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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sezione VI penale; sentenza 5 marzo 1979; Pres. Fornari,...

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Sezione VI penale; sentenza 5 marzo 1979; Pres. Fornari, Est. A. C. Moro, P. M. Minozzi (concl. conf.); ric. Campili ed altro. Annulla senza rinvio Trib. Napoli 22 settembre 1977 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 303/304-311/312 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171584 . Accessed: 25/06/2014 01:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 62.122.79.22 on Wed, 25 Jun 2014 01:01:29 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezione VI penale; sentenza 5 marzo 1979; Pres. Fornari, Est. A. C. Moro, P. M. Minozzi (concl.conf.); ric. Campili ed altro. Annulla senza rinvio Trib. Napoli 22 settembre 1977Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.303/304-311/312Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171584 .

Accessed: 25/06/2014 01:01

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PARTE SECONDA

e in pendenza di esso, sia concedibile l'indulto; c) se, non ri

correndo cause di esclusione dall'indulto, ma rendendosi tuttavia

necessaria la previa acquisizione di ulteriori elementi per stabi

lire la misura del benefìcio spettante all'imputato, il giudice sia

tenuto (cosi come quando deve applicare l'amnistia propria) a

rinviare il giudizio o debba, invece, ugualmente definirlo, riser

vando l'applicazione dell'indulto ad altro giudice (e cioè a quello

dell'impugnazione o, altrimenti, a quello dell'esecuzione). La prima delle indicate questioni non offre particolari dif

ficoltà.

Il penultimo e ultimo comma dell'art. 591 cod. proc. pen. im

pongono, infatti, espressamente l'applicazione dell'indulto all'im

putato sia da parte del giudice che procede al giudizio con la

sentenza di condanna sia da parte della Corte di cassazione —

tranne i casi di rinvio — con la sua sentenza (ovviamente di

rigetto o di inammissibilità del ricorso proposto avverso sen

tenza di condanna). La circostanza, poi, che l'art. 11 legge n. 405

del 1978, in deroga dell'ultimo inciso del 1° comma dell'art. 174

cod. pen., ha esteso il beneficio anche a uno specifico effetto

penale della condanna non muta in alcun modo i termini del

problema ed anzi rende più evidente l'interesse dell'imputato a

che non siano frapposti ingiustificati indugi nell'applicazione di

un beneficio la cui concessione non è rimessa alla discrezionalità del giudice. Del pari il rilievo che l'amnistia impropria — con

siderata nello stesso art. 1 —, presupponendo una sentenza ir

revocabile, non può che essere applicata in sede di esecuzione, non comporta affatto che l'indulto, sol perché esteso anche al

provvedimento di sospensione della patente di guida, non possa o non debba essere più applicato dal giudice che procede al giu dizio o dalla Corte di cassazione.

Più delicata può apparire, almeno, prima facie, la seconda que stione.

Muovendo dalla premessa, incontestabilmente esatta (art. 183, 2° comma, cod. pen.) che le cause di estinzione del reato pre valgono su quelle di estinzione della pena, si è soliti affermare

che, una volta accordata la sospensione condizionale della pena, assertivamente qualificata « causa di estinzione del reato », il

giudice non può più concedere l'indulto che costituisce soltanto causa di estinzione della pena.

Del ricordato orientamentp (non solo giurisprudenziale) van no rilevate l'inconsistenza e la fallacia.

Deve in primo luogo osservarsi che in tanto può essere rite nuto sussistente un concorso di cause di estinzione a contenuto diverso solo se ed in quanto dette cause, per essere già interve

nute, si trovino ad essere tutte operanti (art. 183, 1° comma, cod.

penale). Invero non avrebbe senso e giammai potrebbe essere stimato valido un raffronto tra cause di estinzione in atto, e al

tre, sia pure di contenuto più ampio, soltanto in fieri (art. 183, 3° e 4° comma, cod. penale). E poiché è fuor di dubbio che

l'« ordine » del giudice di sospendere l'esecuzione della pena non

estingue contestualmente il reato (e neppure la pena), è di pal mare evidenza che siffatto « ordine » non può costituire ostacolo

all'applicazione di cause di estinzione (del reato o della pena) che, per essere intervenute, siano già operanti.

Peraltro, e si passa cosi ad un secondo ordine di considera

zioni, è la stessa inclusione della sospensione condizionale nel

novero delle cause (sia pure mediate) di estinzione del reato che, a ben riflettere, sarebbe del tutto inaccettabile qualora il bene

ficio coinvolgesse soltanto l'esecuzione della pena. L'istituto disciplinato dagli art. 163 segg., cod. pen., che di

scende direttamente, mutato nomine, da quello della « condanna

condizionale » di cui agli art. 423 segg. cod. proc. pen. del 1913,

agisce, per vero, su due diverse direttrici e tende, con finalità

convergenti, a due effetti ben distinti fra loro: — un primo, principale, ma non immediato effetto è quello,

irreversibile, della cessazione della pretesa punitiva il cui veri

ficarsi è subordinato all'avveramento della condizione sospensi va che il condannato non commetta altri delitti o contravven

zioni della stessa indole e adempia gli obblighi prescrittigli, nei

termini stabiliti (art. 167 cod. penale); — un secondo effetto, accessorio rispetto al primo, ma imme

diato, è quello della sospensione (rectius: del differimento del

l'inizio) dell'esecuzione della pena che, invece, è soggetto a re

voca non solo come è ovvio, nel caso in cui il primo effetto non

possa più verificarsi (art. 167 e art. 168, 1° comma, n. 1, cod.

pen.), ma anche in altri casi (restanti ipotesi dell'art. 168) che

non hanno attinenza con il primo. La sospensione dell'esecuzione della pena, la quale accede per

legge al beneficio della (condanna) condizionale di cui all'art.

167 cod. pen., ma la cui persistenza non è necessariamente richie

sta per l'avveramento della condizione sospensiva per la conse

guente cessazione della pretesa punitiva, non esplica dunque e

non può esplicare di per sé, al pari di qualsivoglia altra causa

di sospensione o differimento dell'esecuzione della pena, dipen dente da diverso titolo (art. 589 cod. proc. pen.), alcuna inci

denza sull'esistenza del reato o della pena. Ond'è che lo stato, per cosi dire, di quiescenza dell'esecuzio

ne della pena, non può costituire in verun caso ostacolo all'ap

plicazione di una già immanente causa di estinzione non solo

quando essa abbia per oggetto il reato, ma anche quando si

riferisca soltanto alla pena. Deve quindi concludersi che non vi è alcuna incompatibilità

logica o giuridica tra la concessione del beneficio di cui agli art.

163 segg. cod. pen. e l'indulto e deve conseguentemente affer

marsi che l'elargizione dell'indulto non preclude al giudice di

concedere il beneficio del quale si è fin qui trattato e per con

verso che la concessione di detto beneficio all'imputato, che ne

sia stato ritenuto meritevole, non è ostativa all'applicazione del

l'indulto: questo, invero, estingue la pena e quello, invece, ve

rificandosi nei termini stabiliti le condizioni di legge, estinguerà anche il reato.

Per quanto concerne l'ultima delle tre questioni che si sono

innanzi delineate va, infine, considerato che dall'applicazione del

l'indulto all'imputato oppure al condannato non consegue, di

regola, a differenza che dall'applicazione dell'amnistia propria o impropria, sostanziale diversità di effetti. Pertanto il giudice, che non sia in grado di determinare la quantità del condono con

cedibile per mancanza di precedenti penali aggiornati alla data

di entrata in vigore del decreto, ben può ugualmente definire il

giudizio, riservando la pronuncia sull'indulto al giudice dell'im

pugnazione oppure, in difetto, a quello dell'esecuzione.

Nel caso che ne occupa, tuttavia, non ricorrendo alcuna delle

ipotesi di esclusione o di limitazione oggettive stabilite rispet tivamente dall'art. 7 e dal 1° comma dell'art. 6 d. pres. 4 agosto 1978 n. 413, e non potendo nel contempo l'elargito condono di

due anni essere ridotto (pur se ricorressero più limitazioni sog

gettive tra quelle indicate nel 3° comma del citato art. 6) a meno

di un quarto cioè al di sotto di mesi sei, non si rende necessa

rio acquisire alcun altro elemento, atteso che all'imputato è stata

inflitta la pena di mesi quattro di reclusione e la sospensione della patente di guida per mesi sei. Ond'è che sia la pena sia la

sanzione atipica, non eccedendo i limiti minimi in cui deve es

sere applicato l'indulto, vanno dichiarate interamente condonate

in questa sede.

Per questi motivi, ecc.

I

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 5

marzo 1979; Pres. Fornari, Est. A. C. Moro, P.M. Minozzi

(conci, conf.); ric. Campili ed altro. Annulla senza rinvio Trib.

Napoli 22 settembre 1977.

Segreti (reati contro l'inviolabilità dei) — Segreto istruttorio —

Limiti — Fattispecie (Cod. pen., art. 684; cod. proc. pen., art.

164, 307).

Il divieto di pubblicazione di atti o documenti di un procedi mento penale, agli effetti del reato di cui all'art. 684 cod. pen., deve essere limitato, da un lato, esclusivamente agli atti tas

sativamente indicati dall'art. 164 cod. proc. pen. e, dall'altro

lato, deve essere circoscritto al mero contenuto degli atti istrut

tori, senza estendersi a tutto ciò che concerne gli atti medesimi

ed i loro risultati (nella specie, era stata data notizia su un

quotidiano della richiesta rivolta dal p. m. al giudice istruttore

di emettere mandato di cattura nei confronti di un indiziato). (1)

(1-4) Corte cost. 10 marzo 1966, n. 18, Foro it., 1966, I, 412, ri

chiamata in motivazione, dalla Cassazione e dal Tribunale di Roma, ha dichiarato infondata l'eccezione di costituzionalità degli art. 684

cod. pen. e 164, n. 1, cod. proc. penale. La questione è stata di nuovo rimessa all'esame della Corte costi

tuzionale da Pret. Bologna, ord. 25 ottobre 1979, in questo fascicolo,

II, 384, con nota di richiami e da Trib. Milano, ord. 8 febbraio 1975, Foro it., 1975, II, 275, con riguardo al divieto di pubblicazione di no

tizie relative a procedimenti penali a carico di minori degli anni di

ciotto. Per la manifesta infondatezza della questione v. invece Cass.

30 settembre 1971, Della Latta, id., Rep. 1972, voce Istruzione pe

nale, n. 167. Nel senso che la banca, essendo vincolata al segreto istruttorio,

non è tenuta ad informare il correntista dell'avvenuta evasione di

una richiesta di notizie e di documentazioni concernenti il contratto

di conto corrente in esecuzione di un ordine del giudice, ai sensi

dell'art. 340 cod. proc. pen., cfr. Cass. 18 luglio 1974, n. 2147, id.,

1975, I, 1451, con nota di richiami e osservazione di Secchi Tarugi,

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 14 giugno 1978; Pres. Vol

pari, Est. Lopiano; imp. Fossati ed altri.

Segreti (reati contro l'inviolabilità dei) — Segreto istruttorio —

Atti e documenti acquisiti nella fase delle indagini preliminari — Estensibilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 684; cod. proc.

pen., art. 164).

Segreti (reati contro l'inviolabilità dei) — Pubblicazione su

quotidiani di documenti già diffusi dalle agenzie di stampa —

Punibilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 684; cod. proc. pen., art. 164).

Segreti (reati contro l'inviolabilità dei) — Pubblicazione di atti

coperti da segreto istruttorio — Diffida a non pubblicare docu

menti istruttori — Violazione — Reato ex art. 650 cod. pen. —

Insussistenza (Cod. pen., art. 650, 684; cod. proc. pen., art. 164).

Il divieto di pubblicazione degli atti e documenti relativi alle

istruzioni penali, sancito dagli art. 684 cod. pen. e 164 cod.

proc. pen., deve ritenersi esteso agli atti e documenti acqui siti fin dalla fase delle indagini preliminari di polizia giudiziaria e comunque per quegli atti che si inseriscono in un procedi mento penale già esistente (nella specie, si è ritenuto che il

divieto di pubblicare un comunicato delle « brigate rosse »

da parte di un quotidiano, cui erano state date indicazioni per il suo rinvenimento, sussisteva fin dal momento dell'acquisi zione dello stesso documento da parte della polizia giudiziaria

presso la redazione del giornale). (2)

Oggetto della tutela del divieto di pubblicazione di atti istrut

tori, di cui agli art. 684 cod. pen. e 164 cod. proc. pen., è

quello di evitare la pubblicità degli atti e dei documenti di un

procedimento penale, anche se gli stessi non siano coperti da

segreto; rispondono pertanto del reato di pubblicazione arbi

traria di atti di procedimento penale coloro che pubblichino su giornali il contenuto di documenti (nella specie comunicato

delle « brigate rosse ») di cui sia vietata la divulgazione, anche

se questo, al momento della pubblicazione, sia stato divulgato attraverso tutte le agenzie di stampa. (3)

La violazione della diffida, con cui viene segnalato che la pubbli cazione di un documento facente parte di un procedimento

penale in corso di istruzione è sottoposto al divieto di cui agli art. 684 cod. pen. e 164 cod. proc. pen., non integra l'auto

nomo reato di violazione dell'ordine dell'autorità previsto dal

l'art. 650 cod. pen., ponendosi esclusivamente come trasgres sione al divieto di pubblicazione di documenti istruttori. (4)

I

La Corte, ecc. — Considerazioni in fatto. — A seguito di cita

zione con rito direttissimo si procedeva avanti al Tribunale di

Napoli a carico di Campili Giovanni e Mazzone Orazio per il

reato di cui all'art. 684 cod. pen. per avere il primo pubblicato sul quotidiano « Il Mattino » del 28 marzo 1976 un articolo nel

quale dava notizia che il s. procuratore della Repubblica presso il Trib. Napoli aveva chiesto al g. i. di emettere mandato di cat

tura nei confronti di Zarelli Domenico dando cosi divulgazione al contenuto di un atto tutelato dal segreto istruttorio e per avere

il secondu, nella sua qualità di direttore responsabile del pre detto quotidiano omettendo il dovuto controllo, permesso che ve

nisse consumato il reato.

Il tribunale assolveva gli imputati perché il fatto non costituisce

reato.

Riteneva il giudice di merito: a) che — sulla base delle sen

tenze della Corte costituzionale — deve riconoscersi che il se

commentata da Di Amato, in Giust. civ., 1975, I, 74, da Mazza cuva, da Molle e da Pisapia, in Banca, borsa, ecc., 1974, II, 143 e 385.

Per l'affermazione secondo cui non viola il segreto istruttorio l'af fidamento al perito dell'intero incarto processuale e delle varie grafie autografe di controllo v. Cass. 5 marzo 1971, Boscolo, Foro it.,

Rep. 1976, voce Perizia penale, n. 23, commentata da Iannone, in Riv. it. dir. proc. pen., 1975, 1075.

Sull'obbligo del segreto per gli atti di polizia giudiziaria v. Cass. 7 dicembre 1977, Straziota, Foro it., Rep. 1978, voce Abuso di po teri, n. 37.

In tema di segreto istruttorio v., da ultimo, Corte europea dei di ritti dell'uomo 25 aprile 1979, Sunday Times, id., 1979, IV, 193, con nota di richiami e osservazione di Fiumanò, L'informazione sui

processi in corso ed il « contempt of court » dinanzi alla Corte eu

ropea, che ha ritenuto costituire una violazione della libertà di espres sione tutelata dall'art. 10 della Convenzione europea dei diritti del l'uomo l'ingiunzione rivolta ad un giornale di non pubblicare un articolo concernente valutazioni intorno ad una controversia penden te dinanzi al giudice.

Il Foro Italiano — 1980 — Parte II- 21.

greto istruttorio costituisce un vero e proprio limite alla libertà

di manifestazione del pensiero nel particolare aspetto della libertà

di cronaca; b) che il divieto di pubblicazione di atti istruttori dura sino a che permanga il vincolo della segretezza e che tale limite non può dilatarsi fino alla lettura del documento o atto

nel dibattimento ma solo finché, per il decorso del tempo o

per altra causa, cessi l'obbligo del segreto; c) che nella specie è pacifico in punto di fatto che il Campili pubblicò la notizia, tratta dai registri di cancelleria accessibili a tutti e di pubblica consultazione, della trasmissione degli atti al g. i. per la forma

lizzazione dell'istruttoria con la conseguente necessaria richiesta del mandato di cattura (ed a chiare lettere si fa presente nel

l'articolo che per un reato cosi grave come il triplice omicidio

aggravato è obbligatorio il mandato di cattura); d) che conse

guentemente — essendo cessato il vincolo della segretezza — il

divieto di pubblicazione di quell'atto processuale non poteva più sopravvivere.

Ricorre contro la predetta sentenza il p. m. (ed il p. g.) la

mentando: a) l'erronea applicazione della legge penale: il tri bunale erroneamente ha ritenuto che la tutela della segretezza

penalmente sanzionata dall'art. 684 cod. pen. non debba essere

vincolata fino ai limiti temporali espressamente previsti dal

l'art. 164 cod. proc. pen.; ti) il travisamento di fatto: il tribu

nale ha dato per pacifica la circostanza (l'aver tratto il Campili la notizia dai registri di cancelleria) che non trova alcun riferi

mento negli atti di causa: le annotazioni relative al passaggio dal rito sommario al formale non fanno cenno della contestuale

richiesta di emissione del mandato di cattura, richiesta non con

seguentemente necessaria alla formalizzazione perché il requi rente ben poteva riservarsi di farla all'esito delle eventuali ulte riori indagini; c) il travisamento di fatto perché il Campili diede espressamente notizia all'inizio dell'articolo della richiesta del mandato di cattura e solo successivamente ebbe a prospet tare che per un reato cosi grave era obbligatorio il mandato di

cattura mentre il tribunale ha preso in considerazione solo que st'ultima affermazione dell'articolista.

Motivi della decisione. — La sentenza impugnata non può es

sere confermata perché il ricorso del procuratore della Repubbli ca appare fondato.

Deve innanzi tutto rilevarsi che il divieto penalmente sanzio

nato ex art. 684 cod. pen. ha portata e significato diverso dal

l'obbligo di segretezza sugli atti istruttori di cui all'art. 307 cod.

proc. pen.: diversi sono i soggetti (in questo le persone legate da

un vincolo funzionale e di fedeltà con la pubblica amministra

zione, in quello gli operatori dei mass media)-, diversi gli atti

protetti (l'obbligo di segretezza interna non è più così ampio a seguito della novella del 1995); diverso il limite temporale

(per l'art. 307 fino al deposito degli atti istruttori, per l'art. 684 cod. pen. in relazione all'art. 164 cod. proc. pen. fino a che degli atti istruttori non sia data lettura nel dibattimento a porte aperte); diverso il bene giuridico tutelato (nel primo caso la segretezza di

alcuni atti nei confronti delle parti, nel secondo la riservatezza di certi atti nei confronti dell'intera collettività e questo non solo a tutela dell'adeguato svolgimento dell'attività istruttoria che po trebbe essere turbata da interferenze della stampa ma anche a

tutela della stessa personalità degli inquisiti).

Può discutersi, de iure condendo, della opportunità del divieto

posto dall'art. 684; ma di fronte alla precisa disposizione vi

gente — ed anche ritenuta costituzionalmente legittima dalla

Corte costituzionale con la sentenza n. 18 del 1966 (Foro it., 1966, I, 412) — non è dato all'interprete alcuna possibilità di

disapplicarla. Può tuttavia riconoscersi che la non pubblicità e

sterna ha carattere eccezionale nel nostro sistema che si ispira al principio della pubblicità in considerazione dell'interesse della

collettività a conoscere i fatti socialmente rilevanti che si veri

ficano nel suo seno, del diritto dell'opinione pubblica a formarsi

una propria opinione in ordine a tali fatti e di esprimerla in

piena libertà, del diritto della collettività a controllare che la

giustizia — la quale pronuncia le sue sentenze in nome del po

polo italiano — venga rettamente amministrata.

Il divieto perciò da una parte deve essere limitato esclusiva

mente agli atti tassativamente indicati dall'art. 164 — perché solo

relativamente ad essi il legislatore ha ritenuto che i beni tutelati

abbiano tale valore da giustificare il sacrificio degli interessi ga rantiti con la pubblicità — e dall'altro deve essere circoscritto

al mero « contenuto » degli atti e non si estende a tutto ciò che

concerne gli atti medesimi e i loro risultati.

Perciò questa corte — con sentenza dell'I 1 aprile 1959, Ma

nilla (id., Rep. 1959, voce Segreti, n. 2) — ha affermato che non

è punibile la pubblicazione della sola imputazione tratta dalla

richiesta di citazione a giudizio trattandosi di notizia generica che può essere tratta dai registri della cancelleria.

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PARTE SECONDA

Nel caso in esame pertanto il reato non si sarebbe verificato se la pubblicazione avesse avuto attinenza ad una notizia gene rica desunta dai registri di cancelleria. Ma il tribunale non ha

svolto alcuna indagine su questo punto rilevante per la decisione

limitandosi ad affermare apoditticamente essere pacifico che la notizia fu tratta dai registri di cancelleria, mentre tale dato non

era affatto pacifico e appare poco probabile: dai registri di can

celleria può trarsi la notizia della richiesta di formalizzazione

dell'istruttoria non anche la, del tutto eventuale, richiesta di emis

sione di un mandato di cattura. La sentenza dovrebbe essere pertanto annullata con rinvio per

accertare da una parte se effettivamente la predetta richiesta era stata registrata sui registri di cancelleria e dall'altra se trattavasi

comunque di una notizia generica o invece implicava anche la

pubblicazione di notizie attinenti al contenuto di un atto istrut

torio.

Poiché però il reato de quo è ormai estinto per il decorso del termine prescrizionale, la sentenza deve essere annullata senza rinvio.

Per questi motivi, ecc.

II

Il Tribunale, ecc. — Fatto e diritto. — Alle ore 17,20 del 20

maggio 1978 Zaccaria Giuseppe, redattore del quotidiano « Il

Messaggero », rinveniva, a seguito di una segnalazione anonima

ricevuta per telefono, in un cestino di rifiuti della via Cernaia, una busta gialla all'interno della quale vi era la fotocopia di un

dattiloscritto composto di due fogli contenente un messaggio delle « brigate rosse », con il testo parte in chiaro e parte in cifrato. Del fatto veniva subito avvertita la DIGOS che, alle ore 17,55 dello stesso giorno, provvedeva al sequestro del volan tino e della busta che lo conteneva. Successivamente, ma nella stessa giornata, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma emetteva un decreto nel quale, dopo aver premesso che il volantino era stato sequestrato dalla

polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 222 cod. proc. pen. e che di esso era pertanto vietata la pubblicazione ai sensi degli art. 684 cod. pen. e 164 cod. proc. pen., essendo divenuto lo stesso atto di un procedimento penale, diffidava tutti gli organi di stampa e di divulgazione televisiva dal pubblicare in qualsiasi modo il contenuto del volantino, tratto eventualmente da copie dello stes

so, delle quali, nel contempo, ordinava il sequestro. Il suddetto decreto alle ore 20,20 del 20 maggio 1978 veniva notificato al

signor Fossati Luigi, direttore responsabile de «Il Messaggero», il quale consegnava al personale operante, come risulta dal re lativo verbale, « n. 4 copie fotostatiche del volantino suddetto, nonché n. 3 copie fotostatiche della prima pagina dello stesso ». In quella occasione il Fossati dichiarava che « la diffida non aveva ragion d'essere in quanto la divulgazione della notizia era avvenuta tramite agenzie di stampa».

Sull'edizione del 21 maggio 1978 « Il Messaggero » dava no tizia del ricevimento del volantino delle « brigate rosse », pubbli candone ^uasi integralmente il testo, ad eccezione della parte conclusiva e di quella cifrata; nel corpo dell'articolo veniva pub blicato altresì il testo integrale del provvedimento del sostituto

procuratore generale e veniva data spiegazione della' pubblica zione del testo del volantino nonostante il divieto contenuto nel cennato provvedimento.

Il fatto della pubblicazione veniva segnalato, per le opportune iniziative penali, in data 22 maggio 1978, dal procuratore gene rale al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

Successivamente, sull'edizione in data 22-23 maggio 1978 del

quotidiano « Vita », in edicola nelle ore pomeridiane del giorno 22 maggio, veniva data notizia che a quel giornale, alle ore 15 dello stesso giorno, era stato fatto pervenire un comunicato delle « brigate rosse », costituito da una parte in chiaro e da una parte cifrata, del quale veniva pubblicato il testo integrale, che risul tava identico a quello ricevuto da « Il Messaggero » e da questo parzialmente pubblicato; anche il predetto comunicato veniva

consegnato alla DIGOS.

Nell'edizione del 23 maggio 1978 i quotidiani « Lotta con tinua » e « Il Manifesto » davano notizia che nei confronti del direttore responsabile de « Il Messaggero » era stata promossa azione penale in relazione alla pubblicazione del testo del comu nicato delle « brigate rosse »; nella stessa edizione, sia pure con diverse motivazioni, entrambi i quotidiani pubblicavano il testo

integrale del suddetto comunicato, compresa la sua parte cifrata. In base a tali fatti Fossati Luigi, Simeoni Franco, Taverna

Michele e Parlato Valentino, nelle qualità di direttori responsa bili rispettivamente dei quotidiani « Il Messaggero », « Vita », « Lotta continua » e « Il Manifesto », sono stati rinviati al giu dizio di questo tribunale, con rito direttissimo, per rispondere

dei reati di cui agli art. 650 e 684 cod. pen., cosi' come per cia scuno di essi precisato in epigrafe.

In esito al dibattimento, sentite le parti, il tribunale osserva: L'art. 164 cod. proc. pen. vieta, tra l'altro, la pubblicazione,

col mezzo della stampa o con altri mezzi di divulgazione, fatta da chiunque in qualsiasi modo, totale o parziale, anche per rias sunto o a guisa di informazione, del contenuto di qualunque do cumento e di ogni atto scritto o orale relativo all'istruzione for male o sommaria fino a che del documento o dell'atto non siasi data lettura nel dibattimento a porte aperte. La violazione del suddetto divieto trova la sua sanzione penale nell'art. 684 cod.

pen. che punisce con l'ammenda non inferiore a lire ventimila

chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento pe nale di cui sia vietata per legge la pubblicazione.

In relazione alla suddetta normativa, e facendo riferimento al caso in esame, due appaiono le questioni meritevoli di appro fondimento. La prima è se il documento contenente il comunicato delle « brigate rosse » poteva considerarsi, e da quale momento, documento di un procedimento penale, del quale fosse vietata la pubblicazione. La seconda è se sussisteva ancora il divieto di

pubblicazione nonostante che precedentemente al sequesto il con tenuto del documento era stato diffuso tramite le agenzie di

stampa. Quanto alla prima questione la difesa degli imputati ha so

stenuto che il documento sequestrato dalla DIGOS era diventato atto di un procedimento penale soltanto nel momento in cui esso era stato consegnato (e di ciò non v'era notizia nel processo) all'autorità giudiziaria competente, nella specie il giudice istrut tore presso il Tribunale di Roma che procedeva, con istruttoria formale, a carico di Alunni Corrado ed altri imputati di omicidio volontario dell'on. Aldo Moro e dei militari facenti parte della sua scorta, nonché di partecipazione a banda armata ed altro.

La tesi della difesa non può essere condivisa. È opinione del tribunale che il documento contenente il comunicato delle « bri

gate rosse » sia divenuto atto del procedimento penale nello stesso momento in cui è stato sottoposto al sequestro della DIGOS, e cioè alle ore 17,55 del 20 maggio 1978.

Sono note al tribunale quella dottrina e quella giurisprudenza secondo le quali il divieto di pubblicazione di cui agli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen. non riguarda gli atti che la po lizia giudiziaria compie di propria iniziativa, almeno fino a

quando, in seguito alla comunicazione di quegli atti all'autorità

giudiziaria, non venga aperto un procedimento penale. Tale tesi, tuttavia, può considerarsi travolta, come è stato fatto rilevare da autorevolissima dottrina, per efletto della sentenza della Corte co stituzionale, 5 luglio 1968, n. 86 (Foro it., 1968, I, 1681) che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 225 cod. proc. pen. nella parte in cui rendeva possibile alla polizia giudiziaria il compimento di atti istruttori senza l'applicazione degli art. 390 e 304 bis, ter e quater cod. proc. pen., nonché per effetto delle modifiche apportate al testo dell'art. 225 cod. proc. pen. dall'art. 3 legge 5 dicembre 1969 n. 392, prima e successivamente dal l'art. 7 legge 14 ottobre 1974 n. 497 (per l'art. 222 cod. proc. pen., concernente il sequesto del corpo di reato, vedasi nello stesso

senso, per la estensione delle garanzie, Corte cost. 3 dicembre 1969, n. 148, id., 1970, I, 10); ed infatti per effetto dell'anticipa zione delle garanzie istruttorie alla fase delle indagini preliminari di polizia giudiziaria, deve coerentemente ritenersi esteso agli atti e documenti acquisiti fin da quel momento il divieto di pub blicazione sancito dagli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen. per gli atti e documenti relativi alle istruzioni penali. Ma, nel caso in esame, v'è una ulteriore ragione per ritenere fondata l'opinione espressa da questo tribunale, e ciò a prescindere dalla esattezza o meno della tesi prima prospettata. £ infatti da tener

presente che nel momento in cui la DIGOS effettuò il sequestro del documento presso la redazione de « Il Messaggero » era già da tempo in corso per i fatti e per i reati ai quali il documento si riferiva un procedimento penale, che è quello in precedenza indicato. È chiaro pertanto che, se pure il sequestro è interve nuto ad iniziativa autonoma della polizia giudiziaria, esso non può essere equiparato a quegli atti che, secondo la tesi già prima contestata, non sarebbero contemplati dagli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen., giacché esso era un atto che si in seriva (e quindi ne faceva parte) in un procedimento già esi stente e non era invece atto in seguito al quale, e solo eventual mente, un procedimento penale avrebbe potuto essere aperto. Deve pertanto concludersi che, sotto il profilo della sua natura di documento del procedimento, il divieto 'di pubblicazione del comunicato delle « brigate rosse » sussisteva fin dal momento della sua acquisizione da parte della polizia giudiziaria presso la redazione de « Il Messaggero ».

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GIURISPRUDENZA PENALE

Quanto alla seconda questione, la difesa degli imputati ha so

stenuto che il divieto di pubblicazione del contenuto del docu

mento sequestrato non aveva ragione di sussistere, e quindi nella

specie non sarebbero applicabili gli art. 164 cod. proc. pen. e

684 cod. pen., giacché esso era stato divulgato attraverso tutte

le agenzie di stampa, allorquando venne pubblicato su « Il Mes

saggero ». Sempre secondo la difesa la tesi su esposta sarebbe

ancora più valida in relazione alla posizione dei direttori respon sabili dei quotidiani «Vita», «Il Manifesto» e «Lotta conti

nua », i quali diedero notizia del contenuto del documento succes

sivamente alla pubblicazione di esso su «Il Messaggero».

La tesi della difesa non può essere condivisa. Può dirsi ormai

principio acquisito, allo stato dei pregevoli studi in materia, che

gli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen. tutelano la c. d. se

gretezza esterna, da alcuni meglio definita « non pubblicità ester

na », degli atti e documenti del procedimento penale, in ciò dif

ferenziandosi dagli art. 230 e 307 cod. proc. pen. che mirano ad assicurare la segretezza interna del processo. Il divieto oggetto della tutela dà ragione del fatto per cui gli art. 164 cod. proc.

pen. e 684 cod. pen. mirano ad evitare la pubblicità degli atti e dei documenti del procedimento penale anche se gli stessi non

siano coperti da segreto. Tale opinione è confermata, tra l'altro, dal disposto del comma 3° dell'art. 165 cod. proc. pen. che

estende il divieto di pubblicazione di cui all'art. 164 cod. proc.

pen. anche alle copie di atti del procedimento il cui rilascio sia

stato autorizzato nel corso dello stesso; il che dimostra che se

anche il contenuto di un atto non è più segreto, essendo stato

portato a conoscenza di terzi, tuttavia lo stesso non può essere

ugualmente pubblicato o comunque divulgato. Sullo stesso piano di interpretazione, a conferma della bontà della tesi esposta, si

è pure mossa la Corte costituzionale allorquando, con sentenza 3 marzo 1966, n. 18 {id., 1966, I, 412) ha dichiarato non fondata, in relazione agli art. 3 e 21 Cost., la questione di legittimità co stituzionale degli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. penale. La corte ha infatti affermato, tra l'altro, che i suddetti articoli « di

sciplinano in modo autonomo i rapporti tra la stampa e la istrut

toria penale indicando gli atti di cui è vietata la pubblicazione e la durata nel tempo del divieto. Indubbiamente le finalità per seguite dalle ripetute norme coincidono in parte con quelle del

segreto istruttorio... tuttavia non si può disconoscere che una differenziata disciplina fra il segreto istruttorio e la divulgazione di notizie a mezzo stampa si rende necessaria per il fatto che la

rivelazione assume una diversa rilevanza giuridica a seconda del

mezzo usato ... se diffusa a mezzo della stampa, con immedia tezza e praticamente senza limiti di spazio, può apportare effetti

ben più gravi sul corso delle indagini istruttorie, sulla raccolta delle prove e sulla ricerca della verità... Queste ragioni spie gano per quale motivo la tutela del segreto istruttorio nei con

fronti della stampa è rafforzata, nel senso che il divieto di pub blicazione è totale (pubblicazione fatta da chiunque in qualsiasi modo) e non ammette eccezioni, né esoneri, né distinzione tra

atto ed atto ».

Proprio adeguandosi a tale interpretazione, la Corte di cassa

zione, con sentenza 31 ottobre 1968, Satta Branca (Foro it., Rep. 1969, voce Segreti (delitti contro la inviolabilità), n. 5) in un caso

di pubblicazione di notizie, concernenti atti di un procedimento in corso di istruzione, già diffuse da altri giornali a seguito, di una serie di comunicati trasmessi da un'agenzia di informazione

giornalistica (ANSA), ha ritenuto sussistere il reato di cui al

l'art. 684 cod. pen. sotto il profilo che la norma incriminatrice, trovando la propria giustificazione ed il proprio fondamento nel

pregiudizio che all'attività istruttoria deriverebbe dalla pubblica zione degli atti del relativo procedimento, ha ragione di essere

applicata anche nel caso di precedente diffusione della notizia

col mezzo della stampa, in quanto la riservatezza dell'istruttoria ha ragione di essere tutelata rispetto ad ogni ulteriore estensione

della notizia a nuove cerchie di lettori.

Per le esposte considerazioni appaiono superate le questioni che nella fattispecie sono state prospettate in relazione all'appli cabilità dell'art. 684 cod. penale. Del suddetto reato devono es

sere dichiarati colpevoli tutti e quattro gli imputati giacché è

provato che essi, sia pure con diverse motivazioni e per diverse

ragioni e con diverse modalità, pubblicarono sui quotidiani dei

quali erano direttori responsabili il contenuto di un documento del quale, come prima sufficientemente dimostrato, era vietata la

divulgazione, con la consapevolezza da parte di ciascuno di essi

della illiceità del fatto commesso, come emerge in modo evidente dal tenore del testo degli articoli che accompagna la pubblica zione del ripetuto documento.

Valutati i fatti e la personalità degli imputati alla stregua delle

circostanze indicate nell'art. 133 cod. pen. stimasi pena equa da

infliggere a ciascuno di essi, in ordine al reato di cui all'art. 684

cod. penale, quella di lire centomila di ammenda.

Agli imputati è stato pure contestato il reato di cui all'art. 650

cod. pen. per avere, con la pubblicazione parziale o totale del

contenuto del volantino delle « brigate rosse » sui quotidiani da loro rispettivamente diretti, violato « il provvedimento in data 20 maggio 1978, legalmente emanato dal sostituto procuratore ge nerale della Repubblica Guido Guasco per ragioni di giustizia e di ordine pubblico, con il quale — sulla premessa che il co

municato stesso costituiva un documento del quale era vietata la pubblicazione totale o parziale ai sensi degli art. 684 cod. pen. e 164 eoe}, proc. pen. — si diffidavano gli organi di stampa dal

pubblicarne il contenuto ».

Il pubblico ministero di udienza ha sostenuto la sussistenza

del reato in esame e, conseguentemente, ha chiesto l'affermazione

della responsabilità degli imputati, ritenendo possibile, nella spe cie, il concorso tra il suddetto reato (art. 650 cod. pen.) e quello di cui all'art. 684 cod. pen.; in particolare il p. m. ha osservato che mentre con il sequestro del volantino delle « brigate rosse »

il sostituto procuratore generale mirava ad assicurare al processo il corpo del reato (è per inciso da ricordare che il sequestro del

l'originale del documento era stato già effettuato dalla polizia

giudiziaria ai sensi dell'art. 222 cod. proc. pen.), con la conte

stuale diffida mirava, ai sensi dell'art. 219 cod. proc. pen., ad

evitare che il reato di formazione di banda armata (art. 306

cod. pen.), per il quale si stava procedendo ed in relazione al

quale il sequestro veniva effettuato, venisse portato ad ulteriori

conseguenze. Diversi erano, pertanto, sempre secondo il pubblico ministero, i fini cui i due provvedimenti, se pure emessi conte

stualmente, tendevano e conseguentemente ammissibile è la con

figurazione di due illeciti distinti per effetto della pubblicazione del documento sottoposto a sequestro: da un lato violazione del

generico divieto di pubblicare atti e documenti di un procedi mento penale (art. 684 cod. pen. in relazione all'avvenuto se

questro) e dall'altro violazione dello specifico ordine legalmente dato dall'autorità giudiziaria di dare pubblicità al documento

delle « brigate rosse », motivato per ragioni di giustizia per quan to concerne la sua parte in chiaro e per ragioni di ordine pub blico per quanto concerne la sua parte in codice.

Il tribunale ritiene di non poter condividere la tesi sostenuta dal pubblico ministero per diversi ordini di considerazioni.

In punto di fatto non può consentirsi con l'affermazione che il provvedimento di diffida del sostituto procuratore generale, in

data 20 maggio 1978, sia stato emanato ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 219 cod. proc. penale. (Una tale ipotesi è pro spettata, e soltanto indirettamente, nella nota con cui la procura generale informava la procura della Repubblica dell'avvenuta

pubblicazione su « Il Messaggero » del documento sottoposto a

sequestro). Dal tenore del provvedimento emanato dal sostituto procura

tore generale la diffida a pubblicare appare strettamente con nessa al sequestro del documento, già avvenuto da parte della

polizia giudiziaria, ed al nuovo provvedimento di sequestro, re lativo ad eventuali copie del suddetto documento, emesso con lo stesso atto. Quindi non un ordine dotato di autonoma motiva

zione, ma bensì conseguente all'avvenuto sequestro. Sotto questo profilo la diffida nulla aggiunge al sequestro ed alle sue, anche se indirette conseguenze, perché ad essa altro significato non può attribuirsi che quello di segnalare che la pubblicazione di un documento facente parte di un procedimento penale in corso di istruzione è sottoposto a sanzione ai sensi degli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen. (segnalazione, peraltro, che, nella specie, poteva apparire non inutile ove si consideri che l'avvenuta diffu sione del contenuto del documento, anteriormente al sequestro, tramite le agenzie di stampa, poteva far ritenere ormai lecita a taluno la pubblicazione del documento).

Se questo è il senso ed il valore da attribuirsi alla diffida ne

consegue che la sua violazione non può costituire autonomo reato, ai sensi dell'art. 650 cod. pen., giacché, a ben guardare, la pub blicazione del contenuto del documento in sequestro non si pone come violazione dell'ordine dell'autorità, ma piuttosto, anzi esclu

sivamente, come trasgressione del precetto ricavabile dagli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. penale.

Ma il tribunale non può esimersi dall'esaminare, sia pure per subito disattenderla, la contraria tesi esposta dal pubblico mini

stero, per la quale la diffida contenuta nel provvedimento in data 20 maggio 1978 aveva una sua autonomia rispetto al se

questro e che anzi essa poteva essere legittimamente emanata a

prescindere dal sequestro stesso.

Non occorrono molte parole per dimostrare la pericolosità di una tale tesi, giacché se essa dovesse trovare accoglimento si ammetterebbe implicitamente la possibilità per l'autorità, anche

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PARTE SECONDA

se giudiziaria, di porre dei limiti alla libertà di cronaca, che, come ormai unanimemente riconosciuto è un aspetto della libertà

di manifestazione del pensiero, tutelata dall'art. 21 Cost. Tale libertà può trovare dei limiti, e uno di essi lo abbiamo visto

proprio negli art. 164 cod. proc. pen. e 684 cod. pen., ma non può essere sottoposta ad interventi dell'autorità i quali, in quanto di carattere censorio, sono espressamente vietati dal comma 2° del

l'art. 21 Cost. Se si ammette che l'autorità possa legittimamente (ed invero il requisito della legittimità dell'ordine è il presuppo sto per l'applicazione dell'art. 650 cod. pen.) ordinare, sia pure a fini di giustizia e di ordine pubblico, a taluno di non pubbli care una notizia, si è quel momento ammessa la possibilità di una censura preventiva, e ciò non può consentirsi.

Il pubblico ministero ha ritenuto di affermare che la pubbli cazione del contenuto del volantino delle « brigate rosse » è stato da parte dei direttori di giornale, oggi imputati, un atto irre

sponsabile, ai limiti della connivenza, ma a prescindere dal fatto che il tribunale non è tenuto a dare giudizi morali o a fornire patenti di irresponsabilità o meno ai suindicati direttori, qui è necessario ribadire fermamente che o il divieto di pubbli cazione formulato dalla procura generale trovava il suo presup posto logico nell'avvenuto sequestro, del quale intendeva sotto lineare gli effetti riflessi, ed allora la pubblicazione del docu mento aveva ragione di essere punita, e cosi è stato, esclusiva mente ai sensi degli art. 684 cod. pen. e 164 cod. proc. pen., oppure il suddetto divieto costituiva, secondo l'intenzione di chi lo emise, atto autonomo, motivato da altri fini, sia pure apprez zabili, ed allora esso non era legalmente dato, perché in viola zione del principio costituzionale per cui la stampa non può es sere sottoposta a censura.

Per le esposte considerazioni tutti gli imputati devono essere assolti dal reato di cui all'art. 650 cod. pen. loro contestato per ché il fatto non costituisce reato.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione I penale; sentenza 5 feb braio 1979; Pres. La Bua, Est. Molinari, P.M. (conci, conf.); imp. Valentino ed altri. Procedimento di rimessione.

Rimessione di procedimenti — Procedimenti riguardanti magistrati — Designazione del nuovo giudice competente da parte della Cassazione — Richiesta di revoca per difficoltà organizzative —

Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 60).

È inammissibile la richiesta del giudice designato dalla Corte di

cassazione, a seguito di rimessione obbligatoria dei procedimenti riguardanti magistrati, ai sensi dell'art. 60 cod. proc. pen., fon data sulla mancanza di idonee attrezzature per la sicurezza del

palazzo di giustizia e per la conservazione degli atti, sulla man cata copertura di tutti i posti previsti in organico per i magi strati e per il personale ausiliario, nonché sull'insufficienza del

l'organico del nucleo di polizia giudiziaria. (1)

(1) In senso parzialmente analogo, con riferimento al caso di ri messione per motivi di ordine pubblico e di legittimo sospetto, di cui all'art. 55 cod. proc. pen., v. Cass. 14 novembre 1972, Valpreda, Foro it., 1972, II, 489x con nota di richiami, che ha negato la ne cessità di designare un altro giudice, in sostituzione di quello già in dicato con precedente provvedimento di rimessione, nell'ipotesi in cui erano state lamentate la inagibilità delle carceri giudiziarie, l'im possibilità di un adeguato servizio di sorveglianza del palazzo di giustizia durante lo svolgimento del dibattimento, la mancanza di adeguate attrezzature ospedaliere per il ricovero e la cura del de tenuto, la concomitanza di altro grave procedimento penale, la gra vosità del lavoro dei magistrati di quella procura.

Per l'applicabilità, in via analogica, alla rimessione di procedimen ti riguardanti magistrati, del potere, previsto per la rimessione per motivi di ordine pubblico, del giudice designato di sollecitare la revoca del provvedimento di designazione, quando sia sopravvenuto un mutamento della originaria situazione di fatto, cfr. Cass. 27 settembre 1977, Caputo, id., Rep. 1978, voce Rimessione di pro cedimenti, n. 32. Sulle condizioni in base alle quali può procedersi a nuova rimessione v. pure Cass. 14 marzo 1978, ibid., n. 22, se condo cui il procedimento di rimessione ex art. 60 cod. proc. pen. deve intendersi sempre adottato nel presupposto che presso il diverso giudice designato non esistano quelle condizioni sfavorevoli di am biente che consigliano la sottrazione del procedimento al giudice na turale, per cui se tale presupposto viene meno deve procedersi ad una nuova rimessione; Cass. 20 maggio 1975, D'Intino, id., Rep. 1976, voce Competenza penale, n. 118, che ha ritenuto non doversi disporre una seconda rimessione quando il magistrato sia stato trasferito all'uf ficio già designato dalla Cassazione, ai sensi dell'art. 60 cod. proc. pen., in quanto tale nuova evenienza non presenta alcun collegamento con

La Corte, ecc. — Rileva in fatto. — Con nota del 20 dicembre 1978 il presidente della corte d'appello ed il procuratore gene rale de L'Aquila hanno trasmesso, sollecitandone l'accoglimento, la richiesta del presidente del tribunale della stessa città diretta ad ottenere la revoca dell'ordinanza di questa Corte suprema con la quale è stato rimesso a detto tribunale, ai sensi dell'art. 60 cod.

proc. pen., il procedimento penale indicato in epigrafe, risul tando in esso parte offesa l'ucciso dott. Fedele Calvosa, procura tore della Repubblica di Frosinone.

A fondamento della richiesta vengono prospettate la mancan za di idonee attrezzature per la sicurezza del palazzo di giustizia e per la conservazione degli atti, la mancata copertura di tutti i

posti previsti in organico per i magistrati e per il personale au

siliario, nonché l'insufficienza dell'organico del nucleo di polizia giudiziaria. In alternativa alla revoca della rimessione viene richie sta agli organi amministrativi, ai quali la nota è pure diretta, l'eli minazione delle deficienze e degli inconvenienti lamentati.

Osserva in diritto che, in accoglimento delle conclusioni del

p. g. presso questa corte, la richiesta deve essere dichiarata inam missibile.

Infatti la competenza determinata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. pen. deve considerarsi definitiva e non condizionata al mutare di situazioni contingenti (Cass., Sez. I, 19 dicembre 1977, Bigozzi, e 16 marzo 1977, Toro, Foro it., Rep. 1978, voce Rimessione di pro cedimenti, nn. 24, 28).

Nemmeno sono prospettate situazioni od elementi nuovi inte

granti uno dei casi in cui, eccezionalmente, viene ammessa dalla

giurisprudenza la possibilità di una modificazione del provvedi mento di rimessione obbligatoria di procedimenti riguardanti ma

gistrati. Anzi va rilevato che, rimasta incontestata l'esistenza delle con

dizioni che rendono obbligatoria la rimessione, vengono lamen tate unicamente difficoltà organizzative, che possono presentarsi presso tutti gli uffici giudiziari della Repubblica e che, quindi, non sono eliminabili con una nuova rimessione.

Per questi motivi, visti gli art. 60 e 531 cod. proc. pen., dichiara inammissibile la richiesta.

il luogo del commesso reato e con le condizioni ambientali che esi gono la deroga al principio del giudice naturale.

Per il carattere definitivo della competenza, come determinata ex art. 60 cod. proc. pen., cfr., menzionate in motivazione, Cass. 19 di cembre 1977, Bigazzi e 16 marzo 1977, Toro, id., Rep. 1978, voce Rimessione di procedimenti, nn. 24, 28.

In tema di rimessione di procedimenti riguardanti magistrati v., da ultimo, Cass., ord. 12 luglio 1979, Magistratura democratica, id., 1979, lì, 449, con nota di richiami, circa la necessità della rimessione nel l'ipotesi in cui alcuni magistrati esercitanti le loro funzioni nello stes so distretto presso cui si svolge il processo, possano assumere la ve ste di imputati e chi presentò la denuncia-querela esercitava le sue funzioni di magistrato presso la procura della stessa città, anche se successivamente posto fuori ruolo per l'elezione a senatore.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezione VI penale; sentenza 29 gen naio 1979; Pres. Fornari, Est. Desiderio, P. M. Savina (conci, diff.); ric. Pazzola. Annulla Trib. Tempio Pausania 21 feb braio 1979.

Economia pubblica (delitti contro la) — Aggiotaggio — Co municazione di notizie false ad un numero ristretto di per sone — Insussistenza del reato (Cod. pen., art. 501).

Non integra gli estremi del delitto di aggiotaggio previsto dall'art. 501 cod. pen. la mera comunicazione di notizie false ad una o

più persone determinate, in quanto la norma incrimina esclu sivamente la condotta di pubblicazione o di divulgazione delle suddette notizie. (1)

(1) Non constano precedenti editi in termini. Sull'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 501 cod. pen., v.,

comunque, Assise Roma 19 dicembre 1962, Foro it., Rep. 1964, voce Economia pubblica (delitti contro la), nn. 5-7, ove si è affermato che costituisce divulgazione — penalmente rilevante ai sensi dell'art. 501 — anche l'invio di lettere ad abbonati speciali di un bollettino di borsa quando il contenuto non sia riservato: si è stabilito, altresì, che l'ar tifizio di cui all'art. 501 cod. pen. può consistere anche in espressioni di pensiero come, ad esempio, una critica simulata o esposta in ma niera subdola; Pret. Torino 25 marzo 1975, id., Rep. 1975, voce cit., i. 2, ove si è ritenuto che integra l'elemento oggettivo del reato in :same anche l'esposizione di cartelli con la dicitura «olio esaurito», affissi all'esterno di negozi tenuti chiusi, trattandosi di notizie false, donee a cagionare un aumento del prezzo dell'olio.

Vedi, inoltre, Cass. 10 maggio 1976, Salamone, id., Rep. 1977, voce

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