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PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 21 novembre 1987; Pres....

Date post: 31-Jan-2017
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sezioni unite penali; sentenza 21 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni (concl. conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986 Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp. 487/488-495/496 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23179743 . Accessed: 28/06/2014 10:49 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.104.30 on Sat, 28 Jun 2014 10:49:39 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sezioni unite penali; sentenza 21 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni(concl. conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986Source: Il Foro Italiano, Vol. 111, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1988), pp.487/488-495/496Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179743 .

Accessed: 28/06/2014 10:49

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PARTE SECONDA

e 536, 4° e 5° comma, nel prevedere la nomina di un relatore

e lo svolgimento di tale attività da parte di un solo componente del collegio giudicante, comportano necessariamente che solo il

predetto ha a disposizione tutti gli atti processuali, sicché ciascun

ricorso è conosciuto dagli altri consiglieri soltanto dopo la rela

zione e nei limiti di questa, si da condizionare l'emananda deci

sione — e quindi lo stesso contenuto del dissenso o del consenso

in ciascuna causa manifestato — alla precisione, completezza o

perizia del relatore.

E ciò, inevitabilmente, perché, come si è avuto modo di preci

sare, ogni componente è tenuto alla completa conoscenza dei soli

atti relativi ai processi affidatigli. Da quanto sopra — ricollegato non ad una prassi, ma alla

specifica regolamentazione del processo — deriva che la volontà

espressa nel momento deliberativo, avuto riguardo alle c.d. cause

di responsabilità di cui al citato art. 2 1. 117/88, è ricollegata ad una valutazione non omogenea delle circostanze di causa, per diversità del grado di conoscenza degli stessi incartamenti, ed è

appunto su tale innegabile evidenza che pare illegittimo, sul pia no dei principi costituzionali richiamati, che sia dato identico va

lore e siano sanciti identici effetti pregiudizievoli tra chi ha dato

eventualmente causa al fatto previsto quale fonte di responsabili tà civile e chi, invece, viene coinvolto non tanto a titolo di re

sponsabilità oggettiva, quanto per fatto altrui.

Il tutto, nel quadro di una visione del giudizio collegiale in

genere avulsa da qualsiasi reale rispondenza alle modalità di svol

gimento della fase processuale presa in esame (deliberativa). La denuncia, poi, acquista maggior valore con riferimento alla

successiva motivazione ed al deposito della decisione. Anche qui, da un lato, si deve richiamare quanto precisato, e, dall'altro, va

sottolineato — avuto riguardo in particolare sempre al giudizio

penale collegiale — che ai sensi dell'art. 30 disp. att. c.p.p., ap

provate con r.d. 28 maggio 1931 n. 602, la minuta della sentenza

è consegnata dal presidente al cancelliere che ne forma l'originale e che tale previsione, in una alle modificazioni introdotte con

gli art. 6 e 7 1. 532/77 — per effetto delle quali la sentenza è

sottoscritta solo dal presidente e dall'estensore — esclude qual siasi possibilità di un controllo successivo alla deliberazione, per

quanto si riferisce alla conformità tra pronuncia adottata in ca

mera di consiglio, consensi o dissensi ivi espressi, e, infine, la

motivazione del provvedimento. La 1. 117/88 non ha ora tenuto conto di tutto ciò, apportando,

se del caso, gli opportuni mutamenti nell'ambito della struttura

stessa del processo penale, nè ha tenuto conto, tra le altre possi

bilità, di un'eventuale esteriorizzazione del dissenso anche in det

to momento.

I rilievi che precedono, infine, ancora su tale profilo, devono

essere integrati richiamando ulteriori disparità di situazioni che

si verificano sempre nel giudizio penale, nello stesso organo col

legiale e, persino, nella medesima udienza, li dove — ad esempio — la pronuncia è emessa ai sensi dell'art. 531 c.p.p, senza lettura

contestuale del dispositivo, e dell'art. 545, 2° comma, c.p.p. Nei casi predetti, infatti, da un lato, non v'è lettura immediata

del dispositivo (art. 531 c.p.p.) — con tutte le implicazioni già

messe in evidenza — e, dall'altro, è invece prevista addirittura

la possibilità di integrare la deliberazione eventualmente carente,

seppur in limiti specificamente determinanti, con effetti peraltro di particolare e signicativa incidenza avuto riguardo alla precisa zione dei punti della decisione parzialmente annullata che devono

considerarsi rimasti in vigore e che non sono travolti, quindi, dall'annullamento parziale (art. 545 c.p.p.);

1/3 comportano una violazione dell'art. 101 Cost, sotto il pro filo che la manifestazione della propria volontà in ordine alle

posizioni assunte in camera di consiglio — obbligatoria ai fini di un esonero della responsabilità — viola formalmente e sostan

zialmente il segreto relativo al processo di formazione della deci

sione ivi adottata (art. 473, 5° comma, c.p.p.) che la 1. 117/88

non ha eliminato e che è un bene da ritenersi costituzionalmente

protetto.

Esso, infatti, tende a garantire l'indipendenza dei giudici solo

da ogni forma di pressione ed interferenza (interna od esterna, da parte di singoli o di altri poteri dello Stato), ma anche da

qualsiasi schema che possa comunque incidere negativamente sul

libero svolgimento dell'attività giurisdizionale, e, quindi, in parti

colare, su quella preminentemente espressa dalla deliberazione.

In tal senso, d'altra parte, dottrina e giurisprudenza sono atte

II Foro Italiano — 1988.

state saldamente nel riconoscere l'indipendenza quale bene riferi

bile non all'ordine giudiziario — sotto tale profilo garantito dalla

sua autonomia (art. 104 Cost.) — bensì al giudice ed a ciascun

giudice, con specifico riferimento al concreto esplicarsi delle sue

funzioni, considerate queste ultime quale momento di risoluzione

dei conflitti di interessi. La Costituzione, in sostanza, da un lato, ha affermato il principio per cui tutti i provvedimenti giurisdizio nali devono essere motivati (art. Ill Cost.), imponendo in tal

modo che — seppur con estensione diversa — il giudice manifesti

le ragioni poste a sostegno della deliberazione assunta, e, dall'al

tro, ha garantito allo stesso giudice la più assoluta indipendenza, nel precedente ed essenziale momento della formazione del pro

prio convincimento.

In altri termini, indipendenza vuol dire anche esclusione di qual siasi tipo di condizionamento.

E detto effetto, invece, realizza il disposto dell'art. 16 1. 117/88, in quanto, a prescindere dalle contraddizioni e dalle censure so

pra evidenziate, sicuramente impone l'esplicazione, addirittura scrit

ta del dissenso — cui non corrisponde peraltro se non in linea

derivativa ed immotivatamente quella dell'altrui consenso — con

intuibili conseguenze che coinvolgono non solo la libertà morale

dei giudici, ma anche e non in astratto, la loro stessa incolumità

fisica. Il che non esclude affatto che anche per gli organi colle

giali sia prevista una responsabilità ai sensi della 1. 117/88, ma

impone però che — quanto alle concrete modalità — si tenga conto delle specifiche situazioni, onde non vanificare la tutela

dei principi di indipendenza e di autonomia della funzione giudi ziaria (Corte cost. n. 2 del 14 marzo 1968, Foro it., 1968, I, 585 e n. 26 del 3 febbraio 1987, id., 1987, I, 638) con particolare riferimento al momento decisionale. (Omissis)

Per questi motivi, la Corte di cassazione, sez. VI penale, di

chiara rilevanti o non manifestamente infondate: 1) la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 3° comma, lett. b) e e), nonché dell'art. 16, 1° e 3° comma, 1. 13 aprile 1988 n. 117, in relazione agi art. 133, 276, 429 c.p.c., 64, 118, 119, 120 disp. att. stesso codice ed in relazione agli art. 151, 472, 473, 5° com

ma, 531, 534, 1° comma, 537, 545 c.p.p., 30 disp. att. stesso

codice e 6, 7 1. n. 532/77, con riferimento agli art. 3 e 101 Cost.;

2) la questione di legittimità costituzionale degli art. 532, 533, 534 e 536 c.p.p., 91, 93 , 94, 101, 102 e 106 dello stesso codice, con riferimento all'art. 24, 2° comma, Cost. (Omissis)

I

CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza 21 no

vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni

(conci, conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio App. Firenze 12 giugno 1986.

Idrocarburi — Olì minerali — Deposito — Ampliamento — Omes

sa denuncia — Reato — Insussistenza (R.d.l. 2 novembre 1933

n. 1741, disciplina della importazione, lavorazione, deposito e

distribuzione di olì minerali e carburanti, art. 11; d.l. 5 maggio 1957 n. 271, disposizioni per la prevenzione e la repressione delle frodi nel settore degli olì minerali, art. 1, 13; 1. 2 luglio 1957 n. 474, conversione in legge, con modificazioni, del d.l.

5 maggio 1957 n. 271).

Non è preveduto dalla legge come reato il comportamento dell'e

sercente che, avendo denunziato all'Utif l'installazione di un

deposito di oli minerali, ometta di denunziarne l'ampliamento, a nulla rilevando che l'eccedenza superi in misura notevole la

quantità massima autorizzata e che siano state apportate modi

fiche sostanziali agli impianti preesistenti. (1)

(1-2) Le sezioni unite risolvono il contrasto interpretativo insorto all'in terno della terza sezione penale aderendo all'impostazione accolta da sez. Ili 22 gennaio 1985, Castorri, Foro it., 1986, II, 598, con nota di richia mi (cui si rinvia per ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza), e successivamente fatta propria da sez. Ili 14 ottobre 1986, Beggiato,

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GIURISPRUDENZA PENALE

II

CORTE DI CASSAZIONE; sezione III penale; sentenza 25 feb

braio 1987; Pres. Sesti, Est. Cavallari, P. M. Carlucci (conci,

conf.); ric. Proc. gen. Firenze in c. Panci. Annulla App. Firen

ze 18 marzo 1986.

Idrocarburi — Olì minerali — Deposito — Ampliamento — Omes

sa denuncia — Reato — Sussistenza (R.d.l. 2 novembre 1933

n. 1741, art. 11; d.l. 5 maggio 1957 n. 271, art. 1, 13; 1. 2

luglio 1957 n. 474).

Il comportamento dell'esercente che, avendo denunziato all'Utif

l'installazione di un deposito di olì minerali, ometta di denun

ziarne l'ampliamento, integra la fattispecie sanzionata penal mente dall'art. 13 d.l. 271/57. (2)

I

Svolgimento del processo. — Parri Giancarlo, gestore di un

distributore stradale di carburanti, fu tratto al giudizio del Tribu

nale di Siena per rispondere del reato di cui all'art. 13 d.l. 5

maggio 1957 n. 271, convertito nella 1. 2 luglio 1957 n. 474, per

ché esercitava un deposito di oli lubrificanti senza aver denuncia

to all'Utif la giacenza di kg. 540,1 di detti olì.

Con sentenza del 5 luglio 1985 il tribunale assolse l'imputato

perché il fatto non costituisce reato, osservando che la detenzione

di prodotti petroliferi in eccedenza rispetto ai quantitativi con

sentiti dalla concessione (o autorizzazione) amministrativa non

può riguardarsi di per sé come un diverso ed autonomo deposito, sicché essa non ha rilevanza ai fini dell'obbligo di denuncia all'U

tif, tanto più quando, come nella specie, l'eccedenza trovi pieno

riscontro nelle risultanze dei registri di carico e scarico.

A seguito di impugnazione proposta dal p.m., la pronuncia fu riformata dalla Corte d'appello di Firenze, la quale, con sen

tenza in data 12 giugno 1986, dichiarò il Parri colpevole del reato

ascrittogli e, previa concessione delle attenuanti generiche, lo con

dannò alla pena di lire 150.000 di multa.

Osservò la corte: 1) che il riferimento dell'art. 1 d.l. 5 maggio

1957 n. 271, alla capacità del deposito — in connessione con il

richiamo per relationem all'entità delle giacenze e dei relativi im

pianti (desumibile dalla previsione che la denuncia va integrata

con l'allegazione dei provvedimenti di concessione o autorizza

zione, nei quali è stabilita la capacità dei depositi) — fa ritenere

che la ratio della normativa si articoli e si specifichi anche nella

finalità di mettere a conoscenza dell'Utif (per il più efficiente

esercizio dei suoi poteri di controllo e di repressione delle frodi

fiscali) la potenzialità massima consentita per gli impianti oggetto

della denuncia; 2) che, conseguentemente, le giacenze eccedenti

i quantitativi per i quali sono state rilasciate le concessioni o au

torizzazioni allegate alla denuncia Utif sono da equiparare a nuo

ve formazioni di deposito assoggettate all'obbligo di ulteriore

denuncia.

Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cas

sazione, denunciando la violazione dell'art. 524, n. 1 e n. 3, c.p.p.,

Cass, pen., 1988, 370; 16 maggio 1986, Pasi, id., 1987, 1818; 23 aprile

1986, Chiaracane, ibid., 1644.

Aderiscono invece all'opposta interpretazione secondo cui anche il sem

plice ampliamento del deposito già denunziato all'Utif costituisce reato

se non venga effettuata la denunzia — oltre a Cass., sez. III, 25 febbraio

1987 sopra riportata — le sentenze della stessa sezione 30 settembre 1986,

Fontanelli, ibid., 2222, e 3 aprile 1986, Aiello, ibid., 1818.

Costituiscono invece espressione dell'orientamento intermedio, critica

to dalle sezioni unite, le sentenze 24 giugno 1986, Emiliani, ibid., 2222

(che ha escluso la configurabilità del reato nel caso di ampliamento non

denunziato del deposito solo nell'ipotesi in cui non siano state apportate immutazioni alle strutture e al tipo di impianto), e 27 gennaio 1986, Bevi

lacqua, ibid., 1012 (secondo cui non l'ampliamento non denunziato del

deposito costituirebbe reato, ma l'aggiunta, ad un deposito «con serba

toio», di un deposito «senza serbatoio» costituito da contenitori sigillati). Per ampi riferimenti, cfr. infine, da ultimo, in dottrina, F. Graziano,

Esercizio senza denuncia o senza licenza di deposito di oli minerali, in

Dir. e pratica trib., 1985, II, 1405.

Il Foro Italiano — 1988.

sotto il profilo dell'erronea applicazione della 1. 454/57 e dell'il

logicità manifesta della motivazione.

Secondo il ricorrente, i giudici di appello hanno erroneamente

richiamato la sentenza 1° marzo 1979 di questa Corte suprema, la quale si è limitata ad affermare che occorre una nuova denun

cia all'Utif nell'ipotesi (insussistente nella specie) di ampliamento strutturale dell'impianto ed hanno per contro ignorato le pronun ce di questa stessa corte del 1985 e del 1986, le quali hanno preci sato che il fatto, cosi come addebitato ad esso ricorrente, non

costituisce reato.

Su proposta del presidente della terza sezione penale, il quale ha segnalato i contrastanti orientamenti della stessa sezione in

ordine alla configurabilità del reato di cui all'art. 13 1. 2 luglio 1957 n. 474 nell'ipotesi di omessa denuncia all'Utif del mero am

pliamento di un deposito di oli minerali, il ricorso è stato asse

gnato alla cognizione delle sezioni unite penali con provvedimento del primo presidente di questa corte in data 25 luglio 1987.

Motivi della decisione. — La questione di principio prospettata dal ricorrente è stata variamente risolta dalla giurisprudenza di

questa Corte suprema. Secondo un orientamento — cui mostra di aderire l'impugnata

sentenza della Corte d'appello di Firenze — l'omessa denuncia

dell'ampliamento di un deposito di oli minerali integra il reato

di cui all'art. 13 d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito con modi

ficazioni nella 1. 2 luglio 1957 n. 474, essenzialmente perché, co

stituendo la potenzialità massima indicata nell'atto di concessione

(o di autorizzazione) di cui il gestore deve preventivamente mu

nirsi ai sensi del r.d.l. 2 novembre 1933 n. 1741, il limite di legit timazione dell'esercizio dei depositi, la detenzione di prodotti

petroliferi in quantità superiore a quella consentita si risolve, per

l'eccedenza, in un nuovo deposito, soggetto come tale ad ulterio

re denuncia (sent. 22 aprile 1987, n. 5025; 12 novembre 1986,

n. 12647; 5 agosto 1986, n. 7858; 10 gennaio 1979, Squillace,

Foro it., Rep. 1979, voce Idrocarburi, n. 18). Secondo l'opposto indirizzo, la normativa vigente impone sol

tanto l'obbligo della denuncia prima dell'attivazione del deposi

to, mentre non è prescritto — e tanto meno penalmente sanzionato — un obbligo di comunicare all'Utif ogni variazione in aumento

della capacità del deposito stesso (cfr. in tal senso sent. 26 set

tembre 1986, n. 9881; 17 gennaio 1987 n. 353; 5 agosto 1986,

n. 7898; 7 giugno 1986, n. 5233; 21 febbraio 1986, n. 1793). Nell'ambito di tale indirizzo si è, peraltro, talvolta precisato

che è da ravvisarsi un deposito ex novo nell'ipotesi di modifiche

sostanziali apportate al deposito inizialmente costituito (per es.

realizzando nuovi serbatoi o aggiungendo ad un deposito con ser

batoi un quantitativo di olì lubrificanti contenuti in recipienti si

gillati: Cass. 15 maggio 1986, n. 3769) oppure nell'ipotesi di «un

immagazzinamento di tale cospicua entità da dar vita ad un de

posito totalmente diverso da quello precedentemente denunciato»

(Cass. 11 giugno 1987, n. 7312).

Ritiene il collegio, dopo approfondito esame della questione,

di dover ribadire il secondo orientamento, con la precisazione,

peraltro, che non possono ritenersi giustificate neppure le limita

zioni e le riserve espresse nelle sentenze di cui ora è stato fatto

cenno.

Ed invero, in tanto potrebbe ravvisarsi, con riferimento all'i

potesi che qui viene in considerazione, il reato di cui all'art. 13,

1° comma, 1. 2 luglio 1957 n. 474, in quanto risultasse positiva

mente dalla legge l'esistenza di uno specifico obbligo di denuncia

oppure in quanto si dovesse ritenere che l'ampliamento del depo

sito — o con apporto di nuove opere o con una maggiore giacen

za di prodotto — dia luogo di per se stesso ad un nuovo deposito,

tale da rientrare comunque nella previsione dell'art. 1 della legge.

È incontestabile, peraltro, che l'art. 13 sanziona unicamente

l'esercizio di un deposito di olì minerali non denunciato a termini

(e cioè ai sensi) dell'art. 1: e questa norma, a sua volta, impone

esplicitamente un solo obbligo, e cioè quello della preventiva de

nuncia all'Utif dell'imminente attivazione del deposito stesso.

Nulla, invece, è disposto dalla legge per quanto riguarda even

tuali variazioni apportate al deposito, cosi come inizialmente de

nunciato.

Si è peraltro obiettato che l'esistenza dell'obbligo in questione

si evince indirettamente, ma inequivocabilmente, dal fatto che,

ai sensi dell'art. 1, 3° comma, 1. 474/57, l'iniziale denuncia al

l'Utif deve essere corredata dall'atto di concessione (o di autoriz

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PARTE SECONDA

zazione) previsto dall'art. 11 r.d.l. 2 novembre 1933 n. 1741: e

tale atto, come è specificato nel successivo art. 12, deve fra l'al

tro indicare: «la natura dei prodotti da immettere nei depositi, distinti secondo la specie, e per ciascuna di esse la quantità mas

sima autorizzata».

Ne conseguirebbe che, avendo l'atto amministrativo una fun

zione integrativa della denuncia fiscale, il superamento del quan titativo di prodotti petroliferi consentito dall'atto medesimo

comporterebbe automaticamente la necessità di una nuova de

nuncia.

L'obiezione non può essere condivisa.

L'espressione legislativa dell'art. 1, la quale fa esclusivo riferi

mento alla preventiva denuncia da parte di chi intenda esercitare

un deposito, non consente, per la tassatività ed inequivocità del

suo significato, operazioni di carattere estensivo contrarie al prin

cipio di legalità e al divieto di analogia vigenti in materia penale. È da considerare, inoltre, che, come si evince dal raffronto

fra la normativa del r.d.l. 1741/33 e quella della 1. 474/57, non

sempre la denuncia all'Utif è suscettibile di essere corredata dal

l'atto di concessione di autorizzazione (lo stesso art. 1, 3° com

ma, 1. n. 474 precisa i limiti di applicabilità della prescrizione in oggetto con l'inciso «in quanto (tali atti) siano previsti». Infat

ti, mentre è soggetto alla denuncia fiscale l'esercizio di un deposi to per la vendita al pubblico di olì minerali, qualunque sia la

capacità del deposito stesso, nonché quello dei depositi per usi

privati, agricoli e industriali aventi capacità superiore a me. 10

(salva l'elevazione di quest'ultimo limite a me. 25 nei soli casi

previsti dall'art. 3 1. 23 gennaio 1970 n. 9), sono esenti dall'obbli

go della concessione (o dell'autorizzazione) i depositi per uso com

merciale aventi capacità non superiore a me. 10 (art. 2 r.d.l. 8

ottobre 1936 n. 2018) nonché i depositi per usi privati, agricoli e industriali, aventi capacità non superiore a me. 25 (art. 11,2° comma r.d.l. 1741/33).

È quindi evidente che, almeno in certi casi, mancherebbe co

munque il punto di riferimento che si vorrebbe offerto dall'atto

di concessione (o di autorizzazione).

Nulla, d'altra parte, autorizza a ritenere che la ragione dell'al

legazione alla denuncia fiscale della copia del provvedimento am

ministrativo non possa essere che quella di far conoscere all'Utif

la capacità del deposito.

Se, invero, la finalità di tale onere di produzione fosse quella testé enunciata, sarebbe stato ben più semplice imporre al gestore del deposito di indicare direttamente nella denuncia fiscale la po tenzialità massima del deposito, e ciò anche per coprire le ipotesi in cui, come si è visto, la esibizione dell'atto amministrativo non

è richiesta.

In realtà, sembra più corretto ritenere che la formalità in que stione sia diretta a rendere edotto l'Utif della regolarità ammini

strativa del deposito e della sua rispondenza alle esigenze di tutela

della sicurezza pubblica. Ciò si evince anche dalla molteplicità dei dati che, a norma

dell'art. 12 r.d.l. 1741/33, il decreto di concessione deve contene

re e che vanno ben oltre quello relativo alla capacità dell'impian

to, comprendendo, fra gli altri, l'assunzione, da parte del titolare,

degli obblighi di mantenere una determinata scorta di prodotti

petroliferi, di consentire la priorità nella fornitura ai servizi pub

blici, di tenere maestranze ed impiegati di nazionalità italiana, di comunicare mensilmente gli stock di riserva, di consentire il

libero accesso ai funzionari competenti. Né vale obiettare che, qualora l'esercente del deposito già de

nunciato fosse lasciato libero di variarne la capacità ad libitum, verrebbe ad essere sostanzialmente elusa la ratio legis diretta a

prevenire le frodi fiscali, anche mediante l'indicazione del limite

di quantità di prodotti petroliferi contenuto nella denunzia iniziale.

È pacifico, invero, che la finalità generale della 1. 474/57 è

quella di tutelare, mediante il controllo preventivo e repressivo del movimento di olì minerali, l'interesse dello Stato all'osservan

za degli obblighi fiscali. Ciò non basta, peraltro, per far rientrare nella fattispecie pena

le azioni od omissioni che potrebbero bensì violare il principio

ispiratore della legge, ma che non siano anche riconducibili ad

una specifica previsione normativa che le qualifichi come reato.

Va d'altra parte considerato che, nell'ambito della suindicata

finalità della 1. 474, la denuncia di cui all'art. 1 assolve ad una

specifica funzione, che è quella di fornire all'amministrazio

II Foro Italiano — 1988.

ne finanziaria un quadro degli operatori economici del settore

e di eliminare cosi il fenomeno della clandestinità fra gli esercenti

di depositi, laddove a consentire il controllo sul regolare esercizio

dei depositi istituiti sono preordinate altre norme, quali quelle che prevedono l'obbligo della tenuta dei registri di carico e scari

co (art. 3, 1° comma, seconda parte) e il divieto di introdurre

nei depositi stessi olì minerali non scortati dal certificato di pro venienza (art. 5, 2° comma).

Deve, poi, escludersi che il superamento della quantità massi

ma dei prodotti petroliferi consentita (nei casi in cui questa risulti

attraverso la produzione dell'atto di concessione o di autorizza

zione) comporti di per se stessa la formazione di un diverso ed

autonomo deposito, come tale soggetto a nuova denuncia fiscale.

L'obbligo di denuncia previsto dalla 1. 474 inerisce, invero, non

già all'esistenza di un deposito, ma al suo esercizio, che è nozio

ne unitaria e si sostanzia nell'attività esercitata (come espressione di disponibilità, introduzione, utilizzazione e collocamento della

merce) piuttosto che nel calcolo delle quantità oggetto dell'attivi

tà medesima.

Ciò basta anche ad evidenziare l'inaccettabilità dell'opinione che ravvisa l'esistenza di un nuovo deposito, con conseguente ob

bligo di ulteriore, distinta denuncia, nell'ipotesi di cui l'ecceden

za risulti superare in misura notevole la quantità massima

autorizzata.

Ma parimenti inaccettabile appare la tesi, secondo la quale l'am

pliamento del deposito non denunciato sarebbe punibile ai sensi

dell'art. 13, qualora fosse stato realizzato mediante modifiche so

stanziali agli impianti preesistenti, quali la costruzione di nuovi

serbatoi o la diversificazione delle forme di conservazione del

prodotto. Una limitazione in tal senso non trova invero alcun riscontro

nella lettera della 1. 474, la quale, prescrivendo all'art. 1 l'obbligo di denuncia da parte di chiunque intenda esercitare un deposito di oli minerali «con o senza serbatoi», mostra, anzi, di non attri

buire una specifica rilevanza alle modalità di detenzione dei pro dotti petroliferi.

D'altra parte, come questa Corte suprema ha costantemente

precisato (sentenze n. 13308/86, n. 509/86, n. 2874/82, n. 5122/81,

ecc.), la nozione di deposito recepita nella legge in oggetto pre scinde da ogni riferimento ad una particolare situazione topogra fica o all'esistenza di un'apposita attrezzatura per il ricovero e

la custodia degli olì minerali e va intesa nella comune e generica accezione di cumulo, raccolta, scorta o giacenza di olì minerali

di cui il soggetto abbia la disponibilità, quale che sia il modo

di conservazione della merce.

È significativo, infine, che, mentre il r.d.l. 1741/33 ha preso in considerazione, all'art. 13, lett. e), le eventuali modificazioni

agli impianti, sancendone il divieto di mancanza di autorizzazio

ne per quelle definite «sostanziali», la 1. 474 non contiene alcun

riferimento al riguardo, pur avendo il legislatore, nella formazio

ne di quest'ultima, tenuto ben presente la precedente normativa, come si è visto a proposito dell'obbligo di produzione dell'atto

di concessione (o autorizzazione) di cui al citato art. 1.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'impugnata sen

tenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è pre veduto dalla legge come reato.

II

Fatto e diritto. — Il Panci è stato tratto a giudizio dinanzi

al Tribunale di Siena per rispondere del reato di cui agli art.

1, 13, 1° comma, d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito in 1.

2 luglio 1957 n. 474, per avere detenuto nel suo deposito di olì

minerali, già in precedenza denunciato alla Utif, un quantitativo di Kg. 931,800 di olì lubrificanti non compreso nella denuncia.

Sia il Tribunale di Siena, con sentenza 4 dicembre 1984, appel lata dal p.m., sia la corte di Firenze, con la sentenza che il p.m. ha gravato di ricorso, hanno ritenuto che il fatto ascritto all'im

putato non costituisce reato.

Secondo i giudici di primo grado, la maggiore consistenza del

deposito di olì minerali rispetto alla denuncia già effettuata non

potevasi equiparare a un deposito non denunciato, in quanto «non

sussiste una specifica norma sanzionatoria per la gestione di un

deposito senza la licenza Utif, quando vi sia stata denunzia del

deposito», e «le eventuali irregolarità (nella gestione del deposi

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GIURISPRUDENZA PENALE

to) sono sanzionate dall'art. 13, 2° comma, 1. 474/57 mentre,

per ciò che attiene alla sicurezza degli impianti e al controllo sul

commercio, hanno rilevanza esclusivamente l'autorizzazione dei

vigili del fuoco e la concessione prefettizia». La corte di Firenze ha, a sua volta, confermato la non punibi

lità del fatto di cui trattasi per difetto della ratio dell'art. 13,

1° comma, 1. 474/57 dato che «si ritiene che l'art. 13, 2° comma,

limiti l'art. 13, 1° comma». «Se il controllo preventivo non è

reso possibile per l'omissione della denuncia, ma il controllo suc

cessivo dimostra la regolarità degli adempimenti fiscali», l'omis

sione non è punibile per difetto della ratio dell'art. 13, 1° comma.

«Essa è di mettere un avamposto per il delitto di cui al 2° comma

che, nella specie, non sussiste».

A sostegno del suo ricorso, il p.g. di Firenze, richiamandosi

all'appello del p.m. di Siena, denuncia violazione dell'art. 13 1.

474/57, in quanto la ratio della norma è anche «quella di consen

tire all'Utif di conoscere prima e di eventualmente verificare, poi, che in determinati impianti vi sia in giacenza un certo numero

di Kg di olì minerali e non quantitativi superiori». «Era sfuggito

ai giudici che nell'iter amministrativo de quo la c.d. licenza Utif

segue cronologicamente e logicamente le attività di valutazione,

prescrizione, collaudo di competenza dei vigili del fuoco e del

l'amministrazione comunale sia in ordine all'apertura di un di

stributore di carburanti sia in ordine ad un ampliamento del suo

deposito di oli minerali: una volta concessa dall'autorità comu

nale l'autorizzazione all'esercizio di un distributore ovvero all'e

sercizio di un ampliamento del suo deposito di oli, l'Utif concede

la propria». Anche la detenzione di un diverso o maggior quanti

tativo di olì minerali non deunciati in un deposito già denunciato

andava quindi equiparata all'ipotesi di un deposito non denun

ciato e come tale doveva essere punita ai sensi degli art. 1-13,

1° comma, 1. 474/57.

Il ricorso del p.g. è fondato. Il collegio non ignora il contrasto

esistente in questa stessa sezione sulla questione che qui si ripro

pone, e cioè se la fattispecie delittuosa di cui all'art. 13, 1° com

ma. 1. 474/57 riguardi soltanto chi eserciti un deposito di olì

minerali non denunciato ovvero anche chi proceda, senza la pre

ventiva denuncia, all'ampliamento del deposito (già denunciato),

sia apportando modifiche agli impianti sia introducendovi un mag

giore o diverso quantitativo di prodotti petroliferi.

Mentre, in talune decisioni, si è affermata l'esistenza del reato,

ritenendosi come nuovo e quindi non consentito tutto ciò che

senza le prescritte denunzie ed autorizzazioni venga aggiunto agli

apparati preesistenti del deposito già denunciato (sent. 10 gen

naio 1979, Squillace, Foro it., Rep. 1979, voce Idrocarburi, n.

18), ovvero allorché ad un deposito con serbatoio già denunciato

si aggiunga un deposito senza serbatoio costituito da contenitori

sigillati (sent. 15 maggio 1986, n. 3769, Bevilacqua), in altra deci

sione si è ravvisata, invece, l'ipotesi contravvenzionale, ormai de

penalizzata, di cui agli art. 13 e 21 r.d. 1. 2 novembre 1933 n.

1741 e solo in caso di modifiche sostanziali degli imputati e non

già pure di mero ampliamento a causa di una maggiore giacenza

di prodotto senza modifiche strutturali (sent. 22 gennaio 1985

Castori, id., 1986, II, 598). Circa la motivazione della sentenza impugnata va osservato,

anzitutto, che l'ipotesi delittuosa prevista dal 1° comma dell'art.

13 1. 474/57 non può essere collegata all'altra ipotesi di cui al

2° comma dello stesso art. 13 (eccedenza di giacenze in confronto

delle risultanze del registro di carico e scarico o comunque non

giustificate da certificati di provenienza) per pervenire alla con

clusione, che, ove le giacenze siano state regolarmente registrate,

l'omissione della loro preventiva denuncia non sarebbe punibile

per difetto di violazione della ratio dell'art. 13, 1° comma, che

è quella di mettere un avamposto per il delitto di cui al 2° comma.

Non v'è dubbio, infatti, che le due ipotesi delittuose sono di

stinte e possono sussistere indipendentemente l'una dall'altra, te

nuto conto della diversità dell'elemento materiale, anche se

entrambe ispirate alla eadem ratio e cioè allo scopo di impedire

fraudolente evasioni dell'imposta di fabbricazione sugli olì minerali.

Né importa che il Panci abbia, nella specie, registrato regolar

mente i carichi e gli scarichi dell'olio lubrificante. Invero, non

può essere sottaciuto che la 1. 474/57, come chiaramente si evince

anche dal titolo, ha lo scopo di precostituire la conoscenza da

parte dell'Utif dell'impianto e della attivazione del deposito per

ché possa procedere ai minuti controlli preventivi, oltre che re

II Foro Italiano — 1988.

pressivi, delle frodi, tutelando l'interesse dello Stato all'accerta

mento dell'osservanza degli obblighi fiscali (Cass. 3 aprile 1968,

Colussi, id., Rep. 1969, voce Oli minerali e idrocarburi, n. 72; 17 marzo 1981, n. 109). Pertanto, l'obbligo della denuncia, es

sendo questa diretta anche a fine di prevenzione e di vigilanza, sussiste indipendentemente sia dall'avvenuto pagamento dell'im

posta di fabbricazione sia dal fatto che nessuna differenza sia

riscontrata tra le giacenze e le risultanze del registro di carico

e scarico (Cass. 25 novembre 1970, n. 1382; 19 aprile 1971, Mar

randino id., Rep. 1972, voce Idrocarburi, n. 80; 11 agosto 1971, n. 2125). Gli argomenti, addottati dai giudici di merito a soste

gno della loro tesi, non hanno, quindi, alcuna cosistenza.

Né, per altro verso, risultano convincenti quelli contenuti nella

sentenza di questa stessa sezione 22 gennaio 1985, Castorri, che

si riportano alla normativa di cui al r.d.l. 2 novembre 1933 n.

1741 sulla disciplina dell'importazione, della lavorazione, del de

posito e della distribuzione degli olì minerali e dei carburanti.

Se è vero, infatti, che il suddetto decreto richiede il rilascio

della concessione per l'impianto o la gestione dei depositi e pre

vede anche l'obbligo di non portare modifiche sostanziali agli

impianti senza prevenuta autorizzazione (art. 11 e 21), mentre

la 1. 474/57 si limita ad imporre il solo obbligo della denuncia

all'Utif per l'esercizio del deposito, cui deve essere allegata la

copia dell'atto di concessione o di quello di autorizzazione, in

quanto previsti, ai sensi dell'art. 11 r.d.l. 1741/33 e nulla dice

a proposito di modifiche negli impianti, non sembra, tuttavia,

che questo possa far validamente sostenere che il legislatore non

ha inteso punire l'omessa denuncia dell'ampliamento del deposi

to, essendosi limitato a richiamare nell'ambito della 1. 474/57 so

lo in parte la normativa in tema di concessioni ed autorizzazioni

amministrative.

Al riguardo, occorre, anzitutto, considerare che le norme di

cui al r.d.l. 1741/33 sono dettate a tutela della pubblica sicurezza

(Cass. 19 ottobre 1964, Ravetti, id., Rep. 1966, voce Oli minerali

e idrocarburi, n. 71; 28 maggio 1982, Zambaiti, id., Rep. 1983,

voce Idrocarburi, n. 37; 6 novembre 1984, n. 9690), mentre la

denuncia ex art. 1 d.l. 271/57 è richiesta esclusivamente a specifi

ci scopi fiscali; per cui, circa i rapporti tra concessione e autoriz

zazione di cui al r.d.l. 1741/33 e la denuncia ex art. 1 d.l. 271/57

deve essere sottolineata la diversità ed autonomia dei due docu

menti nonché la loro differente ed insostituibile funzione che ne

impedisce anche l'intercambiabilità (Cass. 11 agosto 1971, n. 2825;

31 marzo 1982, Carboni, id., Rep. 1983, voce cit., n. 43). Va,

altresì, rilevato che la denuncia ex art. 1. d.l. 271/57 deve essere

corredata dalla copia dell'atto di concessione o di quello di auto

rizzazione, «in quanto (tali atti) siano previsti», ai sensi dell'art.

11 r.d.l. 1741/33 (art. 1, 3° comma, n. 1 1. 474/57); il che vuol

dire che l'obbligo della denuncia all'Utif non viene meno qualora

la concessione o l'autorizzazione non siano previste, come ad es.

per i depositi ad usi privati con capacità non superiore a me.

25 (art. 11, 2° comma, r.d.l. citato) e tuttavia soggetti a denuncia

fiscale, ove la loro capacità superi i 10 me (art. 1, 2° comma,

lett. a, 1. 474/57).

Orbene, poiché la ragione dell'allegazione alla denuncia fiscale

della copia della concessione o autorizzazione amministrativa non

può essere che quella di far conoscere all'Utif la capacità del de

posito, dato che in base all'art. 22 del regolamento di esecuzione

del r.d.l. 1741/33 sia l'atto di concessione che quello di autoriz

zazione devono contenere l'indicazione della capacità in metri cu

bi, il tipo e la destinazione di ciascun serbatoio, ciò non significa

che non vi sia obbligo di denuncia anche nei casi in cui per i

depositi non siano previste concessioni o autorizzazioni; che, in

questi casi, nei quali deve rientrare anche quello dell'ampliamen

to di un deposito già denunciato, ben più precisa deve essere l'in

dicazione della qualità e della quantità dei prodotti petroliferi,

per la mancanza della concessione o autorizzazione, contenenti

tali dati. Variando la capacità del deposito già denunciato, è,

dunque, necessario che l'Utif ne venga informato con una nuova

denuncia, cui dovrà seguire anche il rinnovo della licenza di eser

cizio; licenza, questa, rilasciata intuitu personae e contenente i

dati volumetrici del deposito.

Diversamente, qualora l'esercente del deposito già denunciato

fosse lasciato libero di variarne la capacità ad libitum, verrebbe

ad essere sostanzialmente elusa la ratio legis, rivolta a prevenire

e a reprimere le frodi fiscali nel settore degli oli minerali, indi

pendentemente — ripetesi

— sia dall'avvenuto pagamento del

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Page 6: PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE || sezioni unite penali; sentenza 21 novembre 1987; Pres. Faccini, Est. Specchio, P. M. Piccininni (concl. conf.); ric. Parri. Annulla senza rinvio

PARTE SECONDA

l'imposta di fabbricazione sia dal fatto che nessuna differenza

sia riscontrata tra le giacenze e le risultanze del registro di carico

e scarico.

Si deve, quindi, concludere, contrariamente a quanto ritenuto

dai giudici di merito nonché nella sentenza di questa stessa sezio

ne 22 gennaio 1985, Castoni, che la fattispecie delittuosa prevista e punita dagli art. 1-13, 1° comma, d.l. 5 maggio 1957 n. 271, convertito in 1. 2 luglio 1957 n. 474, riguardi non solo la condot

ta dell'esercente un deposito di olì minerali senza la prevista de

nuncia all'Utif ma anche la condotta dell'esercente di un deposito

già denunciato che ampli la capacità di tale deposito senza nuova

denuncia all'ufficio fiscale, sia che l'ampliamento consista in mo

difiche (sostanziali o non) degli impianti, sia che si tratti di de tenzione di prodotti diversi o in maggiore quantità rispetto a quelli

già denunciati.

CORTE DI CASSAZIONE; sezione VI penale; sentenza 10 no

vembre 1987; Pres. Faccini, Est. Simoncelli, P. M. (conci,

conf.); ric. Cappelletti ed altro. Conferma App. Roma 26 gen naio 1987.

Pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio — Istituto del

l'Enciclopedia italiana — Dipendenti — Qualifica — Pubblico

ufficiale — Esclusione (Cod. pen., art. 357, 358).

I dipendenti dell'«Istituto dell'Enciclopedia italiana» non rivesto

no la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto non possiede i requisiti fondamentali per essere definito ente pubblico un

istituto che svolge attività editoriale — per prestigiosa che essa

sia — di natura imprenditoriale, in un settore che non può certo definirsi di portata essenziale per la vita dello Stato, in

regime di concorrenza e coinvolgendo interessi che non appar

tengono sicuramente alla generalità dei cittadini. (1)

A Vincenzo Cappelletti, quale direttore generale dell'Istituto

dell'Enciclopedia italiana, è stato ascritto il delitto di interesse

privato in atti d'ufficio, per avere disposto l'assunzione presso l'istituto di dipendenti legati da vincoli di parentela o affinità con altro personale già in servizio e con lo stesso Cappelletti. A questi è stato altresì' ascritto il delitto di peculato, di cui non

è stato mai enunciato il fatto costitutivo.

(1) La sentenza intende inscriversi — come peraltro è detto espressa mente nella parte finale della motivazione — in un orientamento tendente non già a espandere, bensì a delimitare quanto più possibile l'ambito dì operatività delle qualifiche pubblicistiche di cui agli art. 357 e 358

c.p.: la pronuncia delle sezioni unite 23 maggio 1987, Tuzet, che ha da ultimo concluso per la natura privata dell'attività bancaria e che viene assunta in motivazione a significativo indicatore di un'attuale linea di tendenza dotata di portata generale, è riportata in Foro it., 1987, II, 481, con nota di Giacalone, ed è altresì commentata da Del Corso, in Cass, pen., 1988, 39 (in tema di banche, da ultimo, v. Trib. Avezzano 22 gennaio 1987, e Trib. Bologna 24 ottobre 1986, Foro it., 1988, II, 202, con nota di Rapisarda).

Di recente, la qualifica di pubblico ufficiale è stata esculsa anche con riferimento agli amministratori delle società gestite nel sitema delle parte cipazioni statali: cfr. Cass. 13 agosto 1986, Morgante, id., 1987, II, 592, con nota di Mele, e Cass, pen., 1987, 1531, con nota di Del Corso, Lo statuto penale delle imprese pubbliche: «vizi privati e pubbliche vir tù»? contenente un quadro riassuntivo delle teorie, amministrativistiche e penali, escogitate ai fini dell'individuazione delle qualifiche pubblicisti che presupposte dai reati contro la p.a. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Reggio Emilia 4 marzo 1983, Indice pen., 1983, 393, che ha escluso la qualità di pubblico ufficiale a proposito di un dipendente della Snam, società del gruppo Eni.

Come esempio di un persistente orientamento estensivo, v., invece, Cass. 25 maggio 1985, Pagliara, Foro it., 1986, II, 75, con nota di Lanza, che ha qualificato pubblico ufficiale anche il privato incaricato di elabo rare il piano regolatore di un comune.

In dottrina, cfr., da ultimo, Severino di Benedetto, La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione: soggetti, qualifiche, funzioni, in AA. VV., La riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, a cura di A. M. Stile, Napoli, 1987, 29 ss.

Il Foro Italiano — 1988.

A Francesco Maria Benveduti, quale titolare dell'ufficio legale del predetto istituto, è stato ascritto il delitto di interesse privato in atti d'ufficio, per aver percepito, per il recupero di crediti del

l'istituto, ulteriore retribuzione dalla società cessionaria dei credi

ti stessi.

Al medesimo Benveduti e a Francesco Casamassima è stato

ascritto il delitto di truffa, per avere il primo, nell'anzidetta qua

lità, consentito al secondo di usufruire dei locali, del personale e dei servizi dell'ufficio legale per l'attività libero-professionale di avvocato del Casamassima.

Tralasciando per il momento quest'ultima imputazione, si rile

va quanto alle altre che il giudice istruttore prima e la sezione

istruttoria poi hanno prosciolto il Cappelletti e il Benveduti per ché hanno ritenuto che l'Istituto dell'Enciclopedia italiana non

abbia natura di ente pubblico, cosi venendo meno il presupposto essenziale dei reati ascritti ai sunnominati imputati, reati che ri

chiedono indefettibilmente nell'agente la qualità di pubblico uffi

ciale o di incaricato di pubblico servizio quello di peculato e la

prima qualità quello di interesse privato in atti d'ufficio.

Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, sia

nell'appello contro la sentenza del giudice istruttore sia nell'at

tuale ricorso contro la sentenza della sezione istruttoria, sostiene,

invece, che il predetto istituto è un ente pubblico economico e

che i prevenuti sono da qualificare pubblici ufficiali.

La soluzione del problema relativo alla natura giuridica dell'I

stituto dell'Enciclopedia italiana ha, dunque, carattere preliminare. D'indiscutibile esattezza è, in proposito, la premessa metodolo

gica dell'impugnata sentenza, secondo la quale la soluzione del

problema passa necessariamente attraverso l'attento esame della

genesi dell'istituto, delle norme legislative, parlamentari e statu

rarie che lo disciplinano, delle vicende giuridiche che ne hanno

caratterizzato la vita, atteso che la qualificazione di un ente come

pubblico o privato prescinde dall'opinione, soggettiva e contin

gente, perfino dei suoi rappresentanti e va operata in base a un'in

dagine ermeneutica condotta alla stregua di elementi obiettivamente

rilevabili. Con ciò si fa giustizia di qualsiasi illazione che volesse

trarsi da atteggiamenti tenuti in determinate occasioni da taluno

degli imputati nel senso della natura pubblica dell'istituto allo

scopo di trarne vantaggi per l'istituto stesso.

Del pari esatta è l'ulteriore premessa metodologica della sen

tenza impugnata là dove afferma che per stabilire se un ente or

ganizzato come società commerciale sia o meno un ente pubblico

economico, occorre aver riguardo ai criteri che dottrina e giu

risprudenza hanno elaborato affinché in assenza di un'espressa

qualifica legislativa — assenza che è pacifica nella specie — possa ricostruirsi la natura pubblica dell'ente stesso. Si aggiunge qui che la verifica va effettuata tenendo presenti quelli che nelle varie

fattispecie in esame costituiscono i criteri decisivi, nel senso che

non deve pretendersi la sussistenza di tutti gli indici come sopra elaborati per poter affermare la natura pubblica d'un ente e, per

converso, che la presenza di uno o più criteri non determinanti

in favore di detta natura non conduce automaticamente a orien

tarsi verso il carattere pubblico dell'ente ove manchino nella stes

sa direzione le note qualificanti più significative in relazione alla

peculiarità della situazione in oggetto. Si aggiunge ancora che

non giova per la soluzione del problema la considerazione isolata

di questa o quella disposizione legislativa, regolamentare e statu

taria, ma è valida unicamente una visione globale e coordinata

del quadro lato sensu normativo, inoltre non in maniera statica, bensì' alla luce dell'evoluzione intervenuta nelle linee di tendenza

dell'attuale assetto istituzionale circa la ripartizione tra settore

pubblico e settore privato. Fatte le due suesposte fondamentali premesse, può passarsi al

la verifica della sussistenza dei criteri dianzi cennati nei confronti

dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, rilevando come pacifica fosse

la natura di persona giuridica di diritto privato dell'istituto fino

al 1933, anno in cui, di fronte alla gravissima crisi economica

della società, che comportava il pericolo dell'interruzione dell'o

pera, giunta al diciottesimo volume rispetto ai trentaquattro pro

grammati, il governo dell'epoca costituì con r.d.l. 24 giugno 1933

n. 669 — convertito nella 1. 11 gennaio 1934 n. 68 — un ente

denominato «Istituto dell'Enciclopedia italiana fondata da Gio

vanni Treccani» che rilevò dalla precedente società anonima tutte

le attività relative all'impresa dell'Enciclopedia ed all'uopo dotò

l'ente di un fondo la cui corresponsione fu imposta, in parti uguali,

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