto di difesa e determina
to una nullità di ordine generale, a norma degli art. 178, lett.
c), e 180 c.p.p. Di conseguenza, in accoglimento del ricorso,
va annullata sia la sentenza della corte d'appello sia quella di
primo grado, in cui la nullità si è verificata, con rinvio ad altra
sezione del Tribunale di Roma che procederà a nuovo giudizio,
nel rispetto dei principi di diritto sopra enunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale: sentenza 25 gen
naio 1993; Pres. Moro, Est. Ippolito, P.M. Geraci (conci,
conf.); ric. Gangemi. Conferma G.i.p. Trib. Reggio Calabria, ord. 23 ottobre 1992.
Misure cautelari personali — Ricorso diretto in Cassazione —
Poteri del giudice di legittimità (Cod. proc. pen., art. 311).
In sede di controllo di legittimità delle ordinanze applicative
di misure cautelari, a seguito di ricorso diretto in Cassazione
ai sensi dell'art. 311, 2° comma, c.p.p., esula dai compiti
della Corte di cassazione ogni apprezzamento circa il venir
meno dei gravi indizi, posti a base della misura cautelare,
a seguito di ulteriori indagini o di elementi offerti dall'inda
gato o dalla sua difesa dopo l'esecuzione del provvedimento;
ne consegue che, se la persona sottoposta alle indagini sceglie
direttamente il ricorso per cassazione, accetta una verifica li
mitata al controllo di legittimità del provvedimento impugna
to, ciò che può tradursi concretamente in uno svantaggio per
l'accusa, non potendo la corte intervenire a sorreggere le even
tualmente claudicanti o manchevoli argomentazioni dell'ordi
nanza cautelare emessa dal giudice per le indagini prelimina
ri, ovvero in un limite per la difesa, non potendo far valere
elementi acquisiti dopo l'esecuzione del provvedimento. (1)
(1) Giurisprudenza costante: nello stesso senso, cfr. Cass. 13 febbraio
1992, Trubia, Foro it., Rep, 1992, voce Misure cautelari personali, n.
540, secondo cui, nell'ipotesi di ricorso per saltum avverso provvedi
mento cautelare, «oggetto di censura può esser soltanto la violazione,
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