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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || Sezioni unite penali; ordinanza 23 febbraio 1980; Pres. G....

Date post: 30-Jan-2017
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Sezioni unite penali; ordinanza 23 febbraio 1980; Pres. G. Rossi, Rel. Manca-Bitti, P. M. Suriano (concl. conf.); ric. Iovinella. Annulla Assise S. Maria Capua Vetere 2 ottobre 1978 Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp. 289/290-291/292 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23171580 . Accessed: 28/06/2014 10:48 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.55 on Sat, 28 Jun 2014 10:48:30 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sezioni unite penali; ordinanza 23 febbraio 1980; Pres. G. Rossi, Rel. Manca-Bitti, P. M. Suriano(concl. conf.); ric. Iovinella. Annulla Assise S. Maria Capua Vetere 2 ottobre 1978Source: Il Foro Italiano, Vol. 103, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1980), pp.289/290-291/292Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171580 .

Accessed: 28/06/2014 10:48

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GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; ordinanza 23

febbraio 1980; Pres. G. Rossi, Rei. Manca-Bitti, P. M. Su

riano (conci, conf.); ric. Iovinella. Annulla Assise S. Maria

Capua Vetere 2 ottobre 1978.

CORTE DI CASSAZIONE;

Amnistia, indulto e grazia — Indulto — Reati esclusi dal benefi

cio — Estensione al tentativo — Esclusione (Cod. pen., art. 174;

d.pres. 4 agosto 1978 n. 413, concessione di amnistia e in

dulto, art. 7).

Quando il provvedimento indulgenziale escluda dal beneficio dell'indulto la condanna per reati specificamente indicati, le

esclusioni devono intendersi riferite soltanto alla ipotesi del

reato consumato, con la conseguenza che il condono è appli cabile alle condanne per le corrispondenti figure di reati ten

tati. (1)

'La Corte, ecc. — Lo lovinella veniva tratto in arresto il 6 luglio 1978 a seguito di ordine di carcerazione emesso dal procura tore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per l'esecuzione della pena di un anno e sette mesi di

reclusione, di cui al provvedimento di cumulo in data 22 giugno del predetto anno, e quale residuo delle seguenti condanne:

1°) Corte d'assise d'appello di Napoli, 13 febbraio 1968: anni

due di reclusione e lire 140.000 di multa, per tentata rapina

aggravata; 2°) Corte d'assise di Santa Maria Capua Vetere, 19

dicembre 1969: anni due, mesi nove di reclusione e lire 220.000

di multa per rapina aggravata. L'esecuzione a carico dello lovinella era stata conseguente alla

revoca del condono concessogli in virtù del d. pres. 4 giugno 1966 n. 332, per la condanna del 1968 (sub 1).

Con ordinanza del 2 ottobre 1978 la Corte d'assise di Santa

Maria Capua Vetere rigettava l'istanza dell'attuale ricorrente, in

tesa ad ottenere l'applicazione del condono concesso con il d.

pres. n. 413 del 1978, in relazione alla pena indicata nel men

zionato provvedimento di cumulo.

Osservava in proposito detta corte: a) che non poteva farsi

luogo all'invocata applicazione dell'indulto giacché nella specie ricorreva una delle ipotesi di esclusione oggettiva prevista dal

l'art. 7 del già citato d. pres. di clemenza, in relazione all'art.

628 cod. pen.; b) che era del tutto priva di pregio la tesi difen

siva secondo cui, per l'avvenuta concessione, con la sopra in

dicata sentenza del 13 febbraio 1968, delle attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle contestate e ritenute aggravanti della

figura di reato commesso dallo lovinella sarebbe da configurare come una tentata rapina semplice — come tale non esclusa dal

condono — e ciò perché la concessione di dette attenuanti non

aveva mutato la qualificazione giuridica del fatto, addebitato al

l'imputato come reato di rapina aggravata. Avverso l'ordinanza suindicata lo lovinella ha proposto ri

corso per cassazione, sulla base di due mezzi d'annullamento.

Il ricorrente — premesso che nel cumulo delle pene ogni reato

conserva la propria individualità giuridica — sostiene, col primo

mezzo, che l'art. 7 d. pres. n. 413 del 1978 esclude dal beneficio

dell'indulto il reato di rapina aggravata consumata e non già anche quello di tentata rapina aggravata.

Col secondo mezzo rileva che, in seguito al giudizio di com

parazione ex art. 69 cod. pen., risolto nel senso sopra specifi

cato, nella specie si trattava di un reato di rapina semplice, come

tale non escluso dal condono.

Il ricorso, già assegnato alla sesta sezione penale di questa

corte, veniva in seguito rimesso, su richiesta del procuratore ge

nerale, alle sezioni unite, a norma del combinato disposto degli art. 547, n. 2, e 530, 2° comma, cod. proc. penale.

Ciò premesso, il collegio è chiamato a risolvere la seguente

questione: se, quando la legge esclude dal beneficio dell'amnistia

o dell'indulto determinati reati, specificamente indicati nel prov vedimento di clemenza, l'esclusione si debba intendere limitata

alla figura del reato consumato, o debba invece ricomprendere anche le corrispondenti figure dei reati tentati. In particolare, con riferimento al caso di specie, l'ambito di applicabilità del

l'art. 7, lett. a, d. pres. 4 agosto 1978 n. 413 in tema di rapina

aggravata, se cioè il citato decreto abbia escluso dall'applicazione del condono la sola ipotesi del reato consumato di rapina aggra vata oppure anche la figura del tentativo del reato stesso.

(1) Con l'ordinanza che si riporta le sezioni unite hanno ribadito

un orientamento giurisprudenziale ultratrentennale in tema di am

bito di applicabilità delle cause oggettive di esclusione dall'amnistia e dall'indulto, che è stato, peraltro, contrastato — il che ha dato

origine all'intervento delle sezioni unite — con riferimento al d.

pres. n. 413 del 1978, dalla sesta sezione penale della stessa corte:

sent. 8 maggio 1979, Fierro, Foro it., 1980, II, 237, con nota di richiami.

Il Foro Italiano — 1980 — Parte II-20.

La giurisprudenza di questa Corte suprema, in sede d'interpre tazione e di applicazione dei numerosi provvedimenti di cle

menza che sono stati elargiti dal 1930 in poi, si è in un primo

tempo, sino al 1945, con numerose decisioni espressa in preva lenza in termini favorevoli ad estendere l'esclusione anche al

tentativo (ovviamente quando i provvedimenti stessi prevede vano casi di inapplicabilità dei benefici per ragioni di carattere

oggettivo, ispirate in genere da esigenze di politica criminale). Questo indirizzo è stato giustificato rilevando che il criterio,

affatto generico, del favor rei perde ogni concreta rilevanza di

fronte al rigoroso significato che deve attribuirsi, trattandosi di

legge speciale, alla specifica indicazione del nomen iuris, di per se stesso idoneo e sufficiente a includere nella previsione norma

tiva anche il tentativo.

Per avvalorare questa tesi si è anche precisato che, in effetti, la differenza fra le due ipotesi criminose consiste e si risolve sol

tanto nella quantità e non già anche nella qualità e nella specie,

giacché è unico il bene giuridico violato, ed unico, di conse

guenza, l'oggetto della tutela penale.

All'obiezione, infine, che la loro gravità è ben diversa (essendo l'evento del danno insito solamente nella consumazione dell'atto

illecito e non anche, almeno di norma, nel tentativo, reato di

pericolo) è stato risposto che anche sotto il profilo della mani

festata pericolosità, le due ipotesi non si differenziano sostanzial

mente, così come, d'altro canto, si trovano sullo stesso piano in

relazione alla capacità di delinquere del reo.

Successivamente, se si eccettua un'isolata decisione, relativa

al modo d'interpretare i provvedimenti di clemenza, e che sem

brerebbe ispirarsi al criterio meno favorevole al reo (16 dicem

bre 1969, P. m. c. Pino, Foro it., Rep. 1973, voce Amnistia, n.

40) la stessa corte ha seguito un orientamento diametralmente

opposto, richiamandosi a quello già a suo tempo fissato (ma poi non seguito) con la sentenza della prima sezione penale in data

25 giugno 1930, ric. Di Giovanni {id., Rep. 1930, voce cit., n.

61) (con riferimento al decreto 1° gennaio 1930 n. 1). È stato in sostanza osservato in proposito, nella motivazione

di detta ultima sentenza citata, che i provvedimenti di clemenza

hanno insito, nella loro stessa natura, il favor rei, che costituisce

il motivo principale che li ha determinati, con la conseguenza che la loro interpretazione, in tutte le modalità di attuazione,

dev'essere ispirata da siffatta finalità e non dallo strictum ius.

Di recente, con due sentenze della sesta sezione penale (26 febbraio 1979, Sbiroli e altro, id., 1979, II, 553; 8 maggio 1979,

Fierro, id., 1980, II, 237) è stato nuovamente ribadito il prin

cipio contrario, nel senso che qualora un decreto di clemenza

abbia stabilito (come appunto nel caso di specie) esclusioni o

limitazioni in relazione a determinati reati, senza specificazione

alcuna, tali esclusioni o limitazioni devono intendersi riferite

non soltanto all'ipotesi di consumazione dei reati stessi, ma an

che a quelle dei corrispondenti reati tentati.

È stato precisato, al riguardo, che le anzidette esclusioni o

limitazioni sono state dettate dal legislatore in funzione della

preminente importanza riconosciuta nel momento socio-politico ai beni-interessi tutelati dalla norma incriminatrice, che contem

pla l'ipotesi delittuosa tipica. Ritiene il collegio, dopo meditata considerazione, e pur senza

sottovalutare la delicatezza della questione che, data la scarsa

chiarezza della disciplina positiva, potrebbe legittimare le oppo ste tesi e dovrebbe indurre il legislatore, de iure condendo, a usare espressioni tassative e univoche, di dover confermare

quell'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale — sulla scia

della più autorevole corrente dottrinaria — le esclusioni oggettive dell'amnistia e dell'indulto, previste dal legislatore per i reati

indicati nei provvedimenti di clemenza, con specifico riferimento

a determinati articoli di legge (come, nella specie, nell'art. 7

d. pres. n. 413 del 1978) devono intendersi riferite esclusivamen

te alla sola ipotesi del reato consumato e non già anche al ten

tativo, che deve qualificarsi — secondo l'incisiva espressione usata da un autore — « un fatto incompleto » ma « un reato

perfetto », cioè una figura criminosa autonoma ed a sé stante,

caratterizzata da una propria oggettività e da una propria strut

tura.

In altri termini, nei decreti con i quali si concede amnistia

o indulto le esclusioni obiettive di detti benefici possono ri

guardare il tentativo di reato solo quando di questo venga fatta

chiara ed esplicita menzione nel testo dei provvedimenti predetti. A suffragare questa tesi può farsi richiamo non solo alle ar

gomentazioni sopra riportate, che il collegio condivide, ma an

che, in linea generale, al principio, già altre volte affermato da

questa corte (v. Sez. II 16 dicembre 1969, ric. !Pino) e che ora

si ribadisce: l'interpretazione delle disposizioni contenute nei

decreti presidenziali di concessione dell'amnistia e dell'indulto,

oltre ad essere disciplinata, come ogni norma penale, dal prin

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PARTE SECONDA

cipio di specialità, fissato dall'art. 15 cod. pen., è caratterizzata,

per la natura stessa delle disposizioni, dal principio di tipicità e tassatività dei reati in essi contemplati, con la conseguenza che

deve essere lasciata la minima possibile discrezionalità all'inter

prete, ed acquista particolare rilevanza, in detta materia, il noto

criterio esegetico: lex ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit.

E se è vero che i reati esclusi dal beneficio del condono — se

condo l'elencazione contenuta nel già citato art. 7 dell'ultimo

provvedimento di clemenza — sono particolarmente gravi, e tali

da destare allarme sociale, non per questo può sostenersi, a pa rere del collegio, che fra questi debbano essere ricomprese an

che le corrispondenti ipotesi del tentativo, giacché si tratta di

valutazioni fatte dal legislatore nella sua discrezionalità politica e che non consentono all'interprete di superarle includendo fra

le esclusioni oggettive figure delittuose non espressamente previste. Non è poi inopportuno far riferimento alla mens legis come

traspare dai lavori preparatori relativi ad altri decreti di cle

menza, cHe possono costituire una sorta d'interpretazione sto

rica, utile, in qualche modo, per individuare la finalità della

norma in questione. Cosi, dalle relazioni ministeriali al r.d. 1. 5 aprile 1944 n. 96

e al d. pres. 22 giugno 1946 n. 4, è dato desumere che il legisla

tore, nel disporre le esclusioni dai provvedimenti di clemenza, ha tenuto presenti, più che la personalità e la pericolosità del

reo (già considerate, del resto, agli effetti delle esclusioni sog

gettive) l'entità e la gravità del reato e, quindi, anche la quan tità del danno arrecato che, di norma, è carente nel tentativo.

Non può infine non condividersi la considerazione espressa, nella sua requisitoria scritta, dal procuratore generale, il quale ha messo in evidenza, a ulteriore sostegno della sua tesi, la

novità che l'ultimo provvedimento di clemenza presenta rispet to a quelli precedenti: i reati esclusi dal beneficio della amnistia

e dell'indulto non sono indicati con il solo riferimento numerico

agli articoli di legge che li contemplano, ma ad esso segue, fra

parentesi, la rubrica del delitto consumato, come nella specie:

«628, ult. comma (rapina aggravata)». In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata,

per violazione di legge, in relazione al primo motivo del ricorso, con rinvio degli atti, per nuovo esame, alla Corte d'assise di

Santa Maria Capua Vetere.

È invece destituito di giuridico fondamento il secondo motivo.

Esattamente, infatti, i giudici del merito hanno escluso che il

beneficio del condono fosse applicabile alla pena inflitta con la

sentenza in data 19 dicembre 1969 per il delitto di rapina pluri

aggravata nonostante che, in sede di giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen., le concesse attenuanti generiche fossero

state ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti. Detto giudizio incide sulla determinazione della pena da ir

rogare, ma non altera — contrariamente a quanto assume il ri

corrente — la fattispecie legale tipica, cioè la configurazione giu ridica del fatto e il tipo del reato per il quale l'imputato è stato

condannato.

Ne consegue che in tema di rapina solo l'esclusione in fatto

delle aggravanti contestate consente l'applicazione dell'indulto

nella misura prevista dal più volte richiamato art. 7 d. pres. n. 413 del 1978.

Per questi motivi, ecc.

CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; sentenza 23 feb

braio 1980; Pres. G. Rossi, Est. A. C. Moro, P. M. (conci,

conf.); ric. P. m. c. Mulè. Dichiara inammissibile ricorso av

verso Pret. Caltagirone 2 febbraio 1979.

Impugnazioni penali in genere — Impugnazioni del pubblico mi

nistero — Notificazione — Procedimento esecutivo — Applica bilità (Cod. proc. pen., art. 199 bis).

La dichiarazione di impugnazione del pubblico ministero deve es

sere notificata all'interessato anche se proposta avverso un'ordi

nanza emessa nei procedimenti che si instaurano nella fase del

l'esecuzione. (1)

(1) Con la sentenza che si riporta e con l'altra in pari data

(P. m. c. Ardizzone) le sezioni unite hanno risolto nel senso più favorevole alla tutela del diritto di difesa il contrasto giurispruden ziale, manifestatosi soprattutto negli ultimi anni, in ordine all'ap plicabilità della disposizione di cui all'art. 199 bis cod. proc. pen. al procedimento esecutivo. Conformemente all'orientamento delle se zioni unite v. Cass. 6 febbraio 1979, Olmos, Foro it., 1979, II, 178, con nota di richiami.

■La Corte, ecc. — Considerazioni in fatto. — Il Pretore di Cal

tagirone — con ordinanza del 2 febbraio 1979 — dichiarava per effetto del d. pres. 4 agosto 1978 n. 413 estinto per amnistia

impropria il reato di detenzione abusiva di una pistola calibro

7,65 (art. 697 cod. pen.) per il quale, con sentenza del Tribunale

di Caltagirone dell'I 1 giugno 1976, Mulè Francesco era stato con

dannato alla pena di lire 80.000 di ammenda.

Con atto dell'8 febbraio 1978 il procuratore della Repubblica di Caltagirone ha proposto ricorso per cassazione contro l'ordi

nanza predetta deducendo che l'amnistia de qua non è applica bile al reato sopra indicato ai sensi dell'art. 2, lett. c, n. 3, d. pres. citato.

Il procuratore generale presso questa corte, rilevato che la

impugnazione del pubblico ministero non è stata notificata al con

dannato, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Su

proposta del presidente della VI sezione penale — che ha se

gnalato l'esistenza in materia di un contrasto giurisprudenziale —

il ricorso è stato assegnato alle sezioni unite penali. Motivi della decisione. — Il problema che deve essere risolto

— perché ha portato a contrastanti decisioni nella giurisprudenza di questa corte — è se l'obbligo (prescritto dall'art. 199 bis cod.

proc. pen., secondo la novella del 1955) della notificazione al

l'imputato, a cura del cancelliere e a pena d'inammissibilità, del

la dichiarazione di impugnazione del pubblico ministero sussi

sta solo nel procedimento di cognizione ovvero trovi applica zione anche nei procedimenti che si instaurano nella fase del

l'esecuzione.

Un indirizzo giurisprudenziale — formatosi in sede di prima

applicazione della nuova disposizione e poi costantemente man

tenuto per circa un ventennio — ha negato l'applicazione della

norma in questione fuori del processo di cognizione in base al

rilievo che la prescrizione di notifica dell'impugnazione del p. m.

era prevista nei confronti dell'imputato, sicché essa non poteva ritenersi riferirsi anche alla fase esecutiva nella quale cessa la

qualità di imputato e sopravvengono quelle di condannato o di

interessato rispetto alla vicende giuridiche dell'esecuzione penale. Ma il dato puramente letterale non può ritenersi avere una as

soluta decisività: in altre ipotesi in cui la norma fa esclusiva

mente riferimento all'imputato, questa corte ha superato l'ele

mento letterale ritenendo che il difensore dell'imputato è legitti mato a proporre impugnazione anche in ordine ai provvedimenti emessi in sede di incidente di esecuzione « in quanto l'art. 192,

capov., cod. pen., che attribuisce al difensore dell'imputato il po tere di proporre impugnazione nell'interesse dello stesso, detta una

norma di carattere generale valida per ogni genere di procedimento che non subisce deroga per effetto della disposizione del 1° capov. dell'art. 631 » (Sez. IV 26 giugno 1969, Vailatti, Foro it., Rep.

1969, voce Esecuzione penale, n. 14 bis; Sez. III 15 ottobre

1970, Tondelli, id., Rep. 1972, voce cit., n. 61, e da ultimo

Sez. III 30 novembre -12 dicembre 1978, Giorgi, Mass. Cass.

pen., 1978, 1285). In realtà, la esecuzione penale costituisce il

completamento della fase di cognizione, per cui non vi è uno

stacco deciso tra la posizione di imputato prima e quella di con

dannato poi, ma vi è una soluzione di continuità tra le due po sizioni: le disposizioni generali del codice di procedura — ove

non siano incompatibili con le specifiche norme previste per il rito

incidentale — ben possono ritenersi applicabili anche in fase ese

cutiva. Qualche dubbio poteva sussistere quando si discuteva sul

la natura degli interventi giudiziari in questa fase, ritenendo al

cuni che ad essi non si potesse attribuire il carattere giurisdi zionale.

Questa corte in numerose decisioni ha ormai fermamente ri

badito il carattere giurisdizionale di questi interventi e del resto

la Corte costituzionale (sent. n. 83/66, Foro it., 1966, I, 1432, e

226/76, id., 1977, I, 18) ha sancito il « carattere di giudizio » dei

procedimenti che, quale che sia la loro natura e le modalità di

svolgimento, si compiano però nella presenza e sotto la direzione

del titolare di un ufficio giurisdizionale: non può pertanto più dubitarsi che il procedimento di esecuzione abbia natura giurisdi zionale. Ma, se ciò è vero, le norme poste a garanzia dei diritti

di difesa non possono non trovare applicazione in tutti quei

procedimenti giurisdizionali che comunque pongono in questio ne l'interesse primario del cittadino alla libertà personale.

Poiché — come è stato ripetutamente affermato da questa cor

te — la norma di cui all'art. 199 bis cod. proc. pen. « mira a tu

telare il diritto di difesa del cittadino al quale, secondo i prin

cipi costantemente affermati dalla Corte costituzionale, deve es

sere consentito di svolgere tale suo diritto in modo integrale ed

effettivo » (Sez. I 31 marzo - 29 maggio 1978, Iacolara, Mass.

Cass, pen., 1978, 680) consentendogli non solo di conoscere l'esi

stenza del gravame ma anche di controllare la tempestività e la

fondatezza (Sez. VI 22 giugno - 30 novembre 1973, Del Vecchio, Foro it., Rep 1974, voce Impugnazioni penali, n. 132) e di po

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