sezioni unite penali; sentenza 21 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni(concl. conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.487/488-495/496Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179743 .
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PARTE SECONDA
e 536, 4° e 5° comma, nel prevedere la nomina di un relatore
e lo svolgimento di tale attività da parte di un solo componente del collegio giudicante, comportano necessariamente che solo il
predetto ha a disposizione tutti gli atti processuali, sicché ciascun
ricorso è conosciuto dagli altri consiglieri soltanto dopo la rela
zione e nei limiti di questa, si da condizionare l'emananda deci
sione — e quindi lo stesso contenuto del dissenso o del consenso
in ciascuna causa manifestato — alla precisione, completezza o
perizia del relatore.
E ciò, inevitabilmente, perché, come si è avuto modo di preci
sare, ogni componente è tenuto alla completa conoscenza dei soli
atti relativi ai processi affidatigli. Da quanto sopra — ricollegato non ad una prassi, ma alla
specifica regolamentazione del processo — deriva che la volontà
espressa nel momento deliberativo, avuto riguardo alle c.d. cause
di responsabilità di cui al citato art. 2 1. 117/88, è ricollegata ad una valutazione non omogenea delle circostanze di causa, per diversità del grado di conoscenza degli stessi incartamenti, ed è
appunto su tale innegabile evidenza che pare illegittimo, sul pia no dei principi costituzionali richiamati, che sia dato identico va
lore e siano sanciti identici effetti pregiudizievoli tra chi ha dato
eventualmente causa al fatto previsto quale fonte di responsabili tà civile e chi, invece, viene coinvolto non tanto a titolo di re
sponsabilità oggettiva, quanto per fatto altrui.
Il tutto, nel quadro di una visione del giudizio collegiale in
genere avulsa da qualsiasi reale rispondenza alle modalità di svol
gimento della fase processuale presa in esame (deliberativa). La denuncia, poi, acquista maggior valore con riferimento alla
successiva motivazione ed al deposito della decisione. Anche qui, da un lato, si deve richiamare quanto precisato, e, dall'altro, va
sottolineato — avuto riguardo in particolare sempre al giudizio
penale collegiale — che ai sensi dell'art. 30 disp. att. c.p.p., ap
provate con r.d. 28 maggio 1931 n. 602, la minuta della sentenza
è consegnata dal presidente al cancelliere che ne forma l'originale e che tale previsione, in una alle modificazioni introdotte con
gli art. 6 e 7 1. 532/77 — per effetto delle quali la sentenza è
sottoscritta solo dal presidente e dall'estensore — esclude qual siasi possibilità di un controllo successivo alla deliberazione, per
quanto si riferisce alla conformità tra pronuncia adottata in ca
mera di consiglio, consensi o dissensi ivi espressi, e, infine, la
motivazione del provvedimento. La 1. 117/88 non ha ora tenuto conto di tutto ciò, apportando,
se del caso, gli opportuni mutamenti nell'ambito della struttura
stessa del processo penale, nè ha tenuto conto, tra le altre possi
bilità, di un'eventuale esteriorizzazione del dissenso anche in det
to momento.
I rilievi che precedono, infine, ancora su tale profilo, devono
essere integrati richiamando ulteriori disparità di situazioni che
si verificano sempre nel giudizio penale, nello stesso organo col
legiale e, persino, nella medesima udienza, li dove — ad esempio — la pronuncia è emessa ai sensi dell'art. 531 c.p.p, senza lettura
contestuale del dispositivo, e dell'art. 545, 2° comma, c.p.p. Nei casi predetti, infatti, da un lato, non v'è lettura immediata
del dispositivo (art. 531 c.p.p.) — con tutte le implicazioni già
messe in evidenza — e, dall'altro, è invece prevista addirittura
la possibilità di integrare la deliberazione eventualmente carente,
seppur in limiti specificamente determinanti, con effetti peraltro di particolare e signicativa incidenza avuto riguardo alla precisa zione dei punti della decisione parzialmente annullata che devono
considerarsi rimasti in vigore e che non sono travolti, quindi, dall'annullamento parziale (art. 545 c.p.p.);
1/3 comportano una violazione dell'art. 101 Cost, sotto il pro filo che la manifestazione della propria volontà in ordine alle
posizioni assunte in camera di consiglio — obbligatoria ai fini di un esonero della responsabilità — viola formalmente e sostan
zialmente il segreto relativo al processo di formazione della deci
sione ivi adottata (art. 473, 5° comma, c.p.p.) che la 1. 117/88
non ha eliminato e che è un bene da ritenersi costituzionalmente
protetto.
Esso, infatti, tende a garantire l'indipendenza dei giudici solo
da ogni forma di pressione ed interferenza (interna od esterna, da parte di singoli o di altri poteri dello Stato), ma anche da
qualsiasi schema che possa comunque incidere negativamente sul
libero svolgimento dell'attività giurisdizionale, e, quindi, in parti
colare, su quella preminentemente espressa dalla deliberazione.
In tal senso, d'altra parte, dottrina e giurisprudenza sono atte
II Foro Italiano — 1988.
state saldamente nel riconoscere l'indipendenza quale bene riferi
bile non all'ordine giudiziario — sotto tale profilo garantito dalla
sua autonomia (art. 104 Cost.) — bensì al giudice ed a ciascun
giudice, con specifico riferimento al concreto esplicarsi delle sue
funzioni, considerate queste ultime quale momento di risoluzione
dei conflitti di interessi. La Costituzione, in sostanza, da un lato, ha affermato il principio per cui tutti i provvedimenti giurisdizio nali devono essere motivati (art. Ill Cost.), imponendo in tal
modo che — seppur con estensione diversa — il giudice manifesti
le ragioni poste a sostegno della deliberazione assunta, e, dall'al
tro, ha garantito allo stesso giudice la più assoluta indipendenza, nel precedente ed essenziale momento della formazione del pro
prio convincimento.
In altri termini, indipendenza vuol dire anche esclusione di qual siasi tipo di condizionamento.
E detto effetto, invece, realizza il disposto dell'art. 16 1. 117/88, in quanto, a prescindere dalle contraddizioni e dalle censure so
pra evidenziate, sicuramente impone l'esplicazione, addirittura scrit
ta del dissenso — cui non corrisponde peraltro se non in linea
derivativa ed immotivatamente quella dell'altrui consenso — con
intuibili conseguenze che coinvolgono non solo la libertà morale
dei giudici, ma anche e non in astratto, la loro stessa incolumità
fisica. Il che non esclude affatto che anche per gli organi colle
giali sia prevista una responsabilità ai sensi della 1. 117/88, ma
impone però che — quanto alle concrete modalità — si tenga conto delle specifiche situazioni, onde non vanificare la tutela
dei principi di indipendenza e di autonomia della funzione giudi ziaria (Corte cost. n. 2 del 14 marzo 1968, Foro it., 1968, I, 585 e n. 26 del 3 febbraio 1987, id., 1987, I, 638) con particolare riferimento al momento decisionale. (Omissis)
Per questi motivi, la Corte di cassazione, sez. VI penale, di
chiara rilevanti o non manifestamente infondate: 1) la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 3° comma, lett. b) e e), nonché dell'art. 16, 1° e 3° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, in relazione agi art. 133, 276, 429 c.p.c., 64, 118, 119, 120 disp. att. stesso codice ed in relazione agli art. 151, 472, 473, 5° com
ma, 531, 534, 1° comma, 537, 545 c.p.p., 30 disp. att. stesso
codice e 6, 7 1. n. 532/77, con riferimento agli art. 3 e 101 Cost.;
2) la questione di legittimità costituzionale degli art. 532, 533, 534 e 536 c.p.p., 91, 93 , 94, 101, 102 e 106 dello stesso codice, con riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 21 no
vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni
(conci, conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986.
Idrocarburi — Olì minerali — Deposito — Ampliamento — Omes
sa denuncia — Reato — Insussistenza (R.d.l. 2 novembre 1933
n. 1741, disciplina della importazione, lavorazione, deposito e
distribuzione di olì minerali e carburanti, art. 11; d.l. 5 maggio 1957 n. 271, disposizioni per la prevenzione e la repressione delle frodi nel settore degli olì minerali, art. 1, 13; 1. 2 luglio 1957 n. 474, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.
5 maggio 1957 n. 271).
Non è preveduto dalla legge come reato il comportamento dell'e
sercente che, avendo denunziato all'Utif l'installazione di un
deposito di oli minerali, ometta di denunziarne l'ampliamento, a nulla rilevando che l'eccedenza superi in misura notevole la
quantità massima autorizzata e che siano state apportate modi
fiche sostanziali agli impianti preesistenti. (1)
(1-2) Le sezioni unite risolvono il contrasto interpretativo insorto all'in terno della terza sezione penale aderendo all'impostazione accolta da sez. Ili 22 gennaio 1985, Castorri, Foro it., 1986, II, 598, con nota di richia mi (cui si rinvia per ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza), e successivamente fatta propria da sez. Ili 14 ottobre 1986, Beggiato,
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GIURISPRUDENZA PENALE
II
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 25 feb
braio 1987; Pres. Sesti, Est. Cavallari, P. M. Carlucci (conci,
conf.); ric. Proc. gen. Firenze in c. Panci. Annulla App. Firen
ze 18 marzo 1986.
Idrocarburi — Olì minerali — Deposito — Ampliamento — Omes
sa denuncia — Reato — Sussistenza (R.d.l. 2 novembre 1933
n. 1741, art. 11; d.l. 5 maggio 1957 n. 271, art. 1, 13; 1. 2
luglio 1957 n. 474).
Il comportamento dell'esercente che, avendo denunziato all'Utif
l'installazione di un deposito di olì minerali, ometta di denun
ziarne l'ampliamento, integra la fattispecie sanzionata penal mente dall'art. 13 d.l. 271/57. (2)
I
Svolgimento del processo. — Parri Giancarlo, gestore di un
distributore stradale di carburanti, fu tratto al giudizio del Tribu
nale di Siena per rispondere del reato di cui all'art. 13 d.l. 5
maggio 1957 n. 271, convertito nella 1. 2 luglio 1957 n. 474, per
ché esercitava un deposito di oli lubrificanti senza aver denuncia
to all'Utif la giacenza di kg. 540,1 di detti olì.
Con sentenza del 5 luglio 1985 il tribunale assolse l'imputato
perché il fatto non costituisce reato, osservando che la detenzione
di prodotti petroliferi in eccedenza rispetto ai quantitativi con
sentiti dalla concessione (o autorizzazione) amministrativa non
può riguardarsi di per sé come un diverso ed autonomo deposito, sicché essa non ha rilevanza ai fini dell'obbligo di denuncia all'U
tif, tanto più quando, come nella specie, l'eccedenza trovi pieno
riscontro nelle risultanze dei registri di carico e scarico.
A seguito di impugnazione proposta dal p.m., la pronuncia fu riformata dalla Corte d'appello di Firenze, la quale, con sen
tenza in data 12 giugno 1986, dichiarò il Parri colpevole del reato
ascrittogli e, previa concessione delle attenuanti generiche, lo con
dannò alla pena di lire 150.000 di multa.
Osservò la corte: 1) che il riferimento dell'art. 1 d.l. 5 maggio
1957 n. 271, alla capacità del deposito — in connessione con il
richiamo per relationem all'entità delle giacenze e dei relativi im
pianti (desumibile dalla previsione che la denuncia va integrata
con l'allegazione dei provvedimenti di concessione o autorizza
zione, nei quali è stabilita la capacità dei depositi) — fa ritenere
che la ratio della normativa si articoli e si specifichi anche nella
finalità di mettere a conoscenza dell'Utif (per il più efficiente
esercizio dei suoi poteri di controllo e di repressione delle frodi
fiscali) la potenzialità massima consentita per gli impianti oggetto
della denuncia; 2) che, conseguentemente, le giacenze eccedenti
i quantitativi per i quali sono state rilasciate le concessioni o au
torizzazioni allegate alla denuncia Utif sono da equiparare a nuo
ve formazioni di deposito assoggettate all'obbligo di ulteriore
denuncia.
Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cas
sazione, denunciando la violazione dell'art. 524, n. 1 e n. 3, c.p.p.,
Cass, pen., 1988, 370; 16 maggio 1986, Pasi, id., 1987, 1818; 23 aprile
1986, Chiaracane, ibid., 1644.
Aderiscono invece all'opposta interpretazione secondo cui anche il sem
plice ampliamento del deposito già denunziato all'Utif costituisce reato
se non venga effettuata la denunzia — oltre a Cass., sez. III, 25 febbraio
1987 sopra riportata — le sentenze della stessa sezione 30 settembre 1986,
Fontanelli, ibid., 2222, e 3 aprile 1986, Aiello, ibid., 1818.
Costituiscono invece espressione dell'orientamento intermedio, critica
to dalle sezioni unite, le sentenze 24 giugno 1986, Emiliani, ibid., 2222
(che ha escluso la configurabilità del reato nel caso di ampliamento non
denunziato del deposito solo nell'ipotesi in cui non siano state apportate immutazioni alle strutture e al tipo di impianto), e 27 gennaio 1986, Bevi
lacqua, ibid., 1012 (secondo cui non l'ampliamento non denunziato del
deposito costituirebbe reato, ma l'aggiunta, ad un deposito «con serba
toio», di un deposito «senza serbatoio» costituito da contenitori sigillati). Per ampi riferimenti, cfr. infine, da ultimo, in dottrina, F. Graziano,
Esercizio senza denuncia o senza licenza di deposito di oli minerali, in
Dir. e pratica trib., 1985, II, 1405.
Il Foro Italiano — 1988.
sotto il profilo dell'erronea applicazione della 1. 454/57 e dell'il
logicità manifesta della motivazione.
Secondo il ricorrente, i giudici di appello hanno erroneamente
richiamato la sentenza 1° marzo 1979 di questa Corte suprema, la quale si è limitata ad affermare che occorre una nuova denun
cia all'Utif nell'ipotesi (insussistente nella specie) di ampliamento strutturale dell'impianto ed hanno per contro ignorato le pronun ce di questa stessa corte del 1985 e del 1986, le quali hanno preci sato che il fatto, cosi come addebitato ad esso ricorrente, non
costituisce reato.
Su proposta del presidente della terza sezione penale, il quale ha segnalato i contrastanti orientamenti della stessa sezione in
ordine alla configurabilità del reato di cui all'art. 13 1. 2 luglio 1957 n. 474 nell'ipotesi di omessa denuncia all'Utif del mero am
pliamento di un deposito di oli minerali, il ricorso è stato asse
gnato alla cognizione delle sezioni unite penali con provvedimento del primo presidente di questa corte in data 25 luglio 1987.
Motivi della decisione. — La questione di principio prospettata dal ricorrente è stata variamente risolta dalla giurisprudenza di
questa Corte suprema. Secondo un orientamento — cui mostra di aderire l'impugnata
sentenza della Corte d'appello di Firenze — l'omessa denuncia
dell'ampliamento di un deposito di oli minerali integra il reato
di cui all'art. 13 d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito con modi
ficazioni nella 1. 2 luglio 1957 n. 474, essenzialmente perché, co
stituendo la potenzialità massima indicata nell'atto di concessione
(o di autorizzazione) di cui il gestore deve preventivamente mu
nirsi ai sensi del r.d.l. 2 novembre 1933 n. 1741, il limite di legit timazione dell'esercizio dei depositi, la detenzione di prodotti
petroliferi in quantità superiore a quella consentita si risolve, per
l'eccedenza, in un nuovo deposito, soggetto come tale ad ulterio
re denuncia (sent. 22 aprile 1987, n. 5025; 12 novembre 1986,
n. 12647; 5 agosto 1986, n. 7858; 10 gennaio 1979, Squillace,
Foro it., Rep. 1979, voce Idrocarburi, n. 18). Secondo l'opposto indirizzo, la normativa vigente impone sol
tanto l'obbligo della denuncia prima dell'attivazione del deposi
to, mentre non è prescritto — e tanto meno penalmente sanzionato — un obbligo di comunicare all'Utif ogni variazione in aumento
della capacità del deposito stesso (cfr. in tal senso sent. 26 set
tembre 1986, n. 9881; 17 gennaio 1987 n. 353; 5 agosto 1986,
n. 7898; 7 giugno 1986, n. 5233; 21 febbraio 1986, n. 1793). Nell'ambito di tale indirizzo si è, peraltro, talvolta precisato
che è da ravvisarsi un deposito ex novo nell'ipotesi di modifiche
sostanziali apportate al deposito inizialmente costituito (per es.
realizzando nuovi serbatoi o aggiungendo ad un deposito con ser
batoi un quantitativo di olì lubrificanti contenuti in recipienti si
gillati: Cass. 15 maggio 1986, n. 3769) oppure nell'ipotesi di «un
immagazzinamento di tale cospicua entità da dar vita ad un de
posito totalmente diverso da quello precedentemente denunciato»
(Cass. 11 giugno 1987, n. 7312).
Ritiene il collegio, dopo approfondito esame della questione,
di dover ribadire il secondo orientamento, con la precisazione,
peraltro, che non possono ritenersi giustificate neppure le limita
zioni e le riserve espresse nelle sentenze di cui ora è stato fatto
cenno.
Ed invero, in tanto potrebbe ravvisarsi, con riferimento all'i
potesi che qui viene in considerazione, il reato di cui all'art. 13,
1° comma, 1. 2 luglio 1957 n. 474, in quanto risultasse positiva
mente dalla legge l'esistenza di uno specifico obbligo di denuncia
oppure in quanto si dovesse ritenere che l'ampliamento del depo
sito — o con apporto di nuove opere o con una maggiore giacen
za di prodotto — dia luogo di per se stesso ad un nuovo deposito,
tale da rientrare comunque nella previsione dell'art. 1 della legge.
È incontestabile, peraltro, che l'art. 13 sanziona unicamente
l'esercizio di un deposito di olì minerali non denunciato a termini
(e cioè ai sensi) dell'art. 1: e questa norma, a sua volta, impone
esplicitamente un solo obbligo, e cioè quello della preventiva de
nuncia all'Utif dell'imminente attivazione del deposito stesso.
Nulla, invece, è disposto dalla legge per quanto riguarda even
tuali variazioni apportate al deposito, cosi come inizialmente de
nunciato.
Si è peraltro obiettato che l'esistenza dell'obbligo in questione
si evince indirettamente, ma inequivocabilmente, dal fatto che,
ai sensi dell'art. 1, 3° comma, 1. 474/57, l'iniziale denuncia al
l'Utif deve essere corredata dall'atto di concessione (o di autoriz
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PARTE SECONDA
zazione) previsto dall'art. 11 r.d.l. 2 novembre 1933 n. 1741: e
tale atto, come è specificato nel successivo art. 12, deve fra l'al
tro indicare: «la natura dei prodotti da immettere nei depositi, distinti secondo la specie, e per ciascuna di esse la quantità mas
sima autorizzata».
Ne conseguirebbe che, avendo l'atto amministrativo una fun
zione integrativa della denuncia fiscale, il superamento del quan titativo di prodotti petroliferi consentito dall'atto medesimo
comporterebbe automaticamente la necessità di una nuova de
nuncia.
L'obiezione non può essere condivisa.
L'espressione legislativa dell'art. 1, la quale fa esclusivo riferi
mento alla preventiva denuncia da parte di chi intenda esercitare
un deposito, non consente, per la tassatività ed inequivocità del
suo significato, operazioni di carattere estensivo contrarie al prin
cipio di legalità e al divieto di analogia vigenti in materia penale. È da considerare, inoltre, che, come si evince dal raffronto
fra la normativa del r.d.l. 1741/33 e quella della 1. 474/57, non
sempre la denuncia all'Utif è suscettibile di essere corredata dal
l'atto di concessione di autorizzazione (lo stesso art. 1, 3° com
ma, 1. n. 474 precisa i limiti di applicabilità della prescrizione in oggetto con l'inciso «in quanto (tali atti) siano previsti». Infat
ti, mentre è soggetto alla denuncia fiscale l'esercizio di un deposi to per la vendita al pubblico di olì minerali, qualunque sia la
capacità del deposito stesso, nonché quello dei depositi per usi
privati, agricoli e industriali aventi capacità superiore a me. 10
(salva l'elevazione di quest'ultimo limite a me. 25 nei soli casi
previsti dall'art. 3 1. 23 gennaio 1970 n. 9), sono esenti dall'obbli
go della concessione (o dell'autorizzazione) i depositi per uso com
merciale aventi capacità non superiore a me. 10 (art. 2 r.d.l. 8
ottobre 1936 n. 2018) nonché i depositi per usi privati, agricoli e industriali, aventi capacità non superiore a me. 25 (art. 11,2° comma r.d.l. 1741/33).
È quindi evidente che, almeno in certi casi, mancherebbe co
munque il punto di riferimento che si vorrebbe offerto dall'atto
di concessione (o di autorizzazione).
Nulla, d'altra parte, autorizza a ritenere che la ragione dell'al
legazione alla denuncia fiscale della copia del provvedimento am
ministrativo non possa essere che quella di far conoscere all'Utif
la capacità del deposito.
Se, invero, la finalità di tale onere di produzione fosse quella testé enunciata, sarebbe stato ben più semplice imporre al gestore del deposito di indicare direttamente nella denuncia fiscale la po tenzialità massima del deposito, e ciò anche per coprire le ipotesi in cui, come si è visto, la esibizione dell'atto amministrativo non
è richiesta.
In realtà, sembra più corretto ritenere che la formalità in que stione sia diretta a rendere edotto l'Utif della regolarità ammini
strativa del deposito e della sua rispondenza alle esigenze di tutela
della sicurezza pubblica. Ciò si evince anche dalla molteplicità dei dati che, a norma
dell'art. 12 r.d.l. 1741/33, il decreto di concessione deve contene
re e che vanno ben oltre quello relativo alla capacità dell'impian
to, comprendendo, fra gli altri, l'assunzione, da parte del titolare,
degli obblighi di mantenere una determinata scorta di prodotti
petroliferi, di consentire la priorità nella fornitura ai servizi pub
blici, di tenere maestranze ed impiegati di nazionalità italiana, di comunicare mensilmente gli stock di riserva, di consentire il
libero accesso ai funzionari competenti. Né vale obiettare che, qualora l'esercente del deposito già de
nunciato fosse lasciato libero di variarne la capacità ad libitum, verrebbe ad essere sostanzialmente elusa la ratio legis diretta a
prevenire le frodi fiscali, anche mediante l'indicazione del limite
di quantità di prodotti petroliferi contenuto nella denunzia iniziale.
È pacifico, invero, che la finalità generale della 1. 474/57 è
quella di tutelare, mediante il controllo preventivo e repressivo del movimento di olì minerali, l'interesse dello Stato all'osservan
za degli obblighi fiscali. Ciò non basta, peraltro, per far rientrare nella fattispecie pena
le azioni od omissioni che potrebbero bensì violare il principio
ispiratore della legge, ma che non siano anche riconducibili ad
una specifica previsione normativa che le qualifichi come reato.
Va d'altra parte considerato che, nell'ambito della suindicata
finalità della 1. 474, la denuncia di cui all'art. 1 assolve ad una
specifica funzione, che è quella di fornire all'amministrazio
II Foro Italiano — 1988.
ne finanziaria un quadro degli operatori economici del settore
e di eliminare cosi il fenomeno della clandestinità fra gli esercenti
di depositi, laddove a consentire il controllo sul regolare esercizio
dei depositi istituiti sono preordinate altre norme, quali quelle che prevedono l'obbligo della tenuta dei registri di carico e scari
co (art. 3, 1° comma, seconda parte) e il divieto di introdurre
nei depositi stessi olì minerali non scortati dal certificato di pro venienza (art. 5, 2° comma).
Deve, poi, escludersi che il superamento della quantità massi
ma dei prodotti petroliferi consentita (nei casi in cui questa risulti
attraverso la produzione dell'atto di concessione o di autorizza
zione) comporti di per se stessa la formazione di un diverso ed
autonomo deposito, come tale soggetto a nuova denuncia fiscale.
L'obbligo di denuncia previsto dalla 1. 474 inerisce, invero, non
già all'esistenza di un deposito, ma al suo esercizio, che è nozio
ne unitaria e si sostanzia nell'attività esercitata (come espressione di disponibilità, introduzione, utilizzazione e collocamento della
merce) piuttosto che nel calcolo delle quantità oggetto dell'attivi
tà medesima.
Ciò basta anche ad evidenziare l'inaccettabilità dell'opinione che ravvisa l'esistenza di un nuovo deposito, con conseguente ob
bligo di ulteriore, distinta denuncia, nell'ipotesi di cui l'ecceden
za risulti superare in misura notevole la quantità massima
autorizzata.
Ma parimenti inaccettabile appare la tesi, secondo la quale l'am
pliamento del deposito non denunciato sarebbe punibile ai sensi
dell'art. 13, qualora fosse stato realizzato mediante modifiche so
stanziali agli impianti preesistenti, quali la costruzione di nuovi
serbatoi o la diversificazione delle forme di conservazione del
prodotto. Una limitazione in tal senso non trova invero alcun riscontro
nella lettera della 1. 474, la quale, prescrivendo all'art. 1 l'obbligo di denuncia da parte di chiunque intenda esercitare un deposito di oli minerali «con o senza serbatoi», mostra, anzi, di non attri
buire una specifica rilevanza alle modalità di detenzione dei pro dotti petroliferi.
D'altra parte, come questa Corte suprema ha costantemente
precisato (sentenze n. 13308/86, n. 509/86, n. 2874/82, n. 5122/81,
ecc.), la nozione di deposito recepita nella legge in oggetto pre scinde da ogni riferimento ad una particolare situazione topogra fica o all'esistenza di un'apposita attrezzatura per il ricovero e
la custodia degli olì minerali e va intesa nella comune e generica accezione di cumulo, raccolta, scorta o giacenza di olì minerali
di cui il soggetto abbia la disponibilità, quale che sia il modo
di conservazione della merce.
È significativo, infine, che, mentre il r.d.l. 1741/33 ha preso in considerazione, all'art. 13, lett. e), le eventuali modificazioni
agli impianti, sancendone il divieto di mancanza di autorizzazio
ne per quelle definite «sostanziali», la 1. 474 non contiene alcun
riferimento al riguardo, pur avendo il legislatore, nella formazio
ne di quest'ultima, tenuto ben presente la precedente normativa, come si è visto a proposito dell'obbligo di produzione dell'atto
di concessione (o autorizzazione) di cui al citato art. 1.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'impugnata sen
tenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è pre veduto dalla legge come reato.
II
Fatto e diritto. — Il Panci è stato tratto a giudizio dinanzi
al Tribunale di Siena per rispondere del reato di cui agli art.
1, 13, 1° comma, d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito in 1.
2 luglio 1957 n. 474, per avere detenuto nel suo deposito di olì
minerali, già in precedenza denunciato alla Utif, un quantitativo di Kg. 931,800 di olì lubrificanti non compreso nella denuncia.
Sia il Tribunale di Siena, con sentenza 4 dicembre 1984, appel lata dal p.m., sia la corte di Firenze, con la sentenza che il p.m. ha gravato di ricorso, hanno ritenuto che il fatto ascritto all'im
putato non costituisce reato.
Secondo i giudici di primo grado, la maggiore consistenza del
deposito di olì minerali rispetto alla denuncia già effettuata non
potevasi equiparare a un deposito non denunciato, in quanto «non
sussiste una specifica norma sanzionatoria per la gestione di un
deposito senza la licenza Utif, quando vi sia stata denunzia del
deposito», e «le eventuali irregolarità (nella gestione del deposi
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GIURISPRUDENZA PENALE
to) sono sanzionate dall'art. 13, 2° comma, 1. 474/57 mentre,
per ciò che attiene alla sicurezza degli impianti e al controllo sul
commercio, hanno rilevanza esclusivamente l'autorizzazione dei
vigili del fuoco e la concessione prefettizia». La corte di Firenze ha, a sua volta, confermato la non punibi
lità del fatto di cui trattasi per difetto della ratio dell'art. 13,
1° comma, 1. 474/57 dato che «si ritiene che l'art. 13, 2° comma,
limiti l'art. 13, 1° comma». «Se il controllo preventivo non è
reso possibile per l'omissione della denuncia, ma il controllo suc
cessivo dimostra la regolarità degli adempimenti fiscali», l'omis
sione non è punibile per difetto della ratio dell'art. 13, 1° comma.
«Essa è di mettere un avamposto per il delitto di cui al 2° comma
che, nella specie, non sussiste».
A sostegno del suo ricorso, il p.g. di Firenze, richiamandosi
all'appello del p.m. di Siena, denuncia violazione dell'art. 13 1.
474/57, in quanto la ratio della norma è anche «quella di consen
tire all'Utif di conoscere prima e di eventualmente verificare, poi, che in determinati impianti vi sia in giacenza un certo numero
di Kg di olì minerali e non quantitativi superiori». «Era sfuggito
ai giudici che nell'iter amministrativo de quo la c.d. licenza Utif
segue cronologicamente e logicamente le attività di valutazione,
prescrizione, collaudo di competenza dei vigili del fuoco e del
l'amministrazione comunale sia in ordine all'apertura di un di
stributore di carburanti sia in ordine ad un ampliamento del suo
deposito di oli minerali: una volta concessa dall'autorità comu
nale l'autorizzazione all'esercizio di un distributore ovvero all'e
sercizio di un ampliamento del suo deposito di oli, l'Utif concede
la propria». Anche la detenzione di un diverso o maggior quanti
tativo di olì minerali non deunciati in un deposito già denunciato
andava quindi equiparata all'ipotesi di un deposito non denun
ciato e come tale doveva essere punita ai sensi degli art. 1-13,
1° comma, 1. 474/57.
Il ricorso del p.g. è fondato. Il collegio non ignora il contrasto
esistente in questa stessa sezione sulla questione che qui si ripro
pone, e cioè se la fattispecie delittuosa di cui all'art. 13, 1° com
ma. 1. 474/57 riguardi soltanto chi eserciti un deposito di olì
minerali non denunciato ovvero anche chi proceda, senza la pre
ventiva denuncia, all'ampliamento del deposito (già denunciato),
sia apportando modifiche agli impianti sia introducendovi un mag
giore o diverso quantitativo di prodotti petroliferi.
Mentre, in talune decisioni, si è affermata l'esistenza del reato,
ritenendosi come nuovo e quindi non consentito tutto ciò che
senza le prescritte denunzie ed autorizzazioni venga aggiunto agli
apparati preesistenti del deposito già denunciato (sent. 10 gen
naio 1979, Squillace, Foro it., Rep. 1979, voce Idrocarburi, n.
18), ovvero allorché ad un deposito con serbatoio già denunciato
si aggiunga un deposito senza serbatoio costituito da contenitori
sigillati (sent. 15 maggio 1986, n. 3769, Bevilacqua), in altra deci
sione si è ravvisata, invece, l'ipotesi contravvenzionale, ormai de
penalizzata, di cui agli art. 13 e 21 r.d. 1. 2 novembre 1933 n.
1741 e solo in caso di modifiche sostanziali degli imputati e non
già pure di mero ampliamento a causa di una maggiore giacenza
di prodotto senza modifiche strutturali (sent. 22 gennaio 1985
Castori, id., 1986, II, 598). Circa la motivazione della sentenza impugnata va osservato,
anzitutto, che l'ipotesi delittuosa prevista dal 1° comma dell'art.
13 1. 474/57 non può essere collegata all'altra ipotesi di cui al
2° comma dello stesso art. 13 (eccedenza di giacenze in confronto
delle risultanze del registro di carico e scarico o comunque non
giustificate da certificati di provenienza) per pervenire alla con
clusione, che, ove le giacenze siano state regolarmente registrate,
l'omissione della loro preventiva denuncia non sarebbe punibile
per difetto di violazione della ratio dell'art. 13, 1° comma, che
è quella di mettere un avamposto per il delitto di cui al 2° comma.
Non v'è dubbio, infatti, che le due ipotesi delittuose sono di
stinte e possono sussistere indipendentemente l'una dall'altra, te
nuto conto della diversità dell'elemento materiale, anche se
entrambe ispirate alla eadem ratio e cioè allo scopo di impedire
fraudolente evasioni dell'imposta di fabbricazione sugli olì minerali.
Né importa che il Panci abbia, nella specie, registrato regolar
mente i carichi e gli scarichi dell'olio lubrificante. Invero, non
può essere sottaciuto che la 1. 474/57, come chiaramente si evince
anche dal titolo, ha lo scopo di precostituire la conoscenza da
parte dell'Utif dell'impianto e della attivazione del deposito per
ché possa procedere ai minuti controlli preventivi, oltre che re
II Foro Italiano — 1988.
pressivi, delle frodi, tutelando l'interesse dello Stato all'accerta
mento dell'osservanza degli obblighi fiscali (Cass. 3 aprile 1968,
Colussi, id., Rep. 1969, voce Oli minerali e idrocarburi, n. 72; 17 marzo 1981, n. 109). Pertanto, l'obbligo della denuncia, es
sendo questa diretta anche a fine di prevenzione e di vigilanza, sussiste indipendentemente sia dall'avvenuto pagamento dell'im
posta di fabbricazione sia dal fatto che nessuna differenza sia
riscontrata tra le giacenze e le risultanze del registro di carico
e scarico (Cass. 25 novembre 1970, n. 1382; 19 aprile 1971, Mar
randino id., Rep. 1972, voce Idrocarburi, n. 80; 11 agosto 1971, n. 2125). Gli argomenti, addottati dai giudici di merito a soste
gno della loro tesi, non hanno, quindi, alcuna cosistenza.
Né, per altro verso, risultano convincenti quelli contenuti nella
sentenza di questa stessa sezione 22 gennaio 1985, Castorri, che
si riportano alla normativa di cui al r.d.l. 2 novembre 1933 n.
1741 sulla disciplina dell'importazione, della lavorazione, del de
posito e della distribuzione degli olì minerali e dei carburanti.
Se è vero, infatti, che il suddetto decreto richiede il rilascio
della concessione per l'impianto o la gestione dei depositi e pre
vede anche l'obbligo di non portare modifiche sostanziali agli
impianti senza prevenuta autorizzazione (art. 11 e 21), mentre
la 1. 474/57 si limita ad imporre il solo obbligo della denuncia
all'Utif per l'esercizio del deposito, cui deve essere allegata la
copia dell'atto di concessione o di quello di autorizzazione, in
quanto previsti, ai sensi dell'art. 11 r.d.l. 1741/33 e nulla dice
a proposito di modifiche negli impianti, non sembra, tuttavia,
che questo possa far validamente sostenere che il legislatore non
ha inteso punire l'omessa denuncia dell'ampliamento del deposi
to, essendosi limitato a richiamare nell'ambito della 1. 474/57 so
lo in parte la normativa in tema di concessioni ed autorizzazioni
amministrative.
Al riguardo, occorre, anzitutto, considerare che le norme di
cui al r.d.l. 1741/33 sono dettate a tutela della pubblica sicurezza
(Cass. 19 ottobre 1964, Ravetti, id., Rep. 1966, voce Oli minerali
e idrocarburi, n. 71; 28 maggio 1982, Zambaiti, id., Rep. 1983,
voce Idrocarburi, n. 37; 6 novembre 1984, n. 9690), mentre la
denuncia ex art. 1 d.l. 271/57 è richiesta esclusivamente a specifi
ci scopi fiscali; per cui, circa i rapporti tra concessione e autoriz
zazione di cui al r.d.l. 1741/33 e la denuncia ex art. 1 d.l. 271/57
deve essere sottolineata la diversità ed autonomia dei due docu
menti nonché la loro differente ed insostituibile funzione che ne
impedisce anche l'intercambiabilità (Cass. 11 agosto 1971, n. 2825;
31 marzo 1982, Carboni, id., Rep. 1983, voce cit., n. 43). Va,
altresì, rilevato che la denuncia ex art. 1. d.l. 271/57 deve essere
corredata dalla copia dell'atto di concessione o di quello di auto
rizzazione, «in quanto (tali atti) siano previsti», ai sensi dell'art.
11 r.d.l. 1741/33 (art. 1, 3° comma, n. 1 1. 474/57); il che vuol
dire che l'obbligo della denuncia all'Utif non viene meno qualora
la concessione o l'autorizzazione non siano previste, come ad es.
per i depositi ad usi privati con capacità non superiore a me.
25 (art. 11, 2° comma, r.d.l. citato) e tuttavia soggetti a denuncia
fiscale, ove la loro capacità superi i 10 me (art. 1, 2° comma,
lett. a, 1. 474/57).
Orbene, poiché la ragione dell'allegazione alla denuncia fiscale
della copia della concessione o autorizzazione amministrativa non
può essere che quella di far conoscere all'Utif la capacità del de
posito, dato che in base all'art. 22 del regolamento di esecuzione
del r.d.l. 1741/33 sia l'atto di concessione che quello di autoriz
zazione devono contenere l'indicazione della capacità in metri cu
bi, il tipo e la destinazione di ciascun serbatoio, ciò non significa
che non vi sia obbligo di denuncia anche nei casi in cui per i
depositi non siano previste concessioni o autorizzazioni; che, in
questi casi, nei quali deve rientrare anche quello dell'ampliamen
to di un deposito già denunciato, ben più precisa deve essere l'in
dicazione della qualità e della quantità dei prodotti petroliferi,
per la mancanza della concessione o autorizzazione, contenenti
tali dati. Variando la capacità del deposito già denunciato, è,
dunque, necessario che l'Utif ne venga informato con una nuova
denuncia, cui dovrà seguire anche il rinnovo della licenza di eser
cizio; licenza, questa, rilasciata intuitu personae e contenente i
dati volumetrici del deposito.
Diversamente, qualora l'esercente del deposito già denunciato
fosse lasciato libero di variarne la capacità ad libitum, verrebbe
ad essere sostanzialmente elusa la ratio legis, rivolta a prevenire
e a reprimere le frodi fiscali nel settore degli oli minerali, indi
pendentemente — ripetesi
— sia dall'avvenuto pagamento del
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PARTE SECONDA
l'imposta di fabbricazione sia dal fatto che nessuna differenza
sia riscontrata tra le giacenze e le risultanze del registro di carico
e scarico.
Si deve, quindi, concludere, contrariamente a quanto ritenuto
dai giudici di merito nonché nella sentenza di questa stessa sezio
ne 22 gennaio 1985, Castoni, che la fattispecie delittuosa prevista e punita dagli art. 1-13, 1° comma, d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito in 1. 2 luglio 1957 n. 474, riguardi non solo la condot
ta dell'esercente un deposito di olì minerali senza la prevista de
nuncia all'Utif ma anche la condotta dell'esercente di un deposito
già denunciato che ampli la capacità di tale deposito senza nuova
denuncia all'ufficio fiscale, sia che l'ampliamento consista in mo
difiche (sostanziali o non) degli impianti, sia che si tratti di de tenzione di prodotti diversi o in maggiore quantità rispetto a quelli
già denunciati.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 10 no
vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Simoncelli, P. M. (conci,
conf.); ric. Cappelletti ed altro. Conferma App. Roma 26 gen naio 1987.
Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Istituto del
l'Enciclopedia italiana — Dipendenti — Qualifica — Pubblico
ufficiale — Esclusione (Cod. pen., art. 357, 358).
I dipendenti dell'«Istituto dell'Enciclopedia italiana» non rivesto
no la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto non possiede i requisiti fondamentali per essere definito ente pubblico un
istituto che svolge attività editoriale — per prestigiosa che essa
sia — di natura imprenditoriale, in un settore che non può certo definirsi di portata essenziale per la vita dello Stato, in
regime di concorrenza e coinvolgendo interessi che non appar
tengono sicuramente alla generalità dei cittadini. (1)
A Vincenzo Cappelletti, quale direttore generale dell'Istituto
dell'Enciclopedia italiana, è stato ascritto il delitto di interesse
privato in atti d'ufficio, per avere disposto l'assunzione presso l'istituto di dipendenti legati da vincoli di parentela o affinità con altro personale già in servizio e con lo stesso Cappelletti. A questi è stato altresì' ascritto il delitto di peculato, di cui non
è stato mai enunciato il fatto costitutivo.
(1) La sentenza intende inscriversi — come peraltro è detto espressa mente nella parte finale della motivazione — in un orientamento tendente non già a espandere, bensì a delimitare quanto più possibile l'ambito dì operatività delle qualifiche pubblicistiche di cui agli art. 357 e 358
c.p.: la pronuncia delle sezioni unite 23 maggio 1987, Tuzet, che ha da ultimo concluso per la natura privata dell'attività bancaria e che viene assunta in motivazione a significativo indicatore di un'attuale linea di tendenza dotata di portata generale, è riportata in Foro it., 1987, II, 481, con nota di Giacalone, ed è altresì commentata da Del Corso, in Cass, pen., 1988, 39 (in tema di banche, da ultimo, v. Trib. Avezzano 22 gennaio 1987, e Trib. Bologna 24 ottobre 1986, Foro it., 1988, II, 202, con nota di Rapisarda).
Di recente, la qualifica di pubblico ufficiale è stata esculsa anche con riferimento agli amministratori delle società gestite nel sitema delle parte cipazioni statali: cfr. Cass. 13 agosto 1986, Morgante, id., 1987, II, 592, con nota di Mele, e Cass, pen., 1987, 1531, con nota di Del Corso, Lo statuto penale delle imprese pubbliche: «vizi privati e pubbliche vir tù»? contenente un quadro riassuntivo delle teorie, amministrativistiche e penali, escogitate ai fini dell'individuazione delle qualifiche pubblicisti che presupposte dai reati contro la p.a. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Reggio Emilia 4 marzo 1983, Indice pen., 1983, 393, che ha escluso la qualità di pubblico ufficiale a proposito di un dipendente della Snam, società del gruppo Eni.
Come esempio di un persistente orientamento estensivo, v., invece, Cass. 25 maggio 1985, Pagliara, Foro it., 1986, II, 75, con nota di Lanza, che ha qualificato pubblico ufficiale anche il privato incaricato di elabo rare il piano regolatore di un comune.
In dottrina, cfr., da ultimo, Severino di Benedetto, La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione: soggetti, qualifiche, funzioni, in AA. VV., La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, a cura di A. M. Stile, Napoli, 1987, 29 ss.
Il Foro Italiano — 1988.
A Francesco Maria Benveduti, quale titolare dell'ufficio legale del predetto istituto, è stato ascritto il delitto di interesse privato in atti d'ufficio, per aver percepito, per il recupero di crediti del
l'istituto, ulteriore retribuzione dalla società cessionaria dei credi
ti stessi.
Al medesimo Benveduti e a Francesco Casamassima è stato
ascritto il delitto di truffa, per avere il primo, nell'anzidetta qua
lità, consentito al secondo di usufruire dei locali, del personale e dei servizi dell'ufficio legale per l'attività libero-professionale di avvocato del Casamassima.
Tralasciando per il momento quest'ultima imputazione, si rile
va quanto alle altre che il giudice istruttore prima e la sezione
istruttoria poi hanno prosciolto il Cappelletti e il Benveduti per ché hanno ritenuto che l'Istituto dell'Enciclopedia italiana non
abbia natura di ente pubblico, cosi venendo meno il presupposto essenziale dei reati ascritti ai sunnominati imputati, reati che ri
chiedono indefettibilmente nell'agente la qualità di pubblico uffi
ciale o di incaricato di pubblico servizio quello di peculato e la
prima qualità quello di interesse privato in atti d'ufficio.
Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, sia
nell'appello contro la sentenza del giudice istruttore sia nell'at
tuale ricorso contro la sentenza della sezione istruttoria, sostiene,
invece, che il predetto istituto è un ente pubblico economico e
che i prevenuti sono da qualificare pubblici ufficiali.
La soluzione del problema relativo alla natura giuridica dell'I
stituto dell'Enciclopedia italiana ha, dunque, carattere preliminare. D'indiscutibile esattezza è, in proposito, la premessa metodolo
gica dell'impugnata sentenza, secondo la quale la soluzione del
problema passa necessariamente attraverso l'attento esame della
genesi dell'istituto, delle norme legislative, parlamentari e statu
rarie che lo disciplinano, delle vicende giuridiche che ne hanno
caratterizzato la vita, atteso che la qualificazione di un ente come
pubblico o privato prescinde dall'opinione, soggettiva e contin
gente, perfino dei suoi rappresentanti e va operata in base a un'in
dagine ermeneutica condotta alla stregua di elementi obiettivamente
rilevabili. Con ciò si fa giustizia di qualsiasi illazione che volesse
trarsi da atteggiamenti tenuti in determinate occasioni da taluno
degli imputati nel senso della natura pubblica dell'istituto allo
scopo di trarne vantaggi per l'istituto stesso.
Del pari esatta è l'ulteriore premessa metodologica della sen
tenza impugnata là dove afferma che per stabilire se un ente or
ganizzato come società commerciale sia o meno un ente pubblico
economico, occorre aver riguardo ai criteri che dottrina e giu
risprudenza hanno elaborato affinché in assenza di un'espressa
qualifica legislativa — assenza che è pacifica nella specie — possa ricostruirsi la natura pubblica dell'ente stesso. Si aggiunge qui che la verifica va effettuata tenendo presenti quelli che nelle varie
fattispecie in esame costituiscono i criteri decisivi, nel senso che
non deve pretendersi la sussistenza di tutti gli indici come sopra elaborati per poter affermare la natura pubblica d'un ente e, per
converso, che la presenza di uno o più criteri non determinanti
in favore di detta natura non conduce automaticamente a orien
tarsi verso il carattere pubblico dell'ente ove manchino nella stes
sa direzione le note qualificanti più significative in relazione alla
peculiarità della situazione in oggetto. Si aggiunge ancora che
non giova per la soluzione del problema la considerazione isolata
di questa o quella disposizione legislativa, regolamentare e statu
taria, ma è valida unicamente una visione globale e coordinata
del quadro lato sensu normativo, inoltre non in maniera statica, bensì' alla luce dell'evoluzione intervenuta nelle linee di tendenza
dell'attuale assetto istituzionale circa la ripartizione tra settore
pubblico e settore privato. Fatte le due suesposte fondamentali premesse, può passarsi al
la verifica della sussistenza dei criteri dianzi cennati nei confronti
dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, rilevando come pacifica fosse
la natura di persona giuridica di diritto privato dell'istituto fino
al 1933, anno in cui, di fronte alla gravissima crisi economica
della società, che comportava il pericolo dell'interruzione dell'o
pera, giunta al diciottesimo volume rispetto ai trentaquattro pro
grammati, il governo dell'epoca costituì con r.d.l. 24 giugno 1933
n. 669 — convertito nella 1. 11 gennaio 1934 n. 68 — un ente
denominato «Istituto dell'Enciclopedia italiana fondata da Gio
vanni Treccani» che rilevò dalla precedente società anonima tutte
le attività relative all'impresa dell'Enciclopedia ed all'uopo dotò
l'ente di un fondo la cui corresponsione fu imposta, in parti uguali,
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