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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 10 ottobre 1987; Pres....

Date post: 27-Jan-2017
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sezioni unite penali; sentenza 10 ottobre 1987; Pres. Arienzo, Est. La Cava, P.M. (concl. diff.); ric. Tumminelli. Conferma Trib. Milano, ord. 22 maggio 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 635/636-639/640 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179798 . Accessed: 28/06/2014 11:51 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.103 on Sat, 28 Jun 2014 11:51:13 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 10 ottobre 1987; Pres. Arienzo, Est. La Cava, P.M. (concl. diff.);ric. Tumminelli. Conferma Trib. Milano, ord. 22 maggio 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.635/636-639/640Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179798 .

Accessed: 28/06/2014 11:51

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PARTE SECONDA

l'imputazione. Se infatti in ipotesi la soluzione di tale questione risultasse nel senso prospettato dai ricorrenti, il minor reato ad

essi ascrivibile sarebbe anch'esso estinto per amnistia e si rende

rebbe superfluo l'ulteriore esame degli altri motivi di gravame. Si premette al riguardo che, secondo un principio costantemen

te affermato da questa corte a conclusione di una elaborata atti

vità di interpretazione della norma di cui all'art. 357, n. 2, c.p., nessun dubbio può sussistere sulla qualità di pubblico ufficiale

del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, nel

l'esercizio delle relative funzioni.

Detto professionista attualmente, con la istituzione del nuovo

servizio sanitario nazionale ai sensi della 1. 23 dicembre 1978 n.

833, è retribuito, dal gennaio 1978, con un compenso mensile

onnicomprensivo stabilito sul parametro del numero degli assisti

ti, indipendentemente dalle visite effettuate in concreto e della

qualità di esse. Sicché la ricetta rilasciata non costituisce più pro va dell'avvenuta prestazione professionale ai fini del compenso.

La questione si pone quindi sul quesito della natura giuridica della ricetta, una volta privata dall'attitudine di costituire docu

mento probatorio delle visite effettuate dal sanitario, ai fini della

liquidazione del compenso ad esso spettante. Devesi cioè indagare se l'atto consistente in una mera prescri

zione di medicinali, unica ipotesi che interessa nella specie, con

servi tuttora la qualità di atto pubblico, suscettibile di falsità

ideologica ex art. 479 c.p., come ritenuto dai giudici di merito, ovvero sia da qualificare un mero certificato o autorizzazione am

ministrativa la cui falsità ideologica costituisca violazione dell'art.

480 c.p. In linea generale va precisato che, secondo l'orientamento di

questa corte, sono atti pubblici i documenti redatti da pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e che siano costitutivi

di diritti ed obblighi oppure siano diretti a provare un'attività

dello stesso pubblico ufficiale o di terzi in sua presenza. Costitui

scono invece certificati le attestazioni del pubblico ufficiale circa

la sussistenza di determinate condizioni o fatti giuridici con effi

cacia dichiarativa e non costitutiva.

Approfondendo ulteriormente l'indagine con riguardo alla do

cumentazione comprovata dai menzionati atti, può ulteriormente

precisarsi che mentre l'atto pubblico è inteso a documentare, tra

l'altro, le concrete modalità di attuazione della specifica condotta

richiesta al pubblico ufficiale che lo redige, il certificato è redatto

al fine di provare la realtà di determinate circostanze come tali, senza riguardo alcuno dei presupposti della condotta attestatrice.

Sulla base di quanto sin ora esposto è agevole escludere che

nelle ricette contenenti mere prescrizioni di medicinali possano ravvisarsi gli elementi caratteristici degli atti pubblici.

Che dette ricette non siano costitutive del diritto dell'assistito

alla corresponsione dei medicinali da parte delle farmacie è chia

ro, sol che si consideri che tale diritto deriva in generale dalla

legge istitutiva del servizio sanitario nazionale già citata; fra l'al tro l'art. 28 della legge disciplina l'assistenza farmaceutica da ero

garsi dalla Usi locale e dispone, al 2° comma: «Gli assistiti possono ottenere dalle farmacie di cui al precedente comma, su presenta zione della ricetta compilata dal medico curante, la fornitura di

preparati galenici e di specialità medicinali compresi nel prontua rio terapeutico del servizio sanitario nazionale».

Nemmeno può dirsi che con il documento in questione il sani

tario attesti un'attività da esso compiuta. Si è invero già rilevato come la ricetta abbia perso qualsiasi

attitudine probatoria ai fini retributivi; né le norme che discipli nano il suo contenuto richiedono l'esposizione di una qualche attività compiuta dal medico convenzionato che la redige.

Giova al riguardo richiamare l'accordo nazionale recante la di

sciplina dei rapporti con le farmacie per l'assistenza farmaceutica

nell'ambito del servizio sanitario nazionale stipulato ai sensi del

l'art. 48 1. 833/78, reso esecutivo con d.p.r. 15 settembre 1979, che prescriveva soltanto (art. 5) che la ricetta deve contenere il

cognome e nome dell'assistito, il numero del documento assicu

rativo ed ente erogatore, la prescrizione, la data e la firma del medico.

Nonché il disposto dell'art. 23, 2° comma, d.p.r. 16 ottobre

1984 n. 882 (esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la

disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale) in base

al quale: «Il medico può dar luogo al rinnovo della prescrizione farmaceutica anche su richiesta di un familiare quando, a suo

giudizio, ritenga non necessaria la visita dell'ammalato».

Con il documento in questione pertanto il sanitario non pone

li Foro Italiano — 1988.

in essere un atto pubblico, nel senso sopra esposto. Ma si limita — come può desumersi anche dall'esame dei moduli predisposti — a compiere una mera attività ricognitiva del diritto dell'assisti

to alla erogazione di medicinali, ed a rendere operativo tale dirit

to con l'emissione della ricetta.

Al documento, in conseguenza, va riconsociuta la duplice qua lifica di certificato (per la parte ricognitiva) e di autorizzazione

amministrativa, perché consente all'assistito l'esercizio del diritto

di fruire del servizio farmaceutico riconosciuto dalla legge del

1978 più volte citata. Sul punto va quindi condivisa la più recente

giurisprudenza delle sezioni semplici di questa corte (sez. II 15

novembre 1986, Rosa e altri).

Né, in tema di falsificazione, il concetto può estendersi oltre

i limiti dell'atto in concreto e del suo contenuto essenziale e do

cumentale, per cui deve affermarsi che la falsità ideologica delle

menzionate ricette, contenenti la sola prescrizione medica, va ri

compresa nella fattispecie prevista dall'art. 480 c.p. ed in tal sen

so va modificata l'originaria imputazione di cui agli art. 110, 479,

61, n. 2, e 81, cpv., c.p. ascritta ai ricorrenti al capo B). Il reato è compreso anch'esso nei provvedimenti di amnistia,

di cui al d.p.r. 18 dicembre 1981 n. 744, per il periodo dal gen naio al 31 agosto 1981, e d.p.r. 16 dicembre 1986 n.865 per il

periodo successivo. Va pertanto dichiarato estinto, con il conse

guente annullamento della sentenza impugnata anche in relazione

alla impugnazione di cui al capo B).

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 10 ot

tobre 1987; Pres. Arienzo, Est. La Cava, P.M. (conci, diff.); ric. Tumminelli. Conferma Trib. Milano, ord. 22 maggio 1986.

Passaporto — Pendenza di procedimento penale — Nulla-osta — Natura — Motivazione — Obbligatorietà — Ricorso per cassazione — Ammissibilità (Cost., art. 13, 16, 111; cod. proc.

pen., art. 190; 1. 21 novembre 1967 n. 1185, norme sui passa

porti, art. 3).

Il provvedimento con il quale l'autorità giudiziaria concede o ri

fiuta il nulla-osta per la restituzione o il rilascio del passaporto

all'imputato deve essere inquadrato tra i provvedimenti caute

lari strumentali al processo penale ed incide direttamente sulla

libertà di locomozione dell'imputato, che è estrinsecazione del

la più generale libertà personale; ne consegue l'obbligatorietà della motivazione e la ricorribilità per cassazione ai sensi del

l'art. Ili, 2° comma, Cost. (1)

(1) Le sezioni unite hanno risolto, con la sentenza in rassegna, il con trasto esistente nella giurisprudenza in ordine sia alla obbligatorietà o meno della motivazione del provvedimento con il quale l'autorità giudi ziaria concede o nega il cosiddetto nulla-osta all'espatrio alle persone im

putate di gravi reati (o che si trovano nelle situazioni equiparate ex art.

3, lett. c, d, e, 1. 1185/67), sia alla sindacabilità di tale atto ai sensi dell'art. Ili, 2° comma, Cost.

Le considerazioni decisive, che hanno indotto la Cassazione ad aderire alla soluzione positiva privilegiando cosi la tutela dei diritti dell'imputa to, risiedono da un lato nella ritenuta natura giurisdizionale del diniego al rilascio o alla restituzione del passaporto in quanto atto rientrante nel novero dei «provvedimenti cautelari strumentali al processo» e, dall'al

tro, nella sua attinenza alla materia della libertà personale in quanto im

pedisce quella «libertà di movimento che è estrinsecazione della più generale libertà personale».

Analogamente, v. Cass. 20 maggio 1980, Trombetta, Foro it., Rep. 1981, voce Impugnazioni penali, n. 18, e Mass. pen., 1981, 1975; in dot

trina, v. Gaito, Limiti al ritiro del passaporto per gli imputati stranieri, in Giur. it., 1986, II, 369.

La giurisprudenza prevalente era, invece, orientata nel senso della non ricorribilità per cassazione del provvedimento di diniego del nulla-osta sia per la sua natura di atto amministrativo sia perché non incide sulla libertà personale (Cass. 14 maggio 1982, Vacca, Foro it., Rep. 1982, voce

Passaporto, n. 4; 5 febbraio 1982, Calvi, id., 1982, II, 522; 6 novembre

1978, Fiore, id., Rep. 1979, voce Impugnazioni penali, n. 10; e, in dottri

na, Ciani, Nulla osta per il rilascio del passaporto e tutela giurisdiziona le, in Mass. pen., 1981, 1076; Montanara, La problematica per il rilascio del passaporto all'imputato, in Riv. polizia, 1983, 75; Nosengo, in Giur.

it., 1979, II, 76).

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GIURISPRUDENZA PENALE

Rileva. — In data 22 maggio 1986 il g.i. presso il Tribunale

di Milano rigettava l'istanza proposta da Tumminelli Roberto,

imputato di tentato omicidio ed altro, intesa ad ottenere la resti

tuzione del passaporto. Avverso detto provvedimento il difensore dell'imputato ha pro

posto ricorso per cassazione, ex art. Ill Cost., assumendo, con

motivi ritualmente depositati, la nullità dell'ordinanza per caren

za di motivazione.

La decisione del ricorso è stata rimessa a queste sezioni unite

in relazione al contrasto, verificatosi nell'ambito della giurispru denza della corte, sulla natura (amministrativa o giurisdizionale) dei provvedimenti che l'autorità giudiziaria può adottare in mate

ria di passaporti e documenti equipollenti (1. 1185/67 e d.p.r.

649/75) e sulla loro attinenza alla materia della libertà personale

dell'imputato. In proposito la Suprema corte ha affermato:

A) I provvedimenti de quibus hanno natura amministrativa on

d'è che avverso di essi non è proponibile ricorso per cassazione

(principio più volte affermato; vedi di recente sez. II 14 maggio

1982, Vacca, Foro it., Rep. 1982, voce Passaporto, n. 4).

B) Il provvedimento in esame non è impugnabile con ricorso

per cassazione per la duplice ragione che non rientra nel novero

dei provvedimenti sulla libertà personale e, perché, è atto ammi

nistrativo che si inserisce come atto intermedio e preparatorio nel procedimento amministrativo regolato dagli art. 5 ss. 1. 1185/67

(sez. III 5 febbraio 1982, Calvi, id., 1982, II, 522). C) I provvedimenti in questione hanno natura giurisizionale ed

incidono sulla libertà personale sicché è ammissibile il ricorso per cassazione in ordine agli stessi ex art. Ill Cost. (sez. I 20 maggio

1980, Trombetta, id., Rep. 1981, voce Impugnazioni penali, n. 18).

D) Il provvedimento de quo ha natura giurisdizionale ed è ri

corribile per cassazione in caso di «abnormità» a prescindere dal

la riferibilità o meno alla categoria dei provvedimenti che decidono

sulla libertà personale (sez. I 14 aprile 1986, Musar Sardar Celeli,

id., 1986, II, 269). Il problema da risolvere, dunque, concerne l'autonoma impu

gnabilità per ricorso in Cassazione del provvedimento con il qua

le il magistrato nega il nulla-osta per il rilascio (o la restituzione)

del passaporto, questione, questa, che implica e presuppone la

risoluzione di altre due: l'analisi della natura amministrativa o

giurisdizionale del nulla-osta; la classificazione o meno di tale

provvedimento tra quelli sulla libertà personale ai fini della sin

dacabilità ex art. Ili Carta costituzionale.

Il procuratore generale presso questa Suprema corte ha ricono

sciuto la giurisdizionalità del provvedimento in questione; tutta

via ha ritenuto che il rilascio o il rifiuto del nulla-osta non incida

sulla «libertà personale», cosi come intesa nella Carta costituzio

nale, pertanto ha affermato che il provvedimento impugnato non

è soggetto al ricorso per cassazione ex art. Ill Cost.

Osserva. — La materia del rilascio o del ritiro del passaporto

è regolata dalla 1. 1185/67 emanata in esecuzione del dettato co

stituzionale che garantisce espressamente la libertà di espatrio.

Con il d.p.r. 6 agosto 1974 n. 649 la disciplina è stata estesa,

per la maggior parte, alle carte d'identità e ad altri titoli. È stata

cosi raffigurata accanto alla misura di rifiuto o di ritiro del pas

saporto l'annotazione della «non validità dei documenti ai fini

dell'espatrio». Come è noto l'art. 3, lett. c, 1. 1185/67 stabilisce che il passa

porto non può essere concesso «a coloro contro i quali esiste

mandato o ordine di cattura o di arresto ovvero nei cui confronti

penda procedimento penale per un reato per il quale la legge con

sente il mandato di cattura salvo il nulla-osta dell'autorità giudi

ziaria competente». A sua volta l'art. 12 della stessa legge stabilisce che il passa

porto concesso viene ritirato allorché insorga uno dei vari motivi

ostativi alla concessione e «viene restituito al titolare a sua richie

sta non appena vengano meno i motivi del ritiro».

L'art. 5, infine, dispone che le misure del rifiuto o del ritiro

del passaporto (o della opposizione della riferita annotazione su

altri documenti) appartengono agli organi della p.a.

Tale rilievo, però, non può aggirare il sottofondo della norma

che impone l'intervento dell'autorità giudiziaria ossia un inter

vento volto a vincolare la decisione conclusiva della procedura

lasciando all'autorità amministrativa compiti meramente esecutivi.

Il legislatore ha puntato sul giudice nell'esercizio della sua po

li. Foro Italiano — 1988.

testà giurisdizionale in riferimento all'esigenza di coercizione pe nale ond'è che l'atto in esame lungi dal rapportarsi all'archetipo di un parere (destinato ad avere influenza interna nei rapporti con la p.a.) è invece, in relazione al procedimento amministrati

vo, in rapporto di presupposizione necessaria e vincolante.

L'art. 16 1. cit., infatti, nel disciplinare la presentazione della

domanda per ottenere il rilascio del documento, reca, al 2° com

ma: «Alla domanda devono essere uniti i nulla-osta e gli assensi

previsti dalla presente legge». Il provvedimento del giudice, dunque, è rivolto direttamente

all'imputato ed è, come già detto, presupposto necessario e vin

colante del procedimento amministrativo diretto ad ottenere il ri

lascio del documento.

In questa materia (rilascio dei documenti per l'espastrio), rego lata dal diritto amministrativo, nulla vieta che s'inseriscano atti

di diversa natura.

È del tutto irrilevante, quindi, che l'atto sia destinato ad inse

rirsi in una fattispecie complessa comprendente l'attività di orga ni diversi né, da ciò, è consentito dedurre che il provvedimento del giudice abbia una rilevanza meramente interna nei rapporti con la p.a. senza alcuna incidenza diretta.

La differenza peculiare del nulla-osta o del suo rifiuto rispetto ai vari atti del procedimento che si conclude con il rilascio o

il diniego del passaporto consiste nell'essere, rigorosamente ed

esclusivamente, destinato a garantire il soddisfacimento delle esi

genze di coercizione penale cui si riferisce l'art. 254 c.p.p. senza

alcun condizionamento dalla natura degli atti che lo precedono o lo seguano nell'ambito del procedimento amministrativo cui

inerisce.

Anche in questa occasione l'autorità giudiziaria accerta la vo

lontà della legge nel caso concreto in funzione di tutela sia della

pretesa punitiva statuale che dei diritti individuali; ogni valuta

zione improntata ad altri criteri non può fondare neanche in par te la decisione del giudice.

L'atto in questione, diretto dunque a risolvere una «questione» concernente l'imputato, va inquadrato fra i provvedimenti caute

lari strumentali al processo che il magistrato dispone in base ad

una valutazione discrezionale della necessità della cautela. Per

tanto il rifiuto o il ritiro del passaporto o la sospensione provvi soria del rilascio o il sequestro del documento destinato a far

superare i valichi di frontiera è (quale che sia il nomen iuris o

la forma dell'atto) provvedimento giurisdizionale che, ai sensi del

1° comma dell'art. Ill Cost., deve essere espressamente motivato.

Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dal procuratore gene rale requirente, anche l'ulteriore quesito sulla sindacabilità o me

no dell'atto ai sensi dell'art. 190 c.p.p. in relazione al 2° comma

dell'art. Ill Cost, deve essere risolto positivamente trattandosi

di provvedimento che incide sulla libertà personale dell'imputato. Anche sul concetto di libertà personale, come inteso nella Car

ta costituzionale, esiste contrasto nella giurisprudenza di questa corte.

Esso si è polarizzato soprattutto su due tesi: una restrittiva che

identifica la libertà personale nella possibilità di disporre in via

esclusiva del proprio essere fisico nei limiti e negli obblighi impo sti dalla legge; l'altra estensiva secondo cui la libertà personale non consisterebbe solamente nell'anzidetta disponibilità ma an

che in quella psichica e morale. Tale contrasto deriva dall'inter

pretazione da dare alla situazione giuridica prevista dall'art. 13

Cost, che, secondo i primi, abbraccia un numero ben definito

di fattispecie (detenzione, ispezione o perquisizione personale, vio

lenza fisica e morale su persone comunque detenute); mentre,

secondo gli altri, comprende anche qualsiasi apprezzabile meno

mazione della sfera di autodeterminazione dell'individuo tale da

configurarsi come compressione dell'autonomia individuale.

Per la soluzione del quesito occorre dunque porre in luce l'e

satta determinazione della situazione giuridica soggettiva contem

plata dall'art. 13 della Carta costituzionale in quanto dalla precisa

individuazione dei termini nei quali si concreta il disposto di det

to articolo potrà stabilirsi se il provvedimento in esame, che si

concreta in un divieto di espatrio, sia inerente alla libertà perso

nale e se esso, per tale ragione, ricada nell'ambito di efficacia

del 2° comma dell'articolo citato godendo della garanzia appor

tata dal costituente nello stabilire: «Contro la sentenza ed i prov

vedimenti sulla libertà personale pronunziati da organi

giurisdizionali è sempre ammesso ricorso per cassazione per vio

lazione di legge». Nella disposizione dell'art. 13 è necessario distinguere il princi

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PARTE SECONDA

pio generale della inviolabilità della libertà personale, enunciato

dal 1° comma, della più particolare regolazione di determinati

aspetti della libertà stessa con prevalente riguardo alle esigenze della difesa penale e pertanto all'esplicazione di poteri coercitivi

concernenti la detenzione, l'ispezione o la perquisizione personale. Per l'esatta determinazione della portata di questo 2° comma

è, tuttavia, indispensabile interpretare il significato della formula

di chiusura ivi apposta: «Né qualsiasi altra restrizione della liber

tà personale». La formulazione ampia e generalizzata del 1° comma dell'arti

colo in questione ed il riferimento nel 2° comma a restrizioni

coercitive ed a qualsiasi altra restrizione fa intendere che que st'ultima è qualcosa di altro dalle restrizioni ivi specificate in mo

do esemplificativo e non certo tassativo.

Nella stessa Carta costituzionale la «libertà personale» è stata

anche richiamata nell'art. 68 che, al 2° comma, ribadisce il di

sposto dell'art. 13: «. . . nessun membro del parlamento può es

sere sottoposto a procedimento penale né può essere arrestato

o altrimenti privato della libertà personale o sottoposto a perqui sizione personale o domiciliare . . .».

L'inserimento nell'art. 13 (ed anche nell'art. 68) del divieto espli cito di qualsiasi altra restrizione oltre quelle già elencate fa inten

dere che il costituente ha voluto garantire non solo quelle restrizioni

che annullano totalmente, attraverso misure coercitive, la dispo nibilità che l'individuo ha della propria persona fisica (detenzio

ne, ispezione o perquisizione personale) ma anche altre privazioni della libertà personale che comprimono o restringono tale libertà.

Il significato del termine «restrizione» infatti non è quello di

una completa soggezione dell'individuo alla coercizione esercita

bile dalle autorità pubbliche; ma sta ad indicare qualsiasi costri

zione che restringa la libertà individuale.

Oltre a quelle misure coercitive, enunciate in via esemplificati va nell'articolo in esame, il costituente, dunque, con la formula

di chiusura apposta, ha voluto altresì' garantire qualsiasi altra re

strizione che comprima la libertà individuale. Si è voluto impedi

re, cosi, «qualunque forma vessatoria» (art. 8 del progetto).

Pertanto, la Carta costituzionale ha inteso la libertà personale come disponibilità della propria persona fisica; ha individuato

detta disponibilità, in modo precipuo in quelle misure coercitive

(detenzione, ispezione o perquisizione personale) che annullano

totalmente la manifestazione essenziale della libertà di disposizio ne del proprio corpo impedendo, naturaliter, la libertà di movi

mento; ha, infine, indicato come sua violazione qualunque

soppressione e qualsiasi altra compressione di tale libertà.

È infatti, in rapporto alla disponibilità che ognuno ha del pro

prio corpo, la libertà personale è la possibilità di determinare

l'azione dei propri organi secondo la propria volontà e, cioè, li

bertà di movimento in senso lato.

Orbene il ritiro o il rifiuto del passaporto restringe il cittadino

in un ambito territoriale circoscritto togliendogli la facoltà di uscire dal territorio dello Stato; cosicché, in sostanza, l'individuo non

ha più a sua disposizione una serie indeterminata di direzioni a

cui esplicare la propria libertà con conseguente restrizione del di

ritto di disporre fisicamente di se stessa e quindi della sua libertà

personale. Tale restrizione, anche se non comprende una coercizione fisi

ca sulla persona, impedisce quella libertà di movimento che è

estrinsecazione della più generale libertà personale ed è diversa

solo quantitativamente dall'arresto o dalla detenzione.

La volontà e la possibilità di spostarsi al di fuori dei confini

dello Stato incide, dunque, direttamente su quella libertà di di

sposizione della propria persona fisica, il cui contenuto essenziale

è la libertà di locomozione e, solo indirettamente, su quel diritto

di espatrio che è garantito prima ancora che dalla legge della

stessa Costituzione.

Tale diritto non può, quindi, ritenersi estraneo alla garanzia indicata dal costituente garanzia che tende a preservare l'indivi

duo da ogni illegale impedimento nei confronti della sua persona. Il ricorso, dunque, è ammissibile.

Non sussiste, però, il denunziato difetto di motivazione. Il giudice ha chiaramente motivato, in base ad una valutazione

discrezionale degli atti, il suo convincimento.

Egli, infatti, ha fatto esplicito ed espresso richiamo alla delica

tezza e complessità delle indagini e di conseguenza alla necessità

di assicurare la presenza fìsica dell'imputato nella successiva fase

dibattimentale; ha indicato, inoltre, in relazione alla gravità dei

fatti, il pericolo di fuga da parte dell'imputato; pericolo che, in

Il Foro Italiano — 1988.

rapporto alla necessità della tutela della pretesa punitiva statuale,

può comportare, naturalmente, valutazioni diverse in relazione

ai vari stati e gradi del procedimento. Il rigetto del ricorso, infine, comporta la condanna del ricor

rente alle spese del procedimento.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione I penale; sentenza 6 aprile

1987; Pres. Carnevale, Est. Esposito, P.M. (conci, conf.);

imp. Minore. Conflitto di competenza.

Perizia in materia penale — Liquidazione del compenso ad opera di organo collegiale — Reclamo — Competenza — Decisione — Ricorso per cassazione — Ammissibilità (Cost., art. Ili; cod. proc. pen., art. 190; 1. 13 giugno 1942 n. 794, onorari

di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in mate

ria civile, art. 29; 1. 8 luglio 1980 n. 319, compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le ope razioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, art. 11).

La liquidazione dei compensi spettanti ai periti per le operazioni

eseguite a richiesta di organi collegiali è effettuata, con decreto

emesso de plano, dallo stesso organo che ha proceduto alla

nomina; avverso tale provvedimento l'interessato può proporre reclamo allo stesso giudice il quale provvederà — secondo lo

speciale procedimento in contraddittorio previsto dall'art. 29

I. n. 794 del 1942 — con ordinanza ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. Ill Cost. (1)

(1) La Cassazione, risolvendo con la sentenza in rassegna il conflitto, insorto tra il Tribunale di Trapani e la Corte d'appello di Palermo, in ordine alla competenza a decidere sul ricorso avverso il decreto che di

spone la liquidazione dei compensi spettanti al perito, qualora sia stato nominato da un giudice collegiale, ha statuito che compete allo stesso

giudice sia procedere alla «prima liquidazione», con decreto emesso de

plano, che decidere con ordinanza — nel contraddittorio tra le parti se condo la speciale procedura prevista dall'art. 29 1. 13 giugno 1942 n. 794 — in ordine all'eventuale «ricorso» proposto dagli interessati.

Il conflitto trovava origine nella circostanza che la vigente disciplina regola l'ordinario caso di provvedimento di liquidazione dei compensi emesso da un giudice monocratico, mentre non prende in considerazione

l'ipotesi, sia pure eccezionale, nella quale tale provvedimento venga pro nunciato da un organo collegiale. Secondo l'art. 11 1. 8 luglio 1980 n.

319, infatti, la liquidazione dei compensi spettanti al perito, all'interprete ed al traduttore deve essere disposta con decreto motivato del giudice (o del pubblico ministero, se si procede con istruzione sommaria) che 10 ha nominato ed avverso tale provvedimento gli interessati, il pubblico ministero e le parti private possono proporre «ricorso» al tribunale o alla corte d'appello alla quale appartiene il giudice o presso cui esercita la sua funzione il pubblico ministero, ovvero nel cui circondario ha sede 11 pretore che ha emesso il decreto.

La declaratoria di incompetenza del Tribunale di Trapani si fondava sulla configurazione del «ricorso» quale mezzo di impugnazione e sulla

conseguente necessaria devoluzione della cognitio causae al giudice di grado superiore. Viceversa, la Corte d'appello di Palermo si era dichiarata in

competente adducendo che, nel caso di specie, il decreto di liquidazione era inoppugnabile in quanto già deliberato da un organo collegiale. In altri termini, la garanzia opererebbe esclusivamente nell'ipotesi di liqui dazione disposta da un giudice monocratico per consentirne il controllo da parte dell'organo collegiale.

La Corte di cassazione, pur attribuendo la competenza a decidere sul «ricorso» al Tribunale di Trapani, e cioè allo stesso organo che aveva emesso il decreto di liquidazione, ha disatteso le argomentazioni addotte dalla Corte d'appello di Palermo.

Ed invero, secondo il Supremo collegio, la ratio della norma di cui all'art. 11 1. 319/80 va individuata nell'esigenza di consentire comunque un controllo, nel contraddittorio tra le parti, del decreto di liquidazione dei compensi adottato de plano. E ciò sia nell'ipotesi, disciplinata espres samente, che il provvedimento sia stato emesso dal giudice monocratico, il quale «ordinariamente» dispone la perizia, che in quella, del tutto ana

loga, in cui la liquidazione sia effettuata dall'organo collegiale che ha conferito l'incarico peritale. Conseguentemente, il «ricorso» deve confi

gurarsi quale «opposizione o reclamo» senza la necessaria devoluzione al giudice superiore, mentre la non impugnabilità, prevista espressamente dall'art. 29 1. 13 giugno 1942 n. 794 — richiamato dall'art. 11, 6° com

ma, 1. 319/80 — per l'ordinanza che decide sul «ricorso», non può evi

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