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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 12 ottobre 1993; Pres....

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sezioni unite penali; sentenza 12 ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Trojano, P.M. Aponte (concl. conf.); ric. Durante. Annulla Trib. Lecce, ord. 24 marzo 1993 Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 1/2- 7/8 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23188415 . Accessed: 28/06/2014 16:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 16:16:22 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 12 ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Trojano, P.M.Aponte (concl. conf.); ric. Durante. Annulla Trib. Lecce, ord. 24 marzo 1993Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1994), pp. 1/2-7/8Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188415 .

Accessed: 28/06/2014 16:16

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Anno CXIX Roma, 1994 Volume CXVII

IL FORO

ITALIANO

PARTE SECONDA

GIURISPRUDENZA PENALE

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 12

ottobre 1993; Pres. Zucconi Galli Fonseca, Est. Troiano, P.M. Aponte (conci, conf.); ric. Durante. Annulla Trib. Lecce, ord. 24 marzo 1993.

CORTE DI CASSAZIONE;

Misure cautelari personali — Impugnazioni — Interesse — Scar

cerazione dell'indagato nelle more del procedimento — Irrile

vanza (Cod. proc. pen., art. 309, 310, 311, 568).

L'interesse dell'indagato alla decisione del riesame o comunque

dell'impugnazione proposta avverso il provvedimento appli cativo o confermativo della custodia cautelare persiste anche

nel caso di sua scarcerazione nel corso del procedimento inci

dentale, in quanto la pronuncia inoppugnabile nel procedi mento de libertate costituisce decisione irrevocabile idonea,

nei casi di proscioglimento o condanna di cui al 2° comma

dell'art. 314 c.p.p., a fondare il diritto alla riparazione per

l'ingiusta detenzione. (1)

(1) Con la sentenza che si riporta le sezioni unite hanno «risolto» un contrasto determinatosi nella giurisprudenza della Suprema corte. Al riguardo, può ricordarsi come, da un lato, Cass. 31 gennaio 1991,

Longobardi, Foro it., Rep. 1991, voce Misure cautelari personali, n.

271, abbia ritenuto che «sussiste, invero, l'interesse dell'imputato, an che dopo la cessazione di efficacia della custodia cautelare ai sensi degli art. 294 e 302 c.p.p., ad ottenere una pronuncia» nel procedimento incidentale de libertate «che, escludendo la sussistenza degli indizi, ven

ga a configurarsi come una decisione che sancisca la carenza, in radice,

degli elementi sostanziali legittimanti l'emissione del provvedimento re

strittivo della libertà personale», e, dall'altro, Cass. 12 aprile 1991, De

Biasi, id., Rep. 1992, voce cit., n. 517, abbia, invece, sostenuto, con

riferimento ad un'ipotesi di riesame, che è da ritenersi insussistente l'in

teresse che legittima la richiesta di riesame quando la misura cautelare,

per scadenza del termine o per revoca successiva, abbia perduto la sua

efficacia, ed abbia escluso, altresì', che sia idonea a conferire attualità a detto interesse la eventualità che l'indagato, ricorrendone i presuppo

Il giudice delle indagini preliminari della Pretura di Lecce, con provvedimento in data 1° marzo 1993, dispose nei con

fronti di Durante Gregorio la misura della custodia cautelare

in carcere per il delitto di usura impropria, punito dall'art.

644 bis c.p.

L'indagato propose istanza di riesame, deducendo la carenza

di gravi indizi e di esigenze cautelari, nonché l'incompetenza del giudice a quo, per ragioni di connessione.

Con ordinanza 24 marzo 1993 il Tribunale di Lecce dichiarò

inammissibile l'impugnazione per sopravvenuta carenza d'inte

resse, a seguito della scarcerazione dell'indagato intervenuta nelle

more del procedimento. Il tribunale premise che, considerata la natura impugnatoria

dell'istanza di riesame, è ad essa applicabile la norma di cui

all'art. 568/4 c.p.p., secondo cui per proporre impugnazione è necessario avervi un interesse concreto ed attuale. Aggiunse,

inoltre, che, siccome il procedimento di riesame mira a sotto

porre ad un organo collegiale il controllo sulla legittimità del

sti, possa successivamente invocare la riparazione per l'ingiusta deten

zione ed il risarcimento del danno in base alle norme in materia di

responsabilità civile dei magistrati. Nel mentre pare utile ricordare come, nel vigore dell'abrogato codice

di rito, sempre le sezioni unite, con la sentenza 29 ottobre 1983, Medici

(id., Rep. 1984, voce Libertà personale dell'imputato, n. 378), avessero

stabilito che «l'imputato, scarcerato per concessione della libertà prov

visoria, conserva interesse all'impugnazione del precedente mandato di

cattura, poiché rimane assoggettato a conseguenze pregiudiziali penali ed extrapenali», è da notare, poi, come il collegamento tra il persistere dell'interesse all'impugnazione nel procedimento incidentale de quo an

che nel caso di sopravvenuta revoca della custodia cautelare e la disci

plina della riparazione per l'ingiusta detenzione sia stato operato pure in dottrina; al riguardo, oltre a Palumbo, L'interesse ad impugnare in materia di provvedimenti cautelari, in Giust. pen., 1991, III, 385

ss., cfr. anche Campanello, Sull'impugnazione dei provvedimenti «de li

Il Foro Italiano — 1994 — Parte II-Ì.

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PARTE SECONDA

provvedimento impositivo della misura, ad immediata tutela della

libertà dell'indagato e non è destinato ad incidere sulla fonda

tezza dell'accusa, l'intervenuta scarcerazione, eliminando il pe ricolo di un illegittimo perdurare della compressione della liber

tà personale, importa il venir meno della attualità dell'interesse

al riesame, il quale, dovendo essere concreto ed attuale, non

può essere ravvisato nell'ipotetico diritto alla riparazione di un'in

giusta detenzione.

Contro questo provvedimento il Durante ha proposto ricorso

per cassazione.

Con il primo motivo, incentrato sulla violazione degli art.

568, 4° comma, e 314, 2° comma, c.p.p., in relazione all'art.

606, lett. b), stesso codice, si deduce che la scarcerazione, avve

nuta nel corso del procedimento, non aveva eliso l'interesse del

l'indagato ad un controllo da parte del giudice del riesame sulla

sussistenza dei gravi indizi di responsabilità, al fine di avvalersi

dell'eventuale pronunzia di accoglimento del gravame quale ti

tolo per la riparazione dell'ingiusta detenzione prevista dal cit.

art. 314.

Con la seconda doglianza, si sostiene, sotto il profilo della

violazione degli art. 12, lett. c, e 15, 2° comma, c.p.p., che

il delitto di usura impropria — trovandosi in rapporto di con

nessione con il distinto delitto, consumato ai danni dell'indaga to da Musi Maria Teresa con la querela 8 ottobre 1992 e da

qualificarsi non già come simulazione di reato, bensì come ca

lunnia — sarebbe attratto assieme a quest'ultimo nella compe tenza per materia del tribunale e che pertanto il giudice del rie

same, se non avesse dichiarato l'inammissibilità del gravame avrebbe dovuto rimettere gli atti alla procura della repubblica

presso il Tribunale di Lecce.

L'indagato ha depositato due memorie, nelle quali, dopo aver

ribadito la persistenza dell'interesse al riesame malgrado la ri

messione in libertà, chiede l'annullamento sia dell'impugnata

ordinanza, che del provvedimento impositivo della misura cau

telare, non avendo il tribunale adottato una decisione sul meri

bertate» revocati, in Giur. it., 1993, II, 452 ss., nonché Cordero, Pro cedura penale, 2a ed., Milano, 1993, 513. Quest'ultimo, peraltro, se da un lato ritiene che in materia «costituisce precedente par excellence l'ordinanza emessa dal tribunale investito del riesame, o dalla Cassazio

ne», dall'altro afferma pure che «fuori da tali casi, bisogna che la que stione sia risolta dalla sentenza e affinché interloquisca "con efficacia di giudicato" (art. 34 c.p.c.), su temi estranei alla causa, occorre una domanda dell'interessato»; assunto, quest'ultimo, che non è invece con diviso dalle sezioni unite per le ragioni indicate nella motivazione della sentenza.

Sempre in dottrina, Montaldi (in Commento al nuovo codice di pro cedura penale coordinato da Chiavario, Torino, 1990, III, 317 ss.) e Amato (in Commentario del nuovo codice di procedura penale diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1990, III, parte seconda, 230 ss.) annoverano tra le «decisioni irrevocabili» che possono eventualmente rilevare ex 2° comma dell'art. 314 c.p.p. anche la sentenza resa nel

procedimento principale. Orbene, benché sul punto la decisione che si

riporta non sia particolarmente esplicita, purtuttavia sembra potersi ri tenere che anch'essa non escluda siffatta eventualità, posto che, nella

motivazione, si afferma, tra l'altro, che il termine «decisione irrevoca bile» «allude ad una gamma di provvedimenti più ampia delle sole sen tenze» e che «... in alcune ipotesi l'illegittimità della misura cautela re» ai sensi del 2° comma dell'art. 314 c.p.p., «può risultare, in modo

implicito e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza definitiva di merito», il che, sempre secondo le sezioni unite, si verificherebbe «sicuramente nei casi in cui l'imputato sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti ex post inflitta in violazione» dell'art. 280 c.p.p., «ovvero nel caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perché il reato era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della stessa misura».

Da ultimo, va sottolineato che la sentenza in epigrafe ribadisce il

principio, già sostenuto in precedenti decisioni (v., tra le altre, sez. un. 1° luglio 1992, Grazioso, Foro it., 1993, II, 290), secondo il quale an che alle pronunce rese in materia cautelare deve esser riconosciuta una sia pur limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sul principio del ne bis in idem.

to della richiesta del riesame, nel termine di dieci giorni fissato

dall'art. 309, 9° comma, c.p.p. Il ricorso, assegnato alla sesta sezione penale di questa corte

è stato rimesso, con ordinanza 27 maggio 1993, alle sezioni uni

te, a norma dell'art. 618 c.p.p., poiché, avendo il g.i.p. revoca

to la misura cautelare nei confronti di entrambi i soggetti, era

necessario dirimere il contrasto, sorto nella giurisprudenza della

Suprema corte, sull'ammissibilità dell'impugnazione avverso il

provvedimento applicativo della misura anche dopo la rimessio

ne in libertà dell'indagato. Le sezioni unite sono chiamate a risolvere il quesito se per

manga l'interesse ad ottenere una pronunzia, in sede di riesa

me, di appello o di ricorso per cassazione, sulla legittimità del

l'ordinanza che ha applicato o mantenuta la custodia cautelare

in carcere, qualora quest'ultima sia stata revocata nelle more

del procedimento.

Questo problema è stato risolto in senso negativo dalla pre valente giurisprudenza di questa corte. Sul duplice presupposto

che, a norma dell'art. 568/4 c.p.p., l'interesse all'applicazione deve essere concreto ed attuale e che il procedimento incidenta

le de libertate mira soltanto a controllare se lo stato di libertà

dell'indagato sia stato legittimamente compresso, si afferma che

la permanenza di tale interesse deve esser apprezzata unicamen

te con riguardo all'effetto primario e diretto dell'ordinanza im

positiva della misura, costituito da tale compressione e, pertan

to, vien meno ogni qual volta l'indagato sia stato liberato. Si

aggiunge, inoltre, che la permanenza dell'interesse all'impugna zione non può essere desunta dal diritto alla riparazione per

l'ingiusta detenzione — assicurato dall'art. 314/2 c.p.p. anche

al condannato purché l'illegittimità della misura cautelare sia

stata accertata con «decisione irrevocabile» — sia perché l'eser

cizio di questo diritto integra una mera eventualità futura ed

astratta, sia perché la decisione irrevocabile, di cui alla citata

norma, non può formarsi nel procedimento de libertate, che

si conclude con una pronunzia adottata allo stato degli atti, ma deve essere contenuta nella sentenza definitiva di merito (Cass. sez. I, 25 giugno 1990, Dall'Orto, Foro it., Rep. 1991, voce

Misure cautelari personali, n. 365; sez. V 12 aprile 1991, De

Biasi; sez. VI 15 dicembre 1992, n. 4439, De Biasi, id., Rep. 1992, voce cit., n. 517; 5 marzo 1993, Sbraga; 5 marzo 1993,

Raffo; 30 marzo 1993, n. 931; sez. II 7 aprile 1993, Bossi). L'orientamento favorevole alla persistenza dell'interesse al

l'impugnazione si fonda invece sul duplice rilievo che, da un

lato, l'esclusione da parte del tribunale del riesame dei gravi indizi di responsabilità si risolverebbe pur sempre in un miglio ramento sia pur minimo della situazione processuale dell'inda

gato e, dall'altro, l'interesse in esame deve essere apprezzato anche in termini di diritto soggettivo di natura patrimoniale con

riguardo alla riparazione per l'ingiusta custodia cautelare sof

ferta, la quale ai sensi del cit. art. 314 c.p.p., è svincolata dal

l'esito finale del giudizio (Cass., sez. V, 31 gennaio 1991, Lon

gobardi, id., Rep. 1991, voce cit., n. 271; sez. VI 22 gennaio 1993, Guarnotta).

Le sezioni unite ritengono di aderire a quest'ultimo indirizzo, anche se non tutte le ragioni sulle quali esso si fonda, possono essere condivise.

Non è, invero, decisivo il primo argomento, incentrato sui

vantaggi che l'indagato rimesso in libertà potrebbe conseguire, tramite l'annullamento dell'ordinanza applicativa della misura

cautelare, in ordine alla situazione probatoria delineatasi nel pro cedimento principale. Giova al riguardo ricordare che l'interes

se al gravame, oltre che essere concreto ed attuale, deve riguar dare il conseguimento di una posizione di vantaggio giuridica mente tutelata. Al contrario l'efficacia della pronuncia adottata

dal tribunale per il riesame in ordine alla carenza dei gravi indi

zi di responsabilità resta rigorosamente circoscritta nell'ambito

del procedimento incidentale de libertate ed è finalizzata soltan

to all'eliminazione della misura cautelare. Quella pronunzia non

vincola, invece, né l'apprezzamento dell'ufficio del p.m. titola

re delle indagini preliminari quanto alla rilevanza degli elementi

indiziari acquisiti, mé tanto meno quello del g.i.p., ai fini del Il Foro Italiano — 1994.

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GIURISPRUDENZA PENALE

rinvio al giudizio, o del giudice del dibattimento. Il vantaggio

conseguibile dall'indagato dalla pronunzia in esame è, quindi, di puro fatto e pertanto non vale, di per sé, a fondare la persi stenza dell'interesse al gravame malgrado la rimessione in liber

tà. La sopravvivenza rispetto a tale evento dell'interesse in esa me deve essere dunque verificata sotto il diverso profilo dell'e ventuale incidenza dell'istituto della riparazione per l'ingiusta detenzione sul regime delle impugnazioni, previste dagli art. 309, 310 e 311 c.p.p. avverso le ordinanze in tema di misure cautelari.

Si premette che detto istituto, introdotto sulla base della di

rettiva n. 100 dagli art. 314 e 315 c.p.p., riguarda esclusivamen

te la custodia cautelare, comprensiva, ex art. 284/5 c.p.p., an

che degli arresti domiciliari, restandone, invece, escluse le altre

misure coercitive o inter ditti ve.

Devesi, inoltre, precisare che, a mente dell'art. 314/1 c.p.p., la riparazione per l'ingiusta detenzione, è senz'altro assicurata

all'imputato che sia stato prosciolto con una delle formule enu

merate da detta norma le quali, come chiarito nella relazione

al progetto preliminare (pag. 78), «sono di per sé sufficienti

ad attestare ex post la sostanziale ingiustizia» della compressio ne della libertà personale. Al contrario, nei confronti dell'impu tato assolto con diversa formula ed allo stesso condannato il

diritto in discorso è subordinato dal 2° comma della medesima

norma al duplice presupposto che la misura cautelare detentiva

sia «formalmente» illegittima perché imposta e mantenuta in

assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli art. 273

e 280 c.p.p. e che, inoltre, questa illegittimità sia stata accertata

con una «decisione irrevocabile».

Per quanto attiene al primo presupposto, giova innanzi sotto

lineare che, fra le ipotesi di illegittimità formale elencate nel

cit. art! 273 c.p.p., rilevano, ai fini del 2° comma dell'art. 314,

soltanto l'assenza, all'epoca dell'applicazione o della conferma

della misura, di gravi indizi di colpevolezza, ovvero la presenza, in quella stessa data, di cause di non punibilità, di estinzione

del reato o di estinzione della pena che si ritenga irrogabile,

poiché, come rilevato nella relazione al progetto preliminare (pag.

78), la sussistenza di cause di giustificazione, implicando l'asso

luzione perchè il fatto non costituisce reato, rientra nella previ sione del 1° comma della medesima norma. La formulazione

letterale della norma in esame e la citata relazione, la quale valorizza l'ingiustizia «formale» della misura svincolata dall'e

sito del giudizio sul merito, rendono evidente che il condannato

ha diritto all'equa riparazione ove sussista una qualsiasi delle

cause di illegittimità enucleabili dal cit. art. 273, oltre, natural

mente, dall'art. 280 c.p.p.

Va, altresì', rilevato che, stante la tassatività della formulazio

ne dell'art. 314/2 c.p.p. non sono idonee a fondare il diritto

in esame sia la violazione dell'art. 274, relativo alle esigenze cautelari (cfr. Relazione al progetto definitivo, pag. 184) o l'i

nosservanza dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle

misure, enunciati nel successivo art. 275.

Infine, il secondo presupposto, concernente l'accertamento del

la illegittimità della misura detentiva mediante una «decisione

irrevocabile», integra il punto fondamentale di raccordo fra l'i

stituto della riparazione e l'interesse ad impugnare le ordinanze,

con le quali dette misure sono state applicate o mantenute. Il

problema posto dall'esatto significato dell'espressione «decisio

ne irrevocabile» consente in astratto tre diverse soluzioni. Oc

corre subito sgombrare il campo da quella secondo cui tale de

cisione dovrebbe essere adottata dallo stesso giudice competen

te, a norma degli art. 315 e 646 c.p.p., per il giudizio relativo

all'accertamento del diritto alla riparazione. Questa tesi invero

collide con la chiara formulazione del cit. art. 314, 2° comma,

dalla quale risulta che la decisione in esame integra il presuppo sto logico e cronologico di quest'ultimo giudizio e, quindi, do

vendo precederlo, deve essere necessariamente emessa nel corso

del procedimento penale instaurato per l'accertamento del reato.

Come si è già rilevato, secondo alcune pronunzie di questa

corte, la statuizione sull'illegittimità formale della misura do

vrebbe essere necessariamente contenuta nella medesima senten

za di merito conclusiva del giudizio sulla responsabilità. Ma neanche questa tesi, che pur presenta risvolti di verità,

può essere condivisa, se intesa nella sua assolutezza.

Al riguardo soccorre innanzi tutto l'interpretazione letterale

del cit. art. 314, che, mentre al 1° comma, collega il diritto

all'equa riparazione al proscioglimento con «sentenza» irrevo

cabile, al 2° comma, invece, impiega, rispetto al condannato, il termine più generico «decisione» irrevocabile, che, allude ad

una gamma di provvedimenti più ampia delle sole sentenze. Inol

tre, non va trascurato che la sussistenza dei gravi indizi al mo

mento dell'applicazione della misura cautelare o del rigetto del

l'istanza di revoca esula ontologicamente dal tema dei fatti de

voluti al giudice del merito, che è circoscritto all'accertamento

della responsabilità dell'imputato e dal quale esula il controllo

sulla legittimità dei provvedimenti de liberiate, ancorché conte

nuti nella sentenza di primo grado (Cass., sez. un., 23 novem

bre 1990, Santucci, id., 1991, II, 73). Infine non è consentito

argomentare in contrario dal disposto dell'art. 315/2 c.p.p., se

condo il quale la domanda di riparazione deve essere proposta entro un termine di decadenza decorrente dal giorno in cui la

sentenza di condanna o di assoluzione è divenuta irrevocabile.

Come sottolineato anche da un'autorevole dottrina, la scelta

della data dell'irrevocabilità della sentenza definitiva, quale dies

a quo per la decorrenza del termine, trova la sua ragion d'esse

re non già nel fatto che tale pronunzia debba contenere necessa

riamente la decisione irrevocabile, che è titolo del diritto alla

riparazione, ma più, in generale, nei limiti in cui l'esercizio di

tale diritto è stato circoscritto a seconda che si tratti di imputa to assolto con una delle formule di cui al 1° comma dell'art.

314, ovvero di imputato assolto con formula diversa o condan

nato. Come si è già avuto modo di ricordare, mentre nel primo

caso, tale diritto compete senza alcun limite (che non sia quello derivante dal concorso di dolo o colpa da parte dell'interessato

o quello quantitativo posto dall'art. 315/2 c.p.p.), nel secondo

caso, invece, lo stesso diritto non soltanto presuppone l'inosser

vanza degli art. 273 e 280 c.p.p., ma, ex art. 314, 4° comma, è escluso, fra l'altro, per quella parte della custodia cautelare

che sia computata nella determinazione della pena inflitta. Ne

deriva, pertanto, la necessità di attendere la pronunzia della sen

tenza definitiva per l'esatta definizione della causa petendi e

del petitum della domanda di riparazione. Vero è che in alcune ipotesi l'illegittimità della misura caute

lare, ai sensi del 2° comma del cit. art. 314, può risultare, in

modo implicito e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza defini

tiva di merito. Ciò si verifica sicuramente nei casi in cui l'impu tato sia stato condannato per un reato diverso da quello conte

stato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel mas

simo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti

ex post inflitta in violazione del cit. art. 280 c.p.p., ovvero nel

caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perché il reato

era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della

stessa misura. Ma trattasi di ipotesi marginali, per cui resta il

problema di individuare, per gli altri casi, ed in particolare per

l'ipotesi concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevo

lezza, la pronunzia idonea ad integrare la «decisione irrevocabi

le» di cui all'art. 314/2 c.p.p. Un'autorevole dottrina, pur af

fermando che siffatta decisione è costituita principalmente dalle

pronunzie emesse da tribunale o da questa corte nel procedi mento incidentale de libertate, sostiene che il giudice del merito

possa essere investito del potere di statuire in sentenza sulla le

gittimità della misura cautelare a seguito di una specifica do

manda di accertamento incidentale proposta a norma dell'art.

34 c.p.c. Ma, pur apprezzandone l'indubbia Originalità, il colle

gio non ritiene di condividere questa conclusione. Essa, invero,

si scontra con ostacoli che, in assenza di necessarie previsioni

normative, non appaiono superabili. Trattasi innanzi tutto del

l'innesto nel processo penale di una statuizione di accertamento

incidentale tipica del processo civile, la quale, per di più, inve

stirebbe una questione (la legittimità formale della misura cau

telare) che non è pregiudiziale, cosi come invece richiede il cita

to art. 34 c.p.c., rispetto alla questione principale devoluta al

giudice del merito (l'accertamento del reato). È non del tutto

inutile sottolineare che il rapporto di pregiudizialità, nel senso

richiesto dalla norma citata, non sussiste neanche nei casi, già

menzionati, in cui l'illegittimità formale della misura coercitiva

li Foro Italiano — 1994.

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PARTE SECONDA

risulta dalla stessa sentenza di condanna. In queste ipotesi, in

vero, tale rapporto opera in direzione contraria, poiché non è

l'illegittimità della misura a «pregiudicare» la statuizione finale

sul merito dell'accusa, ma precisamente l'opposto. Un ulteriore

ostacolo va, infine, individuato nella necessità — in cui lo stes

so giudice penale si troverebbe nella gran parte dei casi — di

dovere esaminare e valutare gli atti inclusi soltanto nel fascicolo

del p.m. al fine di controllare la sussistenza, o meno, degli indi

zi di responsabilità al momento dell'applicazione della misura,

in aperto contrasto con i principi che reggono l'attuale procedi

mento penale. Dalle suesposte considerazioni discende che la «decisione» ir

revocabile» — integrante ex art. 314/2 c.p.p. il titolo del diritto

alla riparazione — deve essere individuata nell'ordinanza, non

impugnata, adottata dal tribunale ex art. 309 e 310 stesso codi

ce in sede di riesame o di appello avverso il provvedimento de

libertate, ovvero nella pronunzia emessa da questa corte a se

guito di ricorso contro tale ordinanza, o in sede di ricorso per saltum contro lo stesso provvedimento applicativo della misura.

Alcune delle citate sentenze, che aderiscono al criticato indiriz

zo, oppongono che quelle pronunzie, in quanto adottate allo

stato degli atti, sono sprovviste del crisma dell'irrevocabilità.

Deve, però, rilevarsi che, secondo il prevalente orientamento

di questa corte, ribadito dalle sezioni unite, l'esigenza di evitare

un'illimitata reiterazione di provvedimenti o di richieste di revo

ca, incompatibile con l'economia processuale, giustifica il rico

noscimento anche alle pronunzie in esame di una sia pur limita

ta efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sul prin

cipio del ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p. (Cass., sez.

un., 1° luglio 1992, Grazioso, id., 1993, II, 290; 18 giugno 1993,

Dell'Olmo). Sulla base di tale principio è stato, infatti, affer

mato che soltanto un successivo, apprezzabile mutamento del

fatto consente sia la reiterazione di un'ordinanza applicativa di

misure cautelari, annullata dal tribunale del riesame per ragioni

di merito, con pronunzia non più soggetta a gravame; sia la

revoca, per inidoneità degli indizi, della medesima ordinanza, la quale sia stata, invece, confermata in sede di gravame o sia,

comunque, divenuta definitiva (cfr. sez. un. citate, nonché Cass.,

sez. I, 22 febbraio 1993, Corrado; sez. VI 21 luglio 1992, Cam

piello); nonché, infine, la reiterazione di una richiesta di revo

ca, qualora un'ordinanza di rigetto di una precedente istanza

sia stata confermata in sede di impugnazione (per tutte, Cass., sez. I, 10 marzo 1993, Rey). Ed anche ove si ritenga, con alcu

ne sentenze di questa corte, che il giudicato formatosi nel pro cedimento de libertate copra soltanto le circostanze dedotte e

valutate dal giudice, ma non anche il deducibile (Cass., sez.

V, 21 ottobre 1992, Giorgi; sez. VI 23 settembre 1992, Paradi

so) resta pur sempre che le pronunzie adottate in tale procedi mento posseggono, nei limiti derivanti dalla loro funzione, il

carattere dell'irrevocabilità, che ne permette l'inserimento nello

schema di cui all'art. 314/2 c.p.p. I principi sopra illustrati consentono di considerare nella giu

sta prospettiva il problema della persistenza, o meno, dell'inte

resse ad impugnare anche dopo la revoca dei provvedimenti in

tema di libertà.

È indubbio che, a norma dell'art. 568/4 c.p.p., applicabile anche alle misure cautelari, l'interesse all'impugnazione deve es

sere, come già rilevato, concreto ed attuale e, pertanto, non

può risolversi in una mera ed astratta pretesa alla esattezza teo

rica del provvedimento impugnato, priva di incidenza pratica nell'economia del procedimento.

Tuttavia, è a considerare che detto interesse deve essere valu

tato alla stregua dell'intero complesso delle norme che regolano

gli effetti dell'atto impugnato. Pertanto, se — per un verso —

l'effetto diretto e primario del provvedimento, che impone o

conferma la misura coercitiva, risolvendosi nella compressione della libertà personale e viene meno con la rimessione in libertà — per l'altro — dallo stesso provvedimento, se ingiusto deriva, ex art. 314 c.p.p., anche l'effetto ulteriore del diritto ad una

equa riparazione. E poiché soltanto la pronunzia adottata dal

tribunale per il riesame o dalla Corte suprema nel procedimento

Il Foro Italiano — 1994.

incidentale de liberiate può integrare — salvo le ipotesi sopra

indicate — la decisione irrevocabile, idonea, nei casi di proscio

glimento o di condanna di cui all'art. 314/2, a fondare tale

diritto, ne consegue che la revoca della misura non può incidere

sull'attualità dell'interesse a coltivare il gravame. Questa attua

lità, invero, persiste perché solo attraverso una pronunzia di

annullamento della misura nella sede indicata, l'indagato può

precostituirsi il titolo per chiedere, nelle fattispecie elencate dal

citato art. 314/2, un'equa riparazione per l'ingiusta detenzione.

L'impugnata ordinanza, avendo erroneamente dichiarato l'i

nammissibilità della richiesta di riesame per sopravvenuta ca

renza di interessi determinata dalla rimessione in libertà del ri

corrente, deve essere, quindi, annullata con rinvio.

Non può, invero, condividersi l'assunto, prospettato in me

moria, che la mancata pronunzia sul merito dell'istanza di rie

same nel termine di dieci giorni prescitto dall'art. 309, 9° com

ma e 10° comma, c.p.p. avrebbe comportato l'immediata per

dita di efficacia ab origine del provvedimento applicativo della

misura coercitiva e che, pertanto, l'accoglimento del ricorso im

porrebbe l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata

e del suddetto provvedimento.

Invero, mentre il 9° comma dell'art. 309 c.p.p. stabilisce che

il tribunale entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, se non

debba dichiarare l'inammissibilità della richiesta, annulla, rifor

ma o conferma l'ordinanza impugnata, il 10° comma, a sua

volta, dispone che l'ordinanza che applica la misura coercitiva

perde immediatamente efficacia se la decisione sulla richiesta

di riesame non intervenga nel termine prescritto. Dall'esegesi

combinata di tali disposizioni emerge chiaramente che la perdi ta di efficacia si verifica soltanto qualora nel suindicato termine

non sia adottata alcuna decisione e, pertanto, non ricorre allor

ché, invece, il tribunale abbia in qualsiasi modo pronunziato sulla richiesta di riesame, sia dichiarandone l'inammissibilità,

sia decidendo sulla sua fondatezza; e ciò anche nel caso in cui

tale pronunzia sia affetta da nullità (cfr. Cass., sez. un., 12

febbraio 1993, Piccioni, id., 1993, II, 403; sez. I 19 settembre

1988, Nicoli, id., Rep. 1989, voce Libertà personale dell'impu

tato, n. 212; sez. I 2 marzo 1983, Oliveri).

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 18

giugno 1993; Pres. Brancaccio, Est. Lattanzi, P.M. Gaz

zara (conci, conf.); ric. Rabiti. Annulla App. Bologna 17

maggio 1991.

Giudizio abbreviato — Sentenza ricorribile dal pubblico mini

stero — Appello dell'imputato — Appello incidentale del pub blico ministero — Inammissibilità (Cod. proc. pen., art. 443).

Non può riconoscersi il potere di proporre appello incidentale

alla parte priva del potere di proporre quello principale; ne

consegue che, ove il pubblico ministero abbia appellato in

via incidentale una sentenza oggettivamente inappellabile per la parte pubblica a norma dell'art. 443, 3° comma, c.p.p.,

l'impugnazione incidentale deve essere dichiarata inammis

sibile. (1)

(1) La pronuncia pone termine al contrasto giurisprudenziale profila tosi in ordine all'ammissibilità dell'appello incidentale del pubblico mi nistero avverso le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato, nelle

ipotesi in cui la titolarità del potere di proporre appello principale

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