Sezioni unite penali; ordinanza 7 febbraio 1981; Pres. T. Novelli, Rel. Anedda; P. m. c. TallutoSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.279/280-283/284Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174598 .
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PARTE SECONDA
il professionista deve in genere informare il suo operato ad una
diligenza consona alla natura delle attività prestate, attenendosi ai normali criteri di diligenza, prudenza (e perizia) (Cass. 31 ottobre 1975, Tolot, Foro it., Rep. 1976, voce Reato in genere, n. 16 e 4 febbraio 1972, Del Vecchio, id., Rep. 1974, voce Omi cidio a lesioni personali colpose, n. 7).
Per tutto quanto esposto, il Giuliano deve essere dichiarato
responsabile del delitto di omicidio colposo a lui ascritto. (Omis sis)
Milardi Renato. — La posizione processuale di Renato Mi
lardi, presidente della Brina basket di Rieti in cui militò il Ven demmi dal 1972 al 1976, è particolarmente grave. Alla contesta zione di omicidio colposo si aggiunge infatti per lui la imputa zione di truffa aggravata.
Il Milardi pur non avvertito ufficialmente venne sicuramente a conoscenza della circostanza che, a seguito della visita dell'8 marzo presso l'istituto di medicina dello sport, il Vendemini era stato giudicato (anche se non ufficialmente) temporaneamente non idoneo, e che erano stati disposti nuovi accertamenti spe cialistici, allo scopo di chiarire la situazione. La circostanza deve ritenersi certa. (Omissis)
Quanto alla imputazione di truffa, basti osservare che il Mi
lardi, pur informato sulle condizioni fisiche del Vendemini, che ne avrebbero dovuto imporre la interruzione della carriera, trattò la cessione del giocatore alla Chinamartini di Torino, ai cui rap presentanti tacque le notizie in suo possesso, e concluse l'affare
per la cifra, altissima per il basket milionario di oggi, di 210 milioni.
Tale comportamento de! Milardi integra certamente il reato di truffa. Si riporta qui una massima della Corte di cassazione già opportunamente applicata dal g.i. al caso di specie: il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da chi abbia il do vere giuridico di farle conoscere è un esempio di raggiro (sent. 26
maggio 1971, Ragazzi, id., Rep. 1972, voce Truffa, n. 5). Il principio è largamente consolidato in dottrina ed in giuris
prudenza. Il Milardi non solo tacque al De Stefano, direttore
sportivo della Chinamartini, le reali condizioni di salute del Vendemini. Ma maliziosamente condì tale suo silenzio su un
punto di vitale importanza con ammissioni del tutto sproporzio nate rispetto alla realtà delle cose.
Disse infatti al Di Stefano che Vendemini era di salute cagio nevole (!); che doveva essere controllato periodicamente; e che aveva dei disturbi agli occhi, tanto che poteva perdere la vista in caso di urto al capo. Il De Stefano in realtà afferma però che il Milardi lo informò solo di un generico disturbo agli occhi, che
peraltro era già noto al teste.
Va ancora ricordato che l'ipotesi rientra nella truffa contrat
tuale, onde va considerato se l'acquirente, posto a conoscenza dei vizi della « merce » e dell'effettivo valore della stessa, si sarebbe
ugualmente determinato a comprarla. Nel caso in esame la cosa certo non si sarebbe verificata dato che l'atleta avrebbe dovuto troncare la carriera. Il De Stefano in dibattimento è stato netto sul punto. Anche la dichiarazione di incedibilità del giocatore, adottata dalla Brina nel consiglio direttivo del 27 maggio 1976 su iniziativa del Milardi, appare in modo evidente come un arti ficio che concorre ad integrare il reato di truffa. La data, si
noti, è immediatamente successiva al 25 maggio, giorno in cui il Sangiorgi comunicò al Milardi il noto esito degli esami sul Vendemini.
D'altra parte tale dichiarazione di incedibilità appare incoe rente con il precedente atteggiamento del Milardi il quale, come riferisce il De Stefano smentendo l'imputato, ad avances prece dentemente fatte dalla Chinamartini per l'acquisto del Vende mini si era mostrato possibilista. Le incertezze del Milardi in realtà durarono finché durò la incertezza sulle condizioni del
giocatore. Dopo il responso di Sangiorgi, in barba alla dichia razione di incedibilità, il Milardi concluse la cessione del gioca tore. Esisteva peraltro un motivo per cui il Milardi si indusse a tale spregiudicato comportamento: era noto nell'ambiente (lo riferisce il De Stefano) che la Brina Rieti era economicamente in cattive acque. Tale elemento può avere senz'altro rafforzato il Milardi nel suo illecito operare.
Quanto alla tesi difensiva del Milardi secondo cui la Brina era assolutamente contraria alla cessione del giocatore, e vi fu in dotta solo dall'atteggiamento intransigente di quest'ultimo che era deciso a trasferirsi in un'altra squadra per guadagnare di più, si osserva che tutto ciò è assolutamente irrilevante, anche ove
provato, ai fini della individuazione del delitto di truffa. Sta di fatto che il Milardi cedette Vendemini per una cifra altissima e nel cederlo si guardò bene dal segnalare alla controparte le con dizioni di salute del giocatore.
Va anche ricordato, ad abundantiam, che già la Federazione
basket riconobbe la scorrettezza del comportamento della Brina Rieti in occasione delle trattative con la Chinamartini e della cessione del Vendemmi. A seguito di un lodo arbitrale promosso dalla Chinamartini, nell'ambito della federazione, la società rea
tina ha dovuto restituire quasi per intero la somma ricevuta per il cartellino del giocatore.
Borghetti Vincenzo. — Al Borghetti, medico della squadra na
zionale di pallacanestro, l'omicidio colposo a lui ascritto è con
testato sotto un duplice profilo: a) essersi attivato per consen tire il proseguimento della attività agonistica del Vendemini no
nostante fosse a conoscenza delle condizioni di salute del gio catore; b) non aver rilevato a seguito di auscultazione sul Ven
demini che l'atleta era portatore di una cardiopatia organica. (Omissis)
Sotto il secondo profilo, attinente alla colpa professionale del
Borghetti che non rilevò alla auscultazione l'esistenza del soffio
diastolico sul Vendemini, si osserva quanto segue: il Borghetti (contrariamente ai medici sociali della Brina e della Chinamar
tini, Piperno e Sobrino) ha ammesso di aver più volte auscul
tato in sede di visita il torace del Vendemini. Tuttavia egli rilevò
soltanto, secondo le sue affermazioni, l'esistenza di un soffio
sistolico, che ritenne di natura funzionale e comunque non allar
mante. Il Borghetti non rilevò mai la esistenza di un soffio dia
stolico nel giocatore. È stato pertanto tratto a giudizio per ri
spondere anche di tale sua imperizia. Va osservato preliminarmente che al Borghetti non è stato con
testato di non aver compreso che il Vendemini era affetto da sin
drome di Marfan: che una tale diagnosi non fosse esigibile da
un medico generico come il Borghetti, non pare dubitabile, è
solo contestato al prevenuto la mancata rilevazione del soffio
diastolico.
L'auscultazione cardiaca, pur essendo tecnica precisa e delica
ta, resta pur sempre un atto che qualsiasi medico, anche non
specialista, dovrebbe essere in grado di effettuare correttamente.
Dunque pur se il soffio diastolico nel caso Vendemini non era di
facile rilevabilità il Borghetti è in colpa per non averlo rilevato.
Non può dimenticarsi che il Borghetti fu ad un certo punto messo sull'avviso, in merito all'esistenza di tale soffio, dai re
sponsi dei sanitari che avevano visitato il Vendemini. E ciò
avrebbe dovuto indurlo ad una maggiore attenzione e diligenza
nell'auscultazione, cosi' da potersi rendere personalmente conto
della gravità della situazione. In proposito va richiamato il prin
cipio accolto in giurisprudenza, a seguito della sentenza della
Corte costituzionale in materia (sentenza 166 del 28 novembre
1973, id., 1974, I, 19): se nell'ambito di prestazioni professio nali di particolare difficoltà l'art. 2236 c. c. richiede solo un minimo
di perizia, onde il professionista risponderà solo per colpa grave, non può però ammettersi accanto a tale minimo di perizia, an
che un minimo di prudenza e diligenza. Anzi, mentre per la im
perizia l'operato del professionista andrà valutato con indulgen za proporzionale alla difficoltà dell'opera, per la prudenza e la
diligenza la deroga di cui all'art. 2236 c.c. non opera, onde il
giudizio dovrà essere improntato a giusta severità.
E già da epoca precedente alla sentenza della Corte costitu
zionale la Cassazione aveva affermato che « la professione sani
taria esige che il medico presti la sua attività con diligenza su
periore alla media» (Cass. 3616 del 15 dicembre 1972, id., 1973,
I, 1475). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; Sezioni unite penali; ordinanza 7
febbraio 1981; Pres. T. Novelli, Rei. Anedda; P.m. c. Tal
luto.
Ordinamento penitenziario — Affidamento in prova al servizio
sociale — Revoca — Effetto retroattivo (L. 26 luglio 1975 n.
354, norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà, art. 47). Ordinamento penitenziario — Affidamento in prova al servizio
sociale — Annullamento del provvedimento — Effetto retro
attivo — Questione non manifestamente infondata di costitu zionalità (Cost., art. 3, 13, 27; 1. 26 luglio 1975 n. 354, art. 47).
In caso di esito negativo dell'affidamento in prova al servizio
sociale, il periodo di tempo trascorso in affidamento non può essere considerato come pena espiata, con la conseguenza che la parte che residuava al momento dell'applicazione della mi sura alternativa va eseguita per intero. (1)
(1) Le sezioni unite risolvono il contrasto che si era delineato nella giurisprudenza di legittimità, pur con una crescente prevalenza della soluzione ora adottata, già riscontrabile al tempo di Cass. 25 maggio
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GIURISPRUDENZA PENALE
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame al la Corte costituzionale) la questione di costituzionalità dell'art. 47 l. 26 luglio 1975 n. 354, nella parte in cui esclude che valga come pena espiata il periodo di affidamento in prova al ser vizio sociale in caso di annullamento del provvedimento di
ammissione, in riferimento agli art. 3, 13 e .27 Cost. (2)
Rileva in fatto che Arcangelo Talluto, condannato per furto con sentenza passata in giudicato il 13 settembre 1978, fu af fidato in prova al servizio sociale con provvedimento della se zione di sorveglianza di Caltanissetta in data 28 ottobre 1978.
A seguito di ricorso del procuratore generale di Caltanissetta
questa Suprema corte, con sentenza del 26 -aprile 1979, annullò la predetta ordinanza, avendo rilevato che il Talluto era stato ammesso al trattamento prima che fosse trascorso il periodo minimo di tre mesi per l'osservazione della personalità in isti
tuto, decorrente dal giorno di assunzione della qualità di con dannato.
Il 22 agosto 1979 il procuratore della repubblica di Caltanis
setta, cui gli atti erano stati trasmessi « per i provvedimenti con
seguenti di sua competenza », emise ordine di carcerazione per l'espiazione della pena residua, determinata in mesi 10 e giorni 3 di reclusione, per esserne stati già espiati, tenuto conto della
sofferta custodia preventiva, anni 1 mesi 2 giorni 27 dal 30 lu
glio 1977 al 28 ottobre 1978.
Il Talluto propose incidente di esecuzione.
Con ordinanza del 6 settembre 1979 il Tribunale di Caltanis
setta ha ritenuto che il periodo trascorso in affidamento in pro va al servizio sociale (di nove mesi e venticinque giorni) do
veva detrarsi dalla durata della pena, sicché l'ordine di carce
razione avrebbe dovuto essere emesso per la espiazione di una
pena residua di otto giorni; ma poiché il Talluto aveva nel frat
tempo espiato anche questi residui giorni, ne ha ordinato la
scarcerazione.
Il procuratore della repubblica di Caltanissetta ricorre per cassazione chiedendo l'annullamento dell'ordinanza per due mo
tivi: contrasto con la statuizione della Corte di cassazione la
quale, nell'annullare senza rinvio l'ordinanza di affidamento del
Talluto al servizio sociale, aveva rimesso gli atti all'ufficio del
p. m. in Caltanissetta per i provvedimenti concernenti l'espia zione della pena residua; infungibilità tra periodo di affida
mento in prova e detenzione, quando l'esperimento non abbia
avuto esito positivo. Il p. g. presso questa Suprema corte conclude, con requisito
ria scritta, per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impu
gnata, in accoglimento del secondo motivo di ricorso.
Osserva in diritto: 1. - Non esiste preclusione da giudica
to, perché la corte non ha ancora deciso, in questo procedi
mento, la questione della detraibilità, del periodo trascorso dal
condannato in affidamento al servizio sociale, dalla durata della
pena. Con la sentenza del 26 aprile è stata unicamente rilevata
l'inammissibilità dell'affidamento quando manchi il presupposto della osservazione della personalità del condannato per un pe riodo minimo di tre mesi, richiesto dall'art. 47, 3° comma, del
l'ordinamento penitenziario. Neppure per implicito la questione della detraibilità è stata (affrontata e) decisa: la rimessione
degli atti al procuratore della repubblica per i provvedimenti di sua competenza, inerenti, come sì disse nella motivazione,
alla «esecuzione della residua pena che il Talluto deve scon
tare » non sottintende nel caso concreto alcuna decisione sul
problema perché comunque il Talluto avrebbe dovuto espiare una pena residua: di otto giorni di reclusione se fosse stata ri
tenuta la fungibilità, di dieci mesi e tre giorni nell'ipotesi con
traria.
2. - Il ricorso è stato assegnato a queste sezioni unite per es
sersi profilato un contrasto nella giurisprudenza della corte: con
un gruppo di decisioni, numericamente prevalente, è stata soste
nuta la tesi della non fungibilità tra periodo di affidamento e
detenzione, salvo l'effetto estintivo sulla pena, conseguente al
l'esito positivo dell'esperimento (Sez. I 20 febbraio 1978, Pic
1979, Coccia, Foro it., 1980, II, 509, con nota di richiami, cui adde
nello stesso senso Cass. 20 novembre 1980, Vezzosi, Mass. pen., 1982, 164, 156.
(2) Cass. 25 maggio 1979, Coccia, cit., aveva invece ritenuto senz'al tro la retroattività dell'effetto, pur nella stessa ipotesi di annullamento del provvedimento di ammissione.
Per differenti questioni di costituzionalità sull'art. 47 ordinamento
penitenziario, v. Corte cost. 7 luglio 1980, n. 107, Foro it., 1980, I, 2089, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 1982 — Parte 11-20.
chio, Foro it., 1978, II, 153; 30 maggio 1978, Novelli, 30 maggio 1978, Ragazzi, ibid., 241). Con la sentenza 15 febbraio 1978,
Orlati, pure pubblicata in Foro it., 1978, II, 241, è stato affer
mato l'opposto principio della incondizionata equivalenza tra
periodo trascorso in affidamento ed espiazione della pena. Nelle decisioni indicate il dilemma interpretativo è sorto con
riguardo agli effetti della revoca dell'affidamento, prevista dal pe nult. comma dell'art. 47 dell'ordinamento penitenziario, ad ecce
zione della sentenza 30 maggio 1978, Ragazzi, con la quale la
negazione dell'effetto estintivo, e la non detraibilità del periodo di affidamento dalla durata della pena sono state affermate (an
che) per l'ipotesi di esistenza di cause originarie o sopravvenute di inammissibilità dell'affidamento.
Infine, nell'ambito del tema prevalentemente trattato degli ef
fetti della revoca, è affiorata una soluzione intermedia con la
sentenza 7 novembre 1977, Boari (pur questa in Foro it., 1978,
li, 153), secondo la quale deve considerarsi come pena espiata il tempo trascorso in affidamento fino al verificarsi del fatto che
ne ha comportato la revoca.
3. - L'affidamento in prova al servizio sociale è fra le inno
vazioni più significative introdotte con la 1. 26 luglio 1975 n.
354; configurato come misura alternativa alla detenzione, esso
tende alla rieducazione del condannato attraverso un trattamen
to fuori dell'ambiente carcerario, peraltro preceduto da un ini
ziale periodo di osservazione nell'istituto. L'affidamento si iscri
ve nell'ampia categoria delle misure condizionate di sorveglian za assistita, le quali consistono nella rinuncia totale o parziale alla punizione, condizionata al buon esito di un periodo con
trollato di prova, caratterizzato dalla imposizione di regole di
condotta, e dall'affidamento del soggetto ad una persona o isti
tuzione, con il fine di ottenerne il riadattamento sociale.
L'affidamento in prova deriva certamente dal « probation sy stem »; se ne distacca tuttavia perché non vi è astensione dalla
condanna, ma sospensione della sua esecuzione, collegata alla
formulazione di una prognosi favorevole, a conclusione di un
periodo di osservazione in carcere; per questa ragione la misura
è stata definita « probation penitenziario » nel senso che l'al
ternatività totale alla detenzione è temperata da una iniziale
permanenza in istituto, per la necessità di raccogliere elementi
sull'idoneità del soggetto al trattamento.
Coerentemente a tale struttura, è prevista la revoca dell'affi
damento « qualora il comportamento del soggetto, contrario al
la legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la
prosecuzione della prova ». E per converso, « l'esito positivo del
periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale ».
4. - Queste disposizioni rivelano, nella loro complementarità, che lo scopo della misura, di risocializzazione e di prevenzione della recidiva, deve ricevere conferma dal buon esito della pro
va, perché la fungibilità dell'affidamento con la pena detentiva
è legata alla verificazione di quell'evento. Le sezioni unite riaffermano a tal proposito la validità del
l'orientamento prevalente già espresso dalla corte, per il quale la durata del periodo di prova risoltosi negativamente non può essere considerata come pena espiata: infatti la revoca conse
gue alla valutazione di un comportamento del condannato che
per il suo significato negativo dimostra la mancata realizza
zione di quello scopo di rieducazione che avrebbe dovuto essere
raggiunto con la misura alternativa alla detenzione. D'altro can to l'effetto estintivo della pena deriva testualmente dalla positi vità dell'esperimento, sicché la revoca, che è invece il riflesso sanzionatorio del fallimento della prova, non può consentire ef fetti estintivi della pena, neppure parziali.
Inoltre l'equivalenza tra periodo trascorso in affidamento ed
espiazione non scaturisce ex se dal raffronto tra quantità o si
tuazioni omogenee; l'eterogeneità non soltanto è rivelata dall'os
servazione empirica, ma è sottintesa dalla legge nella costruzio
ne del rapporto di alternatività in termini di completa interru
zione del soggetto con l'istituzione carceraria, sicché è il coef
ficiente della positività della prova, non la prova in sé, ad egua
gliare situazioni diverse in funzione della estinzione della pena.
Neppure è sostenibile la tesi secondo la quale l'effetto retroat
tivo della revoca sarebbe limitato al periodo di prova successivo
al fatto che ha determinato la revoca stessa. In tale orientamento
è presupposto un meccanismo che non corrisponde al modello
legale: la revoca non deriva, automaticamente, dalla verificazio
ne di un fatto, ma dalla valutazione di merito di un comporta
mento, complessivamente considerato, che appaia incompatibile con la prosecuzione della prova. Questa non è scindibile in
periodi «utili» e «non utili», perché l'esperimento è conside
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PARTE SECONDA
rato unitariamente come parametro della rieducazione del con
dannato, mentre il comportamento che dà luogo alla revoca pos siede tale sintomaticità da rivelare il fallimento dell'intera pro va, cioè l'infondatezza della favorevole prognosi iniziale.
Infine, la dedueibilità del periodo di prova risoltosi negativa mente minerebbe in radice le finalità rieducative della misura,
perché lo stimolo alla conclusione positiva dell'esperimento ne
sarebbe quanto meno attenuato.
5. - Diversa dall'ipotesi sinora considerata è quella dell'an
nullamento. Come si è detto, questa corte ha annullato il prov vedimento della sezione di sorveglianza, viziato, per violazione
di legge, per difetto di un presupposto di ammissibilità della
misura. Certamente si tratta dell'annullamento di un atto di giu
risdizione: la natura giurisdizionale del procedimento di sorve
glianza (art. 71 dell'ordinamento penitenziario), del tutto coe
rente ad una linea di tendenza che investe l'esecuzione penale, è costantemente affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa corte, in base alla rilevazione del principio del con
traddittorio e del contenuto del provvedimento terminativo, ri
corribile in Cassazione per violazione di legge. D'altro canto, l'introduzione di garanzie processuali tipiche dell'esercizio della
giurisdizione è razionalmente correlata alla adozione di provve dimenti direttamente incidenti sulla libertà personale.
Per nozione istituzionale, l'annullamento opera direttamente
sul provvedimento impugnato, distruggendone l'esistenza sin dal
momento in cui è sorto il vizio. L'eliminazione degli effetti, con
decorrenza ex tunc, scaturiti dal provvedimento viziato risponde
dunque alla funzione tipica dell'annullamento, come categoria
giuridica generale. Si tratta di un dato costante, cui non si sot
trae l'annullamento dei provvedimenti del giudice, che sempre
consiste, nella varietà delle sue specificazioni, nella rescissione
della pronuncia impugnata, cioè nella sua eliminazione dal mon
do giuridico. 6. - In questa prospettiva, la soluzione del problema sembra
obbligata: annullato il provvedimento che ammetteva il condan
nato alla misura alternativa, questa si considera come mai adot
tata: il rapporto esecutivo penale recupera l'originaria operati vità, e la espiazione della pena riprende il suo corso per un
tempo eguale alla differenza tra la quantità inflitta e quella pre cedentemente scontata in carcere.
Deve tuttavia ammettersi che il risultato non appaga, per la
immediata constatazione che effetti identici scaturiscono da si
tuazioni profondamente dissimili: revoca e annullamento son
diverse non soltanto per caratteristiche concettuali, ma perché la prima deriva da una condotta del condannato, di segno ne
gativo, che manca del tutto nel secondo. Inoltre, l'esperienza
giuridica riconosce che taluni fatti, perché irreversibilmente ve
rificatisi, resistono alla forza distruttiva dell'annullamento (/ac tum infectum fieri nequit): ne sono esempi scolastici la persi stente validità degli atti amministrativi posti in essere da fun
zionario la cui assunzione in servizio sia stata annullata, o gli effetti del matrimonio putativo, o lo stesso principio della fun
gibilità (pressocché) assoluta della custodia preventiva con la
pena, certamente comprensivo dell'ipotesi in cui il titolo della
custodia preventiva sia stato annullato.
Ma nel caso in esame, il periodo di tempo trascorso in affida
mento non è deducibile dalla durata della pena neppure nel caso
dell'annullamento, perché nella struttura dello stesso art. 47 del
l'ordinamento penitenziario la fungibilità tra misura alternativa
e detenzione è inesorabilmente legata alla conclusione positiva della prova, che ne presuppone l'integrale compimento, e non è
concepibile quando manchino addirittura i presupposti di ammis
sibilità della misura.
Resta cosi inoperante, per volontà di legge, un periodo di tempo che è stato pur vissuto non tanto nel materiale, anonimo trascor
rere del •tempo, ma in un impegno di emenda che non è smen
tito come nel caso della revoca, che è guidato attraverso i con
trolli e gli ausili del servizio sociale, che è sofferto, infine, con
la soggezione alle prescrizioni limitative della libertà del condan
nato, la cui afflittività è intuitivamente rivelata dal loro conte
nuto, descritto nei comma 4° e 5° dell'art. 47.
Da questi rilievi affiora il sospetto di illegittimità costituziona le della disposizione citata, in quanto esclude che valga come
espiazione di pena il periodo di affidamento in caso di annulla mento del provvedimento di ammissione.
La questione è certamente rilevante, perché la corte non può pronunciare sul ricorso sottoposto al suo esame se prima non sia sciolta la riserva sulla costituzionalità delle norme da ap
plicare; e, nei limiti della sommaria delibazione affidata al giu dice a quo, essa non appare manifestamente infondata.
Innanzi tutto, si profila un possibile contrasto con il principio
dell'eguaglianza giuridico-formale affermato nell'art. 3 Cost., sot
to l'aspetto del dovere di imparzialità del legislatore, che vieta
di trattare in modo difforme situazioni soggettive eguali, e, cor
relativamente, di trattare in modo eguale situazioni soggettive tra loro diverse. È vero che il principio in questione va inteso
non meccanicisticamente, ma in modo articolato; tuttavia, non
sembra riconducibile a criteri di razionalità la scelta legislativa che eguaglia negli effetti situazioni radicalmente differenti, come
la revoca e l'annullamento. Per converso, non appare infondato
il giudizio di simiglianza tra la posizione del condannato nei
cui confronti, per il superamento con esito positivo della prova, si verifichi l'estinzione della pena, e quella del condannato il qua le, avendo trascorso in tutto o in parte il periodo di prova in
modo identicamente coerente alle finalità rieducative del tratta
mento, e con modalità altrettante afflittive, non consegua in tut
to o in parte l'effetto dell'estinzione della pena. Altro possibile parametro di verifica di costituzionalità è indi
viduabile nell'art. 13: se l'annullamento dell'ordinanza di affi
damento neutralizza l'idoneità della prova a determinare l'estin
zione della pena, all'annullamento medesimo sembra residuare
un complesso di restrizioni della libertà personale del condan
nato che ingiustificatamente si sovrappone alla pena senza po ter ripetere la sua ammissibilità da un provvedimento del giu dice, essendo stata eliminata l'ordinanza di affidamento.
Un'ultima considerazione induce al raffronto tra l'art. 47 del
l'ordinamento penitenziario e l'art. 27 Cost., che assegna alla
pena la finalità di rieducazione del condannato. La norma costi
tuzionale trova diretta esplicazione nel principio della individua
lizzazione della pena, perché tanto più probabile sarà il rag
giungimento dello scopo rieducativo, quanto più differenziato, e
adeguato alla personalità del condannato, sarà il trattamento
sanzionatorio. 11 principio suaccennato ha trovato significativa anche se non compiuta realizzazione nella riforma penitenziaria del 1975, con la quale sono state apprestate misure alternative
che, privilegiando il fattore risocializzante rispetto a quello re
tributivo (senza tuttavia sopprimere del tutto l'afTlittività della
sanzione), si inseriscono nel vasto disegno di una progressione nel trattamento penitenziario, articolata e personalizzata, dinami
camente operante tra i poli estremi della espiazione della pena secondo modelli tradizionali, a prevalente contenuto retributivo, e della misura alternativa nella quale sia per converso premi nente la funzione di emenda e di recupero sociale del condan
nato.
Come si è detto, l'affidamento in prova al servizio sociale è
l'istituto che più intensamente rispecchia questa linea di tendenza; e non sembra coerente con il precetto costituzionale far deri
vare da un evento del tutto estraneo alla condotta del condan
nato la vanificazione di un risultato rieducativo in tesi già con
seguito attraverso il trattamento alternativo.
CORTE DI CASSAZIONE; Sezione II penale; sentenza 21 ot tobre 1980; Pres. Severino, Est. Petrone, P. M. Valeri (conci, conf.); ric. P.m. c. Consoli. Conferma App. Bologna 9 marzo 1979.
Cassazione penale — Imputato assolto in primo grado e condan nato in appello — Deducibilità di censure relative al merito delia sentenza di secondo grado — Esclusione — Questione ma nifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 25; cod. proc. pen., art. 524).
E manifestamente infondata la questione di costituzionalità del l'art. 524 c.p.p.. nella parte in cui non consente al ricorrente in Cassazione avverso sentenza di condanna del giudice di ap pello, pronunciata nei confronti di imputato assolto in primo grado, di dedurre censure relative alla valutazione di merito
effettuata dal giudice di secondo grado, in riferimento agli art. 3, 24, T comma. 25, 1° comma. Cost. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti editi sulla questione specifica. Da ultimo, nel senso che il vigente ordinamento processuale prevede
normalmente il doppio grado di giurisdizione di merito, ma al di fuori dei casi eccezionali espressamente contemplati dalla legge, il
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